|
Archivio (comunque indiziario) dell'Ufficio Tecnico |
||||||
|
|
||||||
|
MINIMA ÆSTETICA . Nel catalogo della mostra Ad Usum Fabricae (edizioni De Luca - Roma 1995), era inserito un testo di Catalano dei primi anni 70, con note e glosse di Carmelo Romeo della meta' degli anni 80. | ||||||
|
|||||||
Controindicazioni per l'Abuso e il Disuso delle compatibilità in atto sull'idea di Progetto
« Verrà un giorno in cui una semplice carota, che un pittore avrà visto così con occhi da pittore, potrà provocare una rivoluzione » (E. Zola) « E’ stato lui » (giustificazione fornita da L. Wittgenstein, avvicinato da un questurino, indicando un passante qualsiasi) « Problema della scrittura: ci vogliono assolutamente espressioni inesatte per designare qualcosa esattamente » (G. Deleuze - F. Guattari) Contributi per una tavola sinottica provvisoria ad uso e consumo, detenzione e spaccio dell'idea di artisticità come “rizoma”, relativa ad una “querelle" circa il dubbio metodico sul simulacro adottivo della finzione critica (della ragion critica?) come arma impropria. Da ciò l'oscillazione pendolare delle cronache discontinue e sommarie per un regesto di prove indiziane, preliminari, comunque attenuanti dell'atto mancato tra arte e critica. Sia che questa non si prefiguri più come la parafrasi letteraria, "per sostitutionem simplicem", del già proustiario “paio d'occhiali", o, come, ancora, una semplice “scatola di arnesi" (Faucault), ma nemmeno, non tanto ambiziosamente in fondo, come un "piccolo utensile su un di fuori" (Deleuze). Segue |
|||||||
|
|||||||
A . E' improprio additare all'idea di progetto [01] una nozione marginale riferibile all'ortodossia dell'immagine, quale si stabilisce alla fine o all'inizio del processo operativo, quale che ne sia lo svolgimento [02], come se entrambi le tipologie-costanti-della rappresentazione fossero di per sé istituzionalmente disgiunte nel loro disporsi in immagine, non autonomamente dedotte da un cielo di teleologica eurési di conduzione, e di condizione, della comunicazione dei significati, presunti e pertinenti che siano, giustapposti alla loro disponibilità di verifica. Poiché l'arte è procedimento [03], e null'altro, l'arbitrio creativo, la ridondanza linguistica e la malizia per nulla indisposta dell'estetica è dunque esattamente proporzionabile alla loro precisa applicabilità effettuale, al parametro sempre commensurabile, all'opposto, della distinzione degli attributi riflessi così delle intenzioni, così dei risultati. Il rapporto di connessione e di scissione di un simile e sempre rintracciabile percorso (quello che resta è cioè la ripercorribilità peculiare del procedimento adottato [04] il rapporto interferibile e reciproco di aggiunzione o di riduzione dei termini preposti, e di codificazione valutativa degli stessi - perché non si dà codice senza valore e valore senza codice - è quindi deferibile, come modello o come elementare indicazione esplicativa, alla nozione di progetto. Quello che va da sottolineare è che il termine di progetto risulta, come ogni termine connotativo di convenzione funzionale dei possibili, ulteriori e obbligati significati, talmente dilatabile e comprensivo di esperienze atte alla garanzia, metodologícamente legittimata, pressoché illimitata di prodursi e riproporsi in oggetto, che l'area cognitiva da esso indagata risulta se stessa ineffabile ed esaurita, irraggiungibile alle prove di scambio delle notificazioni accertate [05]. Al punto che è desunto in quantità minima il margine limite di una probabile verifica, svuotato allo scadere delle continue supposizioni e comuni, abitudinarie soluzioni [06], sottratte al prima e al dopo dell'arte, o al senso e al non senso dell'intero e artificioso circuito su cui essa si regge, nonché alla composta e demistificata diseducazione della sovraesposta gnoseologia, non certo carente dell'eredità di una prestigiosa letteratura, nei confronti dei sempre più frequenti colpi bassi delle interpretazioni, consuete anch'esse pur nella dissociata e dissimile frequenza delle analogie. B . Quello che interessa non è il contenuto iconologico, né la sua lettura formativa, ma la loro costante strutturale, che oppone al feticcio della decifrazione valutativa la commensurabilità, ancora non assuefatta agli schemi codificativi del canonico culto della visione, della propria indotta metodologica di base, similarmente valida quanto più si discostano e si destituiscono a vicenda le attitudini parallele (la divergenza iniziale è corretta da quell'unico punto di fuga costituito dalla determinazione obbiettiva dell'oggetto) ma biunivoche (la convergenza conclusiva, permanente all’oggetto, non è attendibile di una stessa dimostrazione risolutiva) della progettazione dell'oggetto, di ciò dunque, che per definizione, precede l'oggetto, come entità fisica, come riferimento per una o multiple successive fasi operative, nonché finalmente, e puramente, come nozione, o prenozione. C . Si dimostra che: è progetto [07] ciò che rientra, a qualsiasi livello, all'interno (non esiste confine nell'ambito della progettazione, al di qua o al di là di essa, finché i suoi estremi, che possono anche coincidere, siano reperibili) della dislocazione ciclica - che può estendersi al massimo o limitarsi alla sua solo ipotesi potenziale - relativa alla elaborazione effettuale e intrinseca, non solo dunque formale, del fare estetico [08]; non è progetto ciò che permane al di fuori, come intuizione e come codificazione [09], dell'ambito del procedimento mentale che lo sorregge, ad onta delle specificazioni di poetica inevitabilmente connesse e implicitamente susseguenti che definiscono l'esperienza artistica nel suo procedimento logico ed operativo. In questi termini si attua una flessibilità denominativa della nozione progettuale posta per prima in causa, in quanto eurési strumentale e graduale di basilari obbiettivi convergenti con una sottintesa discriminazione intenzionale, riversata nella sua anche altrimenti alterata verifica negativa posteriore allo scadere dei passaggi - di perdita e di acquisto - di successive fasi di filiazione e di assimilazione o di correzione della matrice induttiva iniziale [10], coattamente in bilico tra il messaggio informativo ambiguo e ancor più necessariamente resto polisenso della trappola accortamente limata delle mediazioni distinte e tra loro verosimili, immediatamente imprescindibili e a lunga scadenza innominabili - perché introvabili seppure esistenti - che stabilisce tutta la casistica e la somma dei paragoni eventuali fin dalla soglia inammissibile del significato e del significante al di qua e al di là di essa: per cui il termine critico coincide con il progetto e il progetto, nella sua dislocazione metodologica statuale e minimale [11] con ogni sorta potenziale di termine operativo e fattuale avvenire, in cui si decida con precisione il punto di stacco di quella da essa. E quella risulta dunque non solo notevolmente e paradossalmente allargata a dismisura (quanto solo l'immaginazione come facoltà acquisita strumentale di questa ipotesi - attuale - di progetto può fornire), ma inoltre eventuabile e auto-critica, decisamente auto-destituitiva dei propri termini di confronto e d'esistenza, nettamente sconfessata nel suo porsi tuttavia come base di una immancabile e progressiva decodificazione linguistica [12]. Sempre più prossima dunque al marcato (paventato e reale) confine della propria cessazione come progetto e come immagine. - Igitur: dalla (t) auto-logia all'ideologia. Come sfuggire all'anonimia dello stile, all'elogio indiscreto, confezionato dell'eclettismo? Oppure: a quali epifanie di bigiotteria letteraria è da attribuire l'interrogativo ancora retorico sull'origine della "critica della critica" che non sia compreso nella nietzcheiana festa dell'intelletto"? C bis . Progetto e oggetto sono due fasi distinte e osmotiche [13] di quell'unico processo evolutivo e non omologabile che la aleatorietà normativa delle convenzioni definisce "estetico": in quanto fasi esclusive di ricerca esse sono sottoposte al controllo dell'analisi diagnostica e linguistica di un'attitudine critica ancora militante e partecipe, che ne divarica le puntuali scadenze di immissione formale nell'ambito di un canale informativo sottoposto al sistema delle comunicazioni dirette o riflesse; in quanto compenetrazioni comulative progredienti o regredienti, necessarie ma puramente probabili per l'alto grado del coefficiente di saturazione reciproco che le regola irreversibilmente (per quantità iterativa e non omogenea di informazioni contraddicenti e contraddette, l'una sostitutiva dell'altra, ciascuna a sé stante o nel suo in fieri onnicomprensivo imposta come provvisoria, ineluttabilmente, bensì disponibile all'insito finalismo di modelli valutativi), esse interdicono in ogni sede commissionata la totale gratuiticità della fonte d'informazione, verificabile solo a livello di convergenza schematica e di decadimento, la possibile e relativa, eppure sempre analizzabile ai minimi termini, capacità di lettura: sia essa sublimare che, ed è lo stesso, esplicita [14]. (NOTA . La differenza di accelerazione tra il vettore informativo e il quoziente decifrazionale risulta direttamente proporzionale allo scarto sovrabbondante e non colmabile tra la contestazione politica e la conseguente facoltà di immissione, attraverso il già potere dell'Utopia, entro l'ambito definitivamente assestato di un sistema di valori già gerarchizzato: così come la scompensazione dell'alternativa rivoluzionaria viene a stabilire un tamponamento dei modi diversificativi dell'intenzione originaria, pena la perdita della maschera - in senso marxiano - dell'ideologia). D . Il progetto è l'opera (della critica), l'opera è il progetto (dell'arte della critica): progetto è il termine medio, rinnovabile autentificabile volta per volta - quando la pertinenza del punto di rottura e di scadimento tra i due poli lo consenta, riunificati nella identità deliberativa della così saggiata equidistanza, ad un tempo diacronica e sincronica, tra gli scarti di velocità di correzione e appropriazione indotta dell'immagine e la sua pulsione applicativa ed esecutiva - atto a superare continuamente tutta la serie formulativa dei termini in esame articolati e fruibili su se stessi, giustificati da tutta la somma sovraesposta di consumo provocato e rivolto continuamente ad elevare ancora a potenza di consumo la propria risoluta, assiduamente smentita e ribadita obsolescenza. (N.B.) . Nessuna didascalia interpretativa, nessuna aggettivazione ulteriore è concessa all'adescamento del comune denominatore multiplo - singolarmente multiplo - tra ob-iectum e pro-iectum che non sia compreso nella tattica dell'avanzamento e dell'abbandono simultanei lungo tutto l'arco temporale e attraverso l'incontinenza spaziale della terra bruciata dell'avanguardia [15] ribaltata sulla dilatazione della propria gravida nullità ideologica, invertita di senso e di direzione per imbastire il gesto continuo e unilaterale, interdicente e interrotto, del suo rifiuto geloso non comprovato se non permanentemente. D.I . Il pensiero critico, l'evento differito di intenzionalità senza approssimazione di scadenza, è progetto [16]. La citazione sistematica, l'aneddotica della "pittura" è progetto nell'accezione non più assottigliata di "criticismo", scritture di affezione anch'esse ("phrases" lyotardiane?), il culmine di un'esperienza non conclusa, e sempre più a ragion veduta, non concludibile: se non come latente o dichiarata, a caro prezzo finale, dislessia linguistica [17]. D.II . L'indifferenza emancipata dei livellamenti in uso non conduce a favore di orientamenti plausibili e sufficienti a preservare o amministrare l'appellabilità di un meccanismo che persegua attraverso il proprio mezzo provvisorio, di pura enunciazione formale la formulazione eseguibile (al livello graduale quantitativo e, oltre, qualitativo) della propria demistificazione. (Primo corollario): progetto è il procedimento - estensibile in senso positivo e negativo - che accoglie il massimo delle definizioni minime. D.III . Se non ha senso aggiungere o togliere nulla al mondo, lo sbocco dialettico in cui si configura l'attuale accezione di progetto lungo tutto il corso dimostrativo del suo inerziale sviluppo, afferma dunque l'amplificazione sistematica del visibile in quanto vissuto, del vissuto in quanto esperibile, dell'esperibile come pensabile. L'esclusione o la preclusione alternativa del coefficiente opinabile di operatività, dato per addizione o per sottrazione realmente consecutiva alla fattibilità di qualsiasi risultato o azione, non soddisfa che in modo e in misura sempre rilevabile, ma rifluita nell'arbitrarietà più o meno desumibile di una dimensione totalmente interrogativa anche se giustapposta alla congerie non dilazionabile dei fissaggi appuntati, prestabiliti e invertiti di senso, il limite precipuo di approssimazione alla condizione azzerante del progetto: non di affermazione o di negazione, ma di puro enunciato, di prelievo e di settoriale distoglimento delle regolarità distinte dei finalismi logici. A rischio di sostenere l'acrimonia putativa dello stilema artistico e a priori, all'interno della serpentina vittimistica degli "ismi" di ritorno e per interposta persona [18], o di avallare lo 'statu quo' dei neo becchini dell'avanguardia (o "post-avanguardia"?), o, finanche, l'indifferente, stemperato galateo reversibile tra il cattivo odore dell'ideologia e il vizio assurdo dell'estetica [19]. ec |
|||||||
|
|||||||
Note e glosse marginali |
|||||||
[01] . Fedro: Costruire sarebbe dunque creare per principi separati? - Socrate: Sì. Di fatto l'uomo crea in due tempi, uno dei quali si svolge nel dominio del puro possibile, in seno alla sostanza fine che può imitare tutte le cose e combinarle all'infinito. L'altro è il tempo della natura, che contiene in un senso il primo e in un altro ne è contenuto. I nostri atti partecipano d'ambedue, e il progetto è distinto dall'atto come questo dal risultato". (Paul Valery, Eupalino o dell'architettura, ed. Quaderni di Novissima, Roma 1933, pag. 25).
[02] . L'apogeo artistico di una epoca rimane tale fin quando per essa la cosa principale non è l'immaginato ma l'immaginare, non la rendita del simbolo ma il modo di simbolizzare. [03] . La scambiabilità (dall'economia di mercato alle prove linguistiche di commutazione?) dell'oggetto induce l'indifferenza (duchampiana) nel soggetto facendo così emergere il “procedimento" in quanto tale (precedentemente occultato nelle prassi estetiche come sistema notazionale). Sull'indifferenza visiva confronta la raccolta di testi di Duchamp Mercante del segno, a cura di A. Bonito Oliva, Roma 1978, edito da Lerici; sul ready-made cfr. Aut.Trib.17139 n.1 1978. [04] . Per la categoria della "ripercorribilità" tenere presente il paragrafo sui tre paradigmi interiorizzati incluso in La mera superficie (alcuni estratti sono anticipati nel n.7 di Aut.Trib.17139), con riferimento particolare alla figura paradigmatica circolare correlata alla fase che pone la mera superficie come "supporto". [05] . Il sistema economico di scambio è immediatamente un sistema di simbolizzazione, essendo che ogni scambio è una sostituzione. Esso è per altro connesso ad un determinato modo di produzione; cosicché un modo di produrre risulta in ultima analisi un modo di simbolizzare, perché anche ogni produzione è una sostituzione che avviene entro e mediante una determinata forma di società. L'Ur-codice rimarrà un mito per la semiologia fino a quando questa non svilupperà adeguatamente quei paragrafi che la collegano all’economia, svolgendone in maniera conseguente tutti i passaggi. Vedi ad esempio alcuni accenni in Ricerche per una semanalisi di Julia Kristeva pag.36-41), gli scritti di Ferruccio Rossi Landi, il primo Braudillard, J.J. Goux, ecc. Ritengo interessante ricordare anche un testo del comunista Amadeo Bordiga, ripubblicato nel 1976 dalle edizioni Iskra, nel quale si confutano le tesi di Stalin sulla linguistica. - Per le mutuazioni tra categorie economiche, linguistiche ed estetiche cfr. L'azzardo omologetico, in Imprinting. [06] . M. Asimow in Introduction to Design (1962, Prentice Hall Inc.) definisce il progettare come un 'prendere decisioni in una situazione di incertezza e con alte penalità per gli errori". La situazione di incertezza in cui si trova il progettista lo colloca direttamente all'interno stesso del progetto, giacché egli non si trova mai di fronte ad un problema bensì ad una “situazione" problematica della quale egli stesso prende a far parte. Entrambe, il progetto e la situazione, problematica si affrontano facendo propria l'asserzione di Kierkegard: sto qui appositamente per creare difficoltà. [07] . L'idea di "progetto" è tanto recente quanto recente è il suo uso terminologico; tant'è che lo troviamo introdotto per la prima volta dal Tommaseo nel suo Dizionario della lingua italiana. Il 'progetto' come ideologia del progetto (reificazione di un procedimento) inizia a formarsi quando ormai storicamente e socialmente l'azione dell'individuo diviene sempre più solamente e frequentemente una probabilità spersa "nel dominio del puro possibile", quando più si riducono per l'individuo le probabilità di attuazione e realizzazione del desiderio negandogli "il tempo della natura” (cfr. Valery alla nota 1). [08] . L'atto stesso della “parolle" è un atto di progettazione, non solo della "langue", ma del destino stesso del soggetto. M. Dufrenne in Fenomenologia dell'esperienza estetica (ed. Lerici 1969) riporta una frase di B. Parrain da Recherches sur la nature et les fonctions du language con la quale l'A. sostiene che le nostre parole ci impegnano quanto ci esprimono, se non di più, poiché sono l'avvenire del nostro presente. E in una nota di commento a questa posizione Dufrenne aggiunge: “Il linguaggio è allora un programma: un ordine o una promessa; esprime il possibile e non il reale, un possibile da realizzarsi... Parlando do il via a un'avventura che mi trascende, e che interessa la storia del mondo: Icaro trova la propria verità nell'aviatore, come Newton in Einstein". Ovviamente tutto questo non contraddice la definizione data da U. Eco alla semiotica come “disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire" (Trattato di Semiotica generale, Bompiani, Milano 1975) giacché necessariamente anche la menzogna si deve esprimere pur sempre nella verità del segno, cioè in una positività sempre gravida di conseguenze (in ambito giuridico ad es. conseguenze penali). [09] . Una pulsione desiderante che si sa senza appagamento si fa irriducibile; ma se poi su questa sospensione o eccitamento fonda un proprio statuto per potersi rifinire nel progetto (formalizzato), si acquieta nel feticismo. Il piacere dell'eccitazione rispetto alla soddisfazione lo troviamo espresso da Valery nel testo citato, in tal modo: «Non capisco. Ti sforzi dunque a ritardare queste idee? E’ necessario. Così impedendo che esse mi soddisfino, differisco la pura felicità”. [10] . Ciò che si pone come soluzione determinata in un dato momento (dinamico) poggia su un resto e prosegue la catena dei cominciamenti solo se si sa soluzione determinata in un punto solo di questa catena delle indeterminazioni (si configura qualcosa di simile alla "semiosi illimitata" della linguistica), ma sulla quale catena tutta tale soluzione determinata (l'Opera?) non può avere mai e più alcuna possibilità di azione radicale ma solo di giudizio. [11] . Il tentativo di far coincidere i termini della critica e quelli operativi del progetto può essere assimilato, per quanto ci riguarda, anche nell'attività degli Uffici per l'Immaginazione Preventiva. [12] . E’ quantomeno curioso notare, en passant, come nell'attuale proclamata fase "postmoderna", la “mercificazione del sapere" mentre richiede in prospettiva (secondo Lyotard) una società che può esistere e progredire solo se i messaggi che circolano in essa sono ricchi di informazione e facilmente decodificabili, riscontra al contempo da parte dei critici e degli artisti una rinnovata esortazione (in nome del medesimo "postmoderno") all'ambiguità e alla deriva dei significati, alla trasversalità e alla opacità della comunicazione; insomma a tutto ciò che è contrario “ad una ideologia della trasparenza". [13] . Sul rapporto osmotico tra progetto e oggetto si potrebbero fare delle parafrasi analogiche (a memoria): da Marx - che da un processo lavorativo non può uscire qualcosa che non vi sia stata immessa; da Wittgenstein - che un'argomentazione non può possedere più verità delle premesse sulle quali si fonda; per concludere (forse con Plechanov) che per raggiungere un fine attraverso un mezzo occorre che i mezzo sia pervaso dal fine. Cioè: un mezzo non «realizza» il fine ma manifesta di già il fine stesso in una forma non ancora unilaterale. [14] . Nell'attuale fase economica e storica che vede la rendita più alta e sicura come non provenire immediatamente dalla sfera della produzione ma da quella della distribuzione, anche l'immaginario (liquidata l'avanguardia intesa appunto quale cruccio produttivo, e sperperativo, come il morbo di Basedow) inizia a prediligere le forme particolari della propria distribuzione. Non si tratta ovviamente della circolazione amministrativa delle opere ma della distribuzione dell'immaginario. L'ideologia della distribuzione (comunicazione contra informazione) induce ad una cosmetologia basata sulle retoriche realizzative legittimate dalla storiografia assunta come “blocco" ed elenco per forniture di aporie estetiche oramai incontrovertibili, e quindi probanti quali ingredienti di qualità perché pre-giudicati (ma assolti). L'ideologia della distribuzione è anche l'ideologia dell'attualità, della cronaca, essendone l'ipostatizzazione. Si vive nella transizione tanto che si immagina poter risolvere la questione (almeno teoricamente) con giochi di parole che coniugano i termini in voga con la parola "avanguardia”. Ma, già Rosemberg nel 1964, scriveva che il "periodo di transizione" nell'arte, come altrove, non è cominciato ieri; e ricordando una rivista letteraria e artistica degli anni venti che prendeva il nome da questa condizione, dichiarava che non vi era nessuna ragione di credere nell'avvento di un periodo che non fosse un periodo di transizione. [15] . La reazione a questa "incontinenza spaziale" ha comportato il recente fenomeno della seduzione esercitata dal riuso (citazionistico o imitativo) di soluzioni già storicamente determinate, tanto iconografiche che iconologiche. Tale seduzione ci si può spiegare giacché con questo modo di operare il tremore linguistico dell'avanguardia risulterebbe preventivamente curato dalla storiografia e dalla critica, la vertigine dei significati erratici rassicurata dalle varie ermeneutiche sia di tipo semiologico, sia psicologico, sia trasversologico. [16] . Il “progetto" certamente appartiene all'ordine dell'immaginario e del linguistico; vuoi come il “cerimoniale interrotto" di Alberto Boatto, vuoi come le “amphonies" del barone d'Ormesan - il protagonista del racconto «Guide» di Apollinaire. Quando però il progetto giunge alla radice del simbolico non si può più procedere ancora per sostituzioni o deleghe, perché qui l'unica mossa possibile, ulteriore, sebbene definitiva, rimane quella di operare lo scambio a ritroso, non più differibile, che sostituisce il simbolo con il proprio simbolizzato: il completamento dell'opera richiede l'uomo stesso quale posta, non più i suoi messaggeri. M. Blanchot nel suo Lo spazio letterario (Torino 1967) dice che “l'attività artistica, per colui che l'ha scelta, si rivela insufficiente nelle ore decisive... il poeta deve completare il suo messaggio attraverso il rifiuto di sé"; e H. Rosemberg in L'oggetto ansioso scrive che “un'azione che accade su una tela, invece che nel mondo fisico o nella società, è per sua natura ambigua". Costretti a varcare il “cerchio allucinato dell'immaginazione" la realtà certamente non potrà perdonare a chi non comprende che in tal modo si trapassa dalla storia della metafora nella storia delle società; e in quest'ultima il soggettivismo può salvarsi "dall'intolleranza poliziesca” a condizione di essere in scala con le vicende stesse della storia, vale a dire nel "cerchio allucinato" della necessità storica che intreccia i destini dei singoli per il protagonista sociale collettivo. [17] . Il mal sottile dei romantici sembra essersi andato svolgendo con l'epoca attuale nella sottigliezza della schizofrenia, per la quale una molteplicità di significati nascondono un unico significato. Utile sarebbe allora domandarsi quale potrebbe essere l'unico significato che si nasconde dietro tutte le particolari schizofrenie (intendendone ognuna come un significato). [18] . Attualmente la "pittura", in alcuni casi, si illude di aver superato, tramite un riconquistato "esplicito pittorico', la sua fase concettuale. A noi sembra al contrario che la pittura come ostentazione del proprio senso comune, dell'apparire immediatamente inequivocabilmente come pittura di pennello, autodelucidante, lampante prodotto di un professionista (che magari per stare più tranquillo nei valori che incarna acquista i materiali dei suo lavoro a "L'Artistica», bottega in Via del Babbuino, Roma) rimane ancora tutta inscritta nell'espressione più squisita dell'arte concettuale: la tautologia. L'apparente diversità è invece da rintracciare nell'oggetto trattato. Se per i concettuali tale oggetto è "l’arte" (quindi una generalità, allora un concetto), per l'altra abbiamo "la pittura" (una prassi particolare dell'arte, allora una pratica). Parafrasando il Kosuth de L'arte dopo la filosofia, che dichiarava l’arte come definizione dell'arte, si otterrebbe: “La pittura è la pratica della pittura". Lo spostamento è dunque dall'universalità dei concettualismo alla particolarità della pittura; oppure, in assonanza con gli andazzi, dalla sfera Statuale dell'Estetica all'Ente Locale della Pittura. Spostamento che sembra seguire quello logico-storico che sta portando da una fase caratterizzata dal logocentrismo ad una caratterizzata dall'iconocentrismo, dall'ossessione della parola all'ossessione dell'immagine e del simulacro - così come molta pubblicistica recente e recentissima sembra comprovare (vedi ad es. l'ultimo Baudrillard, Perniola, ecc.). Le questioni riguardanti il dibattito attorno alla pittura sono oggi (1980) quantomeno stimolanti e non sono state da noi trascurate; a tal proposito cfr. le interviste del 12.12.79, o l’editoriale al n.5 di Aut.Trib.17139. [19] . "In un mondo tutto marcio io mi troverei meglio là dove regnasse l'ordine e la società fosse abbastanza svuotata da rappresentare un comparsame, e tutti si assomigliassero fra loro, e quindi la memoria non fosse oppressa dalle fisionomie". (Karl Kraus, "Gli ultimi giorni dell'umanità») cr |
|||||||
|