Archivio (comunque indiziario) di Erostrato poi Frazione Clandestina
t e s t i
L'AZZARDO OMOLOGETICO 2 (con i Grundrisse di Karl Marx) . Testo del fascicolo Imprinting I del settembre 1976 (scarica il PDF) - Il fascicolo è composto nella sua prima parte con un testo di Carmelo Romeo L (una ritrascrizione parafrastica dei "Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica" di Karl Marx), e nella seconda parte da un articolo di Amadeo Bordiga sul "problema della cultura" apparso su L'Avanti! del 5 aprile 1913. - Vedi anche l'Azzardo 1 del '72 . Vedi anche in Cinema d'Essai .
PRIMA PARTE . Disegni preliminari per la critica dell'economia politica della produzione artistica

PRODUZIONE, CONSUMO, DISTRIBUZIONE, SCAMBIO (CIRCOLAZIONE)
1.  - Produzione [individui autonomi]
a) Oggetto della nostra analisi è innanzitutto la produzione materiale dell'opera d'arte.
Il punto di partenza è costituito naturalmente dagli individui che producono in società - e perciò della produzione socialmente determinata dagli individui. Il singolo e isolato pittore o poeta con cui cominciano i vasari di ieri e con cui finiscono (altra tattica della medesima strategia) i vasari di oggi, appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che producono le robinsonate di sempre. (pag.5)
Quanto più risaliamo indietro nella storia, tanto più l'individuo - e quindi l'individuo che produce - si presenta privo di autonomia, come parte di un insieme più grande: dapprima ancora in modo del tutto naturale nella famiglia e nella famiglia sviluppatesi in tribù. È soltanto nel XVIII secolo, nella "società civile", che le diverse forme di contesto sociale si contrappongono all'individuo come un puro strumento per i suoi scopi privati, come una necessità esteriore. Ma l'epoca che genera questo modo di vedere , il modo di vedere dell'individuo isolato, è proprio l'epoca dei rapporti sociali (generali da questo punto di vista) finora più sviluppati. L'uomo è nel senso più letterale un zvon polition, non soltanto un animale sociale, ma un animale che solamente nella società può isolarsi. La produzione di un individuo isolato al di fuori della società - una rarità che può capitare a un uomo civile sbattuto per caso in una contrada selvaggia, il quale già possiede in sé potenzialmente le capacità sociali - è un tale assurdo quanto lo è lo sviluppo di una lingua senza individui che vivano insieme e parlino tra loro. (pag.5)

(Come l'idea di individuo si accresca e generalizzi con l'accrescersi e generalizzarsi dei rapporti sociali, tale che la forma sviluppata con la quale ci si presenta nella sua fase capitalistica è una forma tanto recente quanto lo sono i rapporti sociali e materiali che questa idea attualizzano in una forma determinata; - come quella parte che introdurrebbe essere il servirsi vivo delle quote estetiche degli 'oggetti' del mondo (lavoro vivo anche inconsapevole, tanto nell'uso quanto nel farsi di questi 'oggetti'), alla scala di tutti gli individui del consorzio sociale, la base reale sulla quale riposa e si riproduce ogni sviluppo estetico; che tale lavoro vivo produce la ricchezza dei segni, e il suo sviluppo consente lo sviluppo delle particolarità estetiche e anche di quella produzione consapevolmente e squisitamente estetica che è la produzione artistica.) [pag. 73] 

[eternizzazione dei processi di produzione storici. Produzione e distribuzione in generale. Proprietà]

Quando si parla dunque di produzione artistica, si parla sempre di questa produzione a un determinato livello di sviluppo sociale - della produzione di individui sociali. - da ciò potrebbe sembrare che, per parlare in generale della produzione artistica, noi dovessimo o seguire il processo di sviluppo storico nelle sue diverse fasi, oppure dichiarare fin dall'inizio che abbiamo a che fare con una determinata epoca storica, e quindi ad esempio con l'arte nella sua fase storica borghese e capitalistica, che in effetti è il tema specifico della nostra analisi. Ma tutte le epoche della produzione hanno certi caratteri in comune, certe determinazioni comuni. La produzione artistica in generale è un'astrazione, ma un'astrazione che ha un senso, nella misura in cui mette effettivamente in rilievo l'elemento comune, lo fissa e ci risparmia una ripetizione. Tuttavia questo elemento generale, ovvero l'elemento comune che viene astratto e isolato mediante comparazione, è esso stesso qualcosa di complessamente articolato, che si dirama in differenti determinazioni. Di queste, alcune appartengono a tutte le epoche; le altre sono comuni solo ad alcune. Alcune determinazioni saranno comuni tanto all'epoca più moderna quanto alla più antica. Senza di esse sarà inconcepibile qualsiasi produzione artistica; salvo che, se le lingue più sviluppate hanno leggi e determinazioni comuni con quelle meno sviluppate, allora bisogna isolare proprio ciò che costituisce il loro sviluppo, ossia la differenza da questo elemento generale, mentre le determinazioni che valgono per la produzione in generale devono essere isolate proprio affinché per l'unità - che deriva già dal fatto che il soggetto, l'umanità, e l'oggetto, la natura, sono i medesimi - non venga poi dimenticata la diversità essenziale. In questa dimenticanza consiste appunto tutta la saggezza dell'ideologia dell'estetica contemporanea come degli stessi artisti, che dimostrano l'eternità e l'armonia dei valori estetici esistenti come delle prassi che tali valori attualizzano. Un esempio di questa dimostrazione: nessuna arte è possibile senza uno strumento atto a produrla, non fosse altro questo strumento che l'intenzione d'arte; nessuna arte è possibile, anzi nessuna produzione d'arte è possibile senza arte passata, accumulata, non fosse altro questa arte passata che l'abilità concettuale e realizzativa assommata e concentrata nella mente e nella mano (o negli strumenti di attualizzazione) dell'individuo mediante l'esercizio ripetuto per questa produzione particolare; l'intenzione estetica, anzi artistica, è tra l'altro anche uno strumento di produzione artistica, anche memoria delle forme artistiche del passato; dunque la mera intenzionalità artistica è un rapporto naturale eterno, universale e quindi sufficiente alla produzione dell'oggetto artistico. Ovverosia, a condizione che io tralasci proprio quell'elemento specifico che solo trasforma uno "strumento di produzione" (l'attitudine all'oggetto artistico), una particolare determinazione astratta della produzione artistica, in una condizione sufficiente alla produzione dell'oggetto artistico. L'intera storia della prassi artistica più moderna si presenterebbe perciò come una falsificazione malignamente architettata dall'ideologia dell'estetica e dai suoi sacerdoti sacrificali.
Se non esiste una produzione dell'arte in generale, non esiste nemmeno una produzione generale dell'arte. La produzione artistica è sempre una particolare branca di produzione artistica - ad es. pittura, scultura, poesia, danza, musica, narrativa ecc. - oppure è una totalità di branche di produzioni artistiche. Salvo che, come l'economia politica non è tecnologia, così l'estetica pensata non è arte. Il rapporto tra le determinazioni generali della prassi artistica a un dato livello sociale e le forme di produzione particolari va sviluppato altrove (in seguito). Infine la produzione artistica non è neanche soltanto particolare. C'è sempre invece un determinato organismo connettivo, un soggetto interattivo che agisce entro una totalità più o meno ampia di branche di produzione. Allo stesso modo non è ancora questo il luogo di analizzare il rapporto che la rappresentazione del mondo ha con il movimento reale della produzione artistica. Produzione in generale. Branche di produzione particolari. Totalità della produzione. (pag.6,7,8)

Nella formulazione generale la risposta (alle condizioni generali di ogni produzione artistica) si riduce all'affermazione generica che l'arte di un popolo e/o dei suoi singoli componenti tocca il suo apogeo creativo nel momento in cui ha raggiunto in generale il suo apogeo storico, e con questo quello conoscitivo e realizzativo. In realtà un'arte, o i suoi singoli produttori, è al suo apogeo fin quando per essa la cosa principale non è ancora l'acquisto ma l'acquisire. A questo riguardo gli yankees sono superiori agli europei. Oppure, essa (risposta) si riduce ad affermare che, per esempio, certe culture, certe attitudini spirituali, certo ambiente, certe condizioni naturali ecc., sono, ai fini dell'arte più favorevoli di altre. Il che, di nuovo, si riduce alla tautologia che la "ricchezza" dell'arte viene creata tanto più facilmente quanto più esistono, soggettivamente e oggettivamente, gli elementi che la creano.

Ma questo non esaurisce tutto ciò di cui, secondo alcuni, questa parte generale deve realmente trattare. Secondo loro anzi, la produzione artistica, a differenza della sua distribuzione ecc., va rappresentata come inquadrata in leggi di natura eterne indipendenti dalla storia, nella quale occasione poi, funzioni e valori estetici attualmente dominanti (cioè borghesi) vengono interpretati del tutto surrettiziamente come incontestabili leggi di natura della cultura e dell'arte in abstrarcto. Ed è questo lo scopo più o meno consapevole di tutto il procedimento.
Nella distribuzione della cultura e delle sue forme particolari, al contrario, gli uomini si sarebbero di fatto concessi ogni sorta di arbitri. A prescindere dalla rozza dissociazione della produzione e della distribuzione dell'arte e della conoscenza in generale (dei prodotti 'materiali' o di quelli 'semantici'), e del loro effettivo rapporto, è evidente già a prima vista che, per quanto eterogenea possa essere la distribuzione nei diversi stadi della società, deve essere [pag. 74] possibile anche per essa, così come si è fatto per la produzione, cavar fuori dalle determinazioni comuni non meno che confondere o cancellare tutte le differenze storiche in leggi umane universali. Per esempio, lo schiavo, il servo della gleba, l'operaio salariato ricevono tutti una quantità di conoscenza (/di codice/di prodotti semantici ecc.) che permettono loro di 'parlarsi' nella loro esistenza e di 'essere parlati' come schiavo, come servo della gleba, come operaio salariato. Che il padrone viva anche di tributi estetici, o il funzionario di imposte estetiche, o il mercante di rendita del segno artistico, o il monaco viva di elemosine estetiche, o lo studente viva percependo tangenti culturali - tutti ricevono una quota della produzione artistica e cultura sociale, che è determinata in base a leggi diverse da quelle che determinano la quota di cultura, di conoscenza dello schiavo ecc.
I due elementi principali che di solito si fanno rientrare in questa rubrica sono: 1) il possesso dei codici; 2) la protezione di tale possesso per mezzo di figure e istituti sociali a carattere legale e poliziesco. A questo si può brevemente rispondere così:
ad 1) Ogni produzione è un'appropriazione della natura da parte dell'individuo, entro e mediante una determinata forma di società. In questo senso è una tautologia dire che la proprietà (l'espropriazione) è una condizione della produzione. Ma è ridicolo saltare da questo fatto ad una determinata forma della proprietà, per esempio alla proprietà privata della conoscenza. (Il che per giunta suppone una forma antitetica, la non-proprietà, anch'essa come condizione). La storia mostra piuttosto che la proprietà comune tanto dei prodotti semantici, quanto degli strumenti atti a produrli, è la forma più originaria, una forma che nella veste di cultura popolare, folklore ecc., svolge ancora per lungo tempo una funzione importante. La questione se l'arte, e la conoscenza in genere si sviluppi meglio con questa o con quella forma di proprietà non è qui ancora in discussione. Ma dire che non si possa parlare di una produzione artistica e quindi nemmeno di una cultura, meglio: di una società, in cui non esista nessuna forma di proprietà, è una tautologia. Una appropriazione che non si appropri di nulla è una contradictio in subjecto.
 ad 2) Protezione dei codici acquisiti, dei segni ecc. Quando si riducono queste trivialità al loro effettivo contenuto, esse dicono più di quanto non sappiano i loro predicatori. E cioè che ogni forma di produzione genera i suoi peculiari rapporti giuridici, la sua peculiare forma di organizzazione su basi materiali ecc. La rozzezza e la genericità stanno proprio nel fatto di porre in una relazione accidentale cose che sono connesse organicamente, di ridurle cioè ad una mera connessione della riflessione. Gli ideologi della borghesia e i suoi artisti vedono soltanto che con l'individualismo moderno e i suoi corollari si può produrre meglio che, ad es., nella forma medioevale della corporazione. Essi dimenticano soltanto che anche la salvaguardia corporativa dei segreti tecnici per la produzione artistica è una forma di protezione, e che il diritto a tale protezione continua a vivere sotto altra forma nel loro "Stato di diritto".
Quando le condizioni sociali corrispondenti ad una determinato livello di produzione sono in via di formazione o sul punto di sparire, compaiono naturalmente disfunzioni della produzione, sia pure di grado e di effetto differenti.
Per riassumere: esistono determinazioni comuni a tutti i livelli di produzione, che vengono fissati dal pensiero come determinazioni generali; ma le cosiddette condizioni generali di ogni produzione non sono altro che questi momenti astratti con i quali non viene compreso nessun livello storico concreto della produzione, che è al contempo produzione materiale e produzione semantica. (pag.9,10,11)

(di quella parte dove, tra l'altre infinite cose, si può riflettere essere l'arte una vera produzione essendo specifica e particolarissima forma di appropriazione della natura, - nel suo estendersi -, da parte dell'uomo tale che questa appropriazione si riflette nella e sulla natura che così gli si riverbera come natura umanata, in reciproco estendersi, anche là dove l'uomo non può apporgli la marca dell'umano, per grandiosità, ineffabilità o piccolezza estremi; - che ogni produzione è una appropriazione della natura da parte dell'uomo entro e mediante una determinata forma di società; - che ogni appropriazione è una separazione degli elementi della natura da parte dell'uomo entro e mediante una determinata forma di società; - che ogni separazione degli elementi della natura da parte dell'uomo entro e mediante una determinata forma di società è analisi della natura da parte dell'uomo, e il cui modo è determinato dalla forma di società entro e mediante la quale l'uomo la separa per appropriarsene; - che ogni produzione è un'appropriazione; che ogni appropriazione è una separazione; che ogni separazione è analisi; che ogni produzione è analisi; - che ogni produzione per la necessità è un'appropriazione necessaria; che ogni appropriazione necessaria è necessaria separazione; che ogni necessaria separazione è necessaria analisi; che ogni necessaria produzione è necessariamente analisi; - che ogni produzione necessaria all'uomo non ancora uscito dallo stato di natura e necessità, è produzione naturale e naturale appropriazione; - che ogni naturale appropriazione è naturale separazione; - che ogni naturale separazione è naturale analisi; - che ogni naturale produzione è analisi naturale, cioè procede senza la consapevolezza degli interessati)

2) IL RAPPORTO GENERALE DELLA PRODUZIONE CON LA DISTRIBUZIONE, LO SCAMBIO, IL  CONSUMO.

Prima di spingersi più avanti nell'analisi della produzione artistica occorre considerare diverse rubriche.

La prima idea che ci si presenta è questa: nella produzione i membri della società adattano (producono, codificano, conformano) i prodotti naturali anche ai bisogni estetici dell'uomo [75]; la distribuzione dei codici determina la proporzione in cui il singolo partecipa di questi prodotti nella loro interezza anche estetica; lo scambio gli offre i prodotti particolari nei quali egli vuole convertire la quota di 'codice' (nella quale è espresso il proprio potere di decodifica del 'prodotto' nella sua interezza), che gli è toccata attraverso la distribuzione; infine nel consumo, i prodotti diventano oggetti del godimento, dell'appropriazione individuale nella misura e nella profondità consentitagli dal suo potere di codice, che è potere di scambio, di relazione, tra l'individuo e i prodotti dell'attività umana in genere (come lavoro umano oggettivato), quindi dell'uomo con l'uomo, cioè dell'uomo con sé stesso. (pag.11,12)...
... Nella produzione la persona si oggettivizza, nella persona l'oggetto si soggettivizza; nella distribuzione la società, sottoforma di disposizioni generali e imperative, si assume la mediazione tra la produzione e il consumo; nello scambio, questi vengono mediati dalla determinatezza accidentale dell'individuo. (pag.12)...
...Produzione, distribuzione, scambio, consumo, formano così un sillogismo in piena regola; la produzione è l'universalità; la distribuzione e lo scambio, la particolarità; il consumo, l'individualità in cui tutto si conchiude. Ora, questa è certamente una connessione, ma superficiale. (pag.12)...
... Gli avversari dell'estetica materialistica rimproverano che questa non concepisce i momenti nella loro unità. Come se questa dissociazione fosse passata non dalla realtà ai libri, ma viceversa dai libri alla realtà, e come se qui si trattasse di una conciliazione dialettica di concetti anziché della comprensione di rapporti reali! (pag.13)...

[Consumo e produzione]

a) La produzione è immediatamente anche consumo. Duplice consumo, soggettivo e oggettivo; l'individuo che nel produrre sviluppa le sue capacità, le spende anche, le consuma nell'atto della produzione esattamente come la procreazione naturale è un consumo di energie. In secondo luogo essa è un consumo dei mezzi di produzione - come ad esempio delle norme estetiche o degli enunciati figurali ecc. - che vengono usati e logorati e, in parte, (come ad esempio nell'arte contemporanea a prevalenza analitica) dissolti nuovamente negli elementi generali dei sistemi di segni particolari con i quali e nei quali avviene la produzione. Consumo, altresì, della 'materia prima', (sia come tratti isolati, come unità di seconda articolazione degli specifici sistemi che la produzione lavora, sia come somma di esperienze lavorative pre-poste, accumulate storicamente, cioè dell'intero cumulo di materiali che si pone come 'prelavorato' rispetto e per una nuova fase di lavorazione viva), che non resta nella sua forma e costituzione naturale (prevalutata), giacché queste vengono modificate incessantemente. L'atto stesso della produzione è perciò in tutti i suoi momenti anche un atto di consumo. (pag.13,14)

(da dove si può forse trarre che il rapido consumo e superamento delle poetiche come delle forme dell'arte contemporanea, per il quale alcuni si afflissero e affliggono, altro non è che rapida produzione. E viceversa).

La produzione estetica e artistica è dunque, come ogni altra produzione, immediatamente anche consumo, il consumo immediatamente produzione. Ciascuno immediatamente il suo contrario. Al tempo stesso, tuttavia, tra i due si svolge un movimento di mediazione. La produzione media il consumo, di cui crea il materiale e al quale senza di essa mancherebbe l'oggetto. Ma il consumo media a sua volta la produzione, in quanto solo essa procura ai prodotti il soggetto per il quale essi sono dei prodotti. Il prodotto riceve il suo "finish" (perfezionamento) soltanto nel consumo. Un'opera d'arte nascosta e sulla quale non viaggi il flusso storico delle forme, dei concetti, dei valori estetici ecc., e che quindi non si logori e non venga consumata nelle sue particolarità differenziali (quindi addittive, addizionali anche al suo specifico sistema di segni) è soltanto un'opera d'arte in potenza, non in realtà. 

(come di quella parte ove si potrebbe comprendere, tra l'altre cose, la ragione di quelle opere del passato venute o tornate a vita in successivi presenti - per interezze o particolarità specifiche -; ché non furono da esse opere tratte conoscenze e non agirono quindi negli eventi successivi, - ché nel loro tempo e arte furono solo potenzialmente, cioè sottratte al loro tempo e arte -; ridotte a stato di latenze da quelle contingenze storiche e culturali che medesime le porranno successivamente nella realtà a consumo e logoramento, in altro tempo e in altra arte; inutile quindi cercare con esse teologici valori universali e eterni, ma non voluta parsimonia o sparambio ci conservò brandelli di ricchezza in fortuite pieghe o dirupi della storia)
 Senza produzione non v'è consumo; ma non v'è nemmeno una produzione senza consumo, altrimenti la produzione sarebbe senza scopo. Il consumo dell'oggetto estetico e/o dell'artefatto estetico produce la produzione in duplice modo: 1) in quanto solo nel consumo il segno estetico diviene un prodotto effettivo. Per esempio un quadro non diviene realmente un quadro che nell'atto di esibirlo, un'opera d'arte non diviene tale che nella misura in cui partecipa dello sviluppo anche storico dell'arte immettendovi e dissolvendovi le proprie particolarità estetiche; una musica che non è suonata non è in effetti una vera musica; quindi come ogni prodotto del lavoro umano in generale (sia prodotto "materiale" che prodotto linguistico, verbale o non verbale), a differenza del semplice oggetto naturale, si afferma, diviene prodotto soltanto nel consumo, così il prodotto artistico nella sua interezza di segno è tale solo nelle particolari forme del suo consumo. Dissolvendo il prodotto il consumo gli da' veramente [76] il "finishing stroke" (l'ultima rifinitura); giacché il prodotto è la produzione non soltanto come attività oggettivata, ma pure come oggetto per il soggetto attivo; 2) in quanto il consumo crea il bisogno di una nuova produzione e quindi quel motivo ideale che è lo stimolo interno della produzione e il suo presupposto. Il consumo estetico crea la propensione alla produzione estetica; esso crea anche l'oggetto, che determina finalisticamente la produzione estetica. Se è chiaro che la produzione specificatamente estetica offre esteriormente l'oggetto del consumo artistico, è perciò altrettanto chiaro che il "consumo artistico" pone idealmente l'oggetto della produzione artistica, come immagine interiore, come bisogno, come propensione e come scopo. Esso crea gli oggetti della produzione artistica in una forma ancora soggettiva. Senza bisogno non vi è produzione. Ma il consumo produce il bisogno. (pag. 14,15,16)

(oggetto naturale: che non ha subito lavorazione di alcun ordine e grado, sia materiale che "linguistica"; potremmo dire che la sua esistenza oggettiva per quanto certa è "indifferente" all'uomo, e nella misura con la quale non è indifferente questo oggetto ha subito una qualche lavorazione - il pisciatoio di Duchamp o il fenomeno naturale dell'aurora hanno subito in modo diverso una "lavorazione", il primo "per contatto" il secondo "per induzione", ecc.; citazione, indicazione, riporto, mimesi.
- come di quella parte con la quale si potrebbe contribuire a scoprire la base materiale sulla quale poggiano le categorie dell'effimero, della dissoluzione, e tutte quelle connesse a "consumo", fino al negativo, al nulla, alla morte dell'arte ecc., cosi come vengono teorizzate anche nella sfera della produzione artistica proprio in un periodo storico in cui l'aumento generale della produzione è aumento generale del consumo e reciproco intensificarsi;
- come il crescere della produzione fa crescere in pari tempo il bisogno e il consumo e viceversa, ma in misura tale da impedire ogni sostanziale e definitivo consumo, da soddisfare ogni sostanziale bisogno che non sia materiale e immediato; - coup d'oeil, coup de main, coup de langue -; la simulazione del consumo del prodotto artistico induce a simulare la produzione artistica, e viceversa; i momenti privilegiati essendo la circolazione e lo scambio, ché da essi si estrae la rendita del segno artistico sottoforma di segno eminente, cioè di denaro; come il mancato consumo "reale" dell'opera d'arte, cioè un consumo [che avvenga] all'intera scala del sociale ecc., è simulato e surrettiziamente risolto da manufatti artistici che si autoconsumano anche nella loro forma materiale, non quindi per negarsi in quanto tali, ma al contrario per autoapporsi l'ultima rifinitura proprio come opera d'arte compiuta dal consumo; ciò sembra essere confermato dalla fregola della "storicizzazione", come si dice in gergo)

Ma la cosa più importante da mettere in rilievo è che produzione e consumo, considerate come attività di un soggetto o di più individui, si presentano in ogni caso come momenti di un processo in cui la produzione e l'effettivo punto di partenza e perciò anche il momento egemonico (che precedendo domina). Il consumo come necessità, come bisogno, l'atto nel quale l'intero processo riprende il suo andamento. L'individuo produce un oggetto, e consumandolo, fa di nuovo ritorno a sé stesso, ma come individuo produttivo e che riproduce sé stesso. Il consumo si presenta quindi come un momento della produzione. (pag.18,19)

(che il modo di produzione capitalistico imprime al consumo i suoi caratteri; come non si può parlare di produzione in generale, ma ad es. di produzione capitalistica, allo stesso modo non si può parlare di consumo in generale ma, ad es. di consumo capitalistico di quanto nel capitalismo è prodotto; quindi ci sarà anche una forma particolare di consumo del prodotto artistico; consumo determinato da un determinato modo di produzione, nonché dalla fase in cui tale modo si trova a produrre particolari prodotti artistici)

Nella società, invece, la relazione tra il produttore e il prodotto, quando quest'ultimo è terminato, è una relazione esteriore, e il ritorno del prodotto al soggetto dipende dalle relazioni in cui questi si trova con altri individui. Egli non se ne impossessa immediatamente. Inoltre, quando egli produce nella società, l'appropriazione immediata del prodotto non e il suo scopo. Tra il produttore e i prodotti si interpone la distribuzione che, in base a leggi sociali, determina quale quota della ricchezza "linguistica" (ad es. della "ricchezza estetica" circolante nei manufatti materiali o semantici e prodotta con essi per assolvere a funzioni determinate [bisogni]) spetti al produttore, venendo a interporsi così tra produzione e consumo.
Ma la distribuzione sta come sfera autonoma accanto all produzione e al di fuori di esse? (pag.18,19)

(non credo si possa fare una distinzione tra manufatti materiali e manufatti semantici se non a fini espositivi; tale distinzione si può fare al più per intensità e usi prevalenti degli uni o degli altri;
come di quella parte dove non si capisce granché se non si tiene conto, come altrove esposto, che il produttore materiale della ricchezza dei valori estetici è l'intera massa degli individui agenti nella società che, consapevolmente o inconsapevolmente, mantengono in vita l'intera sfera estetica, allo stesso modo che la massa dei parlanti fa di una lingua in astratto una lingua viva)

[Distribuzione e produzione]
(per la cui trattazione necessiterebbe individuare l'omologo nella sfera estetica della categoria economica di "salario") 

I rapporti e i modi di distribuzione figurano perciò solo come il rovescio degli agenti di produzione. Un individuo che prende parte (anche inconsapevolmente) alla produzione "semantica" e estetica, nello stesso momento in cui prende parte alla produzione materiale, nella forma del lavoro salariato, partecipa ai prodotti, nella loro estensione e profondità, nella forma del salario. La struttura della distribuzione è interamente determinata dalla struttura della produzione. La distribuzione è essa stessa un prodotto della produzione, non solo per quanto riguardo l'oggetto, cioè nel senso che solo i risultati della produzione possono essere distribuiti, ma anche per quanto concerne la forma, e cioè nel senso che il modo determinato in cui si partecipa alla produzione determina le forme particolari della distribuzione, la forma in cui si partecipa della distribuzione. (pag.20)

Stabilire quale rapporto esista tra questa distribuzione che determina la produzione e la stessa produzione, è evidentemente una questione che ricade all'interno della produzione stessa. Se si dovesse poi sostenere che, poiché la produzione deve partire da una certa distribuzione degli strumenti di produzione, almeno in questo senso la distribuzione precede la produzione, e ne è il presupposto, potremmo rispondere che la produzione ha in effetti le sue condizioni e i suoi presupposti, che ne costituiscono i momenti (apprendimento dei codici, dei sistemi dei segni, dei sistemi e delle gerarchie dei valori, dei paradigmi di giudizio ecc). Questi all'inizio possono anche presentarsi come momenti di origine naturale. Ma attraverso il processo di produzione stesso essi vengono trasformati da momenti naturali in momenti storici, e se per un periodo si presentano come presupposto naturale della produzione, per un altro essi ne sono stati un risultato storico. All'interno della produzione stessa, essi vengono continuamente modificati. L'impiego delle macchine, per esempio, ha modificato la distribuzione tanto degli strumenti di produzione quanto dei prodotti. (pag.22)

C 1)
INFINE, SCAMBIO E CIRCOLAZIONE
[Scambio e produzione]

La circolazione stessa è solo un momento determinato dello scambio, ovvero è lo scambio considerato nella sua totalità.
Se è vero che lo scambio è soltanto un momento mediatore tra la produzione e la distribuzione che essa determina, da un lato, e il consumo dall'altro; e se è vero che il consumo stesso si presenta d'altro canto, come un momento della produzione, anche lo scambio è evidentemente compreso in questa ultima come un suo momento. (pag.24)

(prod.: - informazione - codificazione - messaggio; scambio: - messaggio - decodificazione - informazione - consumo; mezzo di scambio: - codice)?;  (il valore di scambio è in rapporto diretto con la semiosi?)

Il risultato al quale perveniamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo, siano identici, ma che essi rappresentano tutti delle articolazioni di una totalità, differenze nell'ambito di una unità. La produzione assume l'egemonia tanto su se stessa, nella sua determinazione antitetica, quanto sugli altri momenti. Da essa il processo ricomincia sempre di nuovo. Che lo scambio e il consumo non possano essere elementi egemonici è cosa che si comprende da sé. Altrettanto si dica della distribuzione in quanto distribuzione di prodotti. Ma come distribuzione degli agenti della produzione è essa stessa un momento della produzione. Una produzione determinata determina quindi un consumo, una distribuzione, uno scambio determinati, nonché i determinati rapporti reciproci tra questi diversi momenti. Indubbiamente anche la produzione, nella sua forma unilaterale, è da parte sua determinata dagli altri momenti. (pag.26)

(come di quella parte da cui si possono trarre le ragioni del destino fallimentare dei progetti "realistici", che pretendono capovolgere una situazione di fatto con rassicurante, delicata modestia, rimaneggiando i bordi: teorici e commessi delle passamanerie)

3. -IL METODO DELL'ESTETICA E DELLA PRODUZIONE ARTISTICA

I pittori del '400, ad esempio, iniziano sempre da unità culturali molto estese e "concrete", tessute da sistemi di segni per natura diversi ma strettamente solidali da fondare l'opera nella compattezza di un nuovo unico segno; ma finiscono sempre per trovare per via di analisi, alcune relazioni determinanti generali, astratte, come la rappresentazione prospettica dello spazio, la simmetria, la proporzione, il corpo umano ecc.; e così di seguito per i periodi successivi, fino a separare singoli tratti del sistema della pittura, come il colore, la linea, la forma ecc., e individuare la prassi della pittura come un sistema linguistico non verbale e come tale sorretto da leggi particolari. Non appena questi singoli tratti furono più o meno fissati e astratti, cominciarono i sistemi pittorici che dal semplice - come forma, compenetrazione, movimento, luce, differenzialità di grana, "dipingendo", spostamenti su uno o l'altro degli assi linguistici, comportamento nei confronti dell'oggetto del lavoro ecc. - risalgono fino all'idea stessa di pittura, di arte e di estetica in generale, investendo anche le fasi storiche del suo sviluppo nelle specificità concettuali e tecniche. Quest'ultimo è, chiaramente, il metodo scientificamente corretto per una descrizione critica (per una riappropriazione critica) abbastanza definitiva del fenomeno storico dell'arte e della funzione del segno artistico nella sua attualità e concretezza. Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come un processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell'intuizione e della rappresentazione (il concreto: la produzione artistica nella sua generalità anche storica e/o nella sua astrazione come nozione di arte e/o l'opera d'arte come "unità" prodotta). Per la prima via, la rappresentazione concreta del mondo si è volatilizzata in una astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. Hegel cadde nell'illusione di concepire il reale come risultato del pensiero, che si riassume e si riapprofondisce in sé stesso, e si muove spontaneamente, mentre il metodo di risalire dall'astratto al concreto è il solo modo, per il pensiero, di riappropriarsi il concreto, di riprodurlo come qualcosa di spiritualmente concreto. Ma mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso. Allo steso modo alcuni cadono nell'illusione di concepire la concretezza dell'arte, - la sua presenza fenomenica, il suo interagire strutturale e sovrastrutturale, che solo può [78] determinarsi da tale concretezza -, come risultato del pensiero artistico (e per di più nella sua attuale determinazione), mentre il metodo di risalire dalle astratte categorie estetiche  ecc. alla concretezza del prodotto artistico è il solo modo, per il pensiero, di appropriarsi del suo concreto, di riprodurlo come qualcosa di spiritualmente concreto. Ma mai e poi mai il processo di formazione dell'arte e dei suoi prodotti come concrete determinazioni del lavoro umano in generale. (pag.27) 

Il denaro (/segno / superficie /) può esistere ed è storicamente esistito prima che esistesse il capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. (/la semiotica, la linguistica, la logica formale ecc. / ; / l'arte, i musei, l'artista ecc. /). In questo senso si può quindi dire che la categoria più semplice può esprimere i rapporti predominanti in un insieme meno sviluppato oppure i rapporti subordinati in un insieme più sviluppato; rapporti che storicamente esistevano già prima che l'insieme si sviluppasse nella direzione che è espressa in una categoria più concreta. In questo senso il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice al complesso, corrisponde al processo storico reale. (pag.29)

Quindi benché la categoria più semplice (denaro / parola, / ecc.), possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta , essa può appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente sviluppata in una forma sociale meno evoluta.
Il lavoro (/ la parola / la linea ecc./) sembra una categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro (/ della parola / della linea /) nella sua generalità - come lavoro (/ parola / linea ecc./) in generale - è molto antica. E tuttavia considerato in questa semplicità dal punto di vista economico (/ linguistico / artistico ecc. /), "lavoro" (/ "parola" / "linea" /) è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione. (pag.30)

Ora, potrebbe sembrare che così si sia trovata soltanto l'espressione astratta per la più semplice e antica relazione in cui gli uomini compaiono come produttori (di artefatti materiale e/o semiotici), qualunque sia la forma della loro società. E in questo senso è giusto, in un altro no. L'indifferenza verso un genere determinato di lavoro (/linguaggio / arte / ecc.) presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro (/linguaggio / forme d'arte / ecc.) nessuno dei quali domini più sull'insieme. Così, le astrazioni più generali (come ad es. lavoro / segno / nozione d'arte / ecc.) sorgono dove si dà il più ricco sviluppo concreto, dove una sola caratteristica appare comune a un gran numero, a una totalità di elementi. Allora, essa cessa di poter essere pensata soltanto in una forma particolare (come questa parola / come linea designate una foglia / ecc.). D'altra parte, quest'astrazione del lavoro (/parola/linea/) non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori (/sistemi di segni / espressioni artistiche /). L'indifferenza verso il lavoro (/il sistema di segni / il sistema di formalizzazione artistica /) determinato corrisponde a una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e il cui genere determinato del lavoro (/sistema linguistico / forma espressiva / arte /) è per essi fortuito e quindi indifferente. Il lavoro (/linguaggio / arte /) qui è divenuto, non solo nella categoria, ma anche nella realtà il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare. (pag.32) 

L'esempio del lavoro (/della parola / della linea /) mostra in modo evidente che anche le categorie più astratte, sebbene siano valide, - proprio a causa della loro natura astratta - per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e posseggono la loro piena validità solo per ed entro queste condizioni.
 La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui non parzialmente superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato in tutto il suo significato ecc. L'anatomia dell'uomo è la chiave per l'anatomia della scimmia (/l'anatomia dei linguaggi più sviluppati è la chiave per l'anatomia di quelli meno sviluppati / l'anatomia dell'arte contemporanea è la chiave per l'anatomia dell'arte del passato). (pag.33) 

Tasselli da:
II - OGGETTO E SEGNO EMINENTE (Merce e denaro)

(per le vicende riguardanti la messa IN VENDITA dell'opera d'arte nella sua piena fase capitalistica come oggettiva messa a morte dell'estetica protocapitalistica, vedere anche il "bollettino interno del maggio '73" relativo al terzo tentativo di periplo, in rapporto al primo tentativo giuridico del 1970 e al quarto del 1974; quest'ultimo ripetutamente fallito sul piano pratico per correnti contrarie al verso di navigazione)

La determinazione del prodotto in valore di scambio (/ valore del rapporto codificazione su decodificazione /) comporta dunque necessariamente che il valore di scambio riceva una esistenza separata, scissa dal prodotto. Il valore di scambio scisso dai prodotti stessi in quanto merci (/ dalle referenze /) ed esistente esso stesso come una merce (/come una referenza /) [79] accanto ad esse - è denaro (come "oggetto", segno e "codice" in senso eminente). Tutte le proprietà del prodotto in quanto merce (/ degli "oggetti" del mondo in quanto referenze /) si presentano come un oggetto diverso da essa (/ da essi /), come un forma di esistenza sociale in denaro, scissa dalla sua forma di esistenza naturale. (pag.81)

AFORISMI

Tutte le merci sono denaro perituro; il denaro è la merce imperitura. (pag.87)

(/ tutti i prodotti sono merci periture; il denaro è la merce imperitura. Tutti i prodotti sono segni perituri; il denaro è il segno imperituro. Tutti i quadri sono merci periture; il denaro è la merce imperitura. Tutti i quadri sono denaro perituro; il denaro è il quadro imperituro. Tutti i quadri sono superfici periture; la superficie è il quadro imperituro. Tutti gli "enunciati" sono segni perituri; il segno è l'enunciato imperituro. Noi parliamo dello stato attuale delle cose /)

Quanto più si sviluppa, nella divisione del lavoro, la divisione delle singole fasi lavorative di una stessa lavorazione (Cfr. Teoria della centrifuga), tanto più il prodotto artistico cessa di essere un mezzo di scambio tra sistemi di segni differenti, di essere il punto mediatore capace di parlare ed essere sufficientemente parlato da diversi sistemi di segni. Subentra la necessità di un mezzo di scambio universale, ossia di un mezzo di scambio che sia indipendente dalla produzione specifica di ciascuno, che possa porre all'interno delle specifiche produzioni artistiche l'istituto della traduzione esaustiva. Nel denaro (/nel segno/) il valore delle cose è separato dalla loro sostanza. Il denaro e il suo sistema (/sistema dei segni/) è originariamente il rappresentante di tutti i valori e di tutti gli "oggetti"; nella prassi la cosa si rovescia, e tutti gli "oggetti" e i valori diventano rappresentanti del denaro (/del segno/). (pag.87) 

(da Il denaro come rapporto sociale)

(Paragonare il denaro al sangue - al che ha dato motivo la parola circolazione - è esatto all'incirca quanto il paragone di Menenio Agrippa tra i patrizi e lo stomaco).
(Non meno falso è paragonare il denaro col linguaggio. Le idee non vengono trasformate in linguaggio, quasi che il loro carattere individuale esistesse in modo assoluto e il loro carattere sociale esistesse accanto ad esse nel linguaggio, come i prezzi accanto alle merci. Le merci non esistono separate dal linguaggio). (pag.105)

(/I significati non vengono trasformati in segni e sistema di segni - in linguaggio -, quasi che il loro carattere individuale esistesse in modo assoluto e il loro carattere sociale esistesse accanto ad essi nel linguaggio, come i prezzi accanto alle merci. I significati non esistono separati dai significanti, e entrambi, come segno, non esistono separati dal linguaggio, cioè dal loro carattere sociale. / Le intenzioni artistiche non vengono trasformate in "segni" artistici, quasi che il loro carattere individuale esistesse accanto ad essi nell'arte, come i prezzi accanto alle merci. Le intenzioni artistiche non esistono separate dai linguaggi artistici /)

(da L'accumulazione del denaro)

Come "il commercio ha separato l'ombra dal corpo e ha introdotto la possibilità di possederli separati" (Sismondi), così il commercio , coinvolgendo nel suo movimento l'intero universo dei prodotti del lavoro umano fin nella loro più intima e sociale sostanzialità, ha separato il segno dal referente, e ancora il significante dal significato, e ha introdotto la possibilità di possederli separati. Il segno dunque è, ora, il valore di scambio tra manufatti semantici reso autonomo (e in quanto tale esso compare come mezzo di scambio destinato perennemente a scomparire) nella sua forma generale. La sua nozione possiede, è vero, una materialità e sostanza particolare, una sua concretezza e efficacia concettuale, ed è appunto questo che gli conferisce una sua autonomia, giacché ciò che esiste soltanto in rapporto a un altro, come determinazione o relazione di un altro, non è autonomo (segno autonomo dal referente). D'altra parte in questa sua autonomia concettuale, esso rappresenta non soltanto il valore di scambio di un "oggetto" rispetto a un altro, ma il valore di scambio rispetto a tutti gli "oggetti"; e mentre possiede una propria sostanza concettuale, esso figura nello stesso tempo, nella sue esistenza particolare di nozione e categoria miliare dei linguaggi, come il valore di scambio generale degli altri "oggetti". (pag.179)

(da Il denaro come rapporto sociale)

D'altra parte il potere che ogni individuo esercita sull'attività degli altri e sulle ricchezze sociali, egli lo possiede in quanto proprietario (Eigner) di valori di scambio (/ di valori linguistici, proprietà dei codici /), di denaro (/ di segni /). Il suo potere sociale, così come il suo nesso con la società, egli lo parta con sé nella tasca. L'attività, quale che sia la sua forma fenomenica individuale, e il prodotto dell'attività, quale che sia il suo carattere particolare, è il valore di scambio, vale a dire qualcosa di generico in cui ogni individualità, proprietà (Eigenheit), è negata e cancellata. (pag.97)

(come di quella parte per la quale l'illusione referenzialista del linguaggio prima di essere stata sconfitta nel cervello degli uomini è stata sconfitta nella realtà materiale ad opera del denaro che tale realtà si è andata sempre più sottomettendo; ed è giocoforza affrontare scientificamente l'analisi dei linguaggi in un periodo storico in cui il denaro domina tutti i rapporti dell'uomo con la natura, dell'uomo con la società, e dell'uomo con sé stesso, essendo il denaro "la generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque il mondo sovvertito, la confusione e inversione di tutte le qualità naturali e umane";
come di quella parte per la quale: "il denaro poiché possiede la proprietà di appropriarsi di tutti gli oggetti, è così l'oggetto in senso eminente. ecc." - il denaro appropriandosi di tutti gli oggetti si appropria di tutti gli usi - ora, "per il semplice fatto che c'è società, ogni uso è convertito in segno di questo uso" - il denaro essendo l'oggetto e l'uso in senso eminente è anche il segno in senso eminente, e il suo sistema è il codice in senso eminente; vedere il libro di bordo al paragrafo contrassegnato: Murdok è Re; [80]
come di quella parte sul non-referenzialismo, dello svincolarsi dalla "presenza delle cose" da parte della produzione artistica attuale)

(da L'accumulazione del lavoro)

Nella particolare opera di pittura, finché essa è il segno di valori estetici determinati, l'arte è posta soltanto come forma ideale, non ancora realizzata; finché possiede un determinato valore pittorico l'opera particolare rappresenta un lato del tutto isolato dell'estetica medesima della pittura. Nella mera superficie invece il valore è realizzato, e la sua sostanza è la pittura stessa, sia nella sua astrazione dal proprio particolare modo di esistere, sia nella sua totalità. Il "valore" di bidimensionalità costituisce la sostanza della pittura (essendo determinazione generale della pittura), e la bidimensionalità è la ricchezza della pittura. La mera superficie è perciò, d'altra parte, anche la forma materializzata del "valore" della pittura rispetto a tutte le sostanza particolari di cui essa consiste. Se perciò da un lato nella superficie, finché viene considerata per sé stessa, forma e contenuto della pittura sono identici, dall'altro essa, in antitesi a tutte le altre pitture, è rispetto a loro forma generale della pittura, laddove la totalità di queste particolarità costituisce la sua sostanza. Se la mera superficie per la prima determinazione è la pittura stessa, per l'altra essa è il rappresentante materiale universale della medesima. Nella superficie stessa questa totalità esiste come compendio ideale delle pitture. La ricchezza della pittura (valore di scambio tanto come totalità che come astrazione), a differenza di tutte le altre pitture, esiste dunque come tale soltanto individualizzato, nella bidimensione, , nella stesura, come un singolo segno tangibile. La mera superficie è perciò il dio tra le pitture.(pag.181,182) 

(come di quella parte dove basta sostituire denaro a superficie, merce a pittura, per capire quali siano le vere muse dell'arte contemporanea; esse si pongono al contempo come ispiratrici e oggetti reali di ogni produzione - cfr.- la "mera superficie" nella pittura contemporanea come "ospite' e come "supporto"; il serpente che si morde la coda: ipotesi delle implicazioni ideologiche di un modo di dire - paradigmi interiorizzati).  [81]

(da Separazione tra lavoro e proprietà)

La separazione della proprietà privata dei codici dall'attività di coloro che necessariamente, anche se inconsapevolmente, tali codici lavorano riproducendoli come vivi, cioè la separazione della proprietà dal lavoro, si presenta come legge necessaria di questo scambio tra conoscenza accumulata (capitale) e lavoro. Il lavoro posto come non-capitale in quanto tale è: 1) lavoro non oggettivato, negativamente concepito (ma pur sempre oggettivo; il non oggettivo stesso in forma oggettiva). Come tale esso è non-materia prima, non-strumento di lavoro, non-prodotto grezzo: il lavoro separato da tutti i mezzi e gli oggetti di lavoro, dalla sua intera oggettività. È il lavoro vivo esistente come astrazione da questi momenti della sua effettiva realtà (e altresì come valore); questa completa spoliazione, pura esistenza soggettiva, priva di ogni oggettività, del lavoro. È il lavoro come miseria assoluta: la miseria non come privazione ma come completa esclusione della ricchezza oggettiva. (pag.279)

N.d.R. - "L'azzardo omologetico" è il risultato della ritrascrizione di getto di "Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica" di Karl Marx, edito dalla Nuova Italia, 1971 - Nella presente versione sono indicate tra parentesi  tonde le pagine che fanno riferimento ai "Lineamenti", da cui sono stati tratti i brani per l'azzardo omologetico; con i numeri tra parentesi tonde sono indicati i capitoli dei Lineamenti, mentre i numeri tra parentesi quadre sono indicate le pagine del volume Imprinting.


SECONDA PARTE

IL PROBLEMA DELLA CULTURA

La recente polemichetta svoltasi sulle colonne dell'Avanti! tra il professore Fabietti e Adelino Marchetti, segretario della Camera del Lavoro di Milano, intorno alla "cultura", ha appena sfiorato l'importantissimo problema riproducendo quel profondo dissenso di metodi e di concezioni che costituì nell'ultimo Congresso Nazionale dei giovani socialisti il nucleo centrale di tutte le discussioni, ampliandosi sino a comprendere tutta la questione generale del metodo di preparazione e della missione spettante al partito socialista.
Non sarà forse inutile mettere il problema nei suoi veri termini, riassumendo brevemente sulle colonne dell'Avanti! per richiamare per richiamare su du esso l'attenzione di tutti i compagni. Anzitutto bisogna rettificare una erronea interpretazione data alla tesi svolta da chi, come noi, ha alcune diffidenze verso l'opera di preparazione culturale come la si intende comunemente, diffidenze che andremo motivando e spiegando.
Nessuno - e certo neanche il compagno Marchetti - accetterebbe l'epiteto di "nemico della cultura" nel senso assoluto, e nessuno ritiene desiderabile per l'avvenire del socialismo lo stato d'ignoranza del proletariato. Noi vogliamo solo indagare fino a che punto e con quali valori possa rientrare nell'azione sovversiva del socialismo la preparazione culturale delle masse, perché riteniamo che, pur riconosciuti gli innegabili vantaggi, alcune forme di tale preparazione, specie in quanto si tenti di dare ad esse un'importanza fondamentale, finiscono con l'esorbitare troppo dalle linee caratteristiche del programma rivoluzionario del socialismo. Il partito socialista ha la missione di curare lo sviluppo intellettuale del proletariato oltre che i suoi interessi economici. Noi non discutiamo neanche questa premessa dei fautori della cultura. Anzi la spingiamo fino a sostenere che il partito debba energicamente contrastare le degenerazioni corporative e localiste mettendosi contro gli interessi immediati di alcuni gruppi operai, se questi compromettono la finalità la finalità di tutta la classe lavoratrice: il socialismo.
Ma invitiamo i compagni a non dimenticare che questa finalità collettiva (che possiamo chiamare "ideale", se si vuole impiegare questo termine) secondo la concezione marxista ha la sua base nel fatto "materiale" del contrasto esistente tra l'interesse della classe proletaria e le presenti forme di produzione.
Quell'ideale è quindi sentito dagli operai in quanto essi vivono nelle strette di quel contrasto reale ed economico. Lo sviluppo intellettuale dell'operaio è la conseguenza diretta del suo stato economico. Ed in questo senso il socialismo vuole interessarsi dell'emancipazione intellettuale dell'operaio contemporaneamente a quella economica, sempre ritenendo che la prima è una conseguenza della seconda, e che se si tiene a cuore il progresso e la cultura della massa, non si deve disprezzare, ma accettare nel suo massimo valore il programma della sua redazione "materiale".
È quindi chiarissimo che man mano che, per la evoluzione stessa della società capitalistica, si accentua la forza e la coesione economica del proletariato, deve accentuarsi la sua coscienza ideale e la sua preparazione intellettuale. Il Partito Socialista indica al proletariato in quale senso dirigere le forze risultanti dal suo bisogno economico per raggiungere più presto la finalità di classe, ossia l'abolizione del salariato. 
Così dunque il partito può e deve guidare la educazione e la "cultura" operaia. E nessun socialista rivoluzionario può essere contro questa seconda parte del programma senza cadere in contraddizione colle sue concezioni anti-egoistiche e antiriformistiche del movimento operaio.
Ma il "riformismo" e la "democrazia" vedono il problema della cultura da un punto di vista ben diverso, anzi esattamente capovolto. Nella cultura operaia essi scorgono, anziché la conseguenza parallela dell'emancipazione economica, il mezzo principale e la "condizione necessaria" di quella emancipazione.
Quanto un simile concetto sia reazionario e antimarxista, non occorrono molte parole a dimostrarlo. Se noi crediamo che l'ideologia di una classe sia conseguenza del posto che le è assegnato in una determinata epoca della storia del sistema di produzione, non possiamo "aspettare" che la classe operaia sia "educata" per credere possibile la rivoluzione, perché ammetteremmo in pari tempo che la rivoluzione non avverrà mai. 
Questa pretesa preparazione culturale educativa del proletariato non è realizzabile nell'ambito della società attuale. Anzi l'azione della classe borghese - compresa in essa le democrazia riformista - "educa" le masse in senso precisamente antirivoluzionario, con un complesso di mezzo col quale nessuna istituzione socialista potrà mai lontanamente gareggiare. Ma non è su questo che noi insistiamo. Sorgano pure le scuole socialiste, specie dove occorre formare dei propagandisti, magari…tra la classe intellettuale, che è in fatto di socialismo molto ignorante. Ma non si corra il rischio di diffondere, magari senza volerlo, quel criterio riformistico della "necessità" della cultura. Sarebbe un mezzo poderoso di addormentamento della massa, ed è infatti il mezzo con il quale la minoranza dominante persuade la classe sfruttata a lasciarle nelle mani le redini del potere.
Noi sappiamo bene che le scuole socialiste sono spesso dirette nel senso rivoluzionario, e che molti compagni che le propugnano non accettano affatto quei criteri che noi additiamo come pericolosi. Va benissimo.
Ma resta il pericolo. L'operaio logicamente restio a frequentare assiduamente queste scuole che gli impongono uno sforzo intellettuale molto grave, date le sue condizioni di lavoro eccessivo e di nutrizione scarsa. Occorre dunque un vivo incitamento per deciderlo a tale sacrificio e il mezzo con  il quale si fa questo incitamento finisce coll'essere equivoco.
Si dice ai proletari che essi non hanno quasi il "diritto" di essere militanti nel campo sindacale e specie in quello politico per la loro scarsa istruzione, si vuole farli arrossire per la propria ignoranza, mentre occorrerebbe convincerli che essa è una delle tanti infami conseguenze dello sfruttamento borghese, e la inferiorità intellettuale dell'operaio, che dovrebbe essere una molla per farlo insorgere, al pari della sua inferiorità economica, diviene una causa di titubanza e di viltà.
Questo è il pericolo. È il pericolo dell'eccesso, con della cosa in sé stessa, quando l'indirizzo teorico di queste scuole di cultura sia chiaramente rivoluzionario. Ma diventa poi inevitabile se si seguono le teorie riformiste. Lo Zibordi dice esplicitamente che l'operaio, prima di "imprecare alla società borghese", deve istruirsi e "non solo" nel campo della cultura socialista, ma bensì in quello di una istruzione in tutti i sensi…Per conseguenza di questo andazzo rammollitore della nostra propaganda Giolitti ha potuto congratularsi con i nostri rappresentanti al parlamento per l'opera di "educazione" pacifista fatta nelle masse. Il socialismo invece di fare dei proletari i ribelli indomabili alla condizione attuale, finirebbe col farne pecore docili, addomesticate, "colte" e…pronte per la tosatura.
Ma il riformismo va più oltre ed arriva a pretendere dal proletariato la "preparazione tecnica" e la "cultura di problemi concreti". È notevole che il riformismo che è tutto positivo, tutto "economista", tutto meccanico, arrivi a questi desiderata molto più irrealizzabili di quelli di cui noi siamo accusati. È l'utopismo della pratica, della tecnica, catalogato nei programmi minimi, gonfiato di reclame elettorale, che richiederebbe per realizzarsi molti secoli di più di quelli che i suoi fautori - gente pratica, e che non pensa ai nipoti! - assegnano cattedraticamente all'avvento della rivoluzione sociale.
È contro queste esagerazioni che occorre reagire. Il compagno Marchetti ha molta ragione di temere di esse per la solidità e la fisionomia sovversiva delle organizzazioni di resistenza, come la maggioranza del Congresso Giovanile ritenne che un indirizzo di preparazione esclusivamente culturale avrebbe scolorito del tutto il movimento giovanile socialista.
La missione del Partito Socialista è quella di avvertire, di sobillare le masse, agitando una "idea", certo; ma un'idea abbarbicata con radici profonde nella realtà.
L'intransigenza del partito deve divenire una differenziazione profonda dalla metodologia democratica. Per la democrazia il problema economico è il sottosuolo che occorre esplorare con la luce della "cultura" che scende dall'empireo dei filosofi, dei maestri, dei pensatori.
Ma il socialismo marxista inverte in teoria e in politica l'equivoco democratico. Esso mostra che il sottosuolo sociale è in fermento e troverà in sé stesso il modo di sprigionare le forze latenti che lo agitano.
Il pensiero, l'ideologia operaia si determinano al di fuori della filosofia guidata dalla classe che ha il monopolio dei mezzi di produzione, e il monopolio della "cultura". L'azione del Partito Socialista a compiere un lavoro di sintesi di quelle forze latenti, a dare al proletariato la coscienza di "tutto" sé stesso e il coraggio di non cercare al di fuori di sé stesso i mezzi della sua ascensione. Tutta la nostra propaganda e la nostra sobillazione cozzano quotidianamente contro la sfiducia che i lavoratori hanno nelle proprie forze e contro il pregiudizio della inferiorità e della incapacità alla conquista del potere; errori scaldati dalla democrazia borghese che vorrebbe l'abdicazione politica della massa nelle mani di poche demagoghi. Ed è appunto il pericolo di favorire questo gioco - tentato nell'interesse conservativo delle istituzioni presenti - che ci fa diffidare delle esagerazioni dell'opera di cultura.

N.d.R. - Lo scritto di Amadeo Bordiga è riportato in "Storia della sinistra comunista", Volume I, pag. 207;  edizioni "Il programma comunista", Milano 1964.
Nel volume citato gli estensori di questa Storia premettono al testo di Bordiga una breve nota, non riportata nell'Imprinting, ma che qui riteniamo utile far conoscere:  "Il seguente articolo apparso sull'Avanti! è l'eco nelle file del Partito dell'importante dibattito sorto tra i giovani ed esprimente ancora l'avversione all'idea che perfino i sindacati economici fossero ridotti a scuolette di cultura generale e peggio a scuole di tirocinio professionale per le nuove leve degli sfruttati. È ribadito il concetto che la piena educazione culturale non può essere il compito di una società divisa in classi, ma si raggiungerà dopo la rivoluzione. Soprattutto è indicato il deforme errore di poter fare un'opera culturale parallela a quella di altri partiti e quindi di altre classi, che sarebbe posizione puramente controrivoluzionaria."


Sezione 1
 Erostrato / Frazione
Sfoglia Testi