Archivio (comunque indiziario) di Aut.Trib.17139 | ||||||||||
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REPRINT (sulla pittura) . Anno 4, numero 5 Novembre 1981 . Edizione differita . A cura di Maurizio Benveduti, Tullio Catalano, Carmelo Romeo . Galleria Zona di Firenze . L'edizione è indicata come"'reprint" perché l'impianto di questo allestimento è stato proposto una prima volta nel 1980, allo Studio d'Arte 5x5 di Roma .
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ALLESTIMENTO DA GUARDARE DALLA STRADA |
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Confortata da una citazione di Hegel, la redazione del quinto numero della rivista di estetica operativa Aut.Trib.17139, ha compiuto alla galleria Zona di Firenze una nuova fase del suo onere redazionale con la quale l'esigenza di un numero monografico sulla 'pittura' risolve la sua trattazione specifica in una mostra non di pittura ma, appunto, sulla pittura. Sottraendosi così, seppure per un momento, all'ossessione della reificazione tipografica e al mitologismo informativo di massa, e fornendo una ulteriore prova degli interessi, anche singoli e divaricati degli autori, in ordine al problema, sempre più attuale e incalzante dell'intreccio dei contenuti simbolico-ideologico-letterari ritualmente dibattuto sulla soglia del versante di dicotomie tematiche oramai divenute classiche (del tipo, ad esempio, pubblico/privato, immagine/oggetto, significante/significato). Discussioni e diagnosi instaurate e trattate precedentemente, in modo metaforico e non, in climi culturali non sospetti: quindi "reprint". Reprint interno al lavoro specifico degli autori, oppure riferito ad una situazione (o condizione lyotardiana) postmoderna? Quando vacillano certezze e urgono legittimazioni efficaci, efficenti e funzionali, allora trionfa l'Istituto, il cimitero delle divisa da usare quali segnali bassoperformativi per sedurre sguardi che, sempre più eccitati, richiedono una velocità di persuasione tale da dover essere preformata, preventiva, sicura come i buoni affari. La pittura, in cerca di mallevadori di massa, riconosciuto da parte sua il primato industrioso del senso comune, si conquista il diritto a una professionalità intesa come codardia e, tacitamente o no, celebra i meriti dei Fratelli Fabbri: depositari di un magazzino dell'immaginario improntato e votato al buonsenso. Non sappiamo quanto sia stato provocato o proditoriamente attribuito un equivoco che ha presunto desumere da tutta una attività definita, per comodità da gazzetta, "ideologica", l'opposizione alla pittura. Di sicuro sappiamo che non si può mai essere, e mai si è stati per principio contro la pittura, intesa nel senso tradizionale o meno. La pittura di pennello è una forma antonomastica dell'espressione e come tale è stata da sempre tenuta presente come una determinazione particolare del modo di simbolizzare, stabilmente inscritta tanto nella prassiologia che nella poietica. *Porre attualmente e qui la questione del metodo è invece istruire il gioco per trovare la mossa di confine tra l'accezione della pittura e la sua critica, e negare così l'ingresso alla soddisfazione e all'appagamento quando sbrodolii di buonsenso e di buongusto. Una figura di gioco determinata strettamente da tutte le mosse che la precedono e capace di determinarne le successive. Una posizione particolare dei pezzi in una partita che proclama ancora una volta come sia la medesima cosa fare, a dimostrazione avvenuta, una rivista, un enviroment o un quadro; perché tutte determinazioni particolari di una unica sottintesa attività emergente e in tensione. Quello che mancava al proseguo delle mosse era lo stato di metamorfosi, la forma anfibia della realizzazione estetica, tanto pratica che teorica. Un "fatto" non più e non ancora immagine, non più e non ancora oggetto, non più e non ancora simbolo, non più e non ancora pittura, non più e non ancora arte. Sul cristallo d'ingresso della galleria vengono attuati i doppi sbarramenti: ottici e storici. Lo spazio chiuso comportando uno spazio chiuso all'esterno. Vegetali legnosi (carrube), segni secchi, dolci e opachi, distribuiti su questo cristallo come rapide pennellate, lo segnano quale confine dell'esperienza combinata delle sensibilità. Consentito il varco solo ai sensi più eterei e sottili, lo spazio reale si riduce ad una mera superficie dietro la quale sono annidiati i significati. Anche la galleria così si trasforma in una rappresentazione pittorica, inclusa oramai nella moderna iconologia e iconografia. La piattezza bidimensionale attuata dall'allusione pittorica di questi segni è doppiata dalla citazione esplicita di una famosa fotografia di Man Ray che ha per soggetto un'opera di Duchamp esposta nella vetrina della libreria Gotham, luogo di ritrovo dei surrealisti di New York. La scritta "Gotham Book" posta all'altezza degli occhi - linea d'orizzonte ispessita dalla letteratura - si propone accanto ai vegetali come filtro ulteriore. Ma stavolta come filtro "intellettuale", colto, a verificare e/o confermare l'omologia estetica e la reciprocità o complementarità poietica (all'interno della pratica testuale) della Natura e della Storia, dell'arte e dell'estetica; distinzioni nelle quali l'astuzia della forma fa cadere i viziosi della classificazione. L'opacità disseminata di questi segni esaltando la trasparenza del supporto accentua l'ansia retinica e invita allo sbircio, al voyeurismo, tanto l'occhio che l'orecchio. Si è costretti a rimanere all'esterno di un doppio immaginario che a piena voce proclama il proprio appetito, una fame capace di divorare il cannibalismo stesso dei segni, dove lo sgarbo ottico lievita nel pieno imbarazzo focale. La rappresentazione dello spazio sulla superficie non risulta più quale innocua convenzione grafica, ma ci si svela come irrimediabile incapacità a penetrare la "superficie", a trovare l'ingresso per il "luogo degli enunciati" non solo pittorici o genericamente estetici. I simboli hanno oramai preso a rifiutare il contatto con gli uomini (il pubblico semiesperto del linguaggio cifrato corrente) e li lasciano sulla strada, tranquilli di proseguire; non hanno neppure più bisogno di essere compresi, né di sguardi elargiti come pacche d'incoraggiamento. Nel tumulo della mezzastrada, a segnare il luogo sconfinato degli scambi, del commercio tra i segni, la seduzione del decorativismo impedisce lo sguardo acuto, costringe l'occhio alla selettività, regolata pur sempre dall'ideologia della pittura (il promemoria delle regole della lezione matissiana?). Attraverso tutti questi filtri si insinua anche, tra l'altro, che la proclamata (e conclamata) caduta del politico è forse solo l'effetto di un allontanamento dell'oggetto; ovvero uno spostamento dello e dallo sguardo. "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore", è l'invito della 'nuova' ragione fatta a pezzi come Ragionevolezza. Allora come individualismo. Ma ecco che "l'individualismo adottato a priori, come da chi e da quanti se lo ritrovano e vi si adeguano senza averlo potuto scegliere", si insinua nella fase in corso [della pittura] a convalidare l'andazzo di una storia ridotta a storia delle persone, a storia delle storie, quindi a storielle di stile, e con garboso buongusto promette: non più bastone e carote, ma chitarre e carrube dolci la prossima volta... Il cammino critico si fa sempre più un cammino delle prescrizioni, così adesso fonda tutto questo come luogo degli enunciati interdetti, tabù. Non che sia stato grave non aver seguito "questo" particolare gioco, ma allora quello che rimarrà interdetto sarà il 'sommario' del suo specifico testo. Dunque: o la pittura è 'categoria' oppure è attenzione come presupposto della critica. Il riferirsi oggi alla pittura con un uso terminologico abbondante di 'recuperi', 'ritorni' ecc., ci rivela chiaramente chi e quanti realmente l'avevano data e teorizzata come definitivamente spacciata. Per noi, al contrario, una tecnica realizzativa vale un'altra (ai fini espressivi, non linguisticamente) e per questo, tacitamente, non ce ne siamo curati né come becchini allora, né come marie da Pasqua di Resurrezione ora. Praticare la pittura come 'ritorno' è un modo del tutto attuale (vedi l'orgia di celebrazioni, anniversari, e soprattutto 'riabilitazioni') per preparargli una stavolta più profonda sepoltura* - sebbene previa imbalsamazione. Di questo 'numero' sulla pittura, possiamo aggiungere che l'improntitudine all'assuefatto esercizio dello stile realizza, comunque, attraverso uno sguardo dunchampiano non solo retinico del pattern esterno, un equilibrio tra la contraddizione iconologica, ambiguamente e sottilmente insinuata, e la flagrante espressività, non più puramente potenziale e nominale, che supera la condizione di stallo dell'incongruenza indotta, differita ed effimera tento della 'pittura' quanto del suo scadimento preventivamente azzerato; prima cioè di trasmutare di fatto nell'equivoco polemico ma pur sempre estetico dell'ismo, o della sua brutta copia a ritroso, della sua falsa mimesi a posteriori: sempre per interposta persona. (cr) |
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Alcuni brani di questo editoriale del 1981 sono stati inseriti nel testo "Histoire d'oeil-Glaucomi", apparso nella rivista Artetra n.1 del maggio 1989. |
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