LETTERA DAL CARCERE |
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Mia cara Adele,
avevo iniziato a credere che oramai preferivi scrivere che venirmi a parlare. Evidentemente mi sbagliavo. Nel pomeriggio mi hanno consegnato il pacco che avevi portato. Naturalmente era stato aperto per l’ispezione, e ti confermo di aver ricevuto il pigiama di cotone e la scatola con la sbrisolona che hai ritirato da mia sorella, il testo di Riechers sulle componenti ideologiche in Gramsci, le fotocopie di alcune pagine del volume sull’estetica sperimentale, le immancabili arance di Gigino e una chiavetta USB nera. E’ tutto? Non ne dubitavo. Di queste cose soltanto la torta mantovana poteva correre dei rischi. Vai a capire se poi non ha patito l’insulto dell’assaggio: per quanto era in pezzi anche stavolta l’ho dovuta mangiare col cucchiaio. Il volume che mi ha mandato Luca non mancava nella mia collezione di testi digitali. Nella Rete ci sono più libri di quanti se ne possono immaginare; ma di questo su Gramsci ho pescato solo una pessima copia, abbastanza faticosa da seguire. Ora potrò leggerlo più agevolmente, e impiastricciarlo a piacimento - cosa che tu deplori ma che trascende ogni mio controllo. La vera sorpresa l’ho avuta dalla chiavetta usb, che non mi aspettavo di trovare lì tra le arance. Ho trasferito i file nel tablet e visto le foto di te con Monica a Torino. Stavate benissimo: divertite di girare libere per la città, insieme e sorridenti. Mi sono piaciute anche le immagini prese al museo egizio e quelle della mostra retrospettiva di Braco Dimitrijević alla galleria d’arte moderna, della quale avevo già visto molte immagini in Internet. Tuttavia davanti alle tue foto mi ci sono soffermato nuovamente e più a lungo; così quelle sue barche con sopra gli immensi ritratti mi hanno fatto ripensare alle barche che Fabio Mauri tagliava in due parti separate da un muro di mattoni. Mi dirai che un muro e una faccia non sono la stessa cosa. Io non ci giurerei. Forse gli enormi ritratti di quegli araldi dell’umanità, così incombenti e listati a lutto, sono anche loro null’altro che muri contro cui sbattere la testa… Magari invece qui volevano essere visti come delle grandi vele, per raccogliere il vento e andare. Insomma: una sorta di generale imbarco per Citera dell’occidente che si mette in viaggio col suo carico di scarpe e vestiti dismessi ammucchiati negli scafi come i cumuli che rimangono di Auschwitz... Tuttavia in queste sale pulite vedo ogni cosa esposta così tirata a nuovo che pare di essere nella sede di uno yachting club piuttosto che nelle stanze della storia. Decisamente Dimitrijević lo preferivo quando si occupava di passanti occasionali e giù di lì. Eppure qualcosa di allora ho creduto ravvisarlo in quei tuoi piccoli video che riprendono un suo filmato proiettato nella mostra. Penso proprio che mi divertirò di tanto in tanto a rivedere quelle facce navigare veloci per la malora invece che per Citera. Prima di doverti salutare per andare al pasto della sera, forse riuscirò pure a raccontarti un fatterello che stavo quasi per dimenticare, e che riguarda appunto barche di legno e muri di mattoni. Doveva essere il 1979. Fabio Mauri era stato invitato a partecipare all’inaugurazione di un nuovo spazio per l’arte ad Ancona, e per l’occasione aveva immaginato di realizzare un’opera che mostrava una vecchia macchina Fiat Topolino tagliata a metà da un muro di mattoni. Ma lui non poteva muoversi da Roma, e io mi proposi per andarci al suo posto e seguire la realizzazione di quel lavoro. In quegli anni io non guidavo affatto, Anna non era disposta a portarmi, e così invitai Paolo ad andare assieme con la sua macchina. Nei due giorni che restammo nel capoluogo marchigiano mangiavamo sempre e solo pesce; e l’unica sera la passammo al cinema vedendo Il Cacciatore di Cimino, che veniva proiettato in provincia prima che nelle grandi città. Non ho molto altro da ricordare, e per niente in che misura mi occupai del muro di Fabio e del montaggio dell’opera. Suppongo che quelli della galleria fecero tutto per benino, e resta vaghezza di Paolo che scatta qualche istantanea mentre i muratori lavorano attorno alla Fiat segata in due. Quel muro di mattoni realizzato la prima volta per la Topolino grigia, in seguito Fabio lo ha riproposto per dividere nel mezzo dei barconi di legno e metterlo in mostra come Muro d’Europa. Cosa voleva rappresentare con ciò lo ignoro. Era soltanto il muro di Berlino applicato alla locuzione democratica dello stare tutti sulla stessa barca? Non glielo chiesi allora e tanto meno mi interessa oggi, vista la velocità con la quale questa società sta capitolando su tutti i fronti senza aver altre scialuppe di salvataggio se non quelle per andarsene all’altro mondo – e forse sono proprio queste che mi è piaciuto vedere nei bolidi stellari di Braco Dimitrijević… Ma adesso anch'io devo andare. Un abbraccio, e a presto, spero. |
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