LETTERA DAL CARCERE

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Domenica, 25 dicembre 2016
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arteideologia raccolta supplementi
made n.13 marzo 2017
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Carissimi,
c'è qui dentro un simpatico furfante dai trascorsi politici - nel senso propriamente storico del termine, ossia un parlamentare.
Non è dunque un compagno, ma è pur sempre una persona molto vivace e a volte buffa che si diverte a fantasticare sulla società futura.
Viene adibito a distribuire la posta, e volentieri si intrattiene qualche minuto fuori dalla mia cella per conversare un po'. Sembra proprio che la chiacchiera gli procuri un particolare piacere. D'altra parte neppure io trascuro certe intrusioni che offrono una piacevole tregua al mio quotidiano mutismo.
Questo truffatore coi baffi adora parlare del suo argomento preferito, e precisamente di come potrebbe trovare il mondo se uscisse di qui non tra i suoi sei anni da scontare, ma tra sessant'anni.
Davvero portentosa sarebbe l'origine di questa sua idea, sorta come una folgorazione nell'attimo stesso in cui il giudice pronunciava la sentenza che lo condannava a sei anni di carcere. "Giusto per il tempo che mi occorre per scriverci sopra un libro e fondare un partito", ripete di tanto in tanto per leccare la ferita.
Non trovate anche voi bizzarri questi tipi di misirizzi parlamentari?
A me diverte conversare con lui su questa sua fantasia, anche se poi certe mie considerazioni mi vengono ammannite da lui come frutti del suo pensare.
Tempo fa, ad esempio, gli ho detto che l'architettura o è rivoluzionaria, cioè semovente, o non è nulla.
L'affermazione gli è sembrata quantomeno paradossale; e così ho preso a dire che fino all'inizio del diciannovesimo secolo l'architettura si era solo risolta nel suo essere in sé, ma poteva iniziare a svolgersi nel suo essere per sé con l'avvento della locomotiva a vapore, il cui muoversi organizzava anche il territorio quale piano del suo proprio scorrimento. Una rivoluzione che presto però la volge al tradimento del ferro e della trave continua in favore della proprietà privata e della rendita, impantanandola nuovamente nella vecchia staticità per ridurla alla mera edilizia; vergogna che ha dovuto subito nascondere, seppellendo la flessibilità del ferro nell'opacità della malta. Da qui l'invenzione del cemento armato e il dominio dell'opportunismo in architettura.
Attualmente - aggiungevo per concludere sul presente - l'architettura tenta di tornare sui propri passi, ma la realtà è andata oltre il suo sentiero interrotto, e quella dinamica perduta adesso può solo simularla allo sguardo con il ricorso agli espedienti figurativi dei quadri futuristi o dei fumetti, cioè reiterando e sconnettendo tra loro linee e superfici, curvandole o rigonfiandole come fossero funi e vele barocche sbatacchiate al capriccio dei venti sugli alberi però di velieri immobilizzati nei luna-park per fornire vertigini mancanti al tedio urbano... E così via.
Parlavo liberamente, recuperando pensieri giovanili, prematuramente e forse immeritatamente
trascurati.
Ebbene: dopo qualche giorno, il simpaticone non mi tira fuori questi stessi argomenti chiedendomi cosa pensavo di queste sue riflessioni sull'architettura che intendeva sistemare in qualche parte del suo libro?
Considerando che in fondo lavorava al mio posto e mi risparmiava inutili consumi di energie, non ho fatto cenno al prevalere del suo ego sull'effettivo svolgimento dei fatti.

Invece gli ho fatto notare come già agivano nella realtà delle forti spinte storiche per portare a compimento quella rivoluzione che l'architettura non aveva potuto realizzare.
Non vede - gli dicevo - che ogni cosa sociale viene sconvolta tanto dall'azione come dall'inazione politica degli stati? che l'edilizia con le sue città scoppiano di terrore e bombe? che la geografia ha perso ogni forma di nazione e intere popolazioni urbane si sono messe in movimento senza trascinarsi dietro fardelli immobiliari? Anche le loro radici affettive e culturali oramai scorrono nelle interconnessioni della rete, e sono sempre lì sul posto, ovunque ognuno decida di ritrovarle.
Oggi - continuavo per rincarare la dose - milioni di persone, forse miliardi, non hanno più ragioni e neppure possibilità di fermarsi a vivere in un proprio posto di cui prendersi cura, come si faceva per la tomba di famiglia e la casa di proprietà. In fondo già nel piano della Cité Industrielle di Tony Garnier non era prevista la costruzione di carceri, tribunali, chiese, banche e caserme; ma allora era il 1917, troppo presto per cancellare anche le residenze familiari, ma giusto in tempo per veder far capolino, dietro gli isolati condominiali, la forza storica che li avrebbe demoliti per sempre.
Finora - mi spiegavo - si è costruito troppo, non troppo poco; e l'intero edificato esistente già costituisce una dotazione abitativa globale, capace di soddisfare i bisogni e le esigenze attuali di ognuno; si tratta solo di renderla disponibile a tutti e organizzarne la manutenzione da parte delle genti di passaggio.
Se lei osservasse la direzione verso cui marciano gli attuali avvenimenti politici ed economici collegandoli con gli sviluppi tecnologici - proseguivo - potrebbe intuire che l'immagine del territorio futuro sarà quella prodotta da un'architettura così leggera da scomparire alla vista, come richiede una società pronta per l'ubiquità e il nomadismo. L'esodo si è globalizzato, e il suo nuovo deserto sarà uno spazio non più delimitato dalla gabbia armata del disegno prospettico ma dall'ampiezza stessa di una vita senza orizzonte, dove i punti di fuga visivi diverranno reali punti di riposo e di ozio. L'uomo è stato nomade per milioni di anni, e la sedentarietà segna un'epoca troppo breve per non venir dimenticata facilmente dopo aver tirato il primo sospiro di sollievo all'aria aperta...
Nei pochi minuti che avevo disponibili gli ho parlato all'incirca così, con enfasi melodrammatica e allusiva, per abbozzare rapidamente un quadro denso di stimoli, non del tutto improvvisati, tuttavia estemporanei - beninteso, dissimulando quelle condizioni pratiche che noi auspichiamo e che non starò certo qui a ripetere a voi. Tuttavia, non giurerei che non abbia mangiato la foglia.
Quale destino lui abbia riservato alla mia tirata posso soltanto immaginarlo dall'esito del successivo incontro con l'onorevole postino, che mi ha espresso il suo entusiasmo per un fantastico progetto rivoluzionario, ben documentato in Internet, sollecitandomi caldamente a visionare il sito e i filmati di un certo Venus Project.
Ora, dovete sapere che ultimamente ho un disturbo all'orecchio che mi ha impedito di sentire chiaramente l'audio di quei documentari, ma io lì non sono riuscito a vedere altro che la solita coazione a costruire.
Sembra proprio che un'architettura incapace di criticare sé stessa sia condannata a perfezionare la città, magari passando per i pur meritevoli Wrigth, Fuller, Soleri, Friedman, Archigram eccetera, o adesso - dato che gli ultimi arrivati sembrano sempre i migliori - questo Jacque Fresco.
Seppure il mio truffatore di stato riuscirà a pubblicare il suo bestseller o fondarci sopra un partito, forse si guadagnerà un pingue conto in banca e pure una nomea, ma credo anche che i benefit di simili rinnovate imprese non dureranno poi a lungo: le donchisciottate di oggi impallidiscono facilmente davanti al mucchio di analoghe fantasie escogitate nel decorso dell'invalidante agorafobia delle civiltà stanziali.
Voi cosa ne pensate?

Perdonatemi la lungaggine, ma conoscendo il vostro interesse per tutti gli argomenti che possono riguardare il futuro e i suoi aspetti, ho ritenuto conveniente soffermarmi sulla vicenda.
In attesa di ricevere un vostro parere, invio i migliori saluti.

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