LETTERA DAL CARCERE |
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Dunque, amico mio,
la memoria non mi ingannava. Ho fatto bene a chiederti di setacciare il tuo caotico magazzino in cerca di quella vecchia rivista del ’69. Alla fine lo hai fatto. Grazie per averla recuperata, e grazie per avermela spedita Quella rivista l’avevo comprata nella libreria di via Ripetta dopo che, esaminato l'enigmatico disegno geometrico illustrato nella copertina, ho intuito quasi all'istante la struttura costruttiva di un tetraedro del tutto differente da quello che ancora avevo sotto gli occhi. In breve, ho immaginato la possibilità di aggregare un tetraedro regolare mantenendo fissa la distanza di due soli spigoli opposti e ortogonali tra loro, dopo di che definire le facce del solido congiungendo i quattro estremi con un’unica linea chiusa. Le conseguenze pratiche di questa sorta di illuminazione le ricorderai senz'altro; in quel periodo ne sei stato testimone e in parte le abbiamo condivise. Mi riferisco alla preparazione del modello dal falegname, alla realizzazione del tetraedro, e poi agli “appunti per Erostrato”. Devo ritenere che con l'acquisto della rivista ogni mio interesse per il suo contenuto si esaurì del tutto, dato che poi non mi curai neppure di sfogliarne le pagine. Solo ultimamente quella trascuratezza nei suoi confronti mi è tornata in mente più volte, come un atto mancato che di tanto in tanto si metteva in fila per reclamare un saldo. E’ stato dunque un gran sollievo, carissimo amico, ricevere qui in carcere quel vecchio numero di Zodiac e provvedere dopo oltre quaranta anni. Intendo raccontarti ogni cosa perchè non vorrei che l'insistenza per riavere la mia rivista venga creduta il capriccio di uno sfaccendato in vincoli. Lì dentro doveva esserci certamente qualcosa che ne cercava altre. Proverò a spiegarmi meglio, ma non sono sicuro di riuscirci. Intanto devi sapere che conservo ancora con ostinazione, anche qui in cella e solo per concessione del direttore, parecchi fogli con gli appunti di allora; ci sono schizzi e note di certe prime divagazioni su quella mia costruzione - e sia chiaro che sto parlando di questa roba qui Tra le molte immagini che da allora ho avuto occasione di vedere, non mi è mai capitato di incontrarne qualcuna che risolve la piramide triangolare in un modo simile al mio tetraedro a scatto. Non voglio credere però sia questa la ragione principale per cui ho conservato quei vecchi appunti; preferisco piuttosto immaginare che da quei fogli mi richiama il palpito di un dispositivo trascurato. Più volte ho cercato di rileggere e perfino riscrivere le annotazioni che contenevano, trovandole sempre sconnesse e senza uno scopo chiaro che mi aiutasse ad intenderle nuovamente. Soltanto la presenza di qualche termine specifico mi lascia supporre che lì si tentava uno scambio di materiale o una ricomposizione tra geometria e qualche altra disciplina... forse con la linguistica, che in quell’epoca era presente ovunque... Ma questo aspetto della vicenda è irrilevante rispetto alla coincidenza di aver ricevuto, nello stesso giorno, sia la rivista che mi avevi spedita tu da Roma, sia una rivista arretrata che avevo richiesto alla redazione di Torino. E’ stato così che, dopo aver letto nella prima il testo di Anne Tyng, ho potuto poi leggere nell'altra la trascrizione di una relazione svolta da Amadeo Bordiga nel 1960. L'esposizione dell’architetta americana l’avevo trovata subito interessante, e tuttavia ne diffidavo; soprattutto mi disturbava la componente junghiana di cui era imbevuta. Una diffidenza che però si è molto attenuata dopo la lettura della relazione di Bordiga; e non certo a causa di qualche ragionamento particolare, piuttosto per come viene presentata e trattata l'intera questione della conoscenza... Non so come farti capire, ma certi tipi di pensiero che alla mia mente prima si presentavano contrapposti, si sono poi - come dire? - resi degni di venir quantomeno riesaminati e rimessi in gioco. Le cose, insomma, potevano andarsene più liberamente ad attingere le une dalle altre nuove polarizzazioni di senso... Scusami. Tentavo di spiegarmi, ma dubito di saper esporre con chiarezza ciò che ho soprattutto intuito più che compreso. Fatto sta - e vengo al punto - che adesso, grazie ai testi della Tyng e di Bordiga, quei miei vecchi fogli di appunti si sono guadagnati un motivo in più per salvarsi dal macero, e la mia ostinazione una ragione in più per conservarli. Oltre l’ossessione personale, la fatalità e qualche analogia verbale e figurale facilmente riscontrabile, tra queste tre cose deve pur sussistere qualcosa di intimamente determinato a farle incontrare dopo così tanto tempo in così poco spazio. La faccenda al momento non mi è affatto chiara. Pertanto, carissimo, quanto prima riuscirò a fare fotocopie di questi tre gruppi di materiali, tanto prima te li spedirò per posta, pregandoti di dargli un’occhiata ed aiutarmi in questa storia di cui non riesco a tirare i bandoli. Dalla mia preziosa cella di contenzione, un saluto. PS. - In attesa di preparare la spedizione annunciata, voglio intanto farti sentire in anticipo l'odore del pacco che riceverai quanto prima: "La differenza non va fatta dunque fra l'arte e la scienza, fra l'intuizione e l'intelligenza. È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante (abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo"). Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità..." |
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