LETTERA DAL CARCERE |
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Caro Giorgio,
ti ringrazio per la foto che avevo chiesto di recuperarmi tra le carte che ho lasciato in casa; l’ho appesa subito al muro, proprio sulla parete dietro il letto, dove di solito vengono sistemate le immagini devozionali. Non posso dire di soffrire le vessazioni e i tormenti carcerari dell’agronomo Darrell Standing, né di godere l’intensità delle sue evasioni dal carcere attraverso la serie delle reincarnazioni descritte nel romanzo di Jack London. Come lui tuttavia anch’io a volte evado quasi fisicamente da qui dentro quando navigo nella rete dei nodi e delle connessioni di un cervello globale che è tutto fuori e lontano da Soletude. Non so se tu abbia mai letto Il vagabondo delle stelle; in casa ne avevamo due copie, ma quella che preferivo era una vecchia edizione Sonzogno degli anni ’50; ed è appunto questa che ho portato con me in cella ed ho persa. Se ti capitasse di leggere questo romanzo bada di non credere che London facesse ignobili traffici con reincarnazioni o metempsicosi varie. Il romanzo è un dispositivo per raccontare la materia stessa di cui è fatto l’uomo; ma non nel senso lato della memoria storica e in modi metaforici, bensì attraverso il proprio corpo vivo, sul quale in cella il suo carcerato ritrova realmente quelle ferite ricevute nel corso di ogni avventura appena rivissuta. Nonostante le sue fantastiche reincarnazioni il protagonista è sempre “standing”, ossia sta, con in piedi, in piedi sulla terra, e, sulla terra, nel penitenziario di Stato del tutto reale di San Quintino, a Point Quentin, in California, a nord della città di San Francisco. | | | | | | Più agevolmente e meno dolorosamente del carcerato di London, adesso anch’io posso ritrovare ogni avvenimento dell’intero arco della storia dell’uomo grazie al mio dispositivo di navigazione. Ed avendolo io tra le mani (mentre lui mi ha in pugno) solo ora credo di arrivare a capire che il prigioniero di London tornava da ogni vagabondare realmente ferito nel corpo in quanto viaggiava nei propri nervi vivi, così come noi oggi navighiamo, incapsulati come batteri, nel nostro vivo cervello sociale. Ed è in questo andarmene a zonzo nei canali della rete che vengo a sapere di cose nuovissime e strabilianti - che forse non leggo con la dovuta attenzione, se non suscitano in me meraviglia alcuna. Ultimamente, ad esempio, ho letto di una denuncia dell’Onu sulla strage dei bambini nelle strade di Rio che si prepara per le prossime Olimpiadi? Ed io: niente. O anche il terrorismo a Parigi in questo 13 novembre, come potrebbe lasciarmi meravigliato e attonito già sapendo da tempo che si è passati dalla fine del terrore atomico della guerra fredda al terrore senza fine di una guerra civile in bagnomaria? Ci sono sempre più segnali del disfacimento dello stato attuale delle cose, di forme che già lo superano e addirittura di progetti iperbolici messi in atto per superare la morte? E ancora, nessuno stupore da parte mia. Sono diventato insensibile o lo sono sempre stato? Preferisco pensare che il mio distacco sia dovuto ad una sorta di somatizzazione di cari e vecchi enunciati che sul mio spirito agirebbero da analgesici. Così, per i meninos de rua, penso ad esempio a quello per cui nel capitalismo l’uomo ha valore solo se è produttivo. Di “stragi erodiane”, cioè, ne parlava già Marx riguardo al lavoro dei fanciulli e delle donne… Figurati oggi che neppure c’è bisogno del loro lavoro, e che i bambini li vediamo massacrare direttamente con le loro madri per tutta la ridente costa del club Méditerranée… Questa società ha fatto tutto ciò che poteva fare per schiantare lo spirito - il quale da parte sua ha tuttavia bisogno anche dell’orrore. Ma se la rappresentazione dell’orrore magari riesce pure a volte a toccare il sublime, l’orrore sociale sicuramente pesca nell’abietto, t’infetta o ti vaccina, dipende. Prendi anche un altro enunciato, che in qualche modo anticipa certi scenari rovinandoti ogni sorpresa semplicemente precisando che se noi “non potessimo già scorgere in questa società così com'è le condizioni materiali di produzione e di relazioni fra gli uomini corrispondenti ad una società senza classi, ogni sforzo per farla saltare sarebbe donchisciottesco…” Provate anche voi a leggere Neuromanti nel sito di Prismo, o anche della “comunizzazione” in quello dell’Istituto Damen, e ditemi se ci si può meravigliare più di tanto se uno poi, ruspando qui tra genialità o idiozie, non trova altro che conferme di quanto ha sempre saputo e di cui è convinto… Ma ora basta. Non vorrei che certi pensieri mi facessero scivolare in un vaniloquio nel quale trascinare anche voi e farvi preoccupare per la mia salute mentale. | | | | | | Ho già detto alla mamma e agli altri di casa, che il trattamento che ricevo qui dentro è del tutto particolare e relativamente confortevole. Se però volete conoscere le reali condizioni generali di vita nelle carceri del nostro paese dovrete rivolgervi a fonti più attendibili, perché io non posso dire di esserlo, se non per quel poco che può entrare qui in isolamento. Per sapere come stanno le cose, sono sicuro che in Internet potrete prendere molto. Io, ad esempio, adesso posso consultare immediatamente il contenuto degli opuscoli di autprol.org, mentre altri carcerati devono aspettare i tempi della spedizione della stampa - seppure infine gli viene poi consegnata. In proposito, avrete certamente saputo che, in aggiunta alle restrizioni sui soli tre libri che è consentito tenere in cella, da alcuni mesi chi è sottoposto al regime previsto dall’articolo 41bis non può più ricevere libri e stampe senza un’autorizzazione preventiva dell’amministra-zione. Un inasprimento che solo per me deve aver fatto una capriola per rovesciarsi in concessioni negate agli altri carcerati? Piuttosto, ogni cosa che mi accade qui dentro mi porta a credere che il trattamento che mi hanno riservato sia proprio unico, e talmente singolare che a volte mi convinco di vivere in una bolla bugiarda, segregato in uno spazio irreale dal ghiribizzo di una stravagante sentenza letteraria messa in atto solo per farsi beffe di tutti noialtri… Ho finito. E tu, prenditi pure il mio abbraccio fraterno. Ps. - Se vuoi leggere il Vagabondo delle stelle, puoi procurarti l’intero testo pescando in internet con la ricerca tramite le parole arteideologia vagabondo London. Non so di chi è la traduzione della versione che troverai. Io continuerò a preferire quella della mia vecchia copia perduta. - A proposito di 13 novembre, ringrazia per me quelli che mi hanno inviato gli auguri di compleanno: ne ho proprio bisogno. |
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Carcere di Soletude, venerdì 13 novembre
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