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Elementi e complementi . (appunti IV.1) |
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Non è dall’oggi al domani che il proletariato ha fatto del marxismo il suo metodo, e attualmente è ben lungi dal servirsene integralmente. Questo metodo serve ora principalmente e quasi esclusivamente a scopi politici. Il largo impiego come metodo di conoscenza e lo sviluppo metodologico del marxismo dialettico appartengono ancora all’avvenire. Soltanto nella società socialista il marxismo cesserà di essere lo strumento unilaterale della lotta politica, per divenire il metodo della creazione scientifica, l’elemento e lo strumento essenziale della cultura spirituale. (Trotsky) [1]
- ...Siamo qui, come attorno ad un bivacco notturno. Alla luce di un fuoco che a sprazzi illumina la radura qualcuno ci intrattiene parlando più o meno di arte. Ma più sul meno riesce a dire, lasciando oltretutto cadere i fili continui del suo discorso. E così, chi paziente l’ascolta si sforza di ravvisare, oltre l’ombra che avvolge il gruppo, la completezza degli argomenti che lui vorrebbe illuminare senza però mai raggiurgerli…
QUESTIONI DI STILE . 1
Chiedi alle Voci
Lavoro, Produzione, Arte, Libertà, Bellezza sono tutti termini che troviamo intrecciati nel seguente passo di Marx, nel quale si afferma che l’uomo produce veramente soltanto quando è libero dal bisogno.
- La pratica produzione di un mondo oggettivo, la lavorazione della natura inorganica è la conferma dell’uomo come consapevole ente generico, cioè ente che si rapporta al genere come al suo proprio essere ossia si rapporta a sé come ente generico. Invero anche l’animale produce: esso si costruisce il nido, delle abitazioni, come le api, i castori, le formiche etc. Ma esso produce soltanto ciò di cui ha bisogno immediatamente per sé e per i suoi nati; produce parzialmente, mentre l’uomo produce universalmente; produce solo sotto il dominio del bisogno fisico immediato, mentre l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico e produce veramente soltanto nella libertà dal medesimo. L’animale produce solo sé stesso, mentre l’uomo riproduce l’intera natura; il prodotto dell’animale appartiene immediatamente al suo corpo fisico, mentre l’uomo confronta libero il suo prodotto. L’animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene; mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all’oggetto la misura inerente, quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza. [2]
Riguardo la bellezza, l’archeologo Louis-René Nougier descrive così una “mandorla” realizzata due o trecentomila anni fa:
- Questo (suo) taglio minuzioso oltrepassa i limiti dell’utilità, della necessità materiale dell’attrezzo, che è fra i più comuni e banali. Un vero compiacimento estetico accompagna la perfetta rifinitura dell’artigiano, che diventa proprio per questo artista. La gratuità del lavoro diventa piacere, il piacere arte… La medesima forma a goccia d’acqua comparirà nel XX secolo negli abitacoli di automobili e aerei”.
Ma la traccia della bellezza è ancora più remota:
- Due milioni circa d’anni fa, gli sferoidi di Olduvai, in Tanzania, ricavati da duri blocchi di quarzo d’un abbacinante candore (altro elemento che giustifica la scelta), presenteranno parimenti la forma più perfetta di ogni altra, quella della sfera. Anche in questo caso si assiste ad un superamento dell’utile, ad un atto gratuito, poiché anche una semplice pietra non levigata o con sporgenze solo lievemente smussate sarebbe bastata per tritare qualche seme o recidere delle radici: ulteriore prova che l’australopiteco e l’Homo habilis agiscono fin dal principio al di là dell’essenziale. “Mandorle” e sferoidi si trovano in tutto il vecchio mondo… in una distribuzione universale sorprendente. [3]
Sulla libertà (e l’autonomia) Engels scrive:
- Perché la prima pietra fosse lavorata da mano umana e trasformata in un coltello dovettero passare periodi di tempo così lunghi al cui paragone l’epoca storica a noi nota appare insignificante. Ma il passo decisivo era fatto: la mano era diventata libera e poteva quindi acquistare abilità sempre nuove: la maggiore scioltezza così acquistata fu trasmessa in eredità e accresciuta di generazione in generazione. Quindi la mano non è solamente l’organo del lavoro, essa è anche il suo prodotto. [4]
Artisti, Scienziati, Rivoluzionari, e addirittura Intuizione e Fede sono tutti termini che troviamo avvicinati e risolti conseguentemente da Bordiga nel trattare la teoria della conoscenza.
Nella citata riunione di Firenze 5 del marzo 1960, dopo aver indicato il differente ricorso della scienza o dell’arte all’intelligenza o all’intuizione, così viene descritto il differenziarsi del lavoro dell’artista da quello dello scienziato:
- …Il lavoro dell'artista sarebbe eterno in quanto perfetto nel momento stesso in cui si svolge, dato che l'artista non sale quella scala infinita ma raggiunge la sua conquista. Perché l'artista cerca con la forza dello spirito, che è un presupposto immanente ed eterno, un dato al di fuori della natura e dell'umanità. Quindi gli scritti di Omero, di Shakespeare, di Dante, di Goethe, sarebbero rimasti eterni senza perdere mai nulla del loro valore con lo svolgersi della storia dell'umanità. Quale ne sarebbe la ragione? Che l'artista procede per intuizione e lo scienziato procede per intelligenza. [5]
Continua poi chiedendosi dove, in quale delle due schiere, degli scienziati o degli artisti, si collocherebbero dunque i rivoluzionari.
- …Naturalmente [noi] non possiamo procedere per intelligenza, perché solo una società libera dalla dominazione di classe e dalle eredità di queste epoche sfavorevoli e penose potrà adoperare la sua intelligenza per costruire la scienza di domani e potrà salire al sommo della scala della conoscenza. Anzi, salirà molto più in alto lungo la scala di quanto non si sia mai potuto fare. Ma ciò non toglie che anche noi [come gli artisti] ci serviamo dell'intuizione. E forse per definire il movimento artistico, questa mostruosità che starebbe fuori dalla società e dalla materia, possiamo noi accettare una simile delimitazione? Per stabilire che tra arte e scienza c'è una profonda differenza di natura? No e poi no. Noi negheremo l'esistenza di prodotti che facciano parte di un'attività conoscitiva di natura particolare, che è quella artistica, in cui sia affissata una eternità negata ai lavori scientifici, alle conquiste scientifiche.
Affermando dunque che vi sono opere di scienza che contengono elementi di arte, e pertanto arte e scienza spesso si incontrano – come abbiamo già visto qui in precedenza – porta a concludere che i rivoluzionari non si dispongono nelle schiere fittiziamente contrapposte dell’arte o della scienza, ma nell’unica che ne risolve l’antitesi tramite l’intuizione… e la fede - conclude addirittura con il massimo sprezzo terminologico dei filistei del marxismo borghese: d’altronde, a qualcuno piace caldo.
- …È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante (abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo"). Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione! [6]
Come si può rilevare dalla trascrizione delle relazioni pubbliche svolte nel 1960 a Firenze, Casal Monferrato e Bologna, Bordiga ricorreva spesso alla categoria Arte.
Per dare un’immagine immediata del loro contenuto è sufficiente riportare qui di seguito solo alcuni dei titoletti redazionali che scandiscono i testi pubblicati:
- Superamento dei dualismi: gioia e sofferenza – L’intuizione, la scienza e l’anticipazione “realistica” – Scambiare la propria scatola cranica per l’Universo – Arte e scienza, intuizione e raziocinio – Perché c’è bisogno di immaginare altre “umanità” – Quando il lavoro è umano c’è gioia e soddisfazione – Senza una visione universale siete morti – Non più divisione fra arte, scienza e lavoro – Arte: creazione o produzione?...
LO STILE (in arte)
Crediamo chiunque in grado di comprendere subito di cosa si parla quando si nomina lo "stile" egiziano, greco, rinascimentale o anche giapponese. Tuttavia, così come per la voce Arte siamo ricorsi all’Enciclopedia illuminista, per una definizione sommaria della voce Stile facciamo altrettanto valendoci dell’enciclopedia digitale Wikipedia.
Lo stile è la forma costante dell'arte di un individuo o di un gruppo di artisti.[7] Nella storia dell'arte serve per determinarne luogo di provenienza e datazione di un'opera e viene studiato nella sua storia, ossia partendo dall'occasione formale che ne vide la nascita, proseguendo con la sua evoluzione e anche la sua eventuale conclusione, seguendo nel contempo tutti i rapporti tra le diverse scuole artistiche. In questo senso sui può parlare di stile individuale o di scuola, legato alle tecniche artistiche e alle scelte attraverso le quali è identificabile un artista o un movimento artistico. In senso generale si può infatti parlare di stile romantico, gotico, barocco, rinascimentale ecc. Lo stile così dato si viene a configurare come portatore di qualità precise che hanno in sé un significato specifico, capace di definire valori sociali, morali e religiosi sia di un individuo sia di un'intera società, regolandosi in modo a volte normativo, diventando segno di appartenenza a canone, di giudizio di gusto o maniera.
Trascurando molti particolari, proviamo ora a fare un quadro semplificativo e abbastanza grossolano, ma utile per proseguire, dell’evolversi del concetto di “stile”.
– Nella retorica antica, per “stile” si intendeva ciò che ornava l’esecuzione come un sovrappiù.
– Nell’epoca romana indica la tipologia dei generi (stile tragico, stile satirico, ecc.).
– Il Medioevo distingue tre stili legandoli ai generi: stile alto o sublime (opere legate a grandi personaggi od eventi); stile medio (personaggi o eventi di media importanza); stile basso o umile (personaggi di condizione umile e vicende quotidiane). (Dante, Rabelais o Galilei rompono questo schema).
– Nei periodi successivi l’idea degli stili nell’arte figurativa o in architettura ancora non esisteva, vi erano semplicemente dei modi con cui si facevano le cose, comunemente adottati perché ritenuti migliori, ecc. – quindi poi, nascita delle Accademie nell’epoca del Rinascimento e suoi sviluppi.
– L’Epoca dei Lumi, materialista, scientifica, enciclopedica e classificatoria, e soprattutto archeologica, ci consegna il corrente concetto di stile legandolo ai periodi storici e alle similarità formali. Intanto si prepara un inventario (catalogo dei repertori formali…) – Si assiste a un moltiplicarsi delle Accademie, e dell’erudizione…
– Ma la rivoluzione in Francia abolisce l’Ecole Accadémique, istituita nel 1648 dall’Ancien Régime, e nel 1794, tre anni dopo la Proclamation de la liberté du travail, fonda l’Ecole Polytecnique (che forniva una uniforme preparazione scientifica per le scuole tecniche superiori) e rivela una frattura specialmente tra Architettura e costruzione, ma anche tra… “artisticità” ed esecuzione… rappresentazione e modalità…).
– Nell’anno 1806 Napoleone istituisce una l’Ecole de Beaux-Art che riaccorpava, come nella vecchia accademia, l’architettura e le arti visive.
– L’Ottocento è “storicista” e ripropone tutti gli stili del passato. Colonialista, ci mette dentro anche quelli dei popoli che va ad opprimere. Il risultato è l’eclettismo, il sincretismo e l’ibridazione. – Sembra presentare un primo ammasso di tutte le forme artistiche rastrellate dalle precedenti epoche storiche per gettarle immediatamente sul mercato trasformandole in merci. Ma quell’insieme affastellato di problemi già risolti ne pongono di nuovi, irrisolti o negletti nelle epoche precedenti.
– Dopo le prime Esposizioni Universali diversi governi europei sollecitano rapporti sulla situazione del gusto estetico delle masse, mentre gli industriali sentivano la mancanza di uno specifico stile industriale. Così dalla metà dell’800 si assiste ad un proliferare in tutta Europa di scuole statali di arte e mestieri, per soddisfare l’esigenza dell’industria di fornire la produzione materiale di ideatori, disegnatori e operai capaci di operare con i nuovi materiali artificiali, con le macchine e la produzione in serie di oggetti sia utili che ornamentali.
– Dalla metà del secolo, anzi dalla generazione del 1830, anche grazie all’affermazione della fotografia, gli artisti cercano di rompere con l’intera tradizione, e lo stile inizia a riferirsi a singole correnti artistiche decisamente connotate e al modo personale di esprimersi dei singoli artisti (lo sviluppo della concorrenza commerciale fa il suo corso).
– Coi primissimi anni del 900 i legami con la tradizione figurativa sono definitivamente liquidati assieme alle funzioni sociali dell’arte, e domina l’idea comune che il suo vero fine sia l’espressione della propria personalità, impegnata a rompere soprattutto ogni legame con il passato. In pochissimi anni si avvicenderanno, in lotta tra di loro oltre che con la società, quell’insieme di correnti artistiche che verranno chiamate avanguardie storiche: cubismo, futurismo, dadaismo, suprematismo, costruttivismo, purismo, astrattismo, e poi surrealismo
– Il resto del 900 procede in una simile compresenza di tutte le ultime correnti artistiche, con in più l’avvento del cinema (cioè del tempo). – – – Particolarmente dopo il secondo dopoguerra si assiste sostan-zialmente ad un ripensamento che porta alle estreme conseguenze i presupposti teorici appartenuti alle avanguardie. In pratica abbiamo uno “stile caleidoscopico” ma che ancora si attiene in vario modo ad una sorta di tradizione della modernità, come un colpo di coda delle avanguardie storiche che inizia ad ibridarsi con le tecnologie di ogni nuovo mezzo di comunicazione di tipo analogico (fotografia, cinema, registrazioni audio magnetiche audio o video).
– La scena artistica del secondo dopoguerra si configura ancora caleidoscopica, ma è dominata essenzialmente dal ripensamento dei linguaggi delle “avanguardie artistiche” o dei loro singoli e più significativi rappresentanti (astrattismo americano, neodadaismo, surrealismo preso per la coda, vari tipi di realismo – pop art, realismo socialista ecc., situazionismo, fluxus, concettualismo, arte povera, body art, e… transavanguardia.
Poi magari verranno pure i nuovi modi digitali di realizzare l’immagine, ma non ancora, ci sembra, una nuova immaginazione all’altezza di tale rivoluzione digitale.[8]
Dalla fine del secolo a oggi, esaurita sia la spinta propulsiva dei primi decenni del XX secolo sia la loro revisione in seconda battuta, l’arte visuale si adegua senz’altro agli edifici o ai luoghi che la contengono e la celebrano [9]: dei parchi più o meno a tema nei quali possiamo incontrare tutto di tutto, ma sempre e soltanto tutto ciò che accorte strategie commerciali riescono a sistemare sul palcoscenico diffuso della messa in scena dell’arte, rovesciata, ovvero, rivoluzionata in arte della messinscena.
È una sorta di sospensione di eterogenei precipitati non ancora sedimentati che, tuttavia, consente e facilita lo studio analitico delle componenti discrete che in precedenza apparivano nella convergenza di un indistinto “continuo figurale moderno”.
Avremmo forse fatto un passo avanti anche distinguendo nello “stile” la “maniera”?
Allora possiamo aggiungere che, mentre quest’ultima è il modo di eseguire, lo stile dovrebbe riferirsi al modo di concepire, così da poter dire “alla maniera di Rembrand”, che è ben altra cosa che dire “nello stile del barocco fiammingo” – lo stile si riferirebbe ad un Kunstwollen [10] comune ad un’epoca, la maniera ad un Kunstwollen privato, personale o comune ad un gruppo ristretto.
Da sinistra, poltrona presentata alla Esposizione Universale di Londra del 1851; Sedie prodotte dalla Morris, Marchall, Faulkner & Co. ( movimento Arts & Crafts ), nel catalogo del 1864.
LO STILE NELLA MODERNITÀ
L’arte moderna, avviata sulla base della rottura del suo continuo classico, ha probabilmente dissolto la possibilità stessa sia di un Kunstwollen che di una reale Gemeinwesen, procedendo poi, essenzialmente e con attitudine certamente “sperimentale” (in parallelo con il prevalere della tecnica e del suo spirito), sulle due grandi linee che abbiamo indicato: quella della discretizzazione della forma e della discretizzazione dei sentimenti, che favorisce le convergenze a collo di bottiglia in cui lo stato attuale delle cose la costringe.
Ecco come Semper, nei suoi manoscritti del 1856-59, conclude l’introduzione alla Theorie des Formell-Schonen:
- Considerare il bello come arte in divenire, come risultato di molto fattori, significa affrontare la questione estetica in modo puramente empirico: alla pratica dell’artista questo tipo di approccio offre il mezzo più utile, e conveniente e rispondente al programma di questo lavoro [libro].
Noi consideriamo l’opera d’arte come risultante e pretendiamo che [come tale] abbia uno stile. Questa parola designava in origine lo stilo con cui nell’antichità si incidevano le lettere sulle tavolette di cera; in seguito l’immagine dello stilo si trasferì alle qualità generali della scrittura. Noi, con il concetto, abbiamo ripreso da loro anche la parola che lo denotava. In Italia, già al tempo di Petrarca, la stessa espressione assumeva il senso di matita da disegno o di strumenti da artisti; tra i tanti termini artistici presi in prestito dall’Italia c’è anche questa trasposizione di significato che ora sta per indicare certi pregi della rappresentazione artistica; l’espressione è stata poi inficiata da una crescente indeterminatezza e confusione concettuale.
Solo Rumohr in Italienische Forschungen (vol. I. pp.85 sgg.) ha riportato il concetto di stile alla sua vera base empirica, tenendo conto della sola “materia grezza”; egli considera lo stile come un adeguarsi, che si fa abitudine, alle intime esigenze della materia, con il quale lo scultore dà veramente forma alle sue figure e il pittore dà loro un aspetto visibile. >
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- Io ritengo che la “materia grezza” rappresenti solo uno tra i tanti fattori che costringono l’artista ad adeguarvisi e a modellarvi l’opera secondo le proprie capacità; nello “stile” vedo l’assenza di quei pregi che si ottengono in un prodotto d’arte, quando l’artista conosce ed osserva i limiti posti al suo lavoro dalle caratteristiche di tutti i coefficienti che in esso concorrono; vincolato dai limiti suddetti e dalla compatibilità con la funzione dell’oggetto, egli contemporaneamente deve tener conto e dare una valenza artistica a tutti gli strumento offerti dai coefficienti.
Lo stile è pertanto l’emergere, caricato di un significato artistico, del tema fondamentale e di tutti i coefficienti interni ed esterni che incidono, modificandola, sulla concretizzazione dell’opera d’arte. In base a questa definizione il termine “mancanza di stile” indica quindi i difetti di un’opera che non ha tenuto conto del tema sotteso e che ha valorizzato in modo maldestro i mezzi disponibili. Spero di aver così dimostrato che ciò che viene chiamato stile corrisponde ad un concetto abbastanza preciso e in sé concluso tanto da essere utile anche sul piano operativo: d’altra parte, il concetto consente un’applicazione molto ampia e giustifica vecchie espressioni, fissate definitivamente nella lingua; al fondo esse rivelano un’esatta sensazione, ancora viva tra la gente, ossia che certi concetti in apparenza eterogenei siano in realtà legate da parentele.
A questa stregua è corretto dire, stile dell’epoca di Luigi XIV, stile di Raffaello, stile ecclesiastico, stile campestre, stile ligneo, metallico, pesante, leggero, elevato.[11]
Per i preoccupati della mancanza di uno stile unitario per l’intera epoca del capitalismo moderno – che possa in qualche modo concludere provvisoriamente la tassonomia degli stili artistici che altrimenti finirebbero con il Neoclassicismo e l’Art Nouveau – possiamo tuttavia provare a riproporre qui la nozione di Kitsch, che sarebbe più che altro la broda indefinita e indefinibile delle innumerevoli ed esponenziali possibilità formative dell’iperproduzione industriale del “ninnolo”, nella quale galleggiano arcipelaghi di isole specialistiche che abbiamo chiamato “avanguardie storiche”, e altre più definite correnti e movimenti artistici le cui produzioni provvedono a fornire allo “stile” Kitsch sottostante, le autorizzazioni formali per far presa sul sentimento (o sentimentalismo) artistico ed estetico di un pubblico di massa svariatamente esigente.
Abbiamo già visto come nella seconda metà dell’Ottocento, Semper denuncia lo spirito di falsificazione che appare fin dall’inizio nelle materie prime dei prodotti industriali:
- I risultati più ardui e faticosi l’industria li raggiunge manipolando gli strumenti presi a prestito dalla scienza: il porfido più duro e il granito si spezzano come gesso, l’avorio viene ammorbidito e compresso in forme (procedimento tecnico del resto già noto ai tempi di Fidia, ma allora giustificato dal fatto che lo si usava per le gigantesche statue eburnee); il caucciù e la guttaperca subiscono un processo di vulcanizzazione per venir poi impiegati in ingannevoli imitazioni di incisioni su legno; metallo e pietra travalicano di molto i limiti naturali del materiale imitato. Il metallo non viene più fuso o battuto, bensì deposto con metodo galvano-statico grazie a forze naturali fino a poco tempo fa sconosciute. Al dagherrotipo segue la fotografia, e la prima è già bell’e dimenticata. Le macchine cuciono, lavorano a maglia, ricamano, intagliano, dipingono, penetrano in profondità nel terreno dell’arte, umiliando le umane capacità.[12]
Ovviamente noi oggi non troviamo nulla di umiliante nel trasferire alle macchine capacità, abilità, e neppure competenze ed esperienze umana; ma certamente per l’uomo dell’Ottocento, quando ancora prosperava la manifattura e l’artigianato, le conseguenze della produzione industriale e delle sue tecnologie infliggevano colpi improvvisi e profondi alle sue sensibilità ben radicate.
Invece dell’abituale autenticità e originalità irrompevano nel suo mondo il camuffamento dei materiali e le simulazioni delle abilità: ecco i contenuti concreti di una estetica della derisione.
- La pratica artistica si affanna inutilmente per dominare la propria materia, soprattutto sul piano estetico. Essa sembra disponibile per qualsiasi uso, senza che uno stile abbia potuto sedimentarsi grazie ad un uso plurisecolare da parte della collettività. I primi fondatori di un'arte fiorente ricevevano la loro materia già manipolata, dall’istinto popolare, in modo simile a quello delle api; sublimavano il significato di un motivo naturale e lo elaboravano secondo una forma plastica, le loro creazioni portavano perciò impressi in sé i marchi della severa necessità e, allo stesso tempo, della libertà creativa: diventavano così l’espressione, comprensibile a tutti, di una vera idea di cultura in esse riflessa finché di loro rimarrà traccia e notizia. Ora invece, in mezzo a questa ricchezza di acquisizioni, ci sentiamo sperduti, simili al navigante, che senza mappa, piombo e bussola è sospinto per rotte sconosciute. Infatti, in tutta la massa di scritti sull’arte e di indicazioni tecniche, sulle quali poi torneremo, manca ancora una ereutica [13] pratica, che indichi gli scogli e le secche da evitare e che dia precisi punti di riferimento.[14]
Abbiamo già visto come la preoccupazione dell’industria mercantile di mancare di un proprio stile sia sorta quasi immediatamente e si sia data il compito di procurarsene uno tutto suo, adeguato alla sostanza proteiforme della merce; e visto anche come le prime Esposizioni Universali siano state dei laboratori per confrontare i traguardi estetici delle varie unità produttive nazionali.
Raggiunto l’apice della produzione e consumati gli spettacoli mondiali della prima guerra imperialista e della prima rivoluzione comunista, l'idiozia e l’ottusità della compiaciuta borghesia ottocentesca solo nei primi decenni del 900, e segnatamente nella riflessione dell’austriaco Hermann Broch, troverà finalmente, appunto nella parola “kitsch”, la sua formula estetica definitiva.
- L'antitesi estrema del lavoro di qualità artisticamente elevato – ovvero la spazzatura di massa, insipida o Kitsch, è qualsiasi cosa che non si preoccupa dei requisiti etici, logici o estetici, indifferente nel commettere crimini e delitti contro la materia, contro la tecnologia, contro lo scopo e forma d'arte – richiede solo una cosa: quella che l'oggetto deve essere economico e allo stesso tempo dare almeno l'apparenza di un valore più elevato. In ogni tempo ci sono state differenze di qualità nell'artigianato, in ogni tempo sono stati prodotti oggetti del tutto scadenti e riprovevoli sotto ogni aspetto, ma mai prima d'ora su una scala tale come è diventato possibile solo dopo lo sviluppo delle singole grandi industrie. Comprendiamo quindi il giudizio di Gleichen-Russwurms [15] sul “brillare dei poveri prodotti industriali del XIX° secolo" o le frasi un po' succinte di R. Schaukal [16]: "L'industria ha strangolato la cultura", oppure "L'industria crea costantemente la spazzatura in cui il mondo borghese si dimena comodamente e inutilmente"; in questa generaliz-zazione tali tesi sono un po' audaci, ma anche il più grande amico dell'industria, e soprattutto costui, non negheranno che la sovrapproduzione di kitsch è un deplorevole effetto collaterale, il triste lato oscuro del grande boom industriale del XIX secolo.[17]
Così scrive Edmund Pazaurek nel 1912, giusto all’inizio di un capitolo dedicato al Kitsch dell’arte industriale (leggilo nella nostra traduzione).
Qualche anno prima, come direttore del museo dell’industria di Stoccarda, Pazaurek aveva fatto allestire una esposizione a cui aveva dato il nome di Aberrazioni del gusto nell’arte industriale.
Giustapponendo esempi e controesempi – come accadeva dal 1852 nelle mostre delle Esposizioni Universali – la mostra aveva lo scopo di educare al buongusto e di avere un effetto formativo ed educativo del settore industriale. Ma proprio per risultare più chiara la dimostrazione i controesempi del gusto venivano mostrati del tutto separatamente, e raccolti secondo la tipologia del loro “peccato” contro il buon gusto.
- Ma se si tratta di un lavoro serio, di educazione artistica, allora non solo bisognerà raccogliere i cattivi gusti di ogni genere, ma bisognerà anche sistematizzarli secondo certi principi uniformi il più chiari possibile. Una divisione generale, ad esempio in base al tipo di ambienti che si desidera influenzare, in "kitsch dalla prima alla terza classe" non è affatto sufficiente, per quanto sarebbe allettante separare le aberrazioni completamente grossolane da quelle che solo coloro che sono già esteticamente più sofisticati possono percepire. Ci si può solo aspettare un effetto veramente duraturo, una collaborazione intellettuale indipendente da parte del visitatore che pensa alle suggestioni, se viene anche spiegato perché si ritiene questo o quell'oggetto esteticamente difettoso. Per questo motivo ho fondato il dipartimento delle aberrazioni del gusto nel Reale-Landesgewerbemuseum di Stoccarda, che è stato inaugurato l'11 febbraio 1909 e da allora è stato costantemente arricchito, secondo un sistema tripartito, che vogliamo seguire anche qui in generale. Ci sono le violazioni contro il materiale, contro la costruzione (e la tecnologia) e contro i gioielli. Come vedremo in seguito, questi requisiti di corretta scelta e trattamento dei materiali coincidono con requisiti etici, la costruzione appropriata con quelli logici e la gioielleria appropriata con requisiti estetici (nel senso più stretto del termine). Se tutti studiassimo nel dettaglio gli innumerevoli delitti gravi e anche i reati minori contro il buon gusto che tendono a verificarsi nelle tre direzioni, ci risulterà relativamente facile evitare alcune insidie e dare una spina dorsale più salda agli instabili giudizi di gusto.[18]
Nondimeno, dopo qualche decennio di dibattiti sociologici sui caratteri della cultura di massa gravata dalla nozione di Kitsch, questa parola, che è soprattutto un giudizio e una sentenza [19], sul finire degli anni 70 del secolo scorso perde corso e viene ritirata dalla circolazione delle idee per essere abbandonata alla circolazione dei fatti.
Tuttavia a noi sembra che questa parola, Kitsch, una volta depurata da ogni giudizio di valore, ha tutti i requisiti per connotare uno stile nucleare e fondativo dell’intera produzione artistica “moderna e attuale” – per quanto adombrato dietro l’infinita possibilità di variare la forma con la quale si manifesta per occupare, anche spazialmente, il proprio posto tra gli oggetti della cultura del periodo.
Ma la nozione di Kitsch meriterebbe di essere trattata a parte e svolta in forma più estesa ed esauriente.
Tuttavia, per fissare e orientare il lavoro da svolgere per questa proposta, preferiamo anticipare il senso in cui intendiamo la nozione di Kitsch come “stile”, prendendo in considerazione alcune osservazioni svolte al proposito da Hermann Broch durante una conferenza tenuta alla Università di Yale agli studenti del seminario di germanistica, e non certamente destinata alla pubblicazione.[20]
Il Kitsch, dice Broch, « non è affatto arte ‘deteriore’; esso forma un proprio sistema conchiuso in se stesso che si inserisce come un corpo estraneo nel sistema globale dell’arte, oppure, se preferite che si colloca accanto ad esso »[21]. E intanto questa sua precisazione ci consente di emancipare la nozione di kitsch dai limiti ristretti dall’uso comune del termine come “cattivo gusto”, per considerarlo più estesamente, senza giudizi di valore morale o etico, appunto come un “sistema”.
Vedremo a parte che tipo di sistema sia, per il momento – ignorando gli elementi religiosi e morali che Broch introduce nel discuterne – lo seguiamo nella sua descrizione dei due sistemi proposti: il sistema (globale) dell’arte, e il sistema del kitsch che al primo si giustappone, o affianca.
- Ogni sistema di valori, se aggredito dall’esterno nella sua autonomia, può venire stravolto e corrotto … Più pericoloso ancora di queste insidie esterne è però il nemico interno: ogni sistema è dialetticamente capace, anzi è addirittura costretto a sviluppare il proprio anti-sistema, fatto questo tanto più grave in quanto, ad un primo sguardo, sistema e anti-sistema si assomigliano in tutto e per tutto ed è difficilissimo accorgersi che il primo è aperto ed il secondo chiuso. [22]
Ecco. Sempre per il momento abbiamo due sistemi autonomi che si differenziano tra loro per essere uno aperto e l’altro chiuso.
Vediamo dunque come Broch caratterizza questi contrastanti sistemi a partire dall’apertura e dalla chiusura dell’uno e dell’altro.
- Un sistema aperto … fornisce all’uomo le indicazioni necessarie perché egli possa comportarsi da uomo; un sistema chiuso invece abbassa le sue norme (pur ricoprendole a volte, con lo smalto dell’eticità) al livello di semplici regole di gioco, e cioè trasforma quella parte della vita umana che controlla in un gioco valutabile non come un fatto etico ma soltanto come un fatto estetico. È un giro concettuale tutt’altro che semplice … ma può diventare più chiaro se tenete presente che un giocatore si comporta eticamente bene solo se conosce a fondo le regole del proprio gioco e se agisce attenendosi esclusivamente ad esse; tutto il resto, ed anche ciò che può accadergli a un passo di distanza, non deve interessarlo, sicché, eseguendo la sua parte, egli può anche lasciar tranquillamente affogare un uomo al suo fianco. Costui è prigioniero di un sistema che simbolizza semplici convenzioni, e anche se questi simboli sono fatti a immagine e somiglianza di eventuali realtà effettive, il sistema rimane in effetti un sistema di imitazione… Un sistema di imitazione è anche quello del Kitsch. Esso può somigliare in tutto e per tutto al sistema dell’arte … Il carattere imitativo è tuttavia destinato a trasparire … il ‘Sistema-Kitsch’ pone ai suoi adepti l’imperativo: «fa’ un bel lavoro», mentre il ‘Sistema Arte’ pone al suo vertice l’imperativo etico: «fa’ un buon lavoro».[23]
[…] La convenzione originaria su cui riposa un vivere siffatto [una vita ispirata al Kitsch] è quella dell’esaltazione poiché esso tenta di unire cielo e terra in un rapporto assolutamente falso.
Qual è il tipo d’opera d’arte o meglio di artificio in cui il Kitsch tende a trasformare la vita umana? La risposta è semplice: nell’opera d’arte nevrotica. In un’opera che impone alla realtà una convenzione completamente irreale imprigionandola in un falso schema.[24]
Tolti a questo quadro gli accenti etici o morali del tutto personali, possiamo dire di non aver più a che fare con “sistemi di valori” ma con – diciamo così – “sistemi morfologici”, storicamente determinati, che improntano la produzione artistica prevalente di un dato periodo con i loro caratteri specifici.
Con questo giro di parole stiamo cercando in allargare la nozione valoriale del Kitsch per poterla avvicinare alla classica nozione intuitiva di “stile” artistico. Staremo a vedere se poi il nostro tentativo reggerà alla descrittibilità che ne faremo a parte, ma intanto facciamo notare che già Broch introduce senz’altro certi caratteri che ci aiuteranno a capire e descrivere meglio la possibilità reale di questo nostro fantomatico “stile (artistico)”, che sarebbe valido – per quanto possono esserlo anche i precedenti stili storici – per l’intero periodo che va dall’epoca della rivoluzione industriale dell’Ottocento ad oggi.
Provvisoriamente possiamo già contare su alcuni “caratteri” essenziali di questo “stile” che, desunti dalla fenomenologia del Kitsch di Broch, possiamo riepilogare così: uno stile “chiuso”, antisistemico e tuttavia rigidamente conformista, ludico, estetico, imitativo, esaltato, falsificante, nevrotico – e quest’ultimo carattere attribuito da Broch all’opera d’arte “di cattivo gusto” (o kitsch) ci sembra abbastanza analogo alla “alienazione” di Marx.
William Morris 1859, motivo decorativo nella Casa Rossa, Kent (arch. Philip Webb)
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[1] . Lev Trotsky, Cultura e arte proletaria, in Letteratura e rivoluzione, URSS 1923; it. da Letteratura arte libertà, ed. Schwarz, Torino 1958, pag. 73.
[2] . K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 – in Opere filosofiche giovanili, a cura di Galvano della Volpe, Editori Riuniti, Roma 1969, pag 199.
[3] . Louis-René Nougier, L’arte della preistoria, ed. TEA, Torino 1994, p.16.
[4] . Engels, Parte avuta dal lavoro nella trasformazione della scimmia nell’uomo (1875), in Marx-Engels, sull’arte e la letteratura, ed. Universale Economica, Milano 1954, p. 8.
[5] . (A. Bordiga), Dal mito originario alla scienza unificata del domani, nella rivista n+1, n. 15-16, 2004, pag. 109 e seg.
[6] . Dal mito originario…, cit. - [Nella relazione di quella riunione a Firenze ci sarebbe riflettere sul ruolo che Amadeo assegna all’intuizione, alla “conoscenza affettiva” … Ci sarebbe materia per un paragrafo a parte…]
[7] . Intanto notiamo come lo stile si attribuisce subito a un individuo o a un gruppo di artisti ma non, ad esempio, all’arte di un popolo, e possiamo comprendere che qui prevalgono criteri occidentali recenti.
[8] . Solo più recentemente il digitale inizierà a immaginare sé stesso così intelligente e potente da riprodursi per vivere e agire autonomamente… proprio “come” le specie organiche dotate di capacità metaboliche – ma questo “come” rivelerebbe facilmente chi dà voce a questa sua illusione e alle sue gustose messe in scene.
[9] . Vedi qui Figura e didascalia in pag. 3 successiva.
[10] . Da Riegl, “volontà d’arte”, gusto…
[11] . Riportato in Wolfgang Herrmann, Gottfried Semper – Architettura e teoria, cit., Electa, Milano 1990, pag. 257 seg..
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[12] . Gottfried Semper, 1855-59, manoscritti della prefazione a Theorie des Formell-Schönen, Cfr. in nømade n.20, pag. 77, o qui nel sito.
[13] . Non siamo riusciti a trovare una definizione che spieghi in cosa consista questa "Eureutica", ma crediamo plausibile trattarsi di uno studio storico delle modalità pratiche che hanno portato a trovare invenzioni, scoperte e perfezionamenti tecnici.
[14] . G. Semper, cit., manoscritti Theorie des Formell-Schönen, Cfr. in nømade n.20, pag. 78.
[15] . Alexander von Gleichen-Russwurm, Sieg der Freude (Vittoria di gioia. Un'estetica della vita pratica. 1909), S. 264.
[16] . Richard von Schaukal, Vom Geschmack (Sul Gusto), Stoccarda 1906, S. 65ff.
[17] . Gustav Edmund Pazaurek, Guter und schlechter Geschmack im Kunstgewerbe (Buono e cattivo gusto nelle arti), Stuttgart 1912, pag. 349.
[18] . Ibidem, pag. 14 seg..
[19] . Come d'altronde, in origine, lo erano state parole quali Manierismo, Barocco, Impressionismo o Astrattismo.
[20] . In Hermann Broch, Poesia e conoscenza, Lerici editori, Milano 1965, volume I, pag. 375 segg.
[21] . Ibidem, pag. 388.
[22] . Ibidem, pag. 388; corsivi nostri.
[23] . Ibidem, pgg. 388, 389.
[24] . Ibidem, pgg. 390.
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