L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI |
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Tracce di Lavoro comune . 2019
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QUESTIONI DI STILE . 3 L’oggetto d'arte e la sua riconoscibilità . 2
Per comprendere lo sviluppo delle forme sociali e il grado di progresso raggiunto, spesso diciamo che bisogna vedere se una determinata forma ha raggiunto almeno il livello della precedente, e solo rispetto a questo possiamo valutare se una nuova forma rappresenta un reale progresso rispetto alle precedenti. Così, pure per valutare una singola opera d’arte dovremmo quantomeno cercare di inserirla lungo una individuata linea di sviluppo e trovargli qui il posto che gli compete – senza far confusione tra valori artistici e valori tecnici (così come non dovremmo farne, ad esempio, tra ciò che un movimento sociale dice di se stesso e ciò che concretamente fa).
E ponevamo la questione in questo modo: Proprio come Marx chiedeva se era possibile concepire Achille accanto alla polvere da sparo o l’Iliade assieme alla macchina tipografica, noi oggi dobbiamo chiederci come sia possibile il dipinto di un cesto di frutta avendo la macchina fotografica, o la tela dipinta a olio di una crocifissione disponendo del cinema, della televisione o del video digitale. Con la fotografia e il cinema non scompaiono inevitabilmente le necessità di rappresentare, disegnare o dipingere una parte della natura o un evento? Non scompare la magnificenza e sacralità del dipinto e del dipingere? Non scompaiono tutte le sfide tecniche affrontate in precedenza? Non scompare l’intero ambiente fisico con tutte le condizioni che hanno reso necessario il sorgere e consentito lo sviluppo della pittura stessa? Illusioni e illusionisti Ma a scomparire non sono solo le forme con cui finora si era presentata l’arte visiva; scompaiono anche le illusioni che la borghesia si era fatta sul suo mondo.
Dunque, il nostro filosofo constata che “il mondo dell’arte era pronto ad accogliere”, che nessuno solleva questioni… e parte in cerca del sostegno di una stampella filosofica per far poggiare meglio questo enigmatico “pronto consenso” del mondo. Il quadro della situazione La crisi dell’oggetto e del soggetto artistico potrà continuare ancora a rappresentare un dilemma per il pensiero ideologico della borghesia; se però la vedessimo alla luce della nostra teoria, là dove ci dice che il “modo di produzione capitalistico trasforma ogni cosa in merce”, e connettessimo questo suo carattere con le componenti del feticcio e dell’alienazione…, ecco spiegarsi in grandi linee quale è stato il processo “reale” che ha trascinato l’oggetto artistico tradizionale in un mondo dove ogni cosa si equivale e prende il suo unico valore solo dal mercato e non più da sé stessa.
Partita coi materialisti francesi del settecento, che raccolsero il corpo delle Arti triangolandolo con le Scienze e i Mestieri, la borghesia ha dovuto, prima e ben presto, rinnegare quei suoi esordi rivoluzionari e far poi tutto il possibile per dividere e mantenere separate e statiche tutte le cose che componevano il suo mondo.
Alla metà degli anni 50 il paradigma era dunque che «oggetto del lavoro artistico non è il concetto in sé»; ed invece ecco che alla metà degli anni 60 si afferma l’arte concettuale, che appunto fa del concetto l’oggetto esclusivo del proprio lavoro artistico – che possiamo vederla manifestarsi esemplarmente da Joseph Kossuth.
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Eccomi qui: ve l’ho fatta!
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Joseph Kosuth, la serie delle “Art as idea as idea” del 1968
“ Lo so fare anch'io ” Qualcuno ha notato che il modo spontaneo di dipingere da parte dei pittori dilettati moderni ha i caratteri della pittura impressionista; ed è fuor di dubbio che in questa pittura si è espressa la componente “democratica” della borghesia moderna: il colore già miscelato nei tubetti dall’industria, pennelli, tele, materiali plastici già tutti pronti all’uso; ed ha creato anche un pubblico di massa ben disposto non solo verso l’immagine, ma anche a partecipare alla formazione dell’immagine, oltre che a negarla, rinnegarla e distruggerla – c’è un doppio legame che imprigiona tutti tra iconofilia e iconoclastia… e anche questo è un anello della catena che la rivoluzione spezzerà. LUI – Lasciamo perdere la merda d'artista, ma un quadro di Pollock lo so fare anche io. Non sono un artista, non sono Pollock, non riuscirò a vendere una mia tela a 1 milione di dollari, però un quadro di Pollock lo so fare anche io. Ora, il semplice fatto – per altro discutibile – che tutti oggi sappiano fare un quadro informale vi apparirebbe ancora una cosa da poco se la mettessimo a confronto con l’alfabetizzazione di massa avviata necessariamente dall’industrializzazione? Proviamo tuttavia a dar corso alla sfida proposta di riprodurre un quadro di Pollock.
E quella vostra svalutazione iniziale della pittura vi si rivela adesso come una reale svalutazione di voi stessi.
Con ogni evidenza è una “attitudine” del tutto equivalente a quella che si attua comunemente, con meno dispendio o sperpero di energia e a beneficio di tutti, ogni volta che si mette o si condivide un post di immagine nei social network; con la differenza, infinitamente superiore, che quest’ultima attività se ne frega delle credenziali rilasciate da autorevoli e stimati istituzioni pubbliche o private dell’arte e dalla sua filosofante lobby.
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In alto: Elaine Sturtevant, Leone d’oro alla carriera della 54 Biennale d’arte di Venezia del 2011, davanti una sua opera dal titolo Eccomi qui: ve l’ho fatta! , un remake Handy Warhol del 1964 + 40 = 2004
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Piero Manzoni 1961, l'artista che produce i suoi propri escrementi come
capolavori del XX secolo |
Mike Bidlo 1983, Not Pollock (n. 5 1948). L’artista che riproduce fedelmente capolavori del XX secolo | ||||||||
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[50] . Vedi nømade n°14, ottobre 2017, pgg. 51-54, o anche nella corrispettiva pagina web del sito di Forniture Critiche. qui linkata.
[51] . Sarà poi negli anni ’50 che certi “atti mancati” (rimossi) dell’arte si ripresenteranno sulla scena dell’arte non meno che al ri-pensamento estetico; e ad iniziare da questa loro seconda volta, al pari dell’atto mancato freudiano, sembrano prendere un corpo stabile nell’analisi critica e nell’immaginario sociale… [52] . Arthur C. Danto, La trasfigurazione del banale - Una filosofia dell’arte (The Trasfiguration of the Commonplace. A Philosophy of Art), Harvard University Press, Cambridge (Mass.) London 1981; ed. It. Gius. Laterza & Figli, prima edizione marzo 2008 (ed. italiana 27 anni di ritardo). [53] . Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach. 1886-1888, Ed. Riun. p. 59. [54] . Così in alcune possiamo leggere, ad esempio, come tra i “fondamenti” dell’arte moderna si argomenti sull’emancipazione del contenuto formale senza interrogarsi sulle condizioni reali e il processo materiale che ha portato a tale emancipazione, ecc. [Werner Hofman, I fondamenti dell’arte moderna (1987), Ed. Donzelli, Roma 1996]. [55] - Come abbiamo già ricordato in precedenza (cfr. nømade n°14, 2017, pgg.55 sgg.) tra il 1861 e il 1863 Marx fissava i termini economici della produzione non materiale in questi termini: “Nella produzione non materiale, anche quando è esercitata unicamente per lo scambio, cioè quando produce merci, sono possibili due casi: 1) Essa ha per risultato merci, valori d’uso, che possiedono una forma indipendente, distinta dal produttore e dal consumatore; che quindi possono consistere in un intervallo fra produzione e consumo, possono circolare come merci vendibili in quest’intervallo, come nel caso dei libri, dei quadri, in breve di tutti i prodotti artistici che hanno una esistenza distinta dalla prestazione dell’artista che li eseguisce. In questo caso, la produzione capitalistica non può trovare che un’applicazione molto limitata. In quanto, per esempio, uno scrittore sfrutta per un’opera comune – una enciclopedia per esempio – tutta una serie di collaboratori. Qui si resta per lo più alle forme di passaggio verso la produzione capitalistica: i diversi produttori scientifici o artistici, artigianali o [intellettuali], lavorano per un capitale compratore comune, l’editore. È un rapporto che non ha niente a che fare con il modo di produzione capitalistico propriamente detto e che anche formalmente non può ricondursi ad esso. Il fatto che in queste forme di transizione lo sfruttamento del lavoro sia intensificato al massimo, non cambia niente alla cosa. > |
2) La produzione non è divisibile dall’atto del produrre, come nel caso di tutti gli artisti esecutori, attori, insegnanti, medici, preti, ecc. Anche qui il modo di produzione capitalistico si attua in un ambito ristretto e non può aver luogo, per la natura delle cose, che in alcune sfere. Negli istituti di istruzione, per esempio, gli insegnanti possono essere semplici salariati dell’imprenditore dell’istituto, come è frequentemente il caso in Inghilterra. Benché rispetto agli alunni essi non siano lavoratori produttivi, lo sono rispetto al loro imprenditore. Questo scambia il suo capitale con la loro forza lavoro e si arricchisce mediante questo processo. Lo stesso si può dire per le imprese teatrali, i locali di divertimento, ecc. Per il pubblico è un artista, ma per il suo imprenditore è un lavoratore produttivo. Tutti questi fenomeno della produzione capitalistica in questo campo sono così insignificanti, paragonati all’insieme della produzione, che possono essere completamente trascurati... L’elemento caratteristico del modo di produzione capitalistico è appunto quello di separare e ripartire fra differenti persone i differenti lavori, intellettuali e manuali – o i lavori in cui prevale l’uno o l’altro aspetto; ciò che tuttavia non impedisce al prodotto materiale d’essere il prodotto comune di queste persone, o di oggettivare il loro prodotto comune in ricchezza materiale, e tanto meno impedisce che il prodotto di ognuna di queste singole persone sia, rispetto al capitale, quello di un operaio salariato, di un lavoratore produttivo nel senso eminente.”
K. Marx, Storia delle Teorie Economiche, I La teoria del plusvalore da William Petty a Adam Smith, ed. Einaudi, Torino 1954, pgg. 396-98. [56] . G. Lukacs, Prolegomeni a un’Estetica Marxista, editori Riuniti, Roma 1957, pag. 189. [57] - Lettera di Vincent a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79). [58] . Vedi qui nella pagina di fianco due opere esemplari di questi “appropiazionisti”, molto impropriamente definiti anche come “citazionisti”. [59] . Lucilla Meloni, Arte guarda Arte, ed. Postmedia, Milano 2013, p. 79. – Vedi anche in Wikipedia la voce “Appropriation (art)”.
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