Archivio (comunque indiziario) di Analisi del Periodo
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CONVERSAZIONE CON STELLA SANTACATTERINA . Tullio Catalano, Enrico Gallian, Maurizio Benveduti e Carmelo Romeo alla Galleria Speradisole durante l'allestimento della mostra CHIASMA . Nel catalogo della mostra del 1986 in via San Francesco di Sales, Roma .
- Stella Santacatterina - In questa mostra il concetto di "chiasma" è all'interno delle opere, elemento di riorganizzazione dello spazio e del tempo. Ipotesi di equilibrio-squilibrio intellettuale nella contraddittorietà dell'informazione anche sociale, segnale nascosto di ricerca per una stabilità individuale mai raggiungibile. In sintesi, potrei dire che si tratta di un incontro tra quattro artisti che stanno forse insieme, nella circostanza, per individualizzarsi? 
- Maurizio Benveduti - Diciamo di sì. E' un incontro dove si evidenzia innanzitutto la natura di ciascuno di noi. Infatti attraverso i nostri propri sistemi espressivi privilegiamo visibilmente il momento della nostra diversità iconografica al momento stabile, perciò della continuità ideale. 
- Stella S - Partendo dal concetto di diversità ci sono altri elementi rintracciabili all'interno?
- Carmelo Romeo - quantomeno la presenza di opere recenti e meno recenti di ciascuno dovrebbe almeno introdurre, ma anche confermare, il sospetto che non si tratta affatto di una collettiva ma della messa in scena di una argomentazione giocata su delle antitesi organizzate appunto su una forma espositiva chiasmatica. 
- Stella S - Indubbiamente sono presenti dinamiche di finzione critica, e anche nel vostro interno. A quale scopo? 
- Tullio Catalano - C'è l'urgenza di una verifica. Che a cose fatte risulta una sfida. Raccolta o lanciata. E per me si configura anche come doppia sfida, all'interno e all'esterno. 
- Romeo - Se ogni quadro è sempre un quadro della situazione, anche una mostra lo è, ma in una forma meno totalizzante, più dubitativa e inquieta. E questa mostra credo contenga anche la formulazione di un pensiero che riconosce nella fase attuale, soprattutto, una difficoltà ad assumere, almeno in arte, quella chiarezza di posizione unilaterale che ci si aspetterebbe quando si presume di partire dalle medesime premesse ideologiche. A cosa sia dovuta questa difficoltà è una questione ulteriore. Comunque esporre le forme di tale divaricazione ci è sembrato un buon motivo per fare una mostra, e questa mostra. 
- Stella S - Nella particolare posizionatura dei termini "giuridico / artistico / economico / estetico", con i quali avete individuato il chiasma, e che in qualche modo ognuno di voi si arroga, sembra di cogliere un bisogno di difesa, di autonomia creativa, pur nella reciproca aggregazione. Ma anche una pausa, un punto, terminale o iniziale, su cui soffermarsi...
- Benveduti - E' così. In questo specifico contesto mi sono appropriato del termine "giuridico" perché una mia opera, "La poesia assassinata", prende spunto dal fatto sociale, da un particolare dramma del quotidiano (il "tragico quotidiano", diceva Sartre): difatti si riferisce a Benjamin Moloise, il poeta nero dei ghetti di Soweto, giustiziato a Pretoria il 18 ottobre 1985. Ho riattraversato con i miei disegni (la mia poetica) - 9 disegni di diverso formato che vanno dal 1968 al 1986 - la poetica di Moloise, ho raccontato del potere che ha di nuovo prescritto la morte della poesia. Due piccoli specchi fanno parte del quadro: sono lo spazio per l'autoriflessione dello spettatore il quale ritrova sé stesso nell'opera, con il proprio essere, quindi con la sua unicità. 
- Stella S - Il tuo apporto artistico consiste dunque anche nella possibilità di fare della riflessione sulla cronaca una questione morale? 
- Benveduti - Partendo dal dato di fatto giuridico, che è il primo elemento che si coglie, la cronaca acquista una ulteriore dimensione: quella linguistica e quella estetica. D'altronde i termini convenzionali prima citati del chiasma fanno parte della struttura sociale che li contiene in modo intrecciato. 
- Stella S - Mi interesserebbe approfondire il differenziato impiego delle "grane" artistiche. E in genere il dato minimale e riduttivo nella percezione amplifica la cumulazione qualitativa...Per esempio nelle opere di Gallian si assottigliano i rapporti tra segno e materia, tra materia e supporto. 
- Enrico Gallian - Difatti, per quanto mi riguarda, partire dalla carta per esempio significa  -come scriveva tempo fa un mio carissimo amico e, perché no, maestro - ogni volta ripropormi una metodologia creativa imposta dal tipo di materia che uso; dai valori di spessore, di robustezza, di delicatezza, di assorbimento, di trasparenza, di ruvidezza, di luminosità, di scorrevolezza, di resistenza, di fragilità, di compattezza, di elasticità. Un segno, una tempera, un acquarello, una litografia, una serigrafia hanno modi di esecuzione e di realizzazione legati alla carta usata ed il loro essere forma e poesia dipende fondamentalmente dalla scelta fatta dall'artista. Ed è forse ancora da scrivere una storia dell'arte che parta dal materiale per arrivare all'opera creativa: forse una storia dell'arte della carta. 
- Catalano - ...ma "materia" per me è anche la citazione... 
- Benveduti - ...tutto ciò che vediamo e sentiamo appartiene alla storia: al mondo delle idee e della materia. Per questo l'opera d'arte è anche citazione. Essa è necessariamente storia delle idee e della materia che aggrega visibilmente la memoria del passato, l'interpretazione del presente, la discussione sul futuro.
- Stella S -  Anche nelle opere di Carmelo la materia sembra assumere una importanza diversamente egemone, e con altre connotazioni.
- Romeo - Bisogna distinguere tra "materiali" e "materia in quanto tale". I "materiali" sono una famiglia umanizzata con delle ambizioni. Se invece consideri che, ad esempio, i due pezzi in ferro e cera, uno del '74 e l'altro dell'85, li ho avvicinati in omaggio alla foto di Man Ray "primato della materia sullo spirito", possono anche apparire chiari gli intenti programmatici dai quali muovo e procedo. Inoltre aggiungerei che occorre includere anche l'intera gamma dei nessi sociali nel concetto di materia, che così esteso diviene del tutto tangibile anche nella genericità con la quale lo stiamo trattando. 
- Stella S -  Difatti nel lavoro cui ti riferivi, quello sulla "Proprietà Privata" (del '71), ma anche il ciclo di "Progetto di alimentazione" (del '73), sembra che i dati che ti interessano sono soprattutto quelli connessi a quel tipo di "materia", quella più irriducibile, quella che rimane alla base dei rapporti sociali. Ma nelle due opere in tela e cera, quelle per intenderci intitolate "Chiasma dell'occhio verticale", sembra esservi un diverso modo di porre tutto questo. La densità della materia ritengo sia riposta nel nero, mentre la morbida e duttile rozzezza delle cornici di cera assottiglia il trauma tra materia reale e materia rappresentata, rendendo come labile la definizione del campo pittorico dal quale la materia dei segni potrebbe facilmente straripare...diventano argini aleatori. 
- Romeo - In ogni caso la preoccupazione è sempre la stessa: quella di operare delle integrazioni, nell'opera d'arte, delle circostanze materiali che la determinano, anche di volta in volta. Bisogna riprendere per la coda l'arte che volpescamente vorrebbe sgusciare nello spazio mistico delle trascendenze tanto scientifiche che psicologiche. Solo che nel campo della pittura si aggiungono intenzioni ulteriori, che poi necessariamente sono anche quelle certamente non trascurabili della pittura medesima. 
- Stella S - Insomma sembri assegnare valori complessi alla nozione di "materia".
- Romeo - Una complessità che attraverso passaggi dialettici porta, per così dire, la materiale stessa sul terreno sociale e politico, fino a riconoscere che la sua forma più sviluppata è raggiunta quando assume la connotazione di "proprietà privata"; e ancora, che la forma più sottile del rapportarsi con le sue particolari connotazioni, i legami più affinati e forti, atomici addirittura, sono quelli stabiliti dalle "messe in vendita". In breve ritengo tutto questo l'iconografia e l'iconologia più conseguente dell'epoca capitalistica. Allora, appunto, se abbiamo l'opera d'arte come proprietà privata dobbiamo riconoscere anche la proprietà privata come opera d'arte - ecco un chiasma linguistico. Le operazioni di integrazione devono recuperare soprattutto la variabile arbitraria, quella che il processo idealistico di derivazione ha negletto e rimosso perché non riusciva ad assottigliare fino alla scomparsa totale. Variabile pesante che magari poi è la base, il sesso, il ricambio organico, la pancia non metaforica. 
- Stella S - Risulterebbe, cioè, che alla fine l'atto più segretamente vergognoso, più riprovevole, è il consumo? 
- Romeo - È qualcosa di più che vergognoso, perché è connesso con le antinomie di consumo privato e produzione sociale, ossia produzione sociale e appropriazione privata. Si può arrivare a quella scena de "Il fantasma della libertà" di Buñuel dove si defecava in pubblico e si mangiava in privato. Così si produce disconoscendone i presupposti. Allora bisogna diffidare delle culture frugali. La giustificazione ideale della ricchezza è nell'astinenza e nel sacrificio. 
- Stella S - È fuori dubbio che ci troviamo nella categorie dell'economico. 
- Romeo - Puoi anche dire dell'economia politica. E poiché la ritengo il codice dei codici sia ben chiaro che sempre di arte stiamo parlando, perché siamo alla radice stessa dei linguaggi e dell'immaginario. 
- Stella S - Le questioni sembra che si addensino quasi per prendere corpo... e forse il corpo di una teoria dell'arte. Invece io vorrei soffermarmi sulla pittura di Gallian, dove la predominante bianca si lascia appena sfiorare, quasi delicatamente graffiare dalla traccia ultimativa dei segni che emergono appena, come una scrittura dove il bianco è una "macchia" che chiude ed apre delle voragini.
- Romeo - Hai detto bene: delle voragini. Allora neppure il bianco si sottrae alla legge di gravità. Perché non si tratta di voragini psicologiche. In altra occasione ha sostenuto che, dal punto di vista della storia dell'arte, il "monocromo" rappresenta e tiene ferma - secondo una linea che va da Malevic a Rheinardt a Klein, fino a Manzoni e Lo Savio - una fondamentale guglia catastrofica dopo la quale si verificano brusche modificazioni1. E infatti oltre questo punto si è trapassati in una fase caratterizzata dalla indifferenza a ripartire, in arte o in architettura, tanto dal 500 come dal 900... e al posto della critica è spuntata l'esegesi. 
Stella S - Comunque, ripescando all'interno dei termini che formano il chiasma da voi proposto, vorrei assegnare a Gallian quello "artistico", perché avverto stabilisca una predilezione per questa categoria. Se confermi, cosa c'è dietro questa predilezione? 
- Gallian - Ho scelto l'artistico perché ho voluto giocare  fare l'artista capace di penetrare l'invisibilità intrinseca delle cose esteriori fino a far diventare quella stessa invisibilità cosa, non mera coscienza di un limite, ma cosa che si può vedere e far vedere. Perché ho voluto trattare di una pittura che rifiuta gli accidenti e si muove in profondità, verso l'oggetto, la sostanza, la cosa nascosta nella cosa, perché la interpreto come operazione riduttiva, come uno svelamento senza fine, velo dopo velo, piano dopo piano di trasparenze imperfette, svelamento verso ciò che non si può svelare, il nulla, la cosa. 
- Stella S - Nel tuo "bianco" è rintracciabile, a mio parere, un concetto di "opera aperta" proprio perché racchiude il nero; e i piccoli frammenti di colore che diventano segno soltanto con la messa a fuoco dell'estinzione della potenziale e variegata massa cromatica, al punto che la superficie si carica, così impregnata, di tensioni interamente esposte alla più sottile e capillare osservazione fortemente sensitiva, ma giocata sotto la pelle della visività. La dominante bianca, stratificata da inesauribili toni segreti, mai scoperti alla lettura finale, rimanda ad un linguaggio non addomesticabile. 
- Gallian - Non addomesticabile, certo. Tanto è vero che chi guarda a volte si lamenta che questo "bianco" non è dipinto bene. Ma per l'esattezza non è affatto dipinto. Non è fatto per essere letto, decifrato, addomesticato, o meglio non è fatto soltanto per essere letto. Deve essere guardato e ascoltato e toccato. Non è dipinto intorno a una cosa, è la cosa stessa. Questo bianco che trovano in fondo tanto "oscuro" vuole essere un estratto quintessenziale di linguaggio, pittura e gesto, con tutta l'inevitabile chiarezza della vecchia articolazione, cara vecchia pittura. In esso c'è la selvaggia economia dei geroglifici della pittura zen. Qui i segni non sono le educate contorsioni del pittore del XX secolo. Sono vivi. 
- Stella S - Mi sembra, Catalano, che tu tempo fa avevi fatto proprio una mostra intitolata "Note sulla pagina bianca di Mallarmè". 
- Catalano - Diciamo che quel ciclo si collega - come quasi tutti quelli successivi - alla nozione marginale di "citazione "come criticità tout court, dove in quel caso però si azzerava non la forma e la ricerca iconologica, ma il supporto fondante, il suo contenuto di nuovo addomesticato, sulla soglia del suo inevitabile scadimento interpretativo, alla vigilia dell'ambiguo crinale della pre-confezione dello stile. 
- Stella S - Da un lato mi pare di capire che il rapporto pressoché conflittuale tra prassi artistica e procedimenti critici assume per te una importanza centrale. Sembra che il tuo fare arte non rappresenti altro che una prosecuzione della critica, fatta con altri mezzi. D'altra parte guardando il tuo lavoro si nota una ricercatezza formale nell'ambito del linguaggio pittorico che rimanda all'estrema contemporaneità, intendo alla scarto perfettibile della evoluzione degli "-ismi". 
- Catalano - Hai ragione. Il mio modo di fare "pittura" nasce da un atteggiamento critico nei confronti del vizio assurdo e continuato dell'arte e dell'inspiegabile cattivo odore dell'ideologia, quand'anche dell'ideologia della pittura, ultima spiaggia eidetica della critica stessa. È il resto esistenziale di un vissuto che non torna mai, sin sulla soglia limite del suo progressivo rigetto preventivo. In sostanza, quello che mi interessa è il rapporto inevitabile e anche polemico tra distorsione autogenerativa e necessaria dell'arte, e quella omologa - su piani certamente diversi - della critica. Intese tuttavia entrambi immanenze interagenti, esclusive superstizioni sociali. Si tratta quindi ora di fare critica, e cioè ideologia, finalmente con la pittura. Ma la spiegazione, in arte, allontana la dimostrazione. 
- Stella S - In questo modo sottintendi una inadempienza attuale della critica d'arte dai suoi compiti, e fino a che punto evasi? 
- Catalano - Senza drammatizzare, questa insufficienza in parte è operativa, in parte istituzionale. Il punto, la scommessa in atto, è tutta sulla correzione di rotta delle metodologie correttamente disponibili dell'attitudine e concezione datata dell'idea di criticismo, nella sua parabola estensiva: dalla critica bon ton al gioco delle tre carte e muro contro muro. Ovvero della assunzione della menzogna nobilitante dell'arte - almeno da Shakespeare a Picasso - a quello analogo, più recente, garantista e intrigante, dei soliti ignoti della "claque" critica prestabilita. 
- Stella S - Torniamo alle opere. Pensavo ad un disegno di Benveduti affiancato da un'altra opera. Certamente l'accostamento non è casuale. Si tratta di un disegno dell'85, una donna-architettura il cui corpo è studiato affidandosi alla sola analisi antropomorfica, al di là e al di qua del quale resta una traccia intrigante dell'individualismo, nozione presente anche nell'altra immagine, incorniciata due volte con due vetri, e che consiste in una stampa borghese di fine secolo che mostra una donna bianca accudita da un'altra donna nera. A china, sui vetri, sono rappresentati due sistemi di lettura: uno lungo l'asse che tu chiami della tradizione, l'atro sull'asse cosiddetto della natura. Due sistemi di approccio al tema che, come dicevamo, "non sfuggono all'individualismo inteso come causa dell'anomia". Gli elementi caratterizzanti di influenza culturale che emergono da queste due opere , ritengo siano la predominanza del significato, dove appunto non si privilegia la citazione pittorica come termine dell'espressività, e anche una preminenza del disegno. Sbaglio? 
- Benveduti - Certamente il significato delle opere rimane molto importante. Proprio per questo non mi pongo limiti nella citazione del quotidiano, e in questo senso non privilegio la citazione pittorica ma il disegno come tale. Comunque il problema principale per me non è disegnare un aeroplano, ma perché disegnarlo. 
- Catalano - Cioè il problema non si riduce solo alla forma, ma si soppesa sulla sua durata, urta sulla sua pretesa risoluzione finale, sul suo perché.
- Stella S - Sarei curiosa di sentire qualcosa su un teme che in qualche modo si è insinuato, quello della figura umana.
- Romeo - Con questo argomento si rischia di sfondare delle porte aperte. Ma forse Duchamp con le sue porte suggerisce anche di diffidare di quelle aperte, cioè degli argomenti superati: prima o poi cercheranno di prendersi delle rivincite. Allora si può dire che la possibilità di rappresentare la figura umana nella sua accezione più completa, ritengo sia andata dissolvendosi, forse con, ma certamente dopo, il Neoclassicismo. E non è un caso che in tale periodo le espressioni più alte in arte siano state raggiunte nella funeraria. Il motivo della figura umana probabilmente deve ritenersi legato a certe epoche storiche, superate le quali si spegne forse definitivamente, subendo la medesima sorte di altre forme e generi espressivi quali la tragedia greca o il poema cavalleresco, anche esse determinate, in ultima istanza, sulla base di condizioni storiche e sociali del tutto particolari. 
- Stella S - Che questo esaurirsi della possibilità di rappresentare il corpo mano sia stata anche opera della parcellizzazione generalizzata avviata e portata a compimento dal modo di produzione capitalistico, dallo sganciamento del particolare, dal subentrare delle maschere e del fittizio, è una interpretazione che Benveduti potrebbe anche condividere. E il suo ricorso al motivo della morte - persino violenta - si colloca perfettamente in questa visione. Inoltre il disegno rimanda più all'idea, quindi è già una scorporazione. Le cose, poi, sembrano spingersi oltre. Con Catalano vi è anche l'impossibilità di rappresentare qualcosa che non sia la forma del fluire stesso della pittura, che ha mandato a mente qualcosa d'altro, e allora si somatizza. 
- Romeo - Io penso appunto che la figura umana si può solo viverla. Anche se poi uno deve fare i conti con dei brandelli, oggi che tutti apprezzano la razione quotidiana di due etti di télos per volta. 
- Stella S - Anche nel tuo lavoro è presente in qualche modo la figura umana. Per esempio quella testina in cera che tra l'altro mi ricorda Brancusi. Che mi dici in proposito?
- Romeo - Comunque si tratta di un particolare. In ogni caso Brancusi mi può andare anche bene, perché lo ritengo un paradigma in scultura. Però devo dire che il riferimento più immediato è stato di ordine basso, corporale, direi. Magari non te lo indico, ma ti assicuro che si contenderebbe il primato con Brancusi nella gerarchia dei significati e dei valori dell'opera alla quale ci stiamo riferendo. 
- Stella S - E in che modo organizzi queste gerarchie; a quali riferimenti linguistici fai ricorso per svolgere il tuo lavoro? 
- Romeo - Non vorrei fare una dichiarazione di spontaneismo, ma mi viene da rispondere, certo sbrigativamente, che i modi espressivi uno se li ritrova come la lingua materna. Però la lingua batte dove il dente duole. E nell'arte moderna e contemporanea il dolore credo sia da attribuire al fatto che nella società capitalistica la forma è condannata al contenuto, l'arte all'ideologia, il significante al significato. L'innocenza comunque è andata perduta da tempo. Da quando qualcuno, con sottigliezza da corruttore, per mezzo dell'interdizione ha preparato il terreno all'insinuazione che una mela può non essere soltanto una mela. Poi magari arriva anche Picasso e se la mangia... E uno fa una mostra su Guernica dando da mangiare ananas2. Se Beyus con la sua margarina ci avesse fritto delle uova, avrebbe forse fatto le stesse cose. Ma siccome non l'ha fatto rimane uno "sciamano" - e questo termine si addice all'arte. Stiamo trattando infatti di una forma primitiva di produrre, di gesti interrotti, di progetti mancati, di enunciati incompleti. Il pensiero più pensato, la forma più coniugata, il dato più pesante, tendono a sciogliersi, non fosse altro che per l'incongruenza di posizionarli nel sistema dell'arte, e si stemperano sotto la paletta dell'esteticità. Comunque è nella esposizione dei processi realizzativi che uno parte dalle idee, cioè dalla fine. Si può eludere il dato artistico - e la tua domanda - ma solo dopo che uno lo ha fatto... e lo ha fatto subire. 
- Stella S - Dal lavoro di Gallian credo scaturiscano necessari riferimenti simbolico-culturali in epoche di precarietà dialettiche; nel bianco della calce si seppelliscono appunto, dicevamo, il lutto e la tragica memoria. Il fenomeno del bianco presenta delle costanti di ambiguità che vanno da Rabelais a Melville, e si potrebbero fare altri nomi. Ma da un punto di vista di organizzazione personale del lavoro, da dove trae origine il tuo linguaggio pittorico? 
- Gallian - Cito a memoria cose dette, sentite attorno alla cosa pittorica in anni passati tra progetti e racconti dove domina il bianco: il colore per eccellenza - diceva Novelli; coprire un corpo, una città, un mondo di bianco, scrostarne piccole parti significative. E la materia diventa arida, i segni duri e spezzati delle scritte, delle screpolature, dei graffi, escludono ogni possibilità di compiacimento. Questa è una pittura senza possibili descrizioni, che chiede soltanto a chi la vede di coltivare in sé qualche cosa di umano, se questo è possibile in un mondo in cui la gente, in ogni sua azione, ha paura di perdere qualche cosa. Potrei continuare ancora per molto e molto ancora, ma se ne vuoi sapere di più ti posso citare sempre a memoria un pezzetto tratto dalla rivista di Novelli e Perilli3. In pittura il nostro atto prende una forma nuova nella quale l'oggetto nasce quasi da solo, risultato della supremazia dell'inconscio sulla ragione, espressione della memoria atavica e ricerca della memoria del futuro nella coscienza della irrealtà del tempo, ed infine riconoscimento di un ordine di fatti, di una realtà delle cose al di fuori della ragione. Se vuoi che ti tiri fuori nomi di artisti ai quali mi riferisco proprio per l'organizzazione del lavoro in senso stretto, è chiaro che te ne posso citare "tantipochi"(sic), e fra questi ci sono senz'altro Novelli, Perilli, Uncini.
- Stella S - E tu, Benveduti, puoi dirmi qualcosa in proposito? Ci sono dei nomi che ti riguardano, più o meno direttamente? 
- Benveduti - Direi di sì. Per quanto riguarda il quotidiano mi interessa tutto, fin dove incide sulla mia fantasia e sul mio profondo. Per quanto riguarda la storia dell'arte, preferirei enunciarteli in un certo "disordine storico"; ritengo infatti che le emergenze che mi riguardano siano fili sottili, ma molto forti, quasi come il naylon, che io voglio di volta in volta tirare su e giù senza spezzarli. Ammiro per esempio Masaccio, il suo disegno strutturale inconfondibile; ma mi riconosco anche nella pittura "sinfonica" di Matisse e nei sogni angosciati di Savinio, nella complessità grafica e pittorica di Picabia e De Kooning, forte ma ricca di rinvii appena suggeriti e metafore non solo artistiche; ed oggi - perché no - nella visione del mondo e dei materiali di Beuys e Vostell, i quali mi suggeriscono con determinazione il sociale collettivo e il sociale individuale.
- Stella S - Guardando invece al tuo lavoro, Catalano, mi risulta difficile innestarvi dei nomi, o diciamo pure dei padri, nonostante l'abbondanza deliberativa delle citazioni. 
- Catalano - Non ci sono padri, ci sono solo padrini. Un pittore che stimo diceva poi di avere guardato, oltre che ai naturali compagni di strada, a tutti i pittori che lo avevano preceduto. Personalmente aggiungerei alla lista anche quelli che mi succederanno.
- Stella S - Di recente qualcuno ha rilevato che esiste una contrapposizione tra l'arte figurativa e quella astratta contestualizzandole l'una nella cultura di origine cattolica, l'altra di derivazione puritana. 
- Catalano - Per quanto mi riguarda non sono cattolico. Non ho neanche fatto la prima comunione... 
- Stella S - Come vi rapportate attualmente al cosiddetto ambiente artistico? 
- Catalano - Mi sembra che oggi girino troppi pittori religiosi.
- Stella S - Che ne pensi della transavanguardia? 
- Catalano - Ha rappresentato una reazione all'isterismo di quegli anni4. Ma non mi sembra che la situazione sia molto cambiata. 
- Stella S - Del tuo ciclo su Gorky o nei lavori sull'Occhio Verticale, si può dire che esprimono in realtà, attraverso la citazione o la metafora, il fatto che l'artista non ha occhio perché ha sempre inventato quello che ha visto? C'è ancora un meccanismo, anche se circoscritto alla contingenza storica, similare alla famosa interpretazione psicoanalitica della "Tempesta" di Giorgione, che assegna a quei contenuti, oltre che all'innovazione formale, la vera rivoluzione della pittura moderna? Non so, anzi, se è l'inizio, ma è la fase periodica e pendolare di un anello che si chiude ad adescare nuovi dettati, ripetuti atti mancati, glossari deviati? 
- Catalano - Sì. L'Ultimo dipinto di Gorky  metaforizza la condizione dell'artista in quella particolare situazione di manipolazione degli unici dati di identità a sua disposizione; la materia archetipa, irreversibilmente sedimentata, e una materia per così dire al dettaglio, coatta e coartata; il Totem e il Tabù, insomma, della censura linguistica. Aggiungerei a questo, e scusami il volo pindarico, il rapporto generale tra impotenza e timore del giudizio estetico, già osservato nel Raskolnicov dostoievskiano. L'Ultimo dipinto di Gorky è sempre il primo, perché la sua ciclicità, che pure ha sempre un acme e un punto tichico, non si esaurisce, perché è sempre questo quadro mancato, differito, che si voleva fare: summa cumulativa, ombra più lunga sbucciata dalla propria identità e realtà che si ipoteca e si porta fino alla fine come atto estremo, transfert negato, ancora da consumare.
- Stella S - Scusate l'ultima malizia: cos'è la pittura? 
- Catalano - Non si può dire certo che cosa è, si può dire quando ha inizio: inevitabilmente avviene alla fine di tutto, quando non c'è proprio più altro intorno.
- Stella S - Allora, il chiasma si chiude, il chiasma continua. 

N.d.R.
- 1. Alla data di questa intervista (1986) era dunque già elaborato quanto contenuto nelle "forniture critiche" del Quaderno 3 (cfr)  del 1999. Vedi gli scritti sulla "mera superficie", di cui alcune parti erano apparse in Aut.Trib n.7 (1983).
- 2. Lavoro "Analisi del periodo: Guernica".
- 3. "Esperienza Moderna", n.1, 1957.
- 4. Gli anni '70. 

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