Archivio (comunque indiziario) dell'Ufficio Tecnico
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FORNITURE CRITICHE . Documenti d'Archivio dell'Ufficio Tecnico . In "Quaderno 3" pubblicazione del Dipartimento di storia, teoria delle arti e nuovi media dell'Accademia di Belle Arti di L'Aquila, 1999 . Ivo Bomba, amico e collega di Tullio Catalano all'Accademia de L'Aquila, come curatore della pubblicazione del Dipartimento volle pubblicare una breve testimonianza per ricordare l'improvvisa scomparsa di Tullio, con il quale aveva da tempo preparato il materiale da pubblicare nel Quaderno3; le "Forniture critiche" vennero dunque premesse dal testo riportato di seguito.
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Nei primi mesi di quest'anno, proprio una delle ultime volte che ci incontrammo per concordare insieme la sistemazione di questi testi, Tullio portò con sé tre immagini per corredare lo scritto: la presentazione in una corte reale europea di alcuni automi meccanici tratta da una incisione ottocentesca, riprodotta in un vecchio volume edito da Feltrinelli; la fotografia di un'opera di Picabia raffigurante lo spargimento  di una vera macchia d'inchiostro, schizzato e scolato; infine, avendo saputo che recentemente era stato abolito lo storico SOS, lui voleva proprio l'immagine del telegrafo del Titanic, attrezzo salvifico che lanciò, inutilmente, quel segnale di soccorso che proprio da quest'anno non avrebbe avuto più alcun significato per nessun navigatore.
Non posso proprio dire di aver intuito subito che quelle tre immagini componevano, di Tullio, l'istantanea di un ritratto di precisione. Eppure, non sapevo io forse delle robotiche sale d'attesa, degli organi di ricambio alla bolognese e del telegrafo cellulare che oramai teneva in tasca come un biglietto da visita? Fu dunque semplicemente per disporre il gioco che gli proposi di completare la sua serie trinaria con la scacchiera per tre giocatori? Come spesso accadeva tra noi, lui e io, ognuno con le proprie perplessità, e forse con reciproca diffidenza, lasciammo comunque volentieri che necessità e bisogno, capriccio e spontaneità potessero andare liberamente alla deriva magari a scombinare anche le comodità delle corrispondenze testuali.
Ma chi potrà mai perdonarmi di non aver pianto - allora, subito - davanti tanta geometrica consapevolezza?
lillo.15.11.1999

FORNITURE CRITICHE

1_SOS, l'ater ego, Selavy e il suo doppio... di Tullio Catalano .
2_Peripezie e Tentativi della mera superficie di Carmelo Romeo .
3_...a perdere... conversazioni di Tullio e Lillo .

S.O.S. l'alter ego, Sélavy e il suo doppio... a perdere?

Ci sono temi e fenomeni ricorrenti, o meglio indizi per nulla trasversali, riferibili a tacite costanti strutturali nei modi simbolici della rappresentazione, da ricondurre pressoché immediatamente a categorie ontologiche, prossime alla ridefinizione della nozione e pre-nozione obbligata di una scadenza inventiva a lungo termine, di appuntamenti mentali mancati, di voli pindarici fuori luogo, e fuori testo, messaggi in bottiglia non raccolti, sogni differiti della memoria andati a vuoto, aldilà dei tempi consentiti e prescritti.
(1) 
A fronte dell'attitudine subdolamente disponibile, ma alterna e intensiva, di approntare costantemente, ogni qual volta se ne presenti la necessità (atta a determinare i media, non ancora di massa,  nominalmente appropriati e corrispettivi), la settoriale e dialogica formalizzazione immaginativa - vera e propria ipostasi del soggetto che si delega e investe nell'oggetto richiesto, via via da assegnare - ancora prima della sua inesorabile scadenza teleologica e cognitiva, si viene quindi ad attuare, o si accentua, un comportamento procedurale eidetico.
Esso è volto alla messa a punto progressiva di mobilità e di spostamento dei vettori autodesignativi su cui si fonda la ragione stessa della codificazione linguistica e, a maggior ragione, metalinguistica: diretta e immediata, o indiretta e mediata che sia, tanto più funzionale ai livelli di appartenenza quanto più se ne discostano i parametri preter-intenzionali di trasferimento, diversamente anticipabile o non rilevabili a-priori, nonché di fatto, e nonostante ogni apparenza, intransitivi.
Questo divario giocoforza limitativo, questo intervallo di tragitto, non esente da incidenti casuali o di comodo, rappresenta un classico imperativo in seno alla crisi interpretativa dei significati indotti e pregressi, almeno a partire dalla coincidenza ormai negata tra mythos e lógos, tra tèkne ed epìsteme, cultura orale e cultura scritta, tra didascalia omologetica ed il sistema degli additivi della rappresentazione, tra la sua oggettiva azione cumulativa e il suo doppio allusivo, conseguentemente obliterativi dei processsi subliminari, preliminarmente tarati in una prospettiva virtuale.
(2)
Va quindi visto, in questa luce, con una accelerazione insospettabile e presagente scadenze costipate ed iterative, continuamente interagenti tra loro, un ribaltamento della riappropriazione, comprovata e alfine correttiva, del territorio fisico e psichico, con strumenti di sondaggio quantitativamente più disparati, nonché l'adozione di media comunicativi che sopperiscano alla carenza esigua del visibile, intesi a volte come decodificazione interamente proteiforme, a volte come smussamento esiziale di assestamento progressivo, sostitutivo del campionario artefatto dei surrogati, anche concettuali, in uso.  Ogni tecnica, per quanto onirica ed occulta, esaurendola, ingloba la precedente: anzi, le tecniche immaginative non cessano, per il fatto di aspirare ad occuparsi dell'immagine, di essere tali, suscettibili di legittimarne la precipitazione, e l'idiosincrasia, oltre lo spessore e la qualità del simbolo e l'accezione invasiva dello stereotipo. Va anche detto che il mito classico dell'organon maieutico ed euristico, resta, a tutti gli effetti, una tentazione.
L'arte, certamente, ha a che fare con la rimozione: ma i suoi trucchi, anche questo è noto, come quelli dell'anima (e dei suoi impenitenti gabellieri, con presunto diritto d'effrazione al seguito), sono infiniti.
(3)

. 1 . Il tributo che si deve alla platea uditiva, al posto dell'inveterato ricatto visivo, egemone a scapito dell'intera scala di valori e opportunità pluri-sensoriali, risulta di breve durata e consistenza, affidata finora alla suggestione spettacolare e alla fissità falsa dello scoop. Lo storico Gert Brueshke, infatti, ha recentemente asserito che quando il famoso S.O.S. "abbiamo colpito un iceberg; facciamo richiesta di immediato aiuto", fu captato dalla nave Celtic, simbolo cult per i collezionisti di lungo corso a venire, il Titanic era in realtà affondato, per cedimento strutturale, già da qualche ora. Come dovevasi dimostrare: la funzione dei simboli cult mediatici è quella di mimare, assecondare e soddisfare, finché la distanza  della sua "durata" lo consenta e lo necessiti, la carenza in permanente svuotamento dell'immaginario collettivo.
. 2 . Un richiamo esplicito, anche se parziale, va ricondotto nell'ambito delle avanguardie storiche in merito alla riserva espressa posteriormente alla data di battesimo e di piena vitalità del movimento, da Max Ernst ad André Breton, sulla validità rivoluzionaria dell'impiego corretto e pertinente del termine "Surrealismo", coniato da quest'ultimo. -
. 3 . Confronta a questo proposito un esempio dichiaramente particolare, comunque non apodittico, nel catalogo di Ad Usum Fabricae, L'Aquila 1995.
La scacchiera per tre giocatori è stata inventata nel dicembre 1996 da Khia Rasmussin, carpentiere di Dunkheld (Scozia), appassionato di scacchi.


Peripezie e Tentativi della mera superficie (in pittura)

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01 . Quando la pittura raggiunge i limiti della non-percettibilità…...
OMISSIS (I brani da 01 a 33 sono stati pubblicati in Aut.Trib 17139, n.7.1983)
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35a . Lo specchio offerto dai Titani a Dioniso per distrarlo dalla propria unità corporea, è stato la trappola per il Dio; la fascinazione della molteplicità variopinta delle raffigurazioni  del mondo ve lo inchiodano per consegnarlo alla sofferenza dello smembramento e alla pena della morte. Ora la Pittura riposa (smembrata - cfr.03) in un sepolcro (imbiancato) sulla cui superficie tombale  le ombre della vacuità paiono scrivere in epitaffio la sua ultima preghiera: “Per carità, non affliggetemi con l’iconografia!” [cfr.20]

. 35b . L’artista raggiunge la Pittura nel luogo segnato dalla soglia fluida che la separa dalla sua stessa negazione [cfr.34] e se la trova di fronte come “mera superficie”. Se la tragedia consiste nel dare forma all’informe, allora è in questa zona che si attua il tragico come incontro con l’indefinito [cfr.31 e 35g]Ma Orfeo non può stare più di tre giorni negli Inferi (neppure Malevic vi è riuscito) e cerca la via (orfica?) per fare risalire la Pittura nuovamente verso la luce e (ritrovare) le sue proprie apparenze figurali. 
. 35c . Tuttavia Orfeo non ha saputo morire lui stesso per seguire realmente l’oggetto del suo amore nella caverna senza luce. L’unica sua preoccupazione è stata quella di andarselo a riprendere, ma per uscirne poi ben vivo – e pasciuto magari anche da un estremo motivo pittorico (tableau vivent, happening? cfr.26). L’esortazione a non soffermarsi in questo luogo di morte  è accompagnata dalla interdizione di non voltarsi indietro per non guardare alle risoluzioni del (tempo) passato. Erano quasi giunti fuori dall’ombra dell’Ade, quando la prima luce dell’aurora illuminò appena il suo pallido amore; e Orfeo si volta (movimento patetico)  e lo perde per sempre. Si voleva solo accertare con i propri occhi  che a seguirlo nella risalita era pur sempre la Pittura, ma questa non gli perdona la debolezza della consolatio [cfr.37d]
. 35d . In altre versioni si salvano entrambi guardandosi sotto bagliori non solari, bensì sotto quelli aurei di una lampada tascabile come la moneta [cfr.23, 35e,39f10]. Se Orfeo non ha saputo morire per il suo amore, allora non può neppure vivere per esso. Per questo verrà infine anche lui straziato e dilaniato dalle donne trace; fatto a pezzi e venduto al mercato [cfr.39f7]. Soltanto la sua testa, inchiodata alla Lira - appunto -, galleggerà sulle acque dell’Ebro per approdare infine nell’isola di Lesbo, dove si darà da fare come oracolo (l’arte come idea dell’arte - dal minimalismo al concettualismo?). Morta l’arte rimane l’artista, sopravvissuto come Orfeo ad Euridice. Allora, dissolta la qualità visibile delle cose, rimangono i loro ultimi lamenti; rimangono le loro qualità sonore; rimangono soltanto i giochi di parole (di Narciso rimane Eco, di Duchamp rimane Rrose). 
. 35e . L’ambito della Pittura diviene, breviter, l’abiezione del pittore che la configura come ambizione della Pittura a recuperare l’origine stessa dei suoi oramai sbiaditi ricordi per abitare confortevolmente le impronte fossili dei propri passi trascorsi. Allora il movimento patetico del voltarsi risolve la “mera superficie” come “Supporto”. [cfr.38d] Il “supporto” è dunque la forma di un momento e di un memento nel quale la “mera superficie” si coglie e si offre per l’intero del tempo e dello spazio nella tensione della sua propria storia naturale: ossia nella storia dell’arte. Ovvero: è la forma stessa della propria Enciclopedia attraverso la quale pretende di ripristinare anche le scene madri dei propri cominciamenti. [cfr.38g] 
. 35f . Sulla inaccessibile montagna, sottratto allo sguardo acuto del suo popolo eppure vicino al Dio, Abramo non porta a compimento il sacrificio espiatorio dell’empietà dei simulacri, ma arrischia il trompe-Dieu. Così, la sostituzione della vittima prediletta dal Padre con un provvidenziale caprone sfigato, comporta la dannazione alla metafora che spalanca l’accesso alla caverna interiore delle apparenze figurali e delle rappresentazioni cerimoniali. Spostata la simulazione dall’Idolo all’Azione, tanto si scarica il primo termine di possibilità raffigurale quanto se ne carica il secondo. In tal modo da una parte si perviene alla Unità irrappresentabile, mentre sull’altra, l’incetta delle figure sottratte al primo termine non trovano più spazio, e allora si danno i turni di riposo scandendo un gioco di sostituzioni che istituisce la spirale incessante della metafora, la fatica dell’iconologia. 
. 35g . Poiché Giasone è in cerca di altre nozze [cfr.46?], nello spazio segreto della casa –sottratta all’occhio dello sposo infedele- Medea uccide i suoi figli diletti e li semina ai quattro angoli della tragica dimora familiare; vuole eliminare la speranza stessa di ricostituire la coppia mendace. [cfr.38f] Già con l’offerta della tunica alla figlia di Creonte, Medea riconosce la nuova sposa di Giasone come simile e come ostile, ossia: come "ospite". Ma questa mariée si spinge ad indossare quel segno d’omaggio, senza avvedersi che nella medesima modalità dell'offerta era dispiegata l’intera iconografia di una Deposizione capovolta; dove si vedeva un Sudario sostenuto e celebrato da corpi già destinati al macello. 
La messa in uso di un simbolo lo scioglie dalle riserve metaforiche per scatenarlo, realiter, contro chi ha preteso prenderlo in parola: e il conflitto è sempre mortale. Allora la tunica inviata da Medea si svela, quando indossata, come un sudario assoluto che infine trionfa sulle figure segnate a morte: figli o spose che siano spariranno senza un gemito sotto la bianca veste dell’estrema Ospitalità. 
. 35h . Se Abramo è il padre delle metafore, è Medea che chiude in cerchio la spirale viziosa delle metafore eseguendo col crudo sangue la saldatura metonimica, e concedendo l’ozio. [cfr.38l,39c] Ma ancora verrà un altro Padre che sacrificherà il suo proprio unico Figlio prediletto per aprire un nuovo ciclo di devozioni e dannazioni metaforiche, se ancora non si potrà dire pane al pane e vino al vino. 
. 35i . Lo svuotamento del quadro, come un buco bianco, ha fatto collassare la realtà all’esterno; qui tutto è più leggero della luce, e nessuna cosa vi precipita o entra. La “mera superficie” è (anche) l’iconografia del Nulla, che mostrandosi afferma, conferma, conforta e rafforza l’essere della materia fuori dalla rappresentazione. Tenere la posizione tragica vuol dire mantenersi nel punto di riposo delle perplessità; indifferenti alle soluzioni, finalmente irresoluti. Qui la Pittura comprende che è il vuoto a creare l’uso [cfr.38.h], la condizione per riprendere a muoversi, pur senza andare, pur senza restare. [cfr.28,39f1] 
. 35l . Per altro, o similmente, la Pittura può apparire in quanto tale quando ha smarrito ogni utilità, così come l’utensile “appare” quando perde il suo uso. Allora l’immagine è una Spoglia e il Guasto è la sua condizione. Ecco perché soltanto dopo la morte dell’arte può finalmente mostrarsi l’immagine dell’arte stessa. [cfr.39f4] E ancora: perché dopo la perdita del valore d’uso (sociale) vi è una messa in valore di scambio. 
Nel mercato, come corpo del valore di scambio, l’opera d’arte trova il suo attuale valore d’uso, l’unico che ormai gli è rimasto, l’unico ancora concesso. Ecco diventare importante la quota d’asta: bisogna pur adottare un modo per distinguere un’opera dall’altra. [cfr.37b] 
. 35m . Nella “mera superficie” si specchia l’Ananke della Pittura. Solo dopo aver celebrato tutti i misteri della Superficie, dopo aver congiunto il Tempo della memoria con la Necessità dell’attuale, la Pittura può avviare le nuove cerimonie degli immutabili (poiché ogni smembramento  è premessa e promessa di una rinascita nell’unità) alle quali adesso può essere iniziato non più il singolo eccellente, ma ogni e tutti i singoli – con buona pace dei misteri del Privilegio. [cfr.33]

Tentativi di ricostruzione della genealogia della mera superficie
Introdursi nella tua storia
é da eroe impaurito

se ha col tallone nudo toccato
qualche lembo del territorio.
(Stéphane Mallarmé)
. 36a . La pittura diventa possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore, "non lasciando sussistere questa tale e quale" (Hegel); vale a dire a partire dalla limitazione delle tre dimensioni alla superficie piana, senza però negligere la profondità spaziale che, invece, proprio per tale riduzione si problematizza (il fondo oro delle immagini medioevali la trasforma in icona, la prospettiva rinascimentale la trasforma in simbolo, l'impressionismo la trasforma in un quesito sul colore, ecc.). In questa prima mossa di reductio che segna l'atto di nascita della pittura , è già contenuta tutta la partita che essa intende giocare con la totalità esteriore - forse vi è anche l'esito finale (determinismo), se non gli svolgimenti ed esiti puntuali (meccanicismo). Allora la pittura non può voler dire e consistere nell'estendere e perfezionare i modi della raffigurazione o il linguaggio stesso della pittura; e neppure nel renderla più rigorosa - quasi fosse l'espiazione di quella colpevole originaria reductio da riscattare integrandola con una operosità delle contraffazioni ottiche. Piuttosto dobbiamo dire che la pittura consiste proprio nel perfezionare un'assenza. 
. 36b . Resa possibile a partire da una limitazione, la pittura può sussistere soltanto rinnovando ogni volta tale fondante limitazione, e anche procedere, in questo limitare della totalità esteriore, attraverso la reductio delle qualità visive del mondo e delle cose. Verso dove procede? Ossia: qual è il limite di tali continue limitazioni, l'intero suo proprio limite? Se conveniamo con Hugo che "la forma è il fondo che torna alla superficie", quando forma e fondo - in un abbraccio mortale - si identificano per sparire alla vista, solo la superficie rimane a preservare la certezza della pittura; solo la superficie è il termine che non si confonde e rimane immutabile a sé stesso nella mischia che conduce la figura e lo sfondo verso l'invisibile. Se il limite della pittura è l'invisibile, allora pitturare vuol dire avvicinarsi ogni volta all'invisibile - e questo procedere sembra confermato dall'abbrivio che proprio in tal senso ha preso uno dei rami più conseguenti della pittura moderna (dal monocromo all'achrome). Ma anche: se il limite della pittura è l'invisibile, la superficie è la forma tangibile di tale limite, la figura testimoniale, ossia storica, del procedere della pittura verso questa (dis)soluzione ancora e purtuttavia sempre pittorica.
[cfr.20,35a] 
. 36c .
PASSAGGI AL LIMITE - Nel calcolo matematico il passaggio al limite, con cui data una funzione se ne ottiene un'altra, si dice "derivazione". Per la tangente ad una curva piana qualsiasi, il valore della derivata in un punto dato è il limite cui tende il rapporto fra l'incremento della funzione di una retta secante e l'incremento della variabile indipendente - quando quest'ultimo incremento tende a zero, senza tuttavia raggiungere mai il valore nullo. È inteso che si parla sempre di casi in cui il limite in questione esiste effettivamente; se questo limite non esistesse dovremmo dire che nel punto dato la funzione non ha derivata. Se ora noi - con un azzardo analogico e modellizzante - prendessimo la Pittura come fosse la funzione continua della retta secante una curva piana (della totalità esteriore), e assumiamo uno dei due punti di intersezione come punto limite dato per collocarvi la "mera superficie" come limite proprio della Pittura, possiamo dire che questo sia un limite effettivo della Pittura? 
Come conditio sine qua non della Pittura
[cfr.13] la "mera superficie" si presenta realiter quale condizione minima e sussistente fin dal momento originario della pittura; è quindi un punto di partenza che permane. Inoltre, i monocromi di molti pittori contemporanei hanno offerto alla "mera superficie" una occasione pratica per assumere una esistenza effettiva  nella storia della pittura; è quindi anche un punto di arrivo. In definitiva abbiamo a che fare con un elemento irriducibile e irrinunciabile all'esistenza primaria della pittura stessa, ossia, giusto, col suo punto limite. Superare questo limite, come per la tangente significherebbe tornare ad essere secante di un settore della curva opposto, per la Pittura significherebbe tornare ad insistere nella raffigurazione in un settore della totalità esteriore opposto al precedente; il cambiamento di stato che si provocherebbe nell'oltrepassare il punto dato di tangenza dimostra che il limite esiste anche storicamente  (e concettualmente e praticamente) e che dunque la funzione ipotizzata può avere una derivata. Prima di procedere oltre, resterebbe da dimostrare la validità di un tale modello, seppure d'azzardo? 
Rileggo 36a: "la Pittura diventa possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore"... Se ora esprimo tale totalità con una curva piana, una retta che la intersecasse in due punti qualsiasi opererebbe immediatamente una limitazione - ad esempio rispetto all'intero settore concavo racchiuso dalla curva, o ad es. rispetto a tutti i punti della curva medesima, ecc. Ora abbiamo quanto ci occorre per poter dire che nel calcolo funzionale del pittore (nella sua prâksis)  la "mera superficie" si pone come punto limite e perno attorno al quale la pittura prende a ruotare (mossa dagli incrementi tendenti al valore nullo della variabile indipendente, ossia verso l'invisibile), e col passo di differenziati infinitesimali pittorici, che gli fanno percorrere tutti i punti della curva, si dispone infine in guisa di tangente alla curva stessa, con la quale avrà in comune quell'unico punto, avendo abbandonato ogni altro punto della curva (o della funzione) totalità-esteriore. Dinamizzato in tal modo quello "a partire dalle limitazioni", siamo arrivati a rappresentarci anche la estrema reductio della Pittura, oramai del tutto affidata alla tangenza, e quasi raccolta interamente nella "mera superficie", nella quale la Pittura vorrebbe trovar riposo, ma che, per definizione, mai potrà raggiungere. E questa è la sua condanna per aver avuto dei riguardi solo verso sé stessa. E` del tutto ovvio che, procedendo nel modo descritto, la Pittura ha dovuto rinunciare sempre di più alla rappresentazione della realtà; e anche il pittore si ritrae dal mondo, dalla comprensione dei rapporti materiali, fino a trovarsi solo con una pittura esangue quanto lui. Allora questo movimento è stato anche il movimento di tale ritirarsi (e "ritrarsi") fino a ridursi ad un rapporto esclusivo con la Pittura. Nell'incapacità di comprenderla, la realtà esteriore si è ridotta ad una sensazione individuale. Entrambi, il pittore e la pittura, sono ancora aggrappati al mondo per questo punto limite, ma pencolano pericolosamente verso la non-pittura, e intanto ripetono a sé stessi (senza convinzione): dopotutto si può anche morire.
[cfr.14,35b,39f9]

Un merletto si abolisce
nel dubbio del Gioco supremo
a non svelare atto blasfemo
ma assenza eterna di letto.
(Stéphane Mallarmé)
. 37a . Non potendo essere raggiunta integralmente e in quanto tale, la "mera superficie" forse non può essere altro che una definizione; epperò una definizione del tutto concreta e necessaria. [cfr.20] Una Pittura priva di un suo proprio punto limite non sarebbe potuta andare; sarebbe rimasta attonita davanti alla molteplicità fluente delle qualità visibili del mondo (come Dioniso davanti lo specchio); sarebbe rimasta confusa dall'inizio, così come rimane confusa alla fine; ma intanto ha fatto il suo determinato corso (come un glorioso Achille che ce la mette tutta per prendere la tartaruga - e ci riuscirebbe infine se applicasse il calcolo integrale [cfr.40], (dunque la "critica". Gli incrementi infinitesimali  attraversati per il passaggio al limite, sono stati i passi discreti della sua propria storia; ne hanno scandito il ritmo impresso dal cammino dei rapporti materiali (rapporti che la Pittura tanto più nega quanto più se la sottomettono) , fino, anche, al capovolgimento del passaggio al limite - che allora è un guado. Superato questo limite la Pittura inizia a ritrovare la non limitatezza della totalità esteriore; ma adesso intende lasciarla sussistere tale e quale per darsi da fare con le cose del mondo e invischiarsi con le sue faccende. [cfr.29,33] 
. 37b . Per avvicinarsi sempre più a sé stessa e raccogliersi, infine, nel suo proprio limite, la Pittura ha dovuto ridurre progressivamente il mondo esterno per consegnarlo alla pura sensazione. Ancora poco e il mondo si dissolverà nell'immaginazione. E, sorto dalla curva e dal balzo, il Pittore viene convocato quale limite estremo consentito della funzione sociale.
[cfr.33] Allora, giusto, quel ritirarsi dal mondo diviene un "ritrarsi", poiché è sempre qui che la Pittura prende a coincidere con il Pittore; e da adesso in poi le sorti di entrambi saranno indissolubilmente legate in un intreccio inestricabile (il pittore sarà condannato all'autoritratto). La volontà di rappresentazione della pittura ora trova solo oggetti che gli appartengono, e da adesso in poi le sue teorie non conosceranno e riconosceranno altro che sé stessa e i suoi propri oggetti. Ma se la pittura si è dimenticata del mondo il mondo non ha fatto altrettanto, e la lascia in balia delle strutture che hanno preso a dominarlo. Pittura e Pittore trovano il mercato che se li sottomette materialmente. E adesso si possono stilare anche le norme di fabbricazione e le modalità d'uso per la Pittura; mentre la sua funzione è verificabile dall'esito dell'azzardo supremo che tenta la trasformazione dell'opera in moneta sonante - con la qual cosa la pittura riprende anche a parlare. [cfr.26,35.d] 
. 37c . Come la derivata della secante è la tangente, così la derivata della Pittura è l'Estetica (della pittura). Quando la funzione pittura (di primo grado) passa per il suo limite, segnato dalla "mera superficie", è con questo segno che ora la Pittura si concede al mondo, vi si espone ed abbandona. Ed è certo che se qualcuno vuole ancora trarre godimento da questo suo ultimo mostrarsi, deve provvedersi di un contegno estetico (e di un congegno ottico-cerebrale), e da questo attingere ogni allettamento. Per altro l'Estetica non è molto più vecchia della superficie in pittura; ne ha solo anticipato il destino prima di vederne la forma risolutiva. E l'Estetica stessa ha potuto trovare uno svolgimento adeguato  solo a partire dalla morte dell'arte; cioè, come ogni altra scienza, ha dovuto attendere che l'oggetto della sua analisi fosse sufficientemente sviluppato da risultare trafitto e immobile sul tavolo di dissezione. 
. 37d . La Pittura, dopo aver ricongiunto il momento in cui è stata possibile con il momento in cui è ancora appena possibile, non può che svolgersi e trovare il momento ulteriore in cui non è più possibile. È solo la convocazione del Pittore, tenuto in pugno dal Mercato, che la trae dall'impaccio offrendogli nuove possibilità.
[cfr.35d] . Vedi l'intera raccolta dei brani nella pagina successiva dei Testi di questa Sezione .

[
Il lavoro completo sulla superficie è stato infine raccolto in 01.54 Unico e veridico dossier sulla mera superficie (in pittura), e nei fascicoli Complementi e Mi fornisca una spiegazione ]

...a perdere

Dalla pittura alla fotografia su lastra, e poi su pellicola, e ancora nel cinema, il tempo si è andato restringendo fino a darsi come tempo reale istantaneo. 
Ecco perché le immagini della televisione al contrario, e ancor più quelle degli schermi degli elaboratori non resistono al tempo: poiché non hanno "contenuto" [non contengono nulla] non possono resistergli [il "contenuto" come vaccino]; le immagini allora sublimano, scompaiono alla stessa stregua dell'effetto atomico (come sui muri di Hiroshima rimangono le tracce, le ombre persistenti, ma i corpi reali scompaiono - di reale allora non rimane che il tempo, ma il tempo della sparizione). 
La ben nota critica kafkiana alla distrazione retinica dell'immagine: io vivo con gli occhi, e il cinema impedisce di guardare, è un'affermazione ovviamente paradossale. Ma oggi possiamo dire che esistano asserzioni che non sino manifestamente paradossali? 
Nell'attuale era dei computer i paradigmi non sono semplicemente cambiati, non si sono spostati o resi più complessi: semplicemente, si sono proprio capovolti. E se prima vi era un dizionario disponibile dei sinonimi e dei contrari, che ammettevano l'onda lunga della sfumatura e dell'eccezione, ora sono solo i contrari a dominare. Così "nodo" viene preferito a linea, "eterogeneo" ad uniforme, "aperto" a chiuso, "inconcludibile" a concluso, "interattivo" a utente, "da più a più" a da uno a più, "ubiquo" a localizzato, "tempo reale" a tempo che scorre, ecc. 
La "società dell'immagine" (anni 60-70) è stata la fase del vitello d'oro, degli idoli e dei simulacri. Ora, nella caligine sinaica e pura dei cristalli, Iddio parla, e possiamo vedere solo l'orma della scrittura - ma più Lui soltanto parla, più a noi tocca l'azione dei corpi pesanti, e siamo, risultiamo solo figure (o controfigure?). Comunque, fuori dagli "apparati" la parola, l'atto della parole, rimane il più virtuale (e virtuoso) agire: quello che non lascia tracce del suo passaggio, contrariamente a quanto avviene nel computer. In questo la parola è potente evocazione; quanto viene richiesto appare (affiora) dal fondo grigio e vuoto dello schermo; viene tolto dal nulla e dall'inferno del tutto, come ombra, ma non del passato, piuttosto del futuro. Dunque, gli occhi e il guardare. Oggi non si guarda più, si sbircia, o semplicemente e pedissequamente, si legge, si demanda alla lettura approssimativa, al post-scriptum; e si leggono ordini, imperativi cui solo obbedendo si può procedere oltre, penetrando realtà virtuali e cybernetiche, ma sempre attraverso altre parole, segreganti e segrete, continuamente criptate e decriptate, convenzionali o casuali, la cui efficacia è immediata: aprono corridoi, reti e autostrade informatiche, ma anche sportelli bancari dai quali inevitabilmente si ritirano o si spostano denari e merci. Ecco che allora la società dell'immagine ha finito per tornare ad essere una società della parola, della parola-immagine, potente e numinosa; della parola-chiave, abracadabra e apritisesamo (chi sono i quaranta ladroni?). Non è un caso che tutto, ma proprio tutto, riesca a scorrere sull'intera rete globalizzante e mondializzata della comunicazione. 
Nel mondo del computer il Verbo riesce realmente ad incarnarsi - verrà anche crocifisso per la salvezza degli uomini? 
La parola crea mondi. Virtuali? 
Ma lo sconcerto è come possa ritenersi virtuale un mondo nel quale si consumano realmente valori del tutto reali. Se la verifica del budino avviene quando lo si mangia (al solito!), allora cosa ha di virtuale il mondo dei computer quando alla Borsa di Wall Street, magari, si bruciano del tutto realmente miliardi di valore in un tempo minimo - e i perdenti (verifica del budino) si sparano in bocca? 
Allora ecco un altro paradosso: il virtuale si concretizza e il concreto si virtualizza - ma solo per un gioco di linguaggio: in verità la realtà è sempre uguale a sé stessa. E la verità è anche che, senza soffermarsi sul rebus labirintico dell'origine dei linguaggi, da sempre la parola è stata uno strumento del tutto concreto della produzione materiale. 
Era dunque giocoforza che anche la "parola" dovesse soccombere e ricadere sotto le leggi del Mercato - e il Bit è la sua unità di misura, indispensabile per dargli un prezzo e trasformarla in merce. 
Invitato di recente a recarsi nella sede di un gigante dell'informatica, Nicholas Negroponte, direttore del Media Lab. del M.I.T., ha dovuto sottoporre il suo portatile dell'ultima generazione (di allora) ad un controllo di sicurezza e dichiararne il valore: "Da uno a due milioni di dollari", ha risposto. 
La scettica impiegata alla ricezione annotò invece che era entrato con un computer da duemila dollari.
Chi aveva ragione?
Entrambi sostiene qualcuno; perché Negroponte valutava il valore dei Byte del disco rigido, mentre la ragazza si riferiva soltanto al prezzo degli atomi della carcassa. 
Per il noto ricercatore del MIT gli sconvolgimenti in corso provengono dal fatto che, appunto, "i byte stanno sostituendo l'atomo". 
Ora la questione che potrebbe porsi è appunto se gli atomi possono avere un prezzo e svolgere le implicazioni di una tale asserzione non paradossale, ma soltanto stravagante. Certo è che solo nell'era dei computer poteva trovare forma una simile espressione. In un'era dove il capitale finanziario trionfa si insinua nell'intimo stesso della materia per assegnare un prezzo persino all'atomo. Ma in questa espressione c'è un'insinuazione di teoria economica veramente aberrante; che la somma del prezzo degli atomi fornisca il prezzo dell'elaboratore vuole forse insinuare che il prezzo di ogni merce sia dato dalla somma dei prezzi dei suoi atomi? Il prezzo sarebbe forse concretamente annidato nella struttura molecolare? Così avremmo finalmente trovato il posto eterno per l'anima (immortale) della merce. 
Vi è qualcosa che si intende dissolvere con l'adozione del prezzo-merce da parte di una tale Fisica postcapitalistica [trascendentalista e integralista], e se ne comprende la necessità: è il lavoro...Sia pure quello del Negroponte;  quello occorso  per registrare i Byte sul disco rigido; lavoro svolto tramite uno strumento del tutto hard, a sua volta prodotto da altro lavoro passato. Ma anche le informazioni e le tecnologie non sono altro che lavoro materiale trascorso, passato, delle altre generazioni. Lavoro dato come lavoro socialmente necessario per produrre dei beni; immenso cumulo di lavoro difficilmente computabile e ipotecabile se non attraverso la violenza del diritto privato. Nell'era dei calcolatori si cerca di negare il lavoro [la fatica fisica], confortati da una reale negazione-riduzione della base operaia. Ma i dischetti non contengono altro che lavoro, sebbene in una sua particolarissima forma; costituiscono anzi la forma più sviluppata e squisita del lavoro trascorso, accumulato e concluso, quasi corpo mistico del lavoro. 
Invece il Bit non sostituisce l'atomo, piuttosto sostituisce il denaro. Come il denaro esprime il valore-misura del lavoro, ossia delle merci (e come prezzo è la misura per eccellenza di tutte ed ogni merce) il Bit è il denaro per eccellenza: virtualizzato, sublimato, emancipato da ogni peso corporeo, capace di rappresentare anche, finalmente, l'incarnazione stessa della circolazione in quanto tale: è il denaro nell'attimo stesso della circolazione - sparisce la sua presenza corporea per manifestarsi come un flusso continuo di processi, chiaramente indistinti. Allora i momenti classici Merce-Denaro-Merce o Denaro-Merce-Denaro, che sono i passaggi tra i valori d'uso e i valori di scambio, dopo che la merce si virtualizza, rimangono scambi tra Denaro e Denaro, rimane il processo finanziario (il Capitale in quanto tale), ma che esprime anche il capitale "usuraio". 
Che il Bit (unità di misura informatica) non abbia sostituito l'atomo, poi, è confermato dalla vocazione iniziale dello "scenario tecnologico", che si apre nel 1972 con il progetto Jacudi, il quale implica una strategia globale, ad esempio per il Giappone, riconoscendo l'impossibilità di una economia capace di proseguire attraverso la crescita illimitata della produzione di beni materiali, mentre si ipotizza il sopperimento di un escamotage clamoroso  attraverso la crescita illimitata di beni a carattere informativo, culturale, ludico, ecc. 
Per quanto viene ridotta la possibilità di aumentare la produzione di beni materiali [del mercato reale], si sviluppa ed estende la possibilità di investire su questa stessa possibilità, sulla sua previsione - sulla previsione del profitto; ecco i "derivati", i "futures" [un mercato divenuto virtuale, dominato dallo sfarfallio ottico]. 
Se le "macchine celibi" nascevano da un'era meccanica ed esprimevano il desiderio di bastare a sé stesse, di funzionare con sé stesse e frenare il vulcano della produzione (mito virtuoso del blocco produttivo che si autolimita non essendo capace di autoregolarsi), le "macchine incestuose" nascono invece nell'era della telematica, che ha preso atto dell'impossibilità di aumentare la produzione di beni materiali; si fondano sulla meccanica sublime e sublimata dell'informazione per accoppiarsi tra loro stesse - che quasi si annusano e si riconoscono di una medesima famiglia all'interno delle reti telematiche, per proliferare incessantemente nella crapula continuata d'obbligo, con il piacere più o meno confessato di violare la privacy, entrare nell'altro simile, saccheggiarlo, succhiarlo e lasciarlo vuoto, inerte, spossato ma soprattutto "superato", dopo essere stato omologato. [L'A.I.D.S. adotta, per similitudine, un sistema invasivo di decriptazione delle difese immunitarie: è un pirata informatico, uno degli hackers informatici?] 
Nell'epoca della mondializzazione e globalizzazione la giornata borsistica non conosce albe e tramonti (solo oggi su questo regno veramente non tramonta mai il sole); ma la tensione e il tremore, e l'angoscia degli operatori di Borsa, sempre sotto pressione come in un sogno angoscioso, li lascia perennemente nel cuore dello spavento. 
Nella bolla di sapone dell'economia virtuale non è concesso né il presente né il passato, piuttosto un tempo nel quale si contraggono presente e futuro per assomigliare ad un passato che renda possibile l'assurdità di un sentimento come la "nostalgia del futuro". 
Anche il classico processo di "produzione-distribuzione-consumo"si è talmente velocizzato che tutto sembra avvenire nel medesimo momento; e si consuma prima di produrre (o questa è l'illusione - il sistema in questo modo diventerebbe virtuoso e le crisi di sovrapproduzione verrebbero per sempre evitate). Ma la sovrapproduzione di merci è una contingenza necessaria per la produzione di profitto; sparita la merce [l'illusione è che] la produzione di profitto potrebbe [vorrebbe] crescere indefinitamente senza la palla al piede del valore d’uso. Solo che a questo punto aumenta anche esponenzialmente la caduta tendenziale del saggio del profitto. 
La faccenda si fa pericolosa, la bolla finanziaria si gonfia sempre di più, come una vescica vuota; poiché in realtà ciò che si consuma prima di essere prodotto non sono i beni materiali bensì il profitto previsto, ossia il desiderio.  Allora certo che non vi è necessità del lavoro [del capitale variabile], anzi occorre cancellarlo per resistere alle crisi sempre meno riottose e sempre più veloci e onnivora quanto più grandi sono i capitali [fissi] investiti. 
Tornando alla questione sorta tra Negroponte e l'addetta alla reception, è certo, comunque, che avevano ragione entrambi, Negroponte e l'impiegata. Ma ci viene anche da aggiungere, in metafore, che se un qualsiasi pittore si fosse trovato nella medesima situazione di Negroponte, ma con un quadro sotto il braccio invece che il portatile, avrebbe potuto rispondere nello stesso preciso modo e del tutto legittimamente: "Questo quadruccio vale da uno a due milioni di dollari", e l'impiegata avrebbe segnato $ 2.200, o anche - senza cornice- 20 dollari. Anche qui l'anonimo pittore si rivolgerebbe alle informazioni contenute nell'opera, alle connessioni che potrebbe avere con la storia della pittura ecc., mentre l'impiegata intende dare valore esclusivamente alla tela e ai colori. Anche qui avrebbero ragione tutti e due; però l'uno si riferisce al corpo mistico, l'altra al corpo meccanico. 
L'opera d'arte, per concludere, è un sistema attivante e comunicativo complesso, nel quale il disordine e la non linearità svolgono un ruolo costruttivo e coagulante fondamentale; ma attenzione: questo vale anche per le nuove tecnologie dell'informazione sulle quali si sviluppa appunto il portatile di Negroponte.

N.d.R. (a perdere) Rispetto al testo pubblicato in  Quaderno 3, quello qui riprodotto è stato risistemato in sede redazionale per completare e rendere più chiare le argomentazioni; le revisioni sono tra parentesi quadre.


Sezione 6
Ufficio Tecnico
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