LA DONNA E IL SOCIALISMO |
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August Bebel . 1883 . ediz.1905
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[la chiesa, il clero e la donna] La chiesa contribuì alla rovina generale. Se nel celibato del clero si trovava già una cagione di libertinaggio, le relazioni stabilite con l'Italia, e con Roma soprattutto, favorirono grandemente la corruzione. Roma non era solo capitale del cristianesimo perché residenza del papato, ma era ancora, fedele al suo passato del tempo dell’impero pagano, una nuova babele, la scuola di perfezionamento in Europa della scostumatezza, di cui la corte papale era principale sede. L'impero romano con la sua caduta aveva lasciato in eredità all'Europa cristiana tutti i suoi vizi, che fiorivano rigogliosi a preferenza in Italia, e che, favoriti dalle relazioni del clero con Roma, furono introdotti in Germania. Il clero, che aveva assunto ormai estensione imponente, composto nella maggior parte di uomini, i cui bisogni sessuali erano stimolati al più alto grado dalla vita oziosa e dissoluta e dal celibato forzato, spinti a soddisfarli per vie illegittime e contro natura, diffuse la scostumatezza in tutte le classi della società. Esso divenne nelle città e nei villaggi un grave pericolo per la moralità del sesso femminile. I conventi di monache e di frati - una vera legione - non si distinguevano dai bordelli pubici se non in ciò, che la vita dei loro abitanti era ancor più sfrenata e libertina. E numerosi delitti, per esempio l'infanticidio, potevano essere ivi meglio celati, perché coloro che avrebbero dovuto esserne giudici in tribunale erano spesso i principali attori nel misfatto. Non di rado avveniva che i contadini cercassero di mettere le mogli e le figlie al sicuro dalle seduzioni del clero, scegliendo per “padre spirituale” un prete che avesse almeno una concubina ! La qual cosa indusse un vescovo di Costanza a imporre ai parroci della sua diocesi una speciale tassa di concubinaggio. Considerando questo state di cose, possiamo ritenere come veritiero e storico il fatto che nel medio evo, descritto dai nostri scrittori romantici come pio e costumato, al concilio di Costanza, nel 1414, erano presenti non meno di 1500 meretrici. Ma tali condizioni non si palesarono solo alla fine del medio evo; esse erano già cominciate prima e avevano dato luogo a lagnanze e a leggi. Nell'802 Carlo Magno ne emanò una in cui diceva: «.I conventi delle monache dovranno essere strettamente sorvegliati. Le monache non dovranno andar vagando, ma essere invece vigilate con massima cura; né dovranno vivere in lotte e litigi fra loro, né in alcun modo disobbedire alle loro maestre e badesse, e agire contrariamente ai loro ordini. Dove sono poi soggette a regole claustrali dovranno rispettarle. Non si abbandoneranno alla prostituzione, ne all'ubriachezza, ne all'ingordigia, ma meneranno in tutto vita equilibrata e sobria. Nessun uomo dovrà entrare nel convento, se non per la messa, dopo la quale dovrà tosto partirsene.». Un'ordinanza dell'anno 869 stabilisce: «.Se un prete mantiene più donne, se versa il sangue di un cristiano o di un pagano, o infrange le regole canoniche, verrà destituito dal sacerdozio come peggiore di qualunque laico.». Il fatto che in quei tempi era proibito ai preti di possedere diverse donne, afferma che nel secolo IX non erano rari i matrimoni poligami. Infatti nessuna legge li proibiva. E ancora: al tempo dei menestrelli, nei secoli XII e XIII, non era ritenuto sconveniente possedere varie mogli. Ne troviamo un esempio in una poesia di Alberto Johansdorf nella raccolta Minnesangs Frühling.[1] Particolarmente funeste per le condizioni morali dei tempi riuscirono le crociate, che tennero lontani per anni dalla patria migliaia d'uomini e che, specialmente all'impero orientale romano, appresero costumi fino allora sconosciuti nell'ovest dell'Europa. La posizione delle donne era resa ancor più sfavorevole dal fatto che, oltre gl'impedimenti che a poco a poco rendevano sempre più difficili il matrimonio e il domicilio stabile, il numero di esse sorpassava considerevolmente quello degli uomini. Le cause principali sono da attribuirsi in prima linea alle numerose guerre, alle sfide ed ai pericolosi viaggi a scopo commerciale. Più avanti l’intemperanza e la dissolutezza aumentarono la mortalità dei maschi. La maggiore disposizione alle malattie e alla morte, conseguenza di questo genere di vita, si manifestò durante le pestilenze che così frequentemente flagellarono l'umanità nel medio evo. Dal 1326 al 1400 se ne contarono 32; dal 1400 al 1500, 41; dal 1500 al 1600, 30 ! [2] [dilagante miseria e prostituzione] Truppe di donne si trascinavano per le strade come ciurmatrici, cantanti, suonatrici; in compagnia di studenti e di chierici invadevano fiere e mercati, e formavano speciali riparti nelle truppe dei lanzichenecchi. Seguendo il carattere del tempo, si organizzarono in corporazioni, e, a seconda della bellezza e dell'età, erano addette a cariche diverse. A scanso di pene severe, non dovevano concedersi ad alcuno al di fuori della loro cerchia. Negli accampamenti dovevano aiutare a provvedere il fieno, la paglia, la legna; a colmare le tombe, gli stagni, le fosse; ad accudire alla pulizia. Negli assedi dovevano colmare i fossi con frasche, fastelli di legna, per facilitare l’assalto; aiutare a collocare i pezzi d'artiglieria; e, se questi rimanevano incagliati in istrade malagevoli, aiutare a trasportarli.[3] Per alleviare in qualche modo la miseria di queste numerose donne abbandonate, furono erette in molte città le così dette “case di Dio”, protette dallo stato, dove dovevano menar vita costumata. Ma né gli asili, né i numerosi conventi erano sufficienti ad albergare tutte coloro che cercavano ricovero. Le difficoltà del matrimonio, la venuta nelle città dei principi, dei signori, civili o ecclesiastici, coi loro seguiti di cavalieri e di servi, la gioventù maschile, non dimenticando anche gli ammogliati, i viveurs, non frenati da scrupoli e desiderosi di novità e di cambiamento nei piaceri della vita, tutto ciò creò anche nelle città medioevali il bisogno della prostituzione. E come ogni mestiere era a quei tempi organizzato e regolato, così avvenne anche di questa. In tutte le città grandi vi erano case di tolleranza appartenenti al comune, ai signori feudali, alla chiesa, le rendite delle quali si versavano nelle rispettive casse. In ogni postribolo vi era una padrona, dalle stesse donne scelta, addetta a mantenere l’ordine e la disciplina e, sopratutto, a sorvegliare scrupolosamente che nessuna concorrente non iscritta a quella corporazione guastasse il mestiere. Colte sul fatto, venivano punite dall'autorità. Le abitatrici di una casa di tolleranza di Norimberga si lamentarono davanti al magistrato che alcune loro concorrenti, non appartenenti alla corporazione, «.ospitassero anche altre donne che andavano di notte per le strade, e alloggiassero uomini scapoli e ammogliati, esercitando così il mestiere più grossolanamente.». Aggiungevano come fosse un peccato che tal cosa venisse tollerata da simile onorevole città.[4] I pubblici postriboli godevano protezione speciale; i disturbatori della quiete erano severamente puniti. Le iscritte alla corporazione avevano il diritto di mostrarsi ordinate in corteo nelle processioni e nelle solennità, a cui le maestranze solevano prender parte. Non di rado sedevano alla tavola dei principi e dei consiglieri. I postriboli erano istituiti «.per salvaguardare il matrimonio e per l'onore delle ragazze.». Per l’istesso concetto furono fondati i postriboli di stato in Atene e per esso si scusa tuttora la prostituzione. Non mancarono pertanto le violente persecuzioni delle prostitute, per opera degli stessi uomini che erano da queste col loro mestiere e il loro denaro mantenuti. L’imperatore Carlo, per esempio, ordinò che una prostituta fosse trascinata nuda al mercato e frustata; egli stesso, il re e imperatore «.cristianissimo.» non aveva meno di sei mogli ad un tempo. Le figlie, che seguivano apertamente l'esempio del padre, non erano certo modelli di virtù, e gli procurarono col loro sistema di vita molte ore spiacevoli portando in casa diversi figli illegittimi. Alcuino, l’amico e consigliere di Carlo il Grosso, ammoniva gli scolari di guardarsi dalle «.colombe coronate che volavano di nottetempo attraverso il Palatinato, alludendo alle figlie dell'imperatore. Gli stessi comuni, che avevano instituiti officialmente i lupanari, li avevano posti sotto la loro tutela e circondavano le sacerdotesse di Venere di tutti i privilegi, facevano pesare i castighi più duri e crudeli sulle disgraziate vittime della corruzione. L'infanticida, che per disperazione avesse ucciso il frutto delle sue viscere, era sottoposta alla pena di morte più crudele; contro il perverso seduttore nessuno osava alzar la voce. Egli sedeva forse nel tribunale che infliggeva la pena di morte all’infelice vittima. Questi fatti accadono tuttora.[5] Anche la donna adultera veniva severamente punita; la gogna era il minore castigo; ma sull’adulterio del marito si stendeva il manto della carità cristiana. A Würzburg, il lenone giurava al magistrato «.di essere fedele alla città e di reclutare donne.». Lo stesso a Norimberga, a Ulma, a Lipsia, Colonia, Francoforte, ecc. Ad Ulma, dove nel 1537 furono soppressi i lupanari, li rimisero di nuovo in vigore nel 1551 «.per impedire maggiori abusi.». Agli stranieri di alto rango lo stato metteva a disposizione le meretrici. Nel 1452, quando il re Ladislao entrò a Vienna, il magistrato della città gli inviò incontro una deputazione di donne pubbliche che, avvolte in soli veli, mostravano le forme più seducenti. L'imperatore Carlo V al suo ingresso a Brügge fu ugualmente salutato da una deputazione di ragazze nude ; scena che Giovanni Makart immortalò in un gran quadro che trovasi al museo di Amburgo. Tali cose non sembravano a quei tempi affatto sconvenienti. [amor cortese] Romanzieri di sbrigliata fantasia e persone di calcolo astuto hanno cercato di rappresentare il medio evo come particolarmente costumato e dotato di una vera venerazione per la donna. A ciò diede credito in special modo l'epoca dei menestrelli - dal secolo XII al XIV. Il servizio d'amore tributato dalla cavalleria, iniziato dai Mori in Ispagna, dovrebbe attestar l'alta stima che godeva in allora la donna. Qui dobbiamo notare diverse cose. Primieramente la classe dei cavalieri formava una minima parte della popolazione, e quindi le loro mogli costituivano un piccolo numero fra le donne. In secondo luogo, solo una piccolissima parte dei cavalieri disimpegnava il vero servizio d'amore; in terzo luogo, la sua vera natura è sconosciuta o viene travisata. L' epoca in cui esso fiorì era quella del peggiore diritto del più forte in Germania, in cui ogni rispetto all'ordine era infranto e la cavalleria si abbandonava senza freno al saccheggio, alle ruberie, alle estorsioni. In tempi di sì brutale prepotenza non potevano predominare sentimenti dolci e poetici. Al contrario, si cercava di distruggere completamente la stima che ancora godeva il sesso femminile. La cavalleria del contado come delle città, contava nelle sue file per lo più anziani rozzi, incolti, la cui passione più elevata, accanto al guerreggiare e al bere smodato, era la soddisfazione più sfrenata dei sensi. I cronisti del tempo non si saziano di narrare gli stupri e le prepotenze di cui si rendevano colpevoli i nobili delle città e del contado, nelle mani dei quali, fino al secolo XIII e in parte anche nel XIV e nel XV, era affidato il governo. E i maltrattati di rado possedevano la possibilità di far valere il loro diritto, poiché nelle città i nobili occupavano lo scabinato, e, nel contado, apparteneva al signore feudale il fare giustizia. Con tali costumi ed abitudini è difficile supporre che i nobili e i signori potessero avere tanta stima della donna da portarla in palma di mano come una specie d'essere superiore. Una piccola parte della cavalleria si mostrava sinceramente entusiasta della bellezza femminile; l'entusiasmo non era però platonico, ma tendeva a raggiungere scopi reali. Fra gli entusiasti “della donna” Ulrico di Lichtenstein , di ridicola memoria, rimase platonico finché non poté farne a meno. In conclusione, il servizio d'amore era l'apoteosi delle amanti a spese delle mogli legittime, una specie di eterismo cristianizzato, quale esisteva in Grecia ai tempi di Pericle. La seduzione reciproca delle mogli era un servizio d'amore spesso perpetrato come lo è tuttora in alcuni circoli della nostra borghesia. In quell’aperta soddisfazione dei desideri sensuali appariva senza dubbio la convinzione che ogni uomo sano, giunto a maturità, avesse il diritto di soddisfare i bisogni dei suoi sensi, dimostrando la vittoria della natura sana sull'ascetismo del cristianesimo. Ma bisogna rammentare che questa convinzione non aveva valore se non per uno solo dei sessi, mentre ben diversamente veniva trattato l'altro, come se non dovesse o potesse avere i medesimi diritti. La minima infrazione alle leggi morali, prescritte dal sesso maschile, veniva punita nel modo più severo. E la donna, per effetto della continuata repressione e dell'adeguata sua educazione, si è talmente immedesimata nel modo di pensare del suo oppressore, da trovare anche oggi la cosa naturale. Non vi sono, forse, stati milioni di schiavi che trovarono giusta la loro schiavitù e non si sarebbero mai liberati dal giogo se il liberatore non fosse sorto dalla classe stessa dei loro oppressori ? E i contadini prussiani quando, per la legge di Stein, dovevano essere liberati dalla soggezione, non fecero forse una petizione per essere lasciati in schiavitù, affermando che «.nessuno avrebbe pensato a loro nel caso di malattia o nella vecchiaia.» ? E non è lo stesso negli odierni moti dei lavoratori ? Quanti di essi si lasciano influenzare dai loro sfruttatori ed agiscono a secondo dei loro voleri! L'oppresso ha bisogno di essere incitato e animato, poiché gli manca l'iniziativa per rendersi indipendente. Si è visto nella recente agitazione del proletariato, e così avviene nella lotta per l'emancipazione della donna. Anche nella borghesia, relativamente in condizioni migliori nella lotta per l’emancipazione, furono i nobili e gli ecclesiastici che aprirono la breccia. Nonostante tutti i suoi difetti, il medio evo possedeva una sensibilità sana, che aveva origine dalla natura robusta e amante del lieto vivere nel popolo, che il cristianesimo non aveva potuto reprimere. Gl'ipocriti pudori e la celata libidine dei nostri tempi, che si vergognano e non osano chiamare le cose col loro vero nome e parlare con franchezza delle cose naturali, gli erano sconosciute. Non conosceva nemmeno il compiacente doppio senso in cui si avvolgono le cose che, per mancanza di franchezza, o per pudore divenuto abituale, non si osano nominare, rendendole tanto più pericolose, poiché tal genere di discorsi eccita e non soddisfa, lascia supporre, ma non indica chiaramente. Le nostre conversazioni, i romanzi, i teatri sono pieni di queste piccanti ambiguità e ne vediamo gli effetti. Lo spiritualismo del roué che si nasconde dietro allo spiritualismo religioso, ha oggi forte potere. [la riforma protestante, Lutero, la donna, il matrimonio e la chiesa] La sana sensualità del medio evo trovò in Lutero il suo classico interprete. Noi abbiamo da fare con lui più come uomo che come riformatore religioso. La natura vigorosa e schietta di Lutero si rivela genuinamente; essa lo spinse a manifestare senza scrupoli e con sicurezza di vedute i suoi bisogni di amore e di godimento. La sua condizione di un tempo di sacerdote romano gli aveva aperti gli occhi. Egli aveva imparato a sue proprie spese a conoscere in pratica la vita contro natura delle monache e dei frati. Di qui il calore nel combattere il celibato del clero. Le sue parole hanno valore ancora oggi per coloro che credono di poter peccare contro natura, e intendono di potere conciliare coi loro concetti di morale e costumatezza gli ostacoli con cui gli ordinamenti sociali impediscono a milioni d'individui di adempiere le funzioni della natura. Lutero dice: «.Una donna che non goda di una grazia particolare non può fare a meno dell'uomo come di mangiare, di bere, di dormire e di ogni altro bisogno naturale. Dal canto suo anche l’uomo non può fare a meno della donna. La ragione è questa: che in natura è tanto radicato il bisogno di generare come di mangiare e di bere. Perciò Iddio ha date al corpo le membra, le vene, i liquidi e tutto ciò che può servire a questo scopo. Chi vuole soffocare l'istinto naturale e non secondare la natura, che cosa fa egli se non impedire che il fuoco abbruci, che l’acqua bagni, che l’uomo mangi, beva e dorma?.» Nel suo sermone sulla vita matrimoniale egli dice: «.Quanto poco è in mio potere di non essere un uomo, altrettanto poco è in potere della donna di fare a meno dell’uomo, poiché non è per libero arbitrio o per calcolo, ma per forza naturale che l’omo desidera la donna e la donna l’uomo.» Lutero non si esprime così energicamente solo per la vita matrimoniale e per il bisogno di soddisfare gli stimoli naturali; ma egli disapprova altresì che la chiesa e il matrimonio abbiano qualcosa in comune. Si accorda in ciò con le opinioni dei tempi antichi, che vedevano nel matrimonio un atto arbitrario degli interessati, che non riguardava affatto la chiesa. Così si esprime a questo proposito: «.Il matrimonio è cosa affatto estranea alla chiesa come qualunque altra azione umana. Come è permesso di mangiare, bere, dormire, passeggiare, cavalcare, correre, parlare e contrattare con un pagano, con un giudeo, con un turco, con un eretico, così possiamo unirci e vivere insieme in rapporti matrimoniali. E non curiamoci delle leggi stolte che lo proibiscono... I pagani sono uomini e donne creati ugualmente bene da Dio, come S. Pietro, S. Paolo e S. Luca. Taci dunque, falso e scaltro cristiano.». Lutero, simile ad altri riformatori, si dichiarava contrario alle limitazioni del matrimonio e voleva ammettere le seconde nozze pei divorziati, alla qual cosa si opponeva la chiesa. Egli dice: «.Ho già detto il modo come devesi trattare da noi il matrimonio e la separazione, cioè affidarli nelle mani dei giuristi e metterli sotto le leggi temporali, poiché il matrimonio è cosa affatto estranea alla chiesa.». In considerazione di questa veduta, solo verso la fine del secolo XVII fu istituita dai protestanti la funzione religiosa per render valido il matrimonio. Fino allora bastava il così detto matrimonio di coscienza, cioè l'obbligo reciproco di considerarsi marito e moglie e di voler vivere insieme maritalmente. Tale matrimonio era considerato legale dal diritto germanico. Lutero si spinse più oltre, sino ad accordare il diritto alla parte scontenta - fosse pure la donna - di cercare soddisfazione dei propri desideri al di fuori del matrimonio «.per secondare la natura contro la quale è inutile opporsi.».[6] Egli espone alcune massime che devono altamente eccitare lo sdegno di una gran parte degli «.uomini e delle donne onorevoli.» dei nostri tempi che, nel loro zelo fanno appello a Lutero. Nel suo trattato: Vom chelichen Leben, II, 146 - Jena 1522, dice: «.Quando una donna atta al matrimonio sposa un uomo impotente e non può sceglierne apertamente un altro, o non vuole farlo per la sua reputazione, deve dire al marito: “Senti, caro marito, tu non puoi soddisfarmi ed hai ingannato me ed il mio giovane corpo mettendo in pericolo l'onore e l'anima. In faccia a Dio non vi è onore tra noi due. Concedimi dunque di unirmi segretamente con tuo fratello, o con un tuo caro amico, e tu porta il nome di marito affinché i tuoi averi non passino a eredi estranei, e lasciati ingannare di buona voglia da me come senza volere mi hai a tua volta ingannata”. Il marito, prosegue Lutero, ha il dovere di accondiscendere. «.Qualora non lo volesse, la moglie ha il diritto di abbandonarlo per andare in altro paese e scegliersi un altr'uomo. Al contrario, quando una moglie non vuole esercitare i doveri coniugali, il marito ha il diritto di accoppiarsi con altra donna, solo ne deve rendere conscia la moglie.».[7] Come si vede, il grande riformatore sviluppa massime da sembrare immorali ai nostri tempi così ipocritamente verecondi. Lutero non esprime se non il concetto popolare di quell'epoca. Giacobbe Grimm ne fa accenno nella sua opera: Deutsche Rechtsalterthümer. Weisthum aus dem Amte Blankenburg, p. 444. Il contadino del medio evo voleva col matrimonio procacciarsi in prima linea degli eredi, e, se non era al caso di farlo, da uomo pratico lasciava senza scrupoli questo piacere ad altri. L'importante era di raggiungere lo scopo. Noi ripetiamo: L'uomo non domina la proprietà ma ne è dominato. I brani citati delle opere e dei discorsi di Lutero sul matrimonio hanno particolare importanza, perché le vedute ivi espresse stanno in aperta contraddizione con quelle della chiesa attuale. La democrazia sociale può, nella lotta che sostiene contro il clericalismo, appellarsi a buon diritto a Lutero, che nella questione matrimoniale muove da un principio assolutamente scevro di pregiudizi. Egli, con altri riformatori, si spingeva a questo riguardo anche più innanzi, certamente per ragioni di opportunità e per condiscendenza verso i principi interessati di cui teneva a guadagnarsi, o a conservarsi, la valida protezione e la benevolenza. Filippo I, langravio di Assia, favorevole alla riforma, possedeva oltre la moglie legittima una favorita, che avrebbe accondisceso alle sue brame soltanto a condizione che la facesse sua sposa. Il caso era delicato. Il separarsi dalla moglie, senza ragioni gravi, avrebbe cagionato grave scandalo, e la bigamia era per un principe cristiano dei nuovi tempi un avvenimento inaudito, che non avrebbe menato scandalo minore. Tuttavia Filippo, spinto dalla passione, si decise per il secondo passo. Si trattava però di assicurarsi che esso non fosse in contraddizione con la Bibbia e incontrasse l'approvazione dei riformatori, specialmente di Lutero e di Melantone. Le prime pratiche del principe s'iniziarono con Butzer, che si dichiarò favorevole al progetto e promise di guadagnare il consenso di Lutero e di Melantone. Butzer motivava le sue vedute dicendo che possedere più mogli al tempo stesso non era contrario al Vangelo. S. Paolo, che predica a molti che non otterranno il regno dei Cieli, non fa menzione di coloro che hanno due mogli. Di più egli dice che «.i vescovi debbono avere una sola moglie come i servi.». Se tutti avessero dovuto possedere una sola moglie, egli avrebbe così ordinato e proibito di prenderne più d'una. Lutero e Melantone, fondandosi su queste basi, concessero a Filippo di contrarre nuove nozze, dopo però che la moglie aveva accondisceso anch'essa alla nuova unione, a patto che «.il marito adempisse i doveri maritali verso di lei più di quanto fino allora avesse fatto.»[8] Lutero si era già altra volta occupato della questione della bigamia, quando si tratto del matrimonio bigamo di Enrico VIII d'Inghilterra, come appare in una lettera al cancelliere sassone Brink, al quale scrive nel gennaio 1524 «.non potere egli, Lutero, opporsi in massima alla bigamia, poiché non si trova in contraddizione con la sacra scrittura,[9] ma ritenuta deplorevole fra cristiani, i quali dovrebbero astenersi anche da cosa lecita.». Dopo le nozze avvenute nel marzo del 1540, Lutero scriveva il 10 aprile in risposta ad una lettera di ringraziamento del langravio: «.Sarebbe bene che Sua Grazia tenesse celati i consigli dati in proposito, altrimenti anche i rozzi contadini, volendo imitare l'esempio del langravio, potrebbero forse addurre cause altrettanto gravi ed anche maggiori che troppo ci vorrebbe a combattere.» Il consenso di Melantone dev'essere stato più facile ad ottenersi, poiché già in precedenza aveva scritto a Enrico VIII «.che tutti i principi avevano il diritto di introdurre la poligamia nel loro territorio.». Ma le duplici nozze del langravio sollevarono tale rumore in paese, che nel 1541 egli fu costretto a metter fuori uno scritto nel quale diceva non doversi ritenere la poligamia contraria alla Scrittura [10]; ma non si viveva più nel secolo IX o nel XII, in cui la poligamia era nell'uso del popolo. Il matrimonio bigamo del langravio d'Assia non fu del resto il solo che eccitasse in vasti ambienti sì forte sollevamento. Simile fatto si ripeté per parte di principi nel secolo XVII e nel XVIII, come accenneremo più avanti. Lutero, dichiarando precetto di natura la soddisfazione degli istinti sessuali, non manifestava se non il pensiero dei contemporanei, e specialmente del sesso maschile. La riforma, che abolì il celibato del clero e soppresse i conventi nei paesi protestanti, creò per centinaia di migliaia d'individui la possibilità di soddisfare sotto forme legittime i loro istinti naturali, mentre centinaia di migliaia d'individui, per gli ordinamenti di proprietà in vigore e per le leggi di questa, rimasero nell'impossibilità di fare altrettanto. La riforma rappresentò la protesta della grassa borghesia incipiente contro la lega degli stati feudali nella chiesa, nello stato e nella società. La grassa borghesia che s'iniziava, tendeva a liberarsi dagli stretti vincoli imposti dal diritto delle corporazioni, della corte e della chiesa all'accentramento dello stato, alla semplificazione della chiesa troppo prodigale, all'abolizione dei conventi e a togliere molte cariche concesse ad oziosi, occupando questi in professioni pratiche. Lutero fu nel campo religioso il rappresentante di queste aspirazioni borghesi. Difendendo la libertà del matrimonio, egli non poteva ammettere se non il matrimonio civile, come fu stabilito solo ai tempi nostri, con la legge sul matrimonio civile e la legislazione civile ad esso associata, la libertà di domicilio, di emigrazione, di mestiere. Mostreremo quanto da ciò traesse vantaggio la condizione della donna. [conseguenze economiche e sociali della Riforma] Durante la riforma le cose non erano molto prosperate. Se con essa era stato a molti facilitato il matrimonio, dall’altro lato le severe persecuzioni avevano reso più difficili i rapporti sessuali liberi. Se il clero cattolico aveva mostrata una certa rilassatezza e tolleranza per il libertinaggio, il clero protestante, sollecito della integrità di sé stesso, si accanì tanto più contro di esso. Fu dichiarata guerra aperta alle case pubbliche di tolleranza, che furono chiuse come «.antri di Satana.», le prostitute perseguitate come «.figlie del diavolo.», e le donne che avevano commesso un fallo venivano messe alla berlina come esempi di ogni scelleratezza. Dal piccolo borghese buontempone del medio evo, che viveva e lasciava vivere, sorse il borghese bigotto, austero, cupo, che risparmiava perché i suoi discendenti, più borghesi di lui, potessero vivere e sprecare ancor più lautamente. L'onesto cittadino dalla cravatta rigida, dalle idee limitate, dalla severa ma ipocrita morale, diviene il prototipo della società. La moglie legittima, che la sensualità cattolica del medio evo aveva mal tollerata, s’intese invece a meraviglia con lo spirito puritano dei protestanti. Ma altre circostanze che influirono sfavorevolmente sulle condizioni generali della Germania non risparmiarono la donna. La trasformazione dei rapporti della produzione del credito e del commercio, operata in ispecial modo dalla scoperta dell'America e dall'apertura di una via navigabile verso le Indie orientali, sollevò grande reazione nel campo sociale. La Germania cessò di essere il centro del commercio e del traffico europeo; i mestieri e il commercio decaddero. Al tempo stesso la riforma ecclesiastica aveva distrutta l’unità politica della nazione. La riforma diventò il manto sotto il quale i principi germanici cercarono di emanciparsi dal potere imperiale. A loro volta invece soggiogarono la nobiltà, e, per raggiungere più facilmente lo scopo, colmarono di favori le città le quali, in vista dei tempi che si facevano sempre più torbidi, volentieri si sottomisero al potere dei principi. Ma la conseguenza fu che la borghesia minacciata nei guadagni dalla stasi economica, cercò d'innalzare ostacoli sempre maggiori per difendersi dalla sgradita concorrenza, ed i principi ne secondarono i desideri. Le condizioni a suo favore si rassodarono, ma aumentò la miseria. Ulteriori conseguenze della riforma furono le lotte e le persecuzioni religiose che servirono ai principi di mantello per nascondere i loro scopi politici ed economici, e cagionarono discordie che, con qualche interruzione, continuarono in Germania per più di un secolo e finirono con l’esaurirla con la guerra dei trent'anni. La Germania non era più se non un immenso campo di cadaveri e di rovine. Intere province e paesi devastati; centinaia di città, migliaia di villaggi arsi completamente o in parte, alcuni di essi scomparsi per sempre dalla superficie della terra. In molti luoghi la popolazione era diminuita di un terzo, di un quarto, di un quinto od almeno di un ottavo o di un decimo. Fra questi, per esempio, la città di Norimberga e tutta la Franconia. In tale frangente, per provvedere più rapidamente che fosse possibile all'aumento della popolazione delle città e dei villaggi spopolati, si ricorse ad un mezzo radicale, quello cioè di permettere ad ogni uomo di prendere due mogli. La guerra aveva decimato gli uomini, ma le donne rimanevano in soprannumero. Per la qual cosa il 14 febbraio 1650 la Dieta di Franconia decise a Norimberga che «.non si potessero accettare nei conventi uomini al di sotto di 60 anni.»; che «.quei preti o parroci, che non appartenessero veramente all'ordine, o non fossero canonizzati, dovessero contrarre matrimonio legittimo.»; che «.ogni uomo potesse prendere due mogli e fosse loro rammentato spesso, anche dal pulpito, di comportarsi in modo conveniente, cioè non solo di provvedere del necessario le due mogli, ma di evitare ancora che nascessero discordie fra loro.». |
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Così il pulpito fu utilizzato per fare propaganda del matrimonio bigamo e per prescrivere agli ammogliati il modo di contenersi. Anche il commercio, il traffico, l'industria subirono in quell’epoca un arresto, anzi furono danneggiati del tutto e solo a poco a poco poterono riaversi. Una gran parte della popolazione era demoralizzata e priva di ogni regolata attività.
Se durante le guerre erano stati gli eserciti di mercenari che avevano rubato, saccheggiato, violentato e ucciso, percorrendo la Germania da un capo all'altro, imponendo contribuzioni forzate ed atterrando al tempo stesso amici e nemici, dopo la guerra furono le schiere dei briganti, dei mendicanti e dei vagabondi che sparsero il terrore e l’angoscia fra le popolazioni, ostacolando e arrestando del tutto le industrie e i commerci. Per la donna in special modo furono tempi di dolore. La dissolutezza, il disprezzo per la donna avevano fatto grandi progressi; sulle sue spalle pesava nei modo più grave la mancanza del guadagno. Le donne, come gli uomini vagabondi, popolavano a migliaia le strade maestre e le foreste e riempivano ricoveri e prigioni. [nelle campagne] Per mettere un colmo a tante sofferenze si aggiunse l'espulsione violenta di numerose famiglie di contadini per opera di una nobiltà avida di terre. Questa, che dopo la riforma aveva dovuto più che mai piegarsi al potere dei principi, e, occupando cariche di corte e militari, si era dovuta contenere sempre maggiormente sotto la loro dipendenza, cercava di risarcirsi dei danni a lei cagionati dai principi rubando il doppio o il triplo dei beni dei contadini. La riforma aveva poi offerto ai principi il desiderato pretesto per impossessarsi dei ricchi patrimoni ecclesiastici, che ingoiarono in innumerevoli iugeri di terra. Il principe elettore Augusto di Sassonia aveva, per esempio, fino alla fine del secolo XVI, stornato non meno di 300 beni ecclesiastici dal loro scopo originale [11] e, come lui, lo stesso avevano fatto i suoi signori fratelli e cugini e il resto dei principi protestanti, in prima linea gli Hohenzollern. La nobiltà ne seguì l'esempio, appropriandosi i beni ancora esistenti dei comuni e dei contadini rimasti senza padroni, scacciando i contadini liberi, come gli schiavi, dalle loro case e fattorie, arricchendosi coi beni loro sottratti. La malaugurata rivolta dei contadini nel secolo XVI offrì il desiderato pretesto. I principi, riusciti una volta nell’ardua prova, trovarono altre cause per proseguire con più violenza ancora. Mettendo in opera ogni genere di cavilli, di vessazioni e di estorsioni - alle quali offriva comodo appoggio il diritto romano introdotto nel contempo - per estendere le possessioni della nobiltà furono comprate quelle dei contadini a prezzi vivissimi, o scacciati i proprietari dalle loro terre. Interi villaggi, fattorie di mezze province furono in tal modo atterrate. Per citare qualche esempio, diremo che di 12543 poderi di contadini che possedeva ancora il Mecklemburg al tempo della guerra dei trent'anni, nel 1848 non ne esistevano più che 1213. Nella Pomerania, dopo il 1628, ne furono distrutti più di 12000. La trasformazione nell'economia rurale, che si compì nel corso del |secolo XVII, fu un altro incitamento all'espropriazione dei poderi dei contadini e al convertimento degli ultimi resti del territorio comune in possedimenti della nobiltà. Venne introdotta l'economia libera, che permise in certe epoche un cambiamento nel sistema di coltivazione dei fondi. I campi per granaglie furono temporaneamente convertiti in pascoli, ciò che favorì l’allevamento del bestiame, che a sua volta fu causa della diminuzione del numero delle forze lavoratrici. [nelle città] Nelle città le condizioni non erano migliori che nelle campagne. Un tempo era stato senza opposizione concesso alle donne di ottenere il titolo di maestre e di occuparsi come garzoni o apprendisti; le costrinsero anche a formare associazioni, per sottometterle alle stesse condizioni di concorrenza. Molte donne erano occupate nell'arte del tessere il lino, la lana, i panni, nel mestiere della sarta, nel fabbricare tappeti; vi erano filatrici d'oro, battilore, cintolaie, sellaie, ecc. Troviamo, per esempio, donne pellicciaie a Francoforte e nella Slesia, fornaie nelle città renane, ricamatrici d'insegne e cintolaie a Colonia e a Strasburgo, correggiaie a Brema, cimatrici a Francoforte, conciatrici a Norimberga, filatrici battilore a Colonia.[12] Ma a misura che peggioravano le condizioni dei mestieranti, si accresceva in ispecial modo l'astio contro le concorrenti femmine. In Francia, già dalla fine del secolo XIV, le donne erano state escluse dai mestieri; in Germania lo furono soltanto verso la fine del secolo XVII. Da principio fu proibito loro di diventar maestro - ad eccezione delle vedove - più tardi furono escluse anche come operaie. La sostituzione del fastoso culto cattolico al protestante aveva pure danneggiato, o rovinato del tutto, una quantità di industrie, in ispecial modo le artistiche, nelle quali, a preferenza, erano occupate le donne. Inoltre la costituzione e la secolarizzazione del grosso patrimonio della chiesa cagionò un regresso nelle cure verso i poveri, per cui in prima linea soffrirono le vedove e le orfane. La generale decadenza economica, avvenuta per tutte le cause presentatesi nel secolo XVI, e che perdurò nel XVII, diede luogo a disposizioni sempre più severe sul matrimonio. Esso fu in ispecial modo proibito ai garzoni mestieranti ed alle persone di servizio (servitori e cameriere), a meno che non potessero provare che non esisteva il pericolo di rimanere a carico, con la loro futura famiglia, del comune al quale appartenevano. I matrimoni conclusi senza tener conto delle leggi venivano puniti con severi castighi, talora barbari addirittura; per esempio, secondo la legge bavarese, con vergate o prigionia. Persecuzioni specialmente dure esistevano per le cosiddette unioni libere, che avvenivano tanto più spesso, quanto più difficile diventava l'ottenere il permesso per il matrimonio. Il timore di un eccesso di popolazione preoccupava gli animi e, per diminuire il numero dei mendicanti e dei vagabondi, si creavano leggi una più dura dell'altra. [i costumi dei nobili e dei borghesi] Seguendo l'esempio di Luigi XIV di Francia, le corti dei principi germanici, in quei tempi numerosissime, spiegarono larga prodigalità in ogni genere di fasto e di splendori, specialmente per le favorite; prodigalità che stava in rapporto inverso alla grandezza ed alla capacità produttiva dei vari paesi. La storia delle corti principesche del secolo XVIII appartiene ai più odiosi capitoli della storia. Un potentato cercava di sorpassare l'altro in stolida arroganza, in pazza mania di dissipazione, in costosi giuochi militari. Ma le spese più folli erano per le donne. Difficile è a dirsi quale delle molte corti tedesche riportasse la palma in questa gara di dissipazione e corruzione. Oggi era questa, domani quella corte; nessuno degli stati germanici faceva eccezione. La nobiltà imitava i principi, e nelle città di residenza i cittadini imitavano a loro volta i nobili. Se la figlia di una famiglia borghese aveva la fortuna di piacere ad un alto personaggio di corte, od anche al Serenissimo, diciannove volte su venti essa si rallegrava di questo favore e la famiglia era pronta concederla loro come favorita. Lo stesso accadeva nelle famiglie nobili, se una delle loro figlie sapeva procacciarsi la benevolenza di un principe. Mancanza di carattere e sfrontatezza regnavano dovunque. Le città in peggiori condizioni erano le due capitali tedesche, Vienna e Berlino. Nella Capua tedesca, a Vienna, regnò, è vero, per buona parte del secolo l'austera Maria Teresa, ma essa era impotente contro gli istinti di una ricca nobiltà abbandonata a godimenti sensuali e contro la classe borghese che l'aiutava. Con le caste leggi da lei emanate e con l’aiuto di un esteso sistema di spionaggio, essa riescì in parte ad esacerbare gli animi, in parte a rendersi ridicola. Il risultato fu nullo. Nella frivola Vienna, nella seconda metà del 1700, si sparsero e fecero il giro sentenze quali questa: «.Si deve amare il prossimo come sé stesso, cioè si deve amare la moglie degli altri come la propria.», o pure: «.Quando la moglie va a destra, il marito deve andare a sinistra. Se essa prende un cavaliere servente, egli si cercherà un’amica.». In una lettera del poeta Cristiano von Kleist, scritta nel 1751 al suo amico Gleim, appare il modo leggiero di quei tempi di considerare il matrimonio e l’adulterio: «.Ella conosce già l'avventura del margravio Enrico. Egli ha mandato la moglie nei suoi possessi e e intende separarsene avendo trovato a giacere con lei il principe di Holstein… Il margravio avrebbe fatto assai meglio se avesse messo in tacere l'affare, invece di far parlare di sé tutta Berlino e mezzo mondo. Del resto non si deve considerare sotto cattivo aspetto una cosa tanto naturale, molto più quando non si è troppo severi per sé stessi come il margravio. Il venirsi in uggia è inevitabile nel matrimonio e tutti, uomini e donne, sono trascinati dall'esaltamento della loro fantasia ad essere infedeli con altre amabili persone. Come si può punire una colpa verso la quale tutti siamo trascinati?.». Lord Malinesbury, ambasciatore inglese, scrive nel 1772 sulle condizioni di Berlino: «.Completa corruzione regna in entrambi i sessi di tutte le classi, cui si aggiunge la miseria, prodotta in parte dalle tasse che ha imposto l'attuale re, in parte dalla passione del lusso trasmesso dal nonno di lui. Gli uomini con mezzi limitati menano vita dispendiosa; le donne sono svergognate arpie, che si danno a chi meglio le paga. I sentimenti delicati e l’amor puro sono a loro sconosciuti.» Sotto Federico Guglielmo II, che regnò dal 1786 al 1797, le cose andarono sempre peggio. Egli offrì il peggior esempio che dar si possa al popolo. Il suo cappellano di corte, Zöllner, si abbassò fino ad unire il re in seconde nozze con la sua favorita Giulia von Voss. E allorché questa morì subito dopo il primo parto, Zöllner arrivò al punto di benedire l'unione del monarca con un'altra sua favorita, la contessa Sofia von Dönhoff. Il cattivo esempio di Federico Guglielmo II, offerto al popolo alla fine del secolo, era già stato dato al principio di esso dai suoi cugini. Alla fine di luglio del 1705 il duca Everardo Ludovico di Würtemberg si unì in matrimonio con la sua favorita, la Grävenitz, la «.corruttrice del paese.», come ancora è chiamata nel Würtemberg. Le nozze furono celebrate da un giovane prete, M. Pfähler, parroco di Mühlen sul Neckar. E il cugino di Everardo Ludovico, il duca Leopoldo Everardo di Mömpelgard, fece anche peggio, poiché possedeva contemporaneamente tre mogli legittime, di cui due erano sorelle tra loro. Egli unì in matrimonio due dei suoi 13 figli. La condotta di questo padre della patria sollevò grande indignazione tra i sudditi, ma tutto finì lì. Solo nel 1708 l'intervento imperiale revocò il matrimonio del duca di Würtemberg con la Grävenitz, ma questa contrasse subito un matrimonio fittizio con il conte di Wülrber, pur rimanendo ancora per venti anni l’amante del duca e «.corruttrice del paese.». [lo stato, gli sviluppi commerciali e la nascita della grande industria ] Il crescente potere dei principi dal secolo XVI, in cui ebbe principio l'era delle grandi riforme dello stato, aveva istituito la milizia stabile, che imponeva al popolo per la sua manutenzione non lievi imposte, cui si aggiunse, nella maggior parte delle corti, quel genere di vita dispendiosa che esigeva grandi mezzi. Tali esigenze non potevano essere soddisfatte se non da una popolazione numerosa, e quindi al caso di corrispondere forti tributi. Per la qual cosa i diversi governi, specialmente i grandi stati, cercarono dal 1700 in poi di aumentare la popolazione e, per quanto fosse possibile, la sua capacità di pagare imposte. La via era offerta dallo sconvolgimento sociale ed economico che, come già accennammo, era stato cagionato dalla scoperta dell'America, dalla navigazione intorno all'Africa e dall'apertura di una via navigabile verso le Indie orientali, che facilitava la navigazione intorno al mondo intero. Siffatto sconvolgimento si manifestò in primo luogo nell'Europa occidentale, più tardi anche in Germania. Le nuove vie avevano creato nuovi rapporti commerciali di un’estensione fino allora sconosciuta e mai sognata. Il Portogallo, la Spagna, i Paesi Bassi, l'Inghilterra, cercarono primi di profittare del cambiamento delle cose. Finalmente anche la Francia e la Germania. Quest'ultima era stata più delle altre danneggiata dalle guerre di religione e dalle divisioni politiche, ed era rimasta economicamente molto arretrata. I nuovi bisogni del commercio internazionale, sorti con l’apertura di sempre nuovi mercati dei prodotti dei mestieri e delle industrie europee, misero in rivoluzione non solo le arti manuali, ma anche i sentimenti e il modo di pensare dei popoli europei e dei loro governi. Termina cosi, alla pagina 150 di 632, il capitolo La donna nel passato del testo di Bebel della nostra edizione, che ci promettiamo di fornire nella sua interezza in un documento PDF che sarà disponibile nella nostra sezione di FORNITURE. |
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Note di A. Bebel
[1] - Sammlung van Karl Lachmann und Moriz Haupt. Leipzig, S. Hirzel, 1857. [2] - Carlo Bücher, Die Frauenfrage in Mittelalter. - Tubinga. [3] - Carlo Bücher, op. cit. [4] - Joh. Scherr, Geschichte der deutschen Frauenwell, 4a edizione, Lipsia, 1879. [5] - Leon Richer racconta nella Femme Libre un caso avvenuto a Parigi, di una donna di servizio infanticida, condannata dal padre del proprio figlio, un avvocato di fama illibata, che sedeva al banco dei giurati. Di più: l’avvocato stesso era stato l'uccisore e la madre era completamente innocente, come confessò soltanto dopo la sentenza del tribunale. |
[6] - Carlo Hagen, Deutschlands literarische und religiöse Verhältnisse im Reformationszeitalter. Frankfurt a. M., 1888.
[7] - Carlo Hagen. Op. cit., pag. 234. [8] - Janssen, Geschichte des deutschen Volks, 1525-1556. Friburgo. [9] - Cosa assolutamente giusta, ma che si spiega col fatto che la Bibbia ha origine in un tempo in cui la poligamia era largamente diffusa fra i popoli orientali e occidentali, ma in assoluta contraddizione coi costumi del secolo XVI. [10] - Giov. Janssen, op. cit., vol. III. [11] - Giov. Janssen, op. cit., vol. III [12] - Carlo Bücher, Die Frauenfrage im Mittelalter. |
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