LA DONNA E IL SOCIALISMO

August Bebel . 1883 . ediz.1905
arteideologia raccolta supplementi
nomade n.11 dicembre 2015
COME STANNO LE COSE
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LA DONNA NEL PASSATO . 1 . 1

La donna e l’operaio hanno questo carattere in comune: l'essere oppressi. Le forme di siffatta oppressione si sono cambiate con l’andar dei tempi e a seconda dei paesi, ma il fatto permane tuttora. Con lo sviluppo storico gli oppressi sono arrivati più facilmente alla conoscenza della loro oppressione, per i cambiamenti e i miglioramenti del loro stato, ma tanto nella donna quanto nell'operaio la vera coscienza dell'oppressione, nelle sue cause, è un risultato ottenuto soltanto ai nostri giorni. Bisogna conoscere la vera natura della società e delle leggi che ne governano lo sviluppo, prima che possa aver luogo, con possibilità di successo, un movimento per rimuovere uno stato di cose che è riconosciuto ingiusto.
L' estensione e la profondità di tale movimento sono in rapporto col grado di cultura degli oppressi e con la relativa libertà d'azione che è loro concessa. Sotto entrambi i rapporti la donna, sia per i costumi e per l'educazione che per la libertà che le è concessa, rimane addietro all'operaio. Un'altra circostanza è questa: le condizioni che perdurano per lungo succedersi di generazioni diventano consuetudini, e l’eredità e l’educazione fanno apparire il fatto naturale. Ecco perché anche oggi, specialmente la donna, prende come cosa convenuta la sua posizione d’inferiorità, senza che sia facile il farle comprendere che ciò non è giusto e che anch’essa deve lottare per diventare un membro della società, sotto ogni rapporto uguale in diritti all’uomo.
Per quanto la posizione della donna sia simile a quella dell'operaio, la prima ha, di fronte a quest'ultimo, un diritto di priorità; questo: Essa è il primo essere umano caduto in servitù. La donna divenne schiava prima ancora che lo schiavo esistesse.
Qualunque dipendenza, qualunque oppressione sociale ha origine nella dipendenza economica dell'oppresso per opera dell’oppressore. In tale condizione trovasi dai tempi primitivi la donna, come lo dimostra la storia dello sviluppo della società umana. La conoscenza di questo sviluppo è relativamente recente.
Quanto meno vera risulta la leggenda della creazione del mondo, quale ce l’apprende la Bibbia, di fronte alle ricerche, appoggiate da incontrastabili ed innumerevoli esempi tolti dalla geografia, dalla fisica e dalla storia, altrettanto accade della leggenda dello sviluppo umano. Non sono ancora messe in luce tutte le fasi della storia di questo sviluppo, e su alcune, già chiarite, esistono diversità d' interpretazione sul significato e sul legame di questo e di quel fatto; in complesso però abbiamo chiarezza ed accordo.
E’ accertato che l’uomo non è venuto sulla terra, come afferma la Bibbia, dalla prima coppia umana, come un essere civile; si sa invece che in un indeterminato spazio di tempo, mentre si liberava a poco a poco dello stato animale, egli ha subito periodi di sviluppo nei quali i suoi rapporti sociali, come pure quelli fra uomo e donna, attraversarono i più svariati cambiamenti.
L'asserzione degli incoscienti e dei mentitori, che risuona ad ogni istante al nostro orecchio, riguardo ai rapporti fra uomo e donna, fra povero e ricco, che cioè «è stato sempre così» e «così sarà sempre», è sotto ogni rapporto falsa e superficiale.
A confutare questa asserzione, troviamo una dimostrazione di particolare importanza nei rapporti sessuali, con la quale appare evidente che, se nel corso dello sviluppo umano, dai tempi primitivi ai nostri giorni, questi rapporti si sono gradatamente modificati, man mano che ha progredito da un lato la produzione, dall’altro la ripartizione del prodotto, così è ovvio che, con ulteriori trasformazioni, i rapporti sessuali cambieranno di bel nuovo. Niente v'è di eterno in natura o nella vita umana; eterno è soltanto il cambiamento, la trasformazione.
Guardando addietro nello sviluppo della società, vediamo che l'orda fu la prima riunione d'uomini. Honneger, nella sua Storia generale della civiltà, dice che anche oggi nell’interno poco esplorato di Borneo trovansi alcuni uomini che vivono in istato d'isolamento. Anche Hügel afferma che nelle regioni montuose dell’India furono scoperte coppie umane simili a scimmie, che si rifugiavano sugli alberi tosto che alcuno appariva loro. Tali asserzioni appoggerebbero le ipotesi finora fatte sull’origine e sullo sviluppo della razza umana. E’ probabile che, dove comparve l’uomo, egli derivò da coppie isolate, ma certo è che appena si ebbe un certo numero di individui nati da una coppia originale isolata, essi si costituirono in orda, per supplire con i loro sforzi riuniti ai bisogni della vita, in principio molto primitiva, e per proteggersi scambievolmente dai nemici, dalle bestie feroci. Solo il numero crescente e la maggiore difficoltà di procacciarsi il mantenimento, che consisteva da principio in radici, bacche e frutta, poterono condurre alla divisione o alla separazione delle orde, e alla ricerca di nuove contrade abitabili.
Questo stato, quasi animale, del quale non abbiamo prova attendibile, è non pertanto esistito, e ci viene affermato dai diversi gradi di civiltà dei tempi storici, e delle tribù selvagge tuttora esistenti.
L'uomo non è entrato nella vita per ordine di un creatore, come un essere completamente incivilito; egli è passato per diversi stadi con lungo e lento processo di sviluppo, ed ha raggiunto solo a poco a poco il presente stato d'incivilimento, traversando periodi alternanti di progresso e di regresso, differenziandosi continuamente dai suoi simili in tutte le parti della terra e sotto tutte le zone.
Ora, mentre su una parte della superficie terrestre grandi popolazioni appartengono ai gradi più progrediti della civiltà, altre tribù si trovano, in lontane regioni, in uno stato meno avanzato di sviluppo civile. Queste dànno un quadro del passato e additano il cammino seguito dalla razza umana nel corso della sua evoluzione. Riusciti a stabilire alcuni punti di vista, comunemente e generalmente riconosciuti, sui quali l'indagine può basare le sue ricerche, troveremo una quantità di fatti che gettano addirittura una nuova luce sui rapporti degli uomini nel passato e nel presente. Ci sembreranno chiari e naturali avvenimenti, che oggi appariscono incomprensibili e da osservatori superficiali son ritenuti irragionevoli, e non di rado immorali. Dopo Bachofen, le ricerche di un numero considerevole di uomini eruditi quali Tylor, Mac Lennan, Lubbock, ecc., hanno alzato un po' il velo sulla primitiva storia dello sviluppo umano. Ad essi si unì Morgan con la sua opera, completata da Federico Engels con una serie di fatti storici di natura economica e politica, e recentemente in parte affermati, in parte corretti da Cunow.
[1]
Le asserzioni chiare e precise del pregevole lavoro dell'Engels a complemento dell'opera di Morgan, gettano una viva luce sopra una quantità di fatti incomprensibili, che in parte appariscono assurdi, nella vita delle tribù che si trovano in grado più o meno avanzato di sviluppo civile. Per suo merito abbiamo potuto dare uno sguardo allo sviluppo della società nel corso del tempo, e abbiamo visto come le cognizioni possedute fin allora sul matrimonio, sulla famiglia e sullo stato posassero su vedute assolutamente false, fantasie senza alcun fondamento di verità.
Ciò che è provato per il matrimonio, per la famiglia e per lo stato, vale ancora per la parte che la donna ha avuto nei vari periodi di sviluppo, i quali negano recisamente quanto si è affermato, cioè che «essa sia stata sempre uguale».
Morgan, cui si unì Engels, divide la storia dell'umanità in tre epoche principali: stato selvaggi, barbaro e civile. Suddivide poi nuovamente le due prime epoche in grado inferiore, medio e superiore, perché l’uno dall’altro si distingue per decisi miglioramenti nell'acquisto dei mezzi di sussistenza.
Come Carlo Marx e Federico Engels valutarono il progresso di certi popoli dalle trasformazioni da essi subìte in certe epoche circa i processi di produzione, così Morgan vede nel concetto materialistico, nell'acquisto cioè dei mezzi per vivere, il segno principale dello sviluppo della civiltà. Così lo stato selvaggio nel suo grado inferiore rappresenta l’infanzia dell’umanità , durante la quale essa vive in parte sugli alberi, e si ciba principalmente di frutta e radici, ma in cui comincia il linguaggio articolato.
Il grado medio dello stato selvaggio comincia con l’uso di cibarsi di piccoli animali, quali pesci, crostacei, ecc., e con l’uso del fuoco. In esso ha principio la fabbricazione delle anni, prime le mazze, le lance di legno e di pietra, con le quali s'inizia la caccia ed anche la guerra con le orde circostanti per la conquista del cibo e dei territori d'abitazione e di caccia. In questo stadio vediamo apparire l’antropofagia, che esiste tuttora presso alcune tribù e popoli d'Africa, d'Australia e della Polinesia. Il grado superiore dello stato selvaggio è distinto dal perfezionamento delle armi in archi e frecce, dall'iniziarsi della tessitura a mano, dall'intrecciamento della corteccia d'albero o dei giunchi per costruire panieri, e dalla fabbricazione degli utensili di pietra affilati. Con questi utensili si rende possibile la lavorazione del legno per le barche e le capanne. La vita è divenuta già multilaterale. Gli utensili e i mezzi posseduti facilitano la bisogna di procacciarsi un cibo più ricco per provvedere alle esigenze di società più numerose.
Morgan fa cominciare il grado inferiore della barbarie con l’introduzione delle stoviglie, con l’allevamento e l'addomesticamento degli animali, mediante i quali si ottiene la produzione della carne e del latte, delle pelli, delle corna e dei peli per i più svariati scopi. Di pari passo va la coltivazione delle piante. Nell’occidente il mais, in oriente quasi tutte le specie conosciute di granaglie, ad eccezione del mais. Nel grado medio della barbarie troviamo sempre più esteso in oriente l'addomesticamento degli animali, in occidente la coltivazione delle piante commestibili per mezzo della irrigazione artificiale. L'allevamento e l’addomesticamento degli animali conduce alla formazione delle mandrie e alla vita pastorale. La necessità di ottenere maggiore quantità di cibo per gli uomini e per il bestiame porta all'agricoltura. Ciò significa maggiore stabilità, aumento e varietà di cibi, e a poco a poco la scomparsa dell'antropofagia.
Il grado superiore della barbarie ha principio con la fusione dei metalli e con la scoperta della scrittura. Con l’aratro di ferro si giunge alla coltivazione estensiva, poiché si mettono in uso le scuri di ferro e le vanghe, che agevolano il disboscamento. La lavorazione del ferro da luogo ad una serie di attività che danno un nuovo aspetto alla vita. Gli utensili di ferro facilitano la costruzione delle case, delle barche, dei carri. Con la lavorazione dei metalli hanno origine nuovi mestieri, si perfeziona la tecnica delle armi, si costruiscono città cinte da mura. Fra le arti sorge l’architettura. La mitologia, la poesia, la storia ottengono per mezzo della scittura conservazione e diffusione.
E’ a preferenza in oriente e nei paesi del Mediterraneo: in Egitto, in Grecia, in Italia, che questa vita si spiega e pone le fondamenta della riforma sociale, che nel corso del tempo ha un' azione decisiva sullo sviluppo della civiltà europea e del mondo intero.
Ma i periodi dello stato selvaggio e della barbarie ebbero pure i loro legami di famiglia e sociali, che differirono in grado notevole da quelli dei tempi posteriori. Bachofen e Morgan li hanno indagati a fondo: Bachofen, studiando nel modo più esatto le scritture degli antichi per poter penetrare nella vera natura dei fatti che si presentano nella mitologia, nella leggenda e nella storia, e ehe hanno tanta affinità con avvenimenti di tempi posteriori, anche fino ai nostri giorni; Morgan, invece, trascorrendo dieci anni fra gli Irochesi, residenti nello stato di Nuova York, e facendo osservazioni sulle relazioni di vita, di famiglia, di parentela delle suddette tribù indiane. Sulla base di queste osservazioni, altre ancora, eseguite altrove, diedero nuovi lumi e schiarimenti.
Bachofen e Morgan constatarono, ciascuno secondo la propria maniera, che le relazioni di parentela delle tribù primitive erano essenzialmente diverse nella origine di quello che divennero in tempi storici e presso i popoli civili moderni.
Il secondo notò di particolare, nel suo lungo soggiorno fra gli Irochesi dell’America del Nord e sulla base di studi comparativi, ai quali fu incitato dalle osservazioni ivi fatte, che tutte le tribù in istato di arretrata civiltà, possiedono sistemi familiari e parentali del tutto differenti dai nostri, ma che furono un tempo simili in tutte le tribù, nei loro primi gradi d'incivilimento.
Negli anni in cui egli visse fra gli Irochesi, presso queste tribù esiste una specie di matrimonio, da ambo le parti facilmente dissolubile, designato da lui come «accoppiamento». Egli trovò ancora che le denominazioni dei gradi di parentela, quali: padre, madre, figlio figli, fratello e sorella, quantunque secondo il significato nostro non abbiano applicazione dubbia, erano usate per tutt’altre relazioni. L'Irochese chiama figlio e figlia non solo i propri figlioli, ma anche tutti quelli dei proprio fratelli, che a lor volta lo chiamano padre. E così la donna irochese chiama figlio e figlia, oltre ai propri figlioli, anche quelli delle proprie sorelle, che la chiamano madre. Chiama invece nipoti i figli dei fratelli, rispetto ai quali è a sua volta chiamata zia. I figli di fratelli si dicono tra loro fratelli e sorelle, mentre i figli di un fratello e di una sorella si chiamano fra loro cugini e cugine
[7]. Lo strano sta nel fatto che le relazioni parentali non sono come da noi stabilite per grado di parentela, ma dal sesso dei parenti.
Siffatto sistema è in uso presso tutti gl'Indiani dell'America, presso i primitivi abitanti dell'India, nelle tribù dravidiche del Dekan e nelle gauresi dell'Indostan, e dalle ricerche effettuate dal Bachofen in poi risulta che simili condizioni devono essere esistite dappertutto nei tempi primitivi. Se, sulla base di tali osservazioni, s’intraprendessero ovunque ricerche sulle relazioni sessuali e familiari delle tribù tuttora viventi in istato selvaggio o barbaro, si potrebbe dimostrare ciò che osservò Bachofen in numerose tribù dell'antichità, Morgan fra gli Irochesi, Cunow fra i Negri di Australi ed altri presso altre tribù, che, cioè, le formazioni sociali sono quali le basi dello sviluppo le fondarono per tutti i popoli della terra.
Dalle indagini di Morgan risultano altri fatti interessanti. Se la «famiglia» degli Irochesi in inesplicabile contrasto con le designazioni di parentela che essi adoperano abbiamo per contrapposto che nella prima metà di questo secolo nelle isole Sandwich (Hawai) esisteva una forma di famiglia che corrispondeva di fatto al sistema di parentela che oggidì gli Irochesi possiedono solo di nome. Ma il sistema di denominazione in uso nell'Hawai non corrispondeva alla forma di famiglia esistente, ma si rimandava ad una forma più antica, più primitiva. Ivi tutti i figliuoli di fratelli e sorelle si chiamavano fra loro, senza eccezione, fratelli e sorelle, tali si dicevano non solo i figli della madre e delle sorelle di lei, o del padre e dei fratelli di lui; ma anche tutti i figli dei fratelli e delle sorelle dei genitori senza distinzione.
Il sistema di parentela dell'Hawai corrispondeva così ad un grado di sviluppo ancor più arretrato dell'effettiva forma di famiglia esistente. Strano era che nelle Hawai, come fra gl'lndiani dell'America settentrionale, vigessero due diversi sistemi di parentela che non corrispondevano alle condizioni effettive, ma continuavano ad essere usati, mentre la forma della parentela era salita ad un grado più elevato. Morgan così si esprime in proposito: «La famiglia è l'elemento attivo; essa non è mai stazionaria, ma lotta per passare da una forma inferiore ad una superiore, nello stesso modo come, la società si sviluppa da un grado inferiore ad uno superiore. I sistemi parentali, per l'opposto, sono passivi; solo in lunghi periodi segnano i progressi che la famiglia ha fatto nel corso del tempo, e subiscono soltanto cambiamenti radicali allorché la famiglia si è già radicalmente cambiata.
Il concetto oggi generalmente accettato e difeso con vigore dai conservatori come vero ed inoppugnabile, che l'attuale forma di famiglia sia esistita da tempi primitivi e debba continuare sempre perché la generale civiltà non ne venga danneggiata, si dimostra falso e insostenibile dopo le indagini degli studiosi. L'esame della storia primitiva non lascia dubbio che le relazioni di parentela, dai gradi infimi dello sviluppo ai tempi posteriori, siano assolutamente cambiate, e che esistettero condizioni le quali, osservate con gli occhi dei nostri tempi, sembrano mostruose e sommamente immorali. Nell'istessa guisa che ogni grado di sviluppo sociale ha le sue volute condizioni per la produzione, così ha il suo codice morale che rappresenta il riflesso del suo stato sociale. E’ morale ciò che è costume, ed è costume ciò che corrisponde alla vera natura della società, ai bisogni sociali di un dato periodo.
Morgan giunge alla conclusione che nel gradino infimo dello stato selvaggio regnava, in mezzo ai vincoli di parentela, una comunanza sessuale per la quale ogni donna apparteneva a qualunque uomo e viceversa, e per la quale esisteva una generale promiscuità. Gli uomini vivevano in poligamia e le donne in poliandria; vi era promiscuità di uomini e donne come di bambini. Strabone narra (66 anni av. C.) che presso gli Arabi regnava il concubinato tra fratelli e sorelle e con le proprie madri. Senza incesto non sarebbe stato possibile in origine l’aumento della razza umana, specialmente se, come la Bibbia racconta, si accetta la discendenza da una sola coppia originale.
Ma la Bibbia si contraddice su questo fatto importante. In essa si legge che Caino, ucciso Abele, se ne partì dalla vista del Signore, a andò ad abitare il paese del Nord.
Ivi conobbe sua moglie che gli diede un figlio. Ma donde proveniva la moglie? Non erano i genitori di Caino i primi uomini? Secondo la tradizione ebraica Caino ed Abele avevano due sorelle con le quali ebbero incestuosamente figlioli.
I traduttori cristiani della Bibbia sopprimono questo importante avvenimento.
Ad affermare la promiscuità dei tempi primitivi, quando l'orda essendo endogame le relazioni sessuali erano senza distinzione, sta anche il fatto che, secondo il mito indiano, Brama sposò la propria figlia Saravasti; lo stesso mito si ripete fra gli Egiziani e nell'Edda nordica. Il dio egiziano Amon fu sposo della madre e se ne gloriò.
Odin, secondo l'Edda, era il marito della figlia Frigga
[2]. E nell'opera del dott. Adolfo Bastian Viaggi nell’interno dell’arcipelago, a Singapore, Butavia, Manilla e nel Giappone (Jena, 1869), egli racconta a pag. 12: «A Svaganwara le figlie del rajà avevano il privilegio della libera scelta del marito. I quattro fratelli che si domiciliarono a Capilapur elevarono Prya, la maggiore delle loro cinque sorelle, al grado di regina madre, e sposarono le altre».-
Morgan ritiene che dallo stato di generale promiscuità dei sessi si sia sviluppata una forma più elevata di relazioni familiari, che chiamò «parentela di sangue».
Dopo varie generazioni, le relazioni di parentela delle tribù stabili cambiano. I nonni e le nonne, per un vincolo sessuale, sono detti marito e moglie; i loro figli costituiscono un altr’ordine di mariti e mogli e così i figli di questi, allorché giungono all’età matura.
Per tal modo, diversamente dal grado infimo, ove regna una comunanza sessuale senza distinzione, sono in seguito escluse le relazioni tra una generazione e l’altra. Al contrario esistono tra fratelli e sorelle, tra cugini e cugine di primo, secondo e lontano grado. Sono essi tutti tra loro fratelli e sorelle, ma anche mariti e mogli. Siffatto forma di famiglia corrisponde al sistema di parentela che nella prima metà del secolo si trovava ancora di nome nell’Hawai, sebbene non di fatto. Per l’opposto, secondo il sistema di parentela indo-americano il fratello e la sorella non possono essere mai padre e madre dello stesso figliuolo, ma ciò può accadere bensì col sistema di famiglia dell'Hawaï. La parentela di sangue è usata ai tempi di Erodono presso i Massageti, dei quali egli dice: «Ognuno sposa una donna, ma a tutti è permesso di usarne.... Quando un uomo ha voglia di possedere una donna, appende la faretra davanti il carro e sta con la donna, a suo piacere.... Indi pianta un bastone in terra per rendere nota la sua azione.... Il concubinato è usuale»
[3]. Bachofen nota condizioni simili presso gli Etruschi, i Cretensi, gli Ateniesi, i Lesbi, gli Egiziani.
Secondo Morgan alla famiglia costituita a base di consanguineità, fa seguito una terza forma da lui chiamata «famiglia punalua». Punalua «Caro compagno, cara compagna».
Cunow, nell'opera suddetta, non concorda con Morgan nel concetto che la famiglia a base di consanguineità, cioè fondata sulle relazioni matrimoniali, compiutesi per generazioni, sia una forma anteriore al consolidarsi della famiglia «punalua».
Egli non vede in essa la primitiva fra tutte le forme di famiglia fin qui conosciute, ma piuttosto una forma transitoria sorta coi legami di parentela, una forma transitoria prima di pervenire ad un organamento gentilizio, durante il quale persistette per qualche tempo insieme coi vincoli del «totem»
[4], la divisione per classi gerarchiche propria della così detta famiglia panaula.
Cunow continua: « La divisione delle classi - ogni uomo o donna porta il nome della sua classe e del suo vincolo di tribù (totem) - non serve soltanto per escludere il commercio sessuale fra parenti laterali, ma per impedire ancora il concubinato fra parenti in linea ascendente e discendente, cioè fra genitori e figliuoli, zii e nipoti.
Cunow cita le prove dell'esattezza delle sue vedute, che differiscono talvolta da quelle di Morgan. Ma, in complesso, egli protegge energicamente quest'ultimo dagli attacchi di Westermann e di altri. Egli dice: «Quand'anche alcune ipotesi del Morgan possano risultare false, non gli si può togliere il merito di avere, in primo luogo, affermata l’affinità dei legami del «totem» dell'America del nord con l'organamento gentilizio dei Romani; e, in secondo luogo, di aver comprovato che il sistema odierno parentale e familiare è il prodotto di un lungo processo evolutivo. Egli quindi per primo ha reso in certo modo possibili le recenti ricerche, creato il fondamento sul quale si può continuare a costruire ».
Anche nella prefazione della sua opera osserva che essa è in parte un compimento dell’opera dell'opera del Morgan sulla società primitiva.
I Westermann, gli Starcke, gli Ziegler, che hanno principalmente attinto dai suddetti autori, si dovranno adattare bene o male a ciò che l’origine e lo sviluppo della famiglia non siano quali vorrebbero i loro pregiudizi borghesi. Le confutazioni di Cunow ai sostenitori dello Ziygler dovrebbero aprire gli occhi ai fanatici suoi seguaci sul merito delle obbiezioni di lui.
Il matrimonio punalua comincia, secondo Morgan, con l'esclusione fratelli consanguinei dal lato materno. Quando una donna ha diversi mariti si rende impossibile la ricerca della paternità, questa diventa puramento una finzione. Anche oggi, regnando il matrimonio monogamico, come già Goethe fece dire a Federico nei suoi « anni di tirocinio », esso si basa solo sulla buona fede. « Se la paternità nel matrimonio monogamico è spesso dubbia, nel multiplo non è assolutamente rintracciabile. Solo l’origine materna è certa e incontrastabile; quindi sotto il diritto materno i figli erano chiamati spuri, bastardi. Come tutte le riforme radicali nelle relazioni sociali si compiono lentamente nel primo grado di civiltà, così pure l’evoluzione della così detta parentela di sangue in famiglia punalua ha richiesto lungo spazio di tempo ed è stata ritardata da vari regressi osservabili anche in tempi molto posteriori. L'occasione esterna immediata che favorì lo sviluppo della famiglia punalua dev'essere stata la necessità di separare la grande massa aumentata delle persone, che esigeva nuove terre per pascolo e per coltivazione. E’ probabile però che in un grado più sviluppato di civiltà vi abbia contribuito anche il concetto del danno e della sconvenienza del concubito tra fratelli e parenti prossimi, che condusse ad un altro ordinamento matrimoniale. A conferma di ciò sta una tradizione sulla origine del «Murdu» (concubito) che, da quanto riferisce Cunow, riscontrò Gason presso i Dieyerie, una tribù dall'Australia meridionale.
Essa dice: «Dalla creazione del mondo in poi si sposarono indistintamente tra loro padri, madri, fratelli, sorelle ed altri prossimi parenti, finché si resero palesi le dannose conseguenze di siffatte unioni. Si tenne allora un consiglio dei capi per considerare quale via fosse da seguire per impedirle. Il risultato fu d’innalzare una preghiera al Muratura (spirito supremo), il quale ordinò in risposta che la tribù si dividesse in vari rami, ognuno dei quali dovesse, per differenziarsi, portare un nome diverso di oggetto vivente o inanimato, come ad esempio di topo, pioggia, lucertola, ecc. I membri uomini di un gruppo non dovevano sposarsi fra loro, ma sebbene con un membro di altro gruppo. Per esempio un figlio del gruppo topo non poteva sposare una figlia dello stesso gruppo, ma potevano entrambi contrarre legami matrimoniali col gruppo ratto ecc.»
Questa tradizione è più chiara di quella della Bibbia e mostra in modo semplice l’origine del vincolo matrimoniale. Paolo Lafargue nei Tempi moderni
[5] arguisce con acutezza d’ingegno quanto le nostre vedute affermano che, cioè, il nome di Adamo ed Eva non si riferisse a singole persone, ma bensì a gentes in cui erano riuniti gli ebrei nei tempi preistorici.
Lafargue, con le sue deduzioni, spiega una serie di passi oscuri e contraddittorî del primo libro di Mosè. Beer fa osservare anch'egli nei Tempi moderni che esiste tuttora fra gli ebrei l'uso che la sposa e la madre dello sposo non portino il medesimo nome, perchè non succedano disgrazie in famiglia, malattia o morte. Questa è un'altra prova dell'esattezza dei concetti del Lafargue. L'organamento gentilizio proibiva il matrimonio tra membri della stessa gens. Gli attuali israeliti non hanno più, naturalmente, nessuna idea del legame del loro pregiudizio con la proibizione dei matrimoni fra parenti dell'antica costituzione gentilizia. Questa proibizione aveva lo scopo di riparare le conseguenze degenerative dell'incesto, e, per quanto presso gli ebrei già da migliaia d'anni sia stata abolita la costituzione gentilizia, la tradizione, come vediamo, persiste nel pregiudizio.
Le esperienze sulle razze animali hanno già da tempo messo in evidenza la dannosità dell'incesto. Quanto siffatte esperienze si spingano addietro apparisce nel primo libro di Mosè (cap. 30, versetto 32 e seguenti) dove si narra che Giacobbe cercava d'ingannare il suocero Laban facendo nascere agnelli e capre macchiati che, secondo la promessa di Laban, dovevano essergli donati come salario. Gli antichi israeliti avevano assai prima di Darwin studiato praticamente il darwinismo.
E poiché siamo a parlare delle condizioni degli antichi ebrei, mi sia concesso citare qualche altro fatto che dimostra come nei tempi primitivi avesse valore la discendenza per linea femminile. E’ vero che Mosè dice nel libri I, cap. III, vers. 16, riguardo alla donna: « I tuoi desideri dipenderanno da tuo marito, ed egli signoreggerà sopra te ». Questo versetto è anche variato così: « La donna deve abbandonare padre e madre e seguire il marito». Ma Mosè stesso dice invece nel libro I, cap. II, vers. 24: «Perciò, l'uomo lascerà suo padre e sua madre, e si attaccherà a sua moglie, ed essi diverranno una stessa carne». L'istesso detto si ripete nell’Evangelo di S. Matteo, cap. XIX, vers. 5; in quello di S. Marco, cap. X, vers. 7, e nella lettera agli Efesi, cap. V. vers. 31. Si tratta di un precetto originante dalla discendenza femminile che i commentatori della Bibbia non hanno saputo spiegare e hanno mostrato sotto un aspetto assolutamente falso.
La discendenza femminile è attestata ancora nel libro IV di Mosè, cap. XXXII, vers. 41: «Il padre di Jair apparteneva alla tribù di Giuda, ma sua madre era della tribù di Manasse e Jair fu detto figlio di Manasse ed ereditò dalla madre». Un altro esempio della discendenza femminile presso gli antichi ebrei lo troviamo in Nehemia, cap. VII, vers. 63: I figli di un sacerdote che aveva tolto in moglie una delle figlie di Barsillai, appartenente a un clan giudaico, furono chiamati figli di Barsillai, adottando, come si vede, il nome materno e non il paterno. Del resto presso gli ebrei dell'Antico Testamento, cioè dei tempi storici, regnava sia il diritto paterno, e l'organamento dei clan e delle tribù si basava, come presso i Romani, sulla discendenza maschile. Le figlie erano escluse dall'eredità, come si legge nel primo libro di Mosè, cap. XXXI, vers. 14.15, dove è detto: «E Rachel e Lea risposero e dissero: Abbiamo noi più alcuna parte ed eredità, in casa di nostro padre? Non fummo noi da lui reputate straniere, quando egli ci vendette? ed oltr'a ciò egli ha tutti mangiati i nostri danari».
Come fra tutti i popoli dove era subentrata la discendenza maschile e alla femminile, così fra gli ebrei la donna era in condizioni di assoluta illegalità. Ad essa veniva imposta la più severa castigatezza, non così all'uomo. Era nel suo diritto di possedere diverse mogli. Se nella notte nuziale il marito poteva supporre che la moglie avesse perduta la verginità già prima del matrimonio, aveva il potere di ripudiarla, anche di lapidarla. Lo stesso castigo incombeva sulla donna adultera, e sull'uomo, soltanto nel case che l’adulterio fosse commesso con una donna maritata giudea. Secondo Mosè, libro V, cap. XXIV, vers. 1.4, l’uomo aveva il diritto di ripudiare la moglie qualora fosse caduta in disgrazia ai suoi occhi, fosse pure perché più non gli piacesse. Egli scriveva allora una lettera di separazione, le dava la mano e la metteva fuori di casa. Anche oggi troviamo segno del meschino conto in cui fu più tardi tenuta la donna fra gli ebrei, nel fatto che, durante il servizio divino nella sinagoga, le donne occupano uno spazio separato dagli uomini e sono escluse dalle preghiere
[6]. Secondo il concetto antico giudaico la donna non faceva parte della comunità: essa era religiosamente e politicamente nulla. Se dieci uomini si trovavano riuniti, avevano dritto di fare officiare; le donne, per quanto numerose, non potevano fare altrettanto.
Nella famiglia punalua, secondo Morgan, si sposavano una o più serie di sorelle con una o più serie di fratelli di un altro clan. Le sorelle carnali, o le cugine di primo, secondo e più lontano grado, erano tutte comuni mogli di comuni mariti, che non potevano però essere loro fratelli. I fratelli carnali, o i cugini di vario grado, erano comuni mariti di comuni mogli che, a lor volta, non dovevano essere loro sorelle. Cessato l’incesto, la nuova forma di famiglia condusse indubbiamente al rapido e vigoroso sviluppo delle razze e procurò, a quelle che avevano adottato questa forma di vincoli, un vantaggio su le altre, che conservavano ancora l'antica forma di relazioni parentali.
Nei tempi primitivi le differenze fisiche e intellettuali dei due sessi erano molto meno spiccate di quanto siano nella nostra società attuale. In quasi tutti i popoli selvaggi, o viventi in istato di barbarie, le differenze nel peso e nella grandezza del cervello sono molto minori che non nei popoli civili. Nei primi le donne, anche in forza e destrezza, sono di poco inferiori all'uomo. Ciò affermano non solo le testimonianze degli antichi scrittori, che trattarono dei popoli dominati dalla discendenza femminile, ma anche gli eserciti di donne, degli Ascianti e dei re di Dahomey, nell'Africa occidentale, che si distinsero per valore e ferocia. Il giudizio è appoggiato da Tacito quando parla delle donne dell'antica Germania, e da Cesare quando studia le donne dell’Iberia e della Scozia. Colombo dovette sostenere un combattimento davanti a Santa Cruz con una scialuppa indiana, in cui le donne combatterono con altrettanto valore degli uomini. Questo concetto trova conferma nell'opera di Havelock Ellis Man und woman, di cui parla il dott. Hope Adams Walther nel N. 39 e 40 dei Tempi moderni, anno XII, vol. II, 1893.94. Egli dice: «Dall’Andombis al torrente del Congo, racconta Johnson, le donne si occupano di portare pesi e di altri lavori gravosi, quantunque menino vita completamente felice. Esse sono spesso più forti e meglio sviluppate degli uomini; diverse fra loro hanno personali splendidi». Parke chiama i Manyema della stessa contrada «fine animals» (begli animali) e trova le donne bellissime. Portano uguali pesi degli noinini e con la stessa facilità. Un capo indiano dell’America del nord
disse ad Hearne : «Le donne sono create per il lavoro, una donna può portare o trascinare pesi con la forza di due uomini riuniti». Schellong, che pubblicò nel Giornale di Etnologia del 1891 uno studio accurato sui Papuasi della Nuova Guinea, è di opinione che le donne siano di costituzione più robusta degli uomini. Nell'interno dell'Australia le donne vengono talvolta percosse dagli uomini per gelosia. Avviene però non di rado che in tali circostanze l’uomo riceva una dose maggiore di percosse. A Cuba le donne combattevano a fianco degli uomini. Presso alcune tribù indiane, come fra i Pueblo dell'America settentrionale e fra i Patagoni dell'America meridionale, le donne sono alte come gli uomini. Anche fra gli Arabi e i Drusi, nella maggioranza la differenza è minima; così fra i Russi e gli Europei occidentali i due sessi sono simili. In tutte le parti del mondo esistono esempi di uguale sviluppo corporale dei due sessi.
Il sistema parentale della famiglia punalua era il seguente: «I figli delle sorelle di mia madre sono figli suoi, ed i figli dei fratelli di mio padre sono pure suoi figli, e tutti quanti sono miei fratelli. Al contrario, i figli maschi e femmine dei fratelli di mia madre, sono di lei nipoti, come quelli delle sorelle di mio padre, sono nipoti di lui e miei cugini. Inoltre: i mariti delle sorelle di mia madre sono pure suoi mariti e le mogli dei fratelli di mio padre sono mogli di questo, ma le sorelle di mio padre ed i fratelli di mia madre sono esclusi dalla comunanza di famiglia, e i figli di questi sono miei cugini e cugine ».
Col progresso della civiltà subentra il divieto del commercio sessuale tra fratelli, che si estende a poco a poco ai parenti collaterali più lontani del lato materno. Ha origine un nuovo gruppo di parentela consanguinea, la gens, che nella sua forma primitiva si compone di una serie di sorelle carnali e lontane con i loro figli ed i loro fratelli carnali e lontani consanguinei dal lato materno. La gens ha una progenitrice donde derivano i discendenti femminili in ordine gerarchico. Ma i mariti di queste sorelle non possono essere più i fratelli delle loro spose, anzi non appartengono più nemmeno al gruppo della parentela di sangue, o gens delle loro mogli, ma bensì alla gens delle loro sorelle. Al contrario, i figli di questi mariti entrano a far parte del gruppo delle madri loro, poiché la discendenza tenuta in conto è la materna. La madre è il capo della famiglia: di qui il diritto materno che costituì per lungo tempo la base degli ordinamenti parentali ed ereditari. Finché si continuò a riconoscere la discendenza materna, le donne ebbero sede e voce nel consiglio della gens; esse nominavano i sachem (giudici di pace) ed i capi di guerra, e li destinavano. Dopo che Annibale ebbe concluso il trattato coi Galli contro Roma, nella contingenza di litigi coi vicini le matrone galliche erano arbitre nelle quistioni, tanto grande era la fiducia di Annibale nella loro imparzialità.
Erodoto dice dei Licii, che riconoscevano il diritto materno: « I loro costumi sono in parte cretensi, in parte carii; un solo costume li distingue da ogni altro popolo della terra. Se domandate ad uno di essi chi è, vi declinerà il suo nome, quello della madre, e così via per linea femminile. Di più: quando una donna libera sposa uno schiavo, i figli sono liberi cittadini; ma se un nomo libero sposa una straniera od una prostituta, i figli, quand’anche il padre fosse la più alta personalità dello stato, sono privi di qualunque diritto di cittadino ».
Si parlava a quei tempi di matrimonium invece che di patrimonium, di mater familias invece che di pater familias, e la patria era detta il caro paese materno. Come le precedenti forme di famiglia, così la gens si basava sulla comunione dei beni, cioè a dire sul sistema di economia comunistica. La donna è capo e guida di essa, gode di un'alta reputazione in casa e negli interessi della stirpe; è arbitra e giudice, provvede ai bisogni del culto, ond'è sacerdotessa. Le frequenti regine e principesse dell'antichità, la loro influenza anche in quei paesi dove regnano i figli, per esempio in Egitto, è conseguenza del dritto materno. In quel periodo anche la mitologia aveva acquistato carattere muliebre: Asturte, Demetra, Cerere, Latona, Iside, Frigga, Freia, Gerda, ecc. La donna era intangibile; il matricidio costituiva il più grave delitto, chiamava tutti gli uomini alla vendetta. La vendetta di sangue era lo sfogo dell’offesa recata agli nomini e alla tribù; tutti erano obbligati a vendicare il torto inflitto ad un membro della famiglia da un individuo appartenente ad altra tribù.
La difesa della donna spingeva l’uomo ad atti del più alto valore. In tutte le relazioni sociali dei popoli antichi si osservano gli effetti del diritto materno, fra i Babilonesi, gli Assiri, gli Egizi, i Greci, prima dei tempi eroici, nelle popolazioni italiche prima della fondazione di Roma, fra gli Sciti, i Galli, gli Iberi, i Cantabri, i Germani. La donna possedeva in quei tempi una posizione quale non ebbe più mai dopo di allora. Così dice Tacito nella sua Germania: «I Germani credono sia nella donna qualcosa di santo e di profetico; tengono quindi in conto i suoi consigli e le sue parole». Diodoro, che viveva ai tempi di Cesare, era altamente sdegnato della posizione occupata dalla donna in Egitto. Egli aveva saputo che non i figli, ma le figlie mantenevano i vecchi genitori. Manifesta un sovrano disprezzo per gli schiavi delle donne dimoranti sulle rive del Nilo, i quali concedevano al sesso debole diritti in casa e nella vita pubblica e gli accordavano libertà che ad un Greco o ad un Romano sembravano inaudite.
Sotto la ginecocrazia regnava in generale una relativa pace.
I vincoli erano stretti e limitati, il sistema di vita primitivo. Le stirpi si separavano l’una dall'altra rispettando reciprocamente i confini. Se una stirpe veniva attaccata, gli uomini ne prendevano la difesa coadiuvati gagliardamente dalle donne.
Secondo Erodoto, presso gli Sciti le donne prendevano parte ai combattimenti. Da quanto egli asserisce, la ragazza prima di maritarsi doveva provare di avere ucciso un nemico. Abbiamo già accennato qual parte prendessero in guerra le donne presso i Germani, gli Iberi, gli Scozzesi, ecc. Anche nella gens tenevano il governo con mano ferma, e guai all'uomo troppo pigro o inabile nell'adempiere al còmpito che gli spettava. Gli veniva chiusa la porta di casa e, o doveva far ritorno alla sua gens nella quale era accolto con durezza, o doveva entrare a far parte di un’altra, nella quale fossero più indulgenti verso di lui.
[8]
Questo carattere della vita matrimoniale si conserva tuttora fra gl'indigeni dell'interno dell'Africa. Livingstone rilevò questo costume con sua grande sorpresa, come egli racconta nei suoi Missionary travels and researches in southern Africa, London 1857.
Allo Zambese incontrò i Balonda, una tribù agricola di negri belli e vigorosi, di cui gli avevano raccontato fatti, che da principio gli sembrarono inverosimili. Presso questo popolo le donne occupavano un posto privilegiato e sedevano in consiglio. Un giovanotto che prendeva moglie doveva emigrare dal suo villaggio in quello della sposa, impegnandosi inoltre di provvedere la madre di questa, vita natural durante, di legna da ardere. In caso di separazione i figli rimanevano alla madre. A sua volta la moglie doveva provvedere al mantenimento del marito. Sebbene avessero luogo talvolta piccoli litigi tra uomini e donne, Livingstone trovò che i primi non si ribellavano. Al contrario un marito che offendeva la moglie veniva severamente punito e a preferenza col digiuno. «Il marito», egli narra, «torna a casa per mangiare, ma una moglie lo respinge e lo manda da un'altra, dove non riesce ugualmente ad ottenere nulla. Stanco ed affamato si arrampica su un albero nella più popolata del villaggio e grida con voce lamentosa: Udite ! udite ! Credevo di aver sposato delle donne e sono invece streghe! Sono scapolo, non possiedo nemmeno una moglie. E’ giusto questo per un signore come me?»
Condizioni simili persistono nella colonia di Kamerum e particolarmente nell’Africa occidentale. Un medico di marina tedesco, che studia popoli e paesi, ci scrive quanto segue: «Presso un gran numero di tribù esiste il diritto ereditario per discendenza materna. La paternità non è tenuta in conto. Solo i figli della stessa madre sono fratelli tra loro. Un uomo non può trasmettere il suo patrimonio ai propri figli, ma ai figli di una sorella, cioè ai nipoti, come più prossimi parenti consanguinei. Un capo dei Way spiegò in un pessimo inglese: Mia sorella io siamo parenti consanguinei perché figli della stessa madre. Mia sorella è senza dubbio parente consanguinea di suo figlio, per cui egli è il mio erede e alla mia morte diverrà re della mia città. E vostro padre ? chiesi. Non so che cosa vogliate dire con la parola mio padre - replicò. Alla domanda se avesse figli rispose, sbellicandosi dalle risa, che presso di loro gli uomini non avevano figli, ma soltanto le donne ».
«Posso assicurarvi», scrive il nostro corrispondente, «che anche l’erede del re Bell nella colonia di Kamerum è suo nipote e non suo figlio. I così detti figli di Bell, alcuni dei quali vengono educati in Germania, sono soltanto figli delle sue mogli, il cui padre è sconosciuto. Potrei reclamarne uno come mio».
Che cosa diranno coloro che negano la successione in linea femminile davanti al quadro di un tempo così prossimo ? Il nostro corrispondente è uomo oculato, che va a fondo delle cose. Quanti tra coloro che vivono in mezzo alle popolazioni semi-selvagge possono dire di fare altrettanto ? Da ciò derivano le descrizioni sull’immoralità di quegli indigeni.
Negli annali che il governo tedesco presentò al Parlamento (sessione 189°-95) sulle colonie tedesche, troviamo nella parte che riguarda il territorio sud-ovest dell'Africa (pag. 239) il seguente passo: «Senza il consiglio degli anziani e dei possidenti non può il capo tribù di un villaggio errero prendere la benché minima decisione. E non solo gli uomini, ma spesso anche le donne e i servi danno il loro parere». Riguardo alle isole Marschall è detto, a pag. 254: «Il governo delle isole Marschall non è stato mai affidato nelle maui di un solo capo... Ma quando non esistesse più nessun membro femminile di questa classe (l’Irody) e qualora solo la madre potesse conferire ai figli rango e nobiltà, tutta la schiatta degli Irody si estinguerebbe con l’ultimo capo». Il modo di descrivere e di esprimersi del narratore mostra quanto gli siano sconosciute le menzionate relazioni. Da quanto egli dice non è possibile formarsi un concetto esatto.
Il Dott. Enrico von Wlislocki, che visse per anni fra gli zingari della Transilvania, e fu adottato da uno di essi, c'informa
[9] che delle quattro tribù di zingari, che al tempo in cui visse presso di loro conservavano l'antica costituzione, due ve n'erano, gli Ascianti e i Tschali, in cui vigeva la successione per via di donna. Se lo zingaro nomade si ammogliava, entrava a far parte della parentela della moglie, che possedeva tutte le suppellettili di casa. Il patrimonio era proprietà della moglie o della parentela di questa; il marito era uno straniero. Secondo il diritto della successione materna, anche i figli facevano parte della parentela della madre. In Germania persiste il diritto materno. Nella seconda pagina del Westdeutschen Rundschau del 10 giugno 1902 si legge che nel comune di Haltern (Westfalia) è ancora in vigore per l’eredità degli averi l'antico diritto materno della gens: i figli ereditano dalla madre. Si è finora lottato invano per sopprimere questa vecchia usanza.
Con l’aumento della popolazione ha origine una serie di gentes di sorelle che, a lor volta, danno luogo ad altre serie di gentes di figlie. Di fronte a queste la gens materna appare come fratria. Un certo numero di fratrie compongono la tribù.
Quest'organamento sociale è tanto solido da formare le basi dell'organamento militare degli antichi stati, quando la costituzione gentilizia viene meno. La tribù si suddivide in diverse altre tribù, che hanno tutte la stessa costituzione ed in ciascuna delle quali si possono riscontrare di nuovo le antiche gentes.
La costituzione gentilizia, col proibire il matrimonio tra fratelli e parenti consanguinei dal lato materno fino al grado più lontano, si seppellì da sé stessa. Per le relazioni scambievoli delle singole gentes, sempre più strette per l’evoluzione sociale e domestica, diventa col tempo inattuabile la proibizione del matrimonio fra le diverse gentes, e per tal modo la costituzione gentilizia si seppellisce da sé o viene buttata giù.
Finché la produzione per i mezzi di sussistenza era all'inizio e poche erano le esigenze della vita, le attività dell'uomo e della donna erano uguali.
Ma con la divisione del lavoro si separarono non solo le attribuzioni, ma i guadagni ancora. La pesca, la caccia, l’allevamento del bestiame, la coltivazione del suolo esigevano speciali cognizioni e maggiore produzione di utensili e arnesi, che diventarono a preferenza proprietà dell'uomo. Questi, che in siffatta evoluzione teneva per l'operosità il primo posto, diventò padrone effettivo delle sorgenti di lucro.
Con l'aumento della popolazione e col desiderio d' impossessarsi dei migliori pascoli e delle migliori terre coltivabili, nacquero attriti e guerre e si manifestò il bisogno di forze lavoratrici. Quanto più queste divennero numerose, tanto maggiore fu la ricchezza dei prodotti e del gregge. Ciò condusse in seguito al ratto della donna, indi alla schiavitù dei vinti, da prima uccisi: due elementi introdotti nell’antica costituzione gentilizia che a lungo andare non potevano rimanere compatibili con essa.
Un altro elemento si aggiunse. Differenziate le attività, crebbe il bisogno di utensili, suppellettili, armi, ecc. L'arte meccanica che acquistò uno sviluppo indipendente, si separò a poco a poco dall'agricoltura. Ne seguì una popolazione cittadina specialmente dedita alle arti con interessi del tutto diversi, così riguardo alla proprietà, come all'eredita di essa.
Finché rimase in vigore la discendenza materna, i gentili, parenti fra loro, ereditavano dai loro defunti compagni gentili, consanguinei dal lato materno, e gli averi rimanevano nella gens.
Nel nuovo stato, il padre, divenuto proprietario del gregge, degli schiavi, delle armi, degli utensili, capo delle industrie, proprietario dei membri del gruppo, finché continuò a far parte della gens materna, non lasciava morendo i suoi averi ai propri figli, ma ai fratelli, alle sorelle, ai figli di queste ultime, o ai loro discendenti. I propri figliuoli erano diseredati. La necessità di un cambiamento si rendeva sempre più incalzante, ed avvenne.
In primo luogo invece del matrimonio multiplo, si istituì la famiglia accoppiata. Un dato uomo conviveva con una data donna ed i figli provenienti dall’unione appartenevano ad entrambi. Le famiglie accoppiate aumentarono a misura che le proibizioni riguardanti il matrimonio, sotto la costituzione gentilizia, resero più difficili i connubi. Le ragioni economiche fecero poi desiderare la nuova forma di vita domestica. L'antico sistema di economia comunistica non si conciliava con la proprietà privata. La condizione e la professione del luogo ove stabilirsi. Mercè la produzione delle mercanzie si stabilirono commerci con popoli vicini e stranieri, ciò che iniziò il baratto.
Era l’uomo che dirigeva e governava questa evoluzione. I suoi interessi privati non avevano più nessun punto essenziale di contatto con gli antichi organamenti, i cui interessi anzi erano spesso in antagonismo con quelli del proprietario privato. Così a poco a poco la gens andava perdendo importanza, finché rimase per legame familiare, poco più che per l'esercizio delle funzioni religiose. La sua importanza economica era finita, e il crollo totale della costituzione gentilizia era solo quistione di tempo.
Caduta l’antica costituzione, diminuirono rapidamente l’influenza e il potere della donna. Il diritto materno scomparve, cedendo il posto al paterno. L'uomo, come proprietario privato, cominciò ad avere interesse per i figli che considerava legittimi e poteva costituire eredi dei suoi averi. Egli proibì alla moglie ogni relazione sessuale con altri uomini, assumendosi invece il diritto di tenere, oltre la moglie legittima, quante concubile gli permettessero le sue condizioni economiche; ed i figli di queste ultime furono considerati pure legittimi. Nella Bibbia troviamo due esempi importanti.
Nel primo libro di Mosè, cap. XVI, vers. 1-2, sta scritto:
«1. Or Sarai, moglie d'Abram , non gli partoriva figliuoli; ed, avendo una serva egizia, nominata Hagar:
«2. Disse ad Abram: Ecco, ora il Signore m'ha fatta sterile, tal che non posso far figliuoli: deh, entra dalla mia serva; forse avrò progenie da lei. Ed Abram acconsentì alla voce di Sarai».
Il secondo esempio degno di nota lo troviamo di nuovo nel primo libro di Mosè, cap. XXX, versi 1 e seguenti:
«1. E Rachel, veggendo che non faceva figliuoli a Jacob, portò invidia alla sua sorella: e disse a Jacob, Dammi de’ figliuoli: altrimenti io son morta.
«2. E Jacob s'accese in ira contr' a Rachel, e disse: Sono io in luogo di Dio, il qual t'ha dinegato il frutto del ventre ?
«3. Ed ella disse, Ecco Bilha, mia serva, entra da lei, ed ella partorirà sopra le mie ginocchia, ed io ancora avrò progenie da lei.
«4. Ed ella diede a Jacob Bilha, sua serva, per moglie ed egli entrò da lei. >

Così Giacobbe ebbe per mogli al tempo stesso due sorelle, figlie di Labano, ed anche la loro serva, ciò che secondo l’uso del tempi era cosa moralissima. E’ noto ch'egli aveva comprate le due mogli principali servendo sette anni per ciascuna di esse nella casa del padre Labano.
Era in allora costume generale fra gli Ebrei la compra delle mogli e insieme con questa il ratto delle donne appartenenti ai popoli vinti. Gli Ebrei, per esempio, involarono ai Beniaministi le figlie di Silo
[10]. Le donne catturate erano fatte schiave, concubine. Potevano però innalzarsi al grado di mogli legittime seguendo alcune prescrizioni: lasciarsi tagliare unghie e capelli, togliersi il vestito col quale erano state fatte prigioniere e indossarne un altro che veniva loro dato; piangere per un mese incessantemente padre e madre; considerarsi morte per il loro popolo, diventare straniere; allora solo potevano salire sul talamo nuziale. Il maggior numero conosciuto di mogli appartenne a Salomone, al quale, secondo il libro dei Re, cap. I e II, si attribuiscono non meno di 700 mogli legittime e 300 concubine.
Ma tosto che il diritto paterno, cioè a dire la discendenza in linea maschile, fu messo in vigore durante l'organamento gentilizio degli Ebrei, le figlie furono escluse dall'eredità.
Più tardi si fece eccezione alla regola nel caso che il padre non avesse figli maschi. Ciò si afferma nel libro quarto di Mosè, cap. 27, versi 2-8, dove è narrato che allorquando Selofad morì senza figli maschi, le figlie si lamentarono di essere escluse dall'eredità paterna, che ricadeva per tal guisa sulla tribù di Giuseppe. Mosè decise allora (libro quarto, cap. 36) che potessero ereditare e avessero diritto di scegliere un marito, purché appartenesse alla tribù paterna. Così, a causa dell’eredità degli averi, venne meno l’antico ordinamento matrimoniale. Altrettanto ordinò Solone in Atene, che, cioè, ogni erede femmina dovesse sposare l’agnate più prossimo, quand’anche appartenessero entrambi alla stessa gens e tale unione fosse proibita dalle antiche leggi. Ordinò ancora che il proprietario non dovesse, come aveva fatto fino allora, trasmettere il patrimonio alla propria gens, nel caso venisse a morire senza figli, ma che con testamento potesse lasciarlo in eredità ad altra gens a suo piacere. Vediamo che l’uomo non domina la proprietà, ma che questa domina lui e lo signoreggia.
Insieme con la proprietà privata si consolida la schiavitù della donna per opera del vincitore, poi, in seguito, il disprezzo e l'abiezione di essa.
Il diritto materno significava comunismo, uguaglianza; il diritto paterno, regno della proprietà privata, oppressione, e schiavitù della donna.
Ciò approvò anche Aristofane, che nella sua commedia L'assemblea delle donne, le pone a capo dello Stato, introducendovi il comunismo, che egli mette in caricatura a scopo di screditare la donna.
Ben difficile è stabilire in qual modo si compisse nei diversi paesi siffatta trasformazione. Anche questa prima grande rivoluzione dell’umanità non avvenne contemporaneamente presso tutti gli antichi popoli civili, e non dappertutto si effettuò nel modo istesso. Tra i popoli greci, gli Ateniesi furono i primi ad adottare il nuovo ordinamento.
Engels ritiene che il cambiamento si compisse pacificamente, e che, concorrendo le condizioni tutte favorevoli al nuovo sistema, non occorse che una semplice votazione della gens per sostituire il diritto paterno al materno. Bachofen, al contrario, basandosi su antichi scrittori, opina che le donne si siano energicamente opposte. Egli ne trova conferma nelle leggende del regno delle Amazzoni, che si ripetono con alcune variazioni nella storia dell’Asia e dell' oriente ed anche dell'America del sud e della China.
Col dominio degli nomini le donne perdettero il loro posto anche nella comunità, furono escluse dalle assemblee del consiglio e da qualunque influenza dirigente. L'uomo impose loro la fedeltà coniugale, da lui non osservata. Se la donna vi mancava, commetteva il più grave dei tradimenti, portava figli estranei in casa, quali eredi della proprietà paterna.
I popoli antichi punivano l'adulterio con la morte o la schiavitù.
Ma se le donne furono allontanate dal primitivo potere dirigente, gli usi della cultura e le antiche costumanze persistettero a dominare per secoli gli spiriti, sebbene a poco a poco si perdesse nei popoli il vero significato di essi, di cui solo oggidì si torna a fare accurata indagine. In Grecia rimase l’uso religioso che le donne dovessero implorare per consiglio e aiuto solo delle dee. L' annuale festa delle Tesmofori ha la sua origine nei tempi del diritto materno. Anche in epoche posteriori le donne greche continuarono a solennizzare per cinque giorni consecutivi una festa in onore di Demetra, festa cui nessun uomo poteva assistere; così nell'antica Roma in onore di Cerere; Demetra e Cerere erano le dee de1la fertilità.
In Germania, fino al medio evo avevano luogo celebrazioni, dove gli uomini erano esclusi, dedicate a Frigga, dagli antichi Germani ritenuta dea della fertilità.
La tragedia di Eschilo Le Eumenidi mette in evidenza il cambiamento avvenuto in Atene, dove, con violenta opposizione della donna, il diritto materno cedette il posto al paterno. Lo schema della tragedia è il seguente: Agamennone, re di Micene, marito di Clitennestra, nel suo viaggio a Troia sacrifica, per comando dell’Oracolo, la figlia Ifigenia. La madre si sdegna del sacrificio della figlia, che, secondo il diritto materno, non appartiene al marito, e, durante l'assenza di Agamennone, si giace con Egisto, ciò che secondo le antiche leggi era cosa permessa.
Tornato Agamennone, dopo molti anni di assenza a Micene, per istigazione di Clitennestra viene ucciso da Egisto. Oreste, figlio di Agamennone e di Clitennestra, spinto da Apollo e da Minerva, vendica la morte del padre uccidendo la madre ed Egisto. Le Eumenidi perseguitano Oreste per avere uccisa la madre; esse rappresentano l'antico diritto materno. La decisione viene presentata agli Areopagiti, davanti ai quali avviene il seguente dialogo in cui si possono osservare i due diritti in contrasto:

CORO
Te al matricidio addusse il fatidico Nume ?
ORESTE
E di mia sorte io non mi lagno.
CORO
Altro dirai se avverso ti cogliera de' giudicanti il voto.
ORESTE
Fidato io stommi.
A me soccorso il padre manderà dalla tomba.
CORO
O ben! ne’ morti fidato sta quei che ha la madre ucciso.
ORESTE
Rea di due colpe era colei.
CORO
Di quali ? A’ giudici lo spiega.
ORESTE
Essa al marito, e col marito al padre mio die’ morte.
CORO
Ma tu vivi frattanto: ella or va sciolta d’ogni giudizio.
ORESTE
E mentre viva ell'era, perché tu allor non l’agitasti in fuga ?
CORO
Dessa comune non aveva il sangue con l’uom che uccise.
ORESTE
Ed io di sangue avvinto son con la madre mia.
CORO
Com’ella dunque te nutria nel suo ventre, o parricida ?
Il carissimo sangue della madre rinneghi, abborri ?

Le Eumenidi non vogliono riconoscere alcun diritto del padre e del marito; per loro esiste solo il diritto materno. E’ indifferente che Clitennestra faccia
uccidere il marito, poiché è uno straniero; al contrario chiedono punizione del matricidio commesso da Oreste, come il più grave reato che si potesse perpetrare sotto l’ordinamento gentilizio. Apollo sostiene invece il parere contrario. Egli ha, per ordine di Giove, istigato Oreste al matricidio per vendicare l’uccisione del padre, e difende la sua azione davanti ai giudici dicendo:

Altra pur anco
Dirò ragione, e come vera, attendi. -
Quella che madre appellasi, del figlio
Non è, non è generatrice : dessa
E’ del feto nudrice. E’ l'uom soltanto
Generator: serba la donna a lui,
Come ad ospite suo, l’accolto germe,
Se un Iddio nol diserta. E di ciò prova
Io recherò, che aver può figli un padre,
Senza la madre: testimon qui presso
Ne sta la figlia dell’olimpio Giove,
Non nelle cieche tenebre dell’alvo
Surta e nudrita: e nondimen tal prole
Qual niuna diva partoria giammai.

Secondo Apollo, quindi, la generazione conferisce al padre il principale diritto, mentre, secondo le leggi fino allora esistenti, la madre, che dà al figlio il proprio sangue e la vita, è la sola proprietaria di esso ed il padre rimane per lui uno straniero. Le Eumenidi così rispondono alle vedute di Apollo: - Antiche leggi tu così distruggesti, addormentando antiche dive.
I giudici si preparano alla sentenza: metà sta per l'antico diritto, metà per il nuovo, così che sta per risultare parità di voti.
Minerva prende allora dall’altare una pallina e mentre la getta nell’urna dice:

Fine imporre al giudizio a me s'aspetta
Ed io questo mio voto a pro d'Oreste
Aggiungerò. Madre io non ebbi, e in tutto
(Fuor che stringermi a nozze) io favoreggio
Fervidamente il viril sesso, e tutta
Del padre io son; né più stimar la morte
Potrei di donna che il marito uccise,
Marito insieme e suo signor. Se quindi
Pari i voti saran d'ambo le parti,
Vince Oreste col mio.

Così prevalse il nuovo diritto.
Il matrimonio, che collocava il padre a capo della famiglia, trionfò sulla ginecocrazia.
[11]
Un'altra tradizione rappresenta nel modo chi segue la scomparsa del diritto materno in Atene: «Sotto il regno di Cecrope avvenne un doppio miracolo. Sulla terra apparvero contemporaneamente in un luogo l'olivo, e in altro luogo l'acqua. Il re sgomentato mandò a Delfo a consultare l'oracolo sul significato di tale avvenimento. La risposta fu la seguente: L'olivo significava Minerva, l'acqua Nettuno. Toccava ai cittadini denominare la città col nome di uno dei due. Cecrope adunò l'assemblea popolare, nella quale così gli uomini come le donne avevano uguale diritto di voto. Gli uomini decisero per Nettuno, le donne per Minerva, e poichè queste ultime avevano la maggioranza di un voto, vinse Minerva. Irato Nettuno, facendo straripare il mare allagò le terre degli Ateniesi. Per placare l'ira del nume gli Ateniesi punirono con triplice castigo le donne: dovevano perdere il diritto del voto; i figli non avrebbero più portato il nome materno, esse stesse non dovevano più chiamarsi Ateniesi.»
[12]
Come avvenne in Atene la scomparsa del diritto materno subentrare il diritto paterno, così si ripetè presso gli altri popoli, allorché questi giunsero ad un simile grado di sviluppo civile. La donna venne confinata in casa, isolata; le furono assegnati dati appartamenti (il gineceo) nei quali doveva vivere. Fu anche esclusa da ogni relazione con gli uomini che frequentavano la casa. Questo, anzi, fu lo scopo principale del suo isolamento.
Nell’Odissea osserviamo la trasformazione dei costumi. Telemaco rimprovera alla madre Penelope la sua presenza fra i Proci e le ordina:

Or tu risali
Nelle tue stanze, ed ai lavori tuoi,
Spola e conocchia, intendi; e alle fantesche
Commetti, o madre, travagliar di forza.
Il favellar fra gli nomini assembrati
Cura è dell'uomo, e in questi alberghi mia
Più che d'ogni altro; però ch'io qui reggo.
[13]

Tale costituzione era in quei tempi generalmente accettata in Grecia. Di più: la donna vedova dipendeva dal più prossimo parente; non aveva più la scelta dello sposo.
I Proci, stanchi dalla lunga attesa imposta dalla astuta Penelope, si rivolgono, per bocca di Antinoo, a Telemaco:

Or perchè a te sia noto e ai Greci il tutto,
Ecco risposta che ti fanno i Proci.
Accommiata la madre, e quei di loro
Che non dispiaccia a Icario, e a lei talenta,
A disposar costringila.
[14]

La libertà della donna è giunta a termine. Se esce di casa deve velarsi per non svegliare la concupiscenza di piacere di altri uomini. In oriente, dove le passioni, in causa del clima caldo, sono più violente che altrove, anche oggidì è spinto all'estremo questo sistema di reclusione.
Fra i popoli antichi, Atene divenne il modello del nuovo ordinamento. La donna divideva il talamo nuziale, ma non il desco; essa non rivolgeva la parola al marito, se non chiamandolo «signore»: era la sua serva. Non doveva mai apparire in pubblico; nelle strade andava sempre velata e nei più semplici abbigliamenti. Se diventava adultera, secondo la legge soloniana, doveva espiare il delitto con la vita, o con la libertà. Il marito poteva venderla come schiava.
La posizione della donna di quei tempi è resa chiara nella Medea di Euripide
[15]. Essa dice:

Oh ben noi donne
Di quante han creature anima e mente,
Le più misere siamo ed infelici!
Chè primamente n'è d'uopo a gran prezzo
Comperarne un marito, e (ciò che duolo
N'arreca più) della persona nostra
Farlo signor: ma più di tutto è grave
Dover serbarlo o buono o reo; che a donna
Onta è scioglier le nozze, e far l’è tolto
Del marito ripudio. A nuove leggi
Venendo, e ad usi onde fu ignara in casa,
Dovria la sposa indovinar qual fia
Di sua vita il compagno. Or se con noi
Questi ben vive, ed alacre comporta
Il comun giogo, oh noi felici allora!
Se no, d'uopo è morir. L'uom, se corruccio
Con talun di sua casa avvien che prenda,
N'esce, o a calmar va l’aspregiato core
Fra compagni ed amici; a noi sol uno,
Sol uno è dato, in cui fissar lo sguardo.
Ma noi (dicon) viviam queta e serena
Nelle case la vita; ed essi in campo
Si periglian con l'armi! Insani! In campo
Ben tre volte io starei pria che del parto
Sola una volta sostener l'affanno !

Ben diverse condizioni erano quelle dell’uomo. Se per la procreazione di legittimi eredi il marito costringeva la moglie ad una severa astensione da relazioni sessuali con altri uomini, non imponeva a sé stesso altrettanta severità per il concubito con altre donne. Di qui l’origine delle «etère», donne di rara bellezza e ingegno, nella maggior parte straniere, che menavano vita libera nelle più intime relazioni col sesso maschile, per isfuggire alla schiavitù del matrimonio. Ciò non era a quei tempi trovato riprovevole, tanto che il nome e la fama delle etère che ebbero intime relazioni con gli uomini più famosi della Grecia e parteciparono alle loro dotte conversazioni come ai loro conviti, sono giunti fino a noi, mentre il nome delle mogli legittime è sconosciuto o è stato dimenticato. Così la bella
Aspasia fu l'amica intima del famoso Pericle, che la fece più tardi sua sposa; il nome dell'etèra Frine divenne in seguito soprannome di tutte quelle donne
che si davano per lucro. Frine ebbe relazioni intime con Iperide e posò come modella per la Venere Afrodite di Prassitele, uno dei primi scultori greci. Danae fu l'amante di Epicuro, Archaanassa di Platone. Altre rinomate etère furono Laide di Corinto, Gnatea, ecc. Non troviamo cittadino greco famoso che non abbia avuto relazioni con etère. Questo costume faceva parte del sistema di vita degli antichi greci. Demostene, il grande oratore, descrive con precisione nel suo discorso contro Neera la vita materiale degli uomini di Atene in tal modo: «Noi sposiamo una donna per avere figli legittimi e per avere in casa una custode fedele. Teniamo poi le concubine per il nostro servizio e i nostri bisogni giornalieri, le etère pel godimento dell’amore». La moglie era semplicemente la macchina da figliuoli, un cane fedele che faceva buona guardia alla casa. Il marito viveva poi secondo il suo bon plaisir.
Per soddisfare al bisogno di donne venali, specie per parte degli uomini giovani, sorse la prostituzione, sconosciuta sotto l’impero del diritto materno. Questa differisce dalle relazioni sessuali libere in ciò, che la donna vende per lucro il suo corpo ad un uomo o a più di essi. La prostituzione s'inizia allorché la donna cerca guadagno materiale nelle sue attrattive. Solone diede forma concreta alle nuove condizioni giuridiche introducendole in Atene, e fu chiamato fondatore del nuovo diritto; fu colui che istituì i lupanari pubblici ad uguale prezzo per tutti i frequentatori. Secondo Filemone questo corrispondeva a poco pin di 25 centesimi della nostra moneta. Il lupanare era inviolabile come il tempio del Greci e dei Romani e le chiese del medio evo, e stava sotto la protezione del pubblico potere. Fino a circa 150 anni a.C. anche il tempio di Gerusalemme fu il luogo comune di riunione cortigiane. Per il beneficio procurato agli Ateniesi con la fondazione dei lupanari, Solone fu da uno dei suoi contemporanei così celebrato: « Gloria a te o Solone! Tu creasti la donna pubblica per la salute della città che è piena di giovani vigorosi. Senza la tua saggia istituzione essi si abbandonerebbero a moleste persecuzioni contro le migliori classi di donne ».
Vedremo in seguito come ai nostri tempi, precisamente per lo stesso scopo, si sia sentito il bisogno della prostituzione e dei lupanari.
Così, con legge di stato, furono sanzionate come diritti naturali alcune azione del sesso maschile, le quali, se effettuate da donne, erano ritenute biasimevoli e anche delittuose. E’ noto che anche oggi non pochi uomini preferiscono la compagnia di una bella peccatrice a quella della moglie. Eppure essi appartengono spesso ai «sostegni dello stato», alle «colonne dell’ordine», e dovrebbero vegliare sulla «santità del matrimonio e della famiglia».
Sembra che le donne greche si siano spesso vendicate sui mariti dell'oppressione in cui erano tenute. Se la prostituzione è il complemento del matrimonio monogamico da un lato, l’adulterio della donna ne è il complemento dall'altro. Fra i tragici greci, Euripide è considerato come nemico della donna, perché nei suoi drammi fa a preferenza questa, oggetto dei suoi attacchi.
Ciò che ad essa rimprovera risulta dall'invettiva che una donna greca dirige contro Euripide nella commedia «Le Tesmoforeggianti» di Aristofane.
[16]

Ahi lassa ! duolmi
Ch'or già gran tempo v'ha Euripide poste
Bersaglio all'onte; ei ch'erbaiuolo vile
Al dì produsse, e molti udiva e grandi
Da lui gli affronti. Con quali gravi offese
Onor ci strazia. Ci calunnia ognora
Anche ove radi i spettatori sono
Ed i tragedi e i cori. Ei di chiamarci
Adultere non cessa, e dagli amori
Prese de’ maschi, ebbre, e loquaci sempre,
Infamatici a nulla adatte, e grave
Danno dell’uomo. Sì che torvo il guardo
Il marito ne lancia, allor che riede
Ei dal teatro
[17], e tosto l’occhio gira,
Chè del celato drudo ognora teme.
L'oprar di pria c'è tolto. Ei tristi cose
Insegnava ai mariti. Amante appare
Loro ogni donna che corone intessa,
Se trascorrendo per la casa infranto
Le venga un vaso, ecco il marito dirle:
A chi il tegame hai rotto? Allo straniero
Che ci vien da Corinto?

Si concepisce come l’erudita greca tratti in tal modo l'accusatore del suo sesso, ma Euripide avrebbe difficilmente potuto scagliare queste accuse e non avrebbe trovato fede presso il pubblico, se questi non avesse saputo che erano giustificate.
A giudicare dalle parole finali citate, sembra che non fosse in auge in Grecia il costume esistente un tempo in Germania e in molti altri paesi, che il padrone di casa mettesse a disposizione dell'ospite amico per la notte la moglie o la figlia. Così si esprime Murner riguardo a quest'usanza trovata ancora nel secolo XV in Olanda: «E' costume nei Paesi Bassi, quando si riceve la visita di un ospite gradito, di offrirgli la moglie in buona fede.»
[18]
Le sempre crescenti lotte di classe negli stati greci e le tristi condizioni di molte piccole comunità, incitarono Platone a studiare quale fosse la migliore costituzione ed il miglior ordinamento di uno stato. Nella sua opera sullo stato, che presenta come l’ideale, chiede per la classe primaria dei cittadini l’uguaglianza assoluta della donna. Essa dovrebbe, come gli uomini, partecipare all'esercizio delle armi e adempiere qualunque uffizio, meno però o più gravosi «a causa della debolezza del suo sesso».
Asserisce che in entrambi i sessi le disposizioni naturali sono le stesse; solo la donna è in tutto più debole dell'uomo. Le mogli dovrebbero essere comuni a tutti i mariti, lo stesso i figli, così che nessun padre potesse riconoscere il figlio, né il figlio il padre.
[19]
Aristotele, che ha idee più civili, dice invece nella Politica, che la donna deve avere libera scelta dello sposo, rimanergli sottomessa, ma possedete tuttavia il diritto di «dargli un buon consiglio». Tucidide esprime un'opinione approvata da tutti i moderni filistei. Egli dice che la donna la la quale merita maggior lode è quella di cui, fuori delle mira domestiche, non si sente dire né bene né male.
Con simili vedute la stima per la donna doveva scendere sempre più in basso. Il timore di accrescere troppo la popolazione condusse anche ad evitare ogni accoppiamento con la donna e a prediligere le relazioni sessuali contro natura. Gli stati greci erano formati da città con limitato territorio, che non potevano fornire mezzi di alimentazione sufficienti al di là di un certo numero di abitanti.
Il timore di un aumento eccessivo di popolazione indusse Aristotele a consigliare agli nomini di tenersi lontani dalle donne e di darsi alla pederastia. Già prima di lui Socrate aveva cantato le lodi di un tale atto, come espressione di più elevata civiltà. I Greci più eminenti le resero omaggio. Il rispetto per la donna cadde quanto più in basso era possibile. Furono istituiti luoghi appositi per la prostituzione degli uomini, come già esistevano quelli per le donne. In un'atmosfera sociale di tal genere fu lecito a Tucidide dire che le donne erano peggiori delle donne di un mare irato, della fiamma del fuoco e del precipitarsi delle acque di una cascata. « Se è un Dio che le ha create, dovunque Egli sia, sappia che fu il malaugurato untore del peggiore di tutti i mali».
[20]
Se il sesso maschile greco si abbandonò alla pederastia, per l’opposto il femminile si consacrò all'amore del proprio sesso. Tempio eccelso di siffatto amore fu l’isola di Lesbo, per la qual cosa venne denominato amore lesbico e come tale si conosce tuttora, non avendo cessato di esistere fra noi. La poetessa Saffo, «l'usignolo lesbico» che visse 600 anni a.C., ne fu principale rappresentante. La sua passione si rivela in tutto il suo ardore nell'ode ad Afrodite, da cui implora:

O Venere, immortal figlia di Giove,
Che in mille guise imper e tessi inganni,
Deh! non gravar lo spirto a chi t'adora
Di cure e affanni.
[21]

E del suo peccato si trova conferma anche nell'ode al bell'Attis.
Mentre già in Atene e nel resto della Grecia regnava il diritto paterno, Sparta, rivale di Atene in egemonia, si trovava ancora sotto il diritto materno, condizione alla maggior parte dei Greci diventata affatto estranea. La tradizione narra che un giorno un Greco chiese a uno Spartano quale castigo meritasse a Sparta l'adulterio; alla qual cosa quest’ultimo rispose: «Straniero, da noi non esiste adulterio!» E lo straniero: «Ma se esistesse?» «Allora,» replicò motteggiando lo Spartano «l'adultero dovrebbe per castigo presentare un bove così grande che con la testa sorpassasse il Taigeto e potesse abbeverarsi all'Eurota». Alla osservazione del Greco meravigliato come mai potesse esistere un bove tanto colossale, rispose ridendo lo Spartano: «Nell'istesso modo che a Sparta non può esistere un adultero!» La presunzione della donna spartana si rivela nell’orgogliosa risposta che la moglie di Leonida diede ad una straniera che le diceva: «Voi donne lacedemoni siete le sole che imperate su gli nomini!» «Siamo anche le sole » rispose «che mettiamo al mondo degli uomini!»
La condizione libera della donna sotto il diritto materno favorì la sua bellezza, ne rialzò l’orgoglio, la dignità, l'indipendenza. Il giudizio di tutti gli antichi scrittori si concorda nel trovare che siffatte qualità erano nelle donne sviluppate al massimo grado ai tempi della ginecocrazia. La schiavitù, subentrata in seguito, operò a suo svantaggio, e la trasformazione appare visibile anche nella diversità del vestiario delle due epoche. Il vestito della donna dorica scendeva libero e leggiero dalla spalla, lasciando nudo il braccio e la gamba. Lo vediamo riprodotto nella Diana nei nostri musei. Al contrario, l'abbigliamento ionico copriva il corpo e ne impediva i movimenti. Era, come tutti sono concordi, segno della sua dipendenza, e causa della sua impotenza. Esso rende anche ai nostri giorni la donna impacciata e le infonde la coscienza della propria debolezza, che si manifesta poi nel contegno e nel carattere. Secondo il parere di un antico scrittore, l'abitudine degli Spartani di lasciare andar nude le giovinette fino alla pubertà, conferiva loro il gusto della semplicità e dell’accuratezza per l’apparenza esterna e non aveva, relativamente alle vedute di quei tempi, nulla di offensivo per il pudore, né di eccitante per i sensi. Come i giovanetti loro coetanei, prendevano parte a tutti gli esercizi corporali. Ne provenne di conseguenza una generazione robusta, aitante e cosciente della propria dignità, come lo prova la risposta della sposa di Leonida alla straniera.
Strettamente collegate col diritto materno scomparso, stavano alcune costumanze, designate da scrittori moderni, completamente ignari del loro vero significato, come «prostituzioni». Vi era, ad esempio, in Babilonia un rito religioso per cui le giovanette, giunte all'adolescenza, dovevano presentarsi nel tempio di Militta per offrire in olocausto la propria verginità, concedendosi ad un uomo. Altrettanto accadeva a Serapi di Menfi; nell'Armenia in omaggio della dea Anaiti; a Cipro, Tiro e Sidon in omaggio di Astarta o di Afrodite. Simili costumanze erano in vigore presso gli Egiziani per la festa di Iside.
Il sacrifizio della verginità era offerto alla dea in espiazione della consacrazione ad un solo uomo col matrimonio. «Poiché non per appassire nelle braccia di un solo uomo e stata dotata la donna dalla natura di tanti pregi. La legge della materia rigetta ogni limitazione, disprezza ogni catena e considera qualunque esclusivo come peccato contro la sua divinità»
[22]. Si doveva comprare la benevolenza della dea sacrificando la verginità ad un estraneo. Dal diritto antico si ammetteva ancora che le giovani libiche si guadagnassero la dote vendendo il proprio corpo. Sotto il diritto materno le zitelle erano libere nelle relazioni sessuali, e gli nomini trovavano in questo guadagno tanto poco di sconveniente da preferire per mogli le più desiderate. Così accadeva ai tempi di Erodoto tra i Traci. «Le ragazze non sono sorvegliate, ma godono piena libertà di unirsi con chi vogliono. Al contrario, le maritate sono vigilate severamente: esse vengono comprate ai genitori a caro prezzo». A Corinto, nel tempio di Afrodite, si riunivano più di mille giovanette (Jerodule), che formavano un centro speciale di attrattiva per il sesso maschile greco. Racconta la leggenda che in Egitto le figlie del re Cheope, col ricavato dei favori conceduti, fecero costruire una piramide.
Persistono tuttora condizioni del genere nelle isole Marianne, nelle Filippine, nella Polinesia e, secondo il Waitz presso varie tribù africane. Un altro costume, che esistette più tardi nelle Baleari, mette in evidenza il diritto dell'uomo sulla donna. Nella notte nuziale i parenti maschi consanguinei giacevano successivamente con la sposa per turno di età, ultimo lo sposo. L'uso si è trasformato in seguito presso altri popoli. Il sacerdote, o il capo della tribù (il re), come rappresentante del sesso maschile, venne ad esercitare questo diritto. A Malabar erano i Caimars Patamaren (sacerdoti). Il capo di essi, il Namburi, aveva il dovere di rendere questo servizio in occasione delle nozze del re (Zamorin), il quale lo rimunerava con 50 fiorini.
[23]
Nell'interno dell'India sono talora i sacerdoti, talora i capi (i re) che adempiono a questo ufficio
[24]. Lo stesso avviene nella Senegambia, dove il capo della tribù ha siffatto incarico e ne percepisce un compenso. Presso altri popoli la deflorazione delle donne, talvolta anche in età di pochi mesi, viene compiuta da idoli istituiti a tal uopo. E’ presumibile che «il diritto della prima notte» prolungatosi per lungo tempo nel medio evo in tutta Europa, debba la sua origine a questa tradizione. Il signore feudale si considerava possessore dei dipendenti e degli schiavi, esercitava il diritto a lui devoluto del capo tribù. Ma di ciò verrà trattato più lungamente in seguito.
Negli strani usi di alcune tribù del Sud-America e presso i Baschi, popolo di usi e di costumi primitivi, si mostrano avanzi del dritto materno. Invece della puerpera, per esempio, è il marito che si pone nel letto che si atteggia a partoriente e si lascia curare dalla moglie. Ciò starebbe a significare che il padre riconosce il neonato come figlio. L'usanza deve persistere presso alcune tribù montanare della China, e non molto tempo addietro si conservava anche in Corsica.
Anche in Grecia la donna fu oggetto di compra. Entrando nella casa dello sposo, cessava di esistere per la famiglia. Il fatto veniva espresso simbolicamente col bruciare davanti alla porta della casa del marito il bel carro ornato che l’aveva condotta.
Presso gli Ostiachi, in Siberia, anche oggi il padre vende la figlia e ne contratta il prezzo con i messi inviati dallo sposo. Come al tempo di Giacobbe, altrettanto avviene presso varie tribù africane, cioè: l’uomo che desidera una donna deve prestar servizio nella casa della futura suocera.
l matrimonio a base di compera non è scomparso ancora da noi, anzi è noto come esista più che mai, benché simulato, nella classe borghese. Il matrimonio d'interesse, generalmente in uso nelle nostre classi dirigenti, non è altro se non il matrimonio per compra. Il dono del fidanzamento, che, secondo le attuali usanze, il fidanzato offre alla fidanzata, è il simbolo di aver comprata la donna come proprietà.
Col matrimonio per compra si associava quello per ratto. Questo fu anticamente in uso non solo presso gli Ebrei, ma dappertutto, poiché lo riscontriamo quasi in tutti i popoli.
L'esempio storico più noto è il ratto oprato dai Romani delle donne sabine. Il ratto della donna era necessario dove queste scarseggiavano, o dove regnava la poligamia, come in tutto l'Oriente. Ivi, in special modo sotto la dominazione araba, dal secolo VII al XII della nostra era, aveva assunto diffusione grandissima.
Il ratto dalla donna viene ancora simulato per esempio dagli Araucani del sud del Cile. Mentre gli amici dello sposo sono in trattative col padre della sposa, il pretendente si aggira nelle vicinanze della casa per cercare di rapire la ragazza. Riuscito ad afferrarla, la getta sul cavallo già pronto e fugge nel bosco vicino. A questa vista donne, uomini e bambini sollevano grida altissime cercando d'impedire la fuga. Ma se i fidanzati giungono nel folto del bosco, il matrimonio si considera concluso. Altrettanto avviene quando il rapimento ha luogo contro la volontà dei genitori. Nelle popolazioni australiane troviamo simili costumi.
Il viaggio di nozze dei nostri paesi ha diretta analogia col ratto: la donna viene rapita al focolare domestico. Lo scambio dell'anello ricorda la sottomissione e la catena che lega la donna all'uomo. Quest'uso ebbe la sua prima origine in Roma. La fidanzata, in segno ch'era legata al fidanzato, riceveva da questo un anello di ferro, che in appresso si trasformò in anello d'oro; solo molto più tardi fu introdotto lo scambio degli anelli come segno di vincolo reciproco.
Abolita la gens materna, subentrò la patema con attribuzioni totalmente diverse. Compito principale era la sorveglianza dell'adempimento delle celebrazioni religiose e dei funerali; reciproca protezione ed aiuto; diritto, e in alcuni casi dovere, di contrarre matrimonio nella gens, specialmente qualora si trattasse di eredi donne, o di orfane. Apparteneva pure alla gens l’amministrazione del patrimonio comune.
La proprietà privata ed il conseguente diritto ereditario diedero origine ad altre differenze e opposizioni di classe. Con l’andar del tempo si formò una lega dei proprietari contro i proletari. In primo luogo i proprietari cercarono d'impossessarsi delle cariche governative delle nuove comunità e di renderle ereditarie. L’introduzione della moneta creò vincoli finanziari fino allora sconosciuti.
Le lotte coi nemici esterni e gli interessi antagonistici dell'interno, come pure le relazioni dell'agricoltura, dei mestieri e del commercio fra loro, resero necessarie complicate norme legislative e richiesero individui a tutela del buon ordine della giustizia nel decidere le querele. Lo stesso fu per i rapporti fra padroni e schiavi, debitori e creditori. S’impose la necessità di un potere che sopraintendesse, guidasse, ordinasse, pareggiasse tutti questi rapporti e intervenisse proteggendo e punendo a seconda dei casi. Da ciò ebbe origine lo stato, necessario prodotto degli interessi antagonistici nel nuovo ordinamento sociale. Il governo cadde naturalmente nelle mani di coloro che avevano il maggiore interesse nella sua fondazione e, in virtù del loro potere sociale, possedevano la maggiore influenza, cioè dei possidenti. L'aristocrazia del potere e la democrazia si trovarono di fronte anche là dove regnava completa uguaglianza di diritti politici.
Sotto l'antico diritto materno non esistevano leggi scritte. Le relazioni scambievoli erano semplici e la consuetudine le santificava.
Nella nuova legislazione, assai più complessa, una delle più importanti necessità fu quella di avere leggi scritte e organi particolari che le amministrassero. Per le relazioni ed i rapporti legislativi, sempre più complicati, si formò una classe speciale di persone, che si arrogo il compito dello studio delle leggi ed ebbe particolare interesse a renderle sempre più complesse.
Sorsero i giureconsulti, i giuristi che, per l'importanza che le nuove leggi avevano assunto nella società, acquistarono alta influenza. Il nuovo organamento legislativo trovò nel corso del tempo nello stato Romano l'espressione più classica; di qui l’influenza che |il diritto romano esercita anche ai nostri giorni.
La costituzione dello stato è il risultato necessario di una società, che, dal gradino più alto della divisione del lavoro, si fraziona in un gran numero di differenti attribuzioni, con interessi diversi, e spesso in lotta uno con l'altro.
Da ciò l'oppressione dei deboli.
I Rabatei, una tribù araba, ebbero da Diodoro la proibizione di seminare, di piantare, di bere vino, di costruire case, e dovevano quindi abitare sotto tende, incorrendo nella pena, qualora si opponessero, di essere forzati ad ubbidire da un potere superiore (potere di stato). Anche i Rachebiti, discendenti dal suocero di Mosè, sottostavano a prescrizioni di simil genere.
[25]
La legislazione mosaica era soprattutto intesa a non lasciar uscire gli ebrei dallo stato di società agricola, perché altrimenti (temevano i legislatori) sarebbe scomparsa la loro natura democratica comunistica. Di qui la scelta della «terra promessa» in una striscia di paese limitato da un lato da montagne poco accessibili e dal Libano; dall'altro, specialmente ad est e a sud, da contrade poco fertili e in parte da deserti, così che era reso possibile il loro isolamento. Da qui l'allontanamento degli Ebrei dal mare, che favoriva il commercio, la colonizzazione e l'accumularsi delle ricchezze; di qui ancora le leggi severe sul commercio con altri popoli, le rigide proibizioni per il matrimonio fuori della propria tribù, le leggi sui poveri, quelle agrarie, l’anno del giubileo, tutte prescrizioni intese ad impedire l’accentrarsi di grandi ricchezze nelle mani di singoli individui. Alla tribù ebraica doveva essere impedito di formare uno stato, per la qual cosa continuò a conservare fino al suo completo scioglimento l'organamento di tribù basato sull'ordinamento gentilizio, di cui in parte anche oggi si risentono gli effetti.
Alla fondazione di Roma parteciparono tribù latine già in grado di sviluppo superiore al diritto materno. I Romani rapirono le donne che mancavano loro, come già abbiamo accennato, al popolo sabino e da questo presero il home di Quiriti. Anche in tempi posteriori gli abitanti di Roma nei comizi venivano chiamati Quiriti. Popolus romanus significava in generale il complesso dello stato, ma Popolus romanus quiritum indicava la discendenza e la cittadinanza romana. La gens romana riconosceva il diritto paterno. I figli ereditavano come eredi naturali; in mancanza di questi, i parenti in linea maschile; mancando questi ancora, il patrimonio andava alla gens. La donna, maritandosi, perdeva il diritto ereditario al patrimonio paterno e a quello dei fratelli del padre; usciva dalla propria gens, e così né essa né i figli potevano essere eredi del padre o dei fratelli di lui. Diversamente, la quota ereditaria sarebbe andata perduta per la gens paterna. Frattanto la divisione in gentes ed in fratrie formò a Roma ancora per secoli la base dell'organamento militare e dell'esercizio dei diritti civili. Ma con la caduta delle gentes a diritto paterno e con la scomparsa del loro significato, le condizioni si volsero favorevoli alle donne romane. In seguito esse ereditarono, non solo, ma spettò loro l’amministrazione del patrimonio. Si trovavano per tal modo in condizioni molto più favorevoli delle loro consorelle greche. La condizione libera, cui giunsero a poco a poco, fece lamentare Catone, nato 234 anni a.C.: «Se ogni padre di famiglia, ad esempio dei suoi antenati, avesse tenuta la moglie nella debita sottomissione, non avremmo avuto tanto bisogno di contrastare col sesso femminile in genere».
[26]
E allorquando alcuni tribuni del popolo nell' anno 195 a.C. proposero di abolire una legge già stabilita contro il lusso degli abbigliamenti e dei gioielli delle donne, esclamò: «Se tutti noi singolarmente avessimo saputo far valere presso le nostre mogli i diritti e la superiorità dell'uomo, avremmo adesso da lottare con minori difficoltà contro tutte le donne riunite. Dovremo vedere adesso la nostra libertà superata dalla loro nell’ambiente domestico, ed anche nel foro abbattuta e calpestata dalla indomabilità femminile. E come non abbiamo saputo tener loro testa separatamente, le temiamo riunite.... I nostri antenati non permettevano che le donne trattassero affare privato senza intervento di un tutore; dovevano dipendere dal padre, dal fratello, dal marito. Noi tolleriamo invece che prendano possesso della repubblica, che s'intromettano nelle assemblee popolari… Lasciate la briglia alla natura dominatrice di questa creatura indomita e sperate che essa stessa metta un limite al suo arbitrio ! Ma è già molto che lo spirito sdegnoso della donna tolleri qualche limitazione imposta dal costume e dalla legge. Desidera libertà, anzi sfrenatezza in tutto… e quando sarà nostra pari vorrà superarci…»
Ai tempi menzionati da Catone qui sopra, finché il padre viveva, possedeva sulla figlia diritto di tutore, quando anche fosse maritata, a meno che a lui non piacesse nominare un sostituto. Alla morte del padre, subentrava al suo posto il parente più prossimo, anche se incapace come agnato. Il tutore possedeva il diritto di conferire la tutela ad altro di sua scelta.
La donna romana non possedeva davanti alla legge volontà propria. Le cerimonie nuziali erano diverse e subirono nel corso dei secoli molteplici cambiamenti.
La forma più solenne veniva conclusa dal sacerdote in capo, in presenza almeno di dieci testimoni. Gli sposi, per affermazione del loro legame, mangiavano insieme una focaccia fatta di farina, sale ed acqua. Questa cerimonia ha molta analogia con l'ostia della comunione cattolica. Una seconda forma era costituita dalla «presa di possesso», che si riteneva affermato tosto che una donna, col consenso paterno o del tutore, avesse abitato un anno sotto il medesimo tetto dell’uomo scelto. Una terza forma era una specie di compra reciproca, nella quale entrambi si scambiavano monete; e la promessa di voler essere marito e moglie. Ai tempi di Cicerone
[27] era già stata introdotta la libera separazione da ambo le parti, ed era stato anche discusso se fosse o no necessario l'annunzio di essa. La lex Julia de adulteriis prescrisse che dovesse essere annunziata solennemente, e ciò perché spesso le mogli, che avevano commesso un adulterio di cui erano chiamate a rispondere, si difendevano dicendo di essersi già separate dal marito. Giustiniano il cattolico [28] proibì la separazione, a meno che le mogli entrassero in un convento. Il suo successore Giustino II si vide costretto a stabilirla nuovamente.
Col crescente potere e la maggiore ricchezza di Roma, al luogo dei costumi maritali severi subentrarono vizi e libertinaggio della peggiore specie. Roma divenne il centro onde si diffuse nell'intero mondo civile di allora l'incesto, la lussuria e la raffinatezza più peccaminosa. Il libertinaggio assunse ai tempi dell’impero, favorito in modo particolare dagl’imperatori, forme da non potersi attribuire se non alla pazzia. Uomini e donne gareggiavano nel vizio. Il numero dei pubblici lupanari andava sempre aumentando, e la pederastia prendeva ognor più sviluppo nel mondo maschile. Vi fu un tempo in cui a Roma era maggiore il numero degli uomini prostituta che non delle donne.
[29]
Le etère, circondate dai loro corteggiatori, apparivano sfarzosamente nelle strade, alle passeggiate, ai circhi, ai teatri, spesso su lettighe trasportate da negri, dove, lo specchio alla mano, scintillanti di ornamenti e di pietre preziose, giacevano mollemente sdraiate con schiavi intorno che facevano loro vento, circondate da uno stuolo di ragazzi, di eunuchi, di suonatori di flauto. Nani grotteschi chiudevano il corteo.
Il libertinaggio aveva acquistato tale diffusione da costituire un pericolo per l'impero romano. Le donne seguivano l’esempio degli uomini. Ve n'erano alcune, racconta Seneca
[30] che non contavano gli anni, come di consueto, dai consoli, ma dal numero degli amanti. L'adulterio era generale e, per evitare le punizioni imposte dalle leggi, molte mogli, fra cui alcune dame fra le più distinte di Roma, si facevano inscrivere nei registri degli edili come prostitute.
Gli stravizi, le guerre civili e i sistemi dei latifondi resero tanto meno frequenti i matrimoni e le nascite, da diminuire sensibilmente il numero dei cittadini e dei patrizi romani. In conseguenza di ciò nell’anno 16 av.C. l’imperatore Augusto emanò la così detta legge Giulia
[31], che premiava la prolificazione e puniva il celibato dei cittadini e dei patrizi romani. Chi aveva figli era superiore in rango a chi non ne aveva o era celibe. I celibi non potevano ereditare dai parenti più prossimi. Chi non aveva figli poteva ereditare solo la metà del patrimonio, il resto andava allo stato. Le mogli adultere dovevano cedere metà della dote al marito ingannato. Vi furono uomini che si sposarono speculando sull’infedeltà della moglie. Ciò fece dire argutamente a Plutarco: «I romani non si sposano per avere eredi, ma per ereditare».
Più tardi la legge Giulia fu resa anche più severa. Tiberio ordinò che nessuna donna il cui nonno, o padre, o marito fosse, o fosse stao, cavaliere romano, potesse concedersi per lucro. Le mogli che si facevano iscrivere nei registri come prostitute, dovevano essere esiliate dall'Italia come adultere. Naturalmente queste punizioni non avevano validità per gli uomini. Come più avanti racconta Giovenale, a Roma, ai suoi tempi, (nella prima metà del primo secolo della nostra èra) non di rado la moglie uccideva il marito col veleno.

>> segue nel prossimo almanacco

A sinistra, frontespizio della 36esima edizione dell'opera di August Bebel, di cui riproponiamo le prime pagine del testo integrale.
Sopra: Ripresa delle ostilità (a partire da Erostrato).
pagina


Note di A. Bebel

[1] - L'opera di Bachofen apparve nel 1861 sotto il titolo: Das Mutterrecht. Eine Untersuchung ueber die Gynälkokratie der alten Welt nach ihrer religiösen und rechtlichen Natur. Stuttgart, Verlag von Krais und Hoffmann. L'opera fondamentale di Morgan apparve tradotta in tedesco sotto il titolo: Die Urgesellschft. Untersuchungen ueber den Fortschritt der Menscheit aus der Wildheit durch die Barberei zur Zivilisation. Stuttgart, Verlag von I. H. W. Dietz, 1891. Dello stesso editore abbiamo: Der Ursprung del Familie, des Privateigenthums und des Staat. Auschkuss an Lewis, H. Morgan’s, Forschungen, von Frederich Engels, vierte vermehrte Auflage, 1892. Inoltre: Die Verwandschafts - Organisationen der Australneger, ein Beitrag zur Entwickelungsgeschichte der Familie von Heinrich Cunow, 1894. (Note di Bebel alla XXV edizione del 1905).
[2] - Lo Zingler, nell'opera menzionata nella prefazione di questo libro, si oppone a che si possa attribuire qualunque significato al mito per la stoia della civiltà. Qui si mostra tutta l’imperfezione dei cultori di storia naturale. Nei miti si nasconde un senso profondo, essi scaturiscono dall’anima di un popolo, si basano su usi  costumi popolari primitivi, a poco a poco scomparsi, ma che sopravvivono nel mito circondati dall’aureola della religione. Se ci accade d’incontrare fatti che chiariscono il mito, abbiamo allora un completo fondamento per il loro significato storico.
[3] - Bachofen , «Das Mutterrecht». (nota di Bebel) - Concubito significa accoppiamento.
[4] - l «totem» è un vincolo di tribù. Ognuna di essi ha il suo «totem», rappresentato dal nome di un animale, per esempio l’opossum, il lupo, l’orso ecc. Tutti i membri della tribù portanti lo stesso nome sono vincolati fra loro. L'animale da cui prende nome la tribù gode di una speciale venerazione. Il legame è sacro e coloro che ne sono vincolati non possono né uccidere l’animale né mangiarne la carne. L’animale emblema del «totem» tiene il posto del santo protettore delle confraternite del Medio Evo.
[5] - 12° Anno, 1893-91, pag. 119.
[6] - In un vetusto rione della città di Praga havvi una piccola sinagoga sorta nel sesto secolo della nostra era e ritenuta la più antica della Germania. Se il visitatore scende circa sette scalini nella semi-oscutità, si trova davanti ad alunne aperture, a guisa di feritoie che dànno accesso ad un recinto del tutto oscuro. Domandando alla guida spiegazioni risponde: «Questo recinto è riservato alle donne che assistono al servizio divino». Le sinagoghe moderne sono più luminose, ma la separazione fra uomini e donne persiste tuttora.
[7] - F. Engels: «Der Ursprung der Familie ecc.».
[8] - F. Engels. Vedi op. cit.
[9] - Quadri della vita degli zingari di Transilvania. - Storia, etnologia, lingua, poesia. Amburgo, 1870.
[10] - Libro dei Giudici, cap. 20, 21 e seg.
[11] - Allorché nell’inverno del 1899-1900 apparve sulle scene l’Oreste di Eschilo, tradotto dal Mylanowitz, il pubblico e la critica non riuscirono ad afferrare il vero significato della tragedia e rimasero freddi.
[12] - Bachofen : Das Mutterrecht.
[13] - Omero: Odissea, traduz. del Pindemonte. Canto primo.
[14] - Omero: Odissea, trad. del Pindemonte. Canto secondo.
[15] - Traduzione di Felice Bellotti. Euripide nacque a Salamina 480 anni av. C.
[16] - Traduzione di Coriolano di Bagnolo, Torino, tip. Marzorati 1850, vol. II.
[17] - Dove le donne greche non avevano accesso.
[18] - Deutsche Kultur und Sittengeschichte di Giov. Scherr, 9. ediz. Lipsia, Otto Wigand, 1887. – E’ noto che Sudermann nella commedia L’onore, allude a questo fatto.
[19] - Platone, Lo Stato.
[20] - Leon Richer, La femme libre.
[21] - Traduz. di G. Caselli – Firenze, Niccolò Carli, 1815.
[22] - Bachofen, Das Mutterrecht.
[23] - K. Kautsky, Die Entstehung der Ehe und der Familie. Kosmos, 1883.
[24] - Mantegazza, Gli amori degli uomini.
[25] - Legislazione mosaica.
[26] - Carlo Heinzen , Ueber die Rechte und Stellung der Frauen.
[27] - Nato 106 anni a.C.
[28] - Vissuto dal 527 al 565 della nostra èra.
[29] - S. Paolo ai Romani cap. I, vers. 26 e 27: «Perciò, Iddio gli ha abbandonati ad effetti infami; conciosiacosachè anche le loro femmine abbiano l’uso naturale in quello ch’è contro a natura. E somigliantemente i maschi, lasciato l’uso naturale della femmina, si sono accesi nella lor libidine gli uni inverso gli altri, commettendo maschi con maschi la disonestà, ricevendo in loro stessi il pagamento del loro errore qual si conveniva».
[30] - Egli visse dall’anno 2 al 65 della nostra èra.
[31] - Augusto, figlio adottivo di Cesare, venne, in seguito di tale adozione, a far parte della gens Giulia, onde la denominazione di legge Giulia.
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