LA DONNA NEL PASSATO . 1 . 1 |
|
|
La donna e l’operaio hanno questo carattere in comune: l'essere oppressi. Le forme di siffatta oppressione si sono cambiate con l’andar dei tempi e a seconda dei paesi, ma il fatto permane tuttora. Con lo sviluppo storico gli oppressi sono arrivati più facilmente alla conoscenza della loro oppressione, per i cambiamenti e i miglioramenti del loro stato, ma tanto nella donna quanto nell'operaio la vera coscienza dell'oppressione, nelle sue cause, è un risultato ottenuto soltanto ai nostri giorni. Bisogna conoscere la vera natura della società e delle leggi che ne governano lo sviluppo, prima che possa aver luogo, con possibilità di successo, un movimento per rimuovere uno stato di cose che è riconosciuto ingiusto.
L' estensione e la profondità di tale movimento sono in rapporto col grado di cultura degli oppressi e con la relativa libertà d'azione che è loro concessa. Sotto entrambi i rapporti la donna, sia per i costumi e per l'educazione che per la libertà che le è concessa, rimane addietro all'operaio. Un'altra circostanza è questa: le condizioni che perdurano per lungo succedersi di generazioni diventano consuetudini, e l’eredità e l’educazione fanno apparire il fatto naturale. Ecco perché anche oggi, specialmente la donna, prende come cosa convenuta la sua posizione d’inferiorità, senza che sia facile il farle comprendere che ciò non è giusto e che anch’essa deve lottare per diventare un membro della società, sotto ogni rapporto uguale in diritti all’uomo.
Per quanto la posizione della donna sia simile a quella dell'operaio, la prima ha, di fronte a quest'ultimo, un diritto di priorità; questo: Essa è il primo essere umano caduto in servitù. La donna divenne schiava prima ancora che lo schiavo esistesse.
Qualunque dipendenza, qualunque oppressione sociale ha origine nella dipendenza economica dell'oppresso per opera dell’oppressore. In tale condizione trovasi dai tempi primitivi la donna, come lo dimostra la storia dello sviluppo della società umana. La conoscenza di questo sviluppo è relativamente recente.
Quanto meno vera risulta la leggenda della creazione del mondo, quale ce l’apprende la Bibbia, di fronte alle ricerche, appoggiate da incontrastabili ed innumerevoli esempi tolti dalla geografia, dalla fisica e dalla storia, altrettanto accade della leggenda dello sviluppo umano. Non sono ancora messe in luce tutte le fasi della storia di questo sviluppo, e su alcune, già chiarite, esistono diversità d' interpretazione sul significato e sul legame di questo e di quel fatto; in complesso però abbiamo chiarezza ed accordo.
E’ accertato che l’uomo non è venuto sulla terra, come afferma la Bibbia, dalla prima coppia umana, come un essere civile; si sa invece che in un indeterminato spazio di tempo, mentre si liberava a poco a poco dello stato animale, egli ha subito periodi di sviluppo nei quali i suoi rapporti sociali, come pure quelli fra uomo e donna, attraversarono i più svariati cambiamenti.
L'asserzione degli incoscienti e dei mentitori, che risuona ad ogni istante al nostro orecchio, riguardo ai rapporti fra uomo e donna, fra povero e ricco, che cioè «è stato sempre così» e «così sarà sempre», è sotto ogni rapporto falsa e superficiale.
A confutare questa asserzione, troviamo una dimostrazione di particolare importanza nei rapporti sessuali, con la quale appare evidente che, se nel corso dello sviluppo umano, dai tempi primitivi ai nostri giorni, questi rapporti si sono gradatamente modificati, man mano che ha progredito da un lato la produzione, dall’altro la ripartizione del prodotto, così è ovvio che, con ulteriori trasformazioni, i rapporti sessuali cambieranno di bel nuovo. Niente v'è di eterno in natura o nella vita umana; eterno è soltanto il cambiamento, la trasformazione.
Guardando addietro nello sviluppo della società, vediamo che l'orda fu la prima riunione d'uomini. Honneger, nella sua Storia generale della civiltà, dice che anche oggi nell’interno poco esplorato di Borneo trovansi alcuni uomini che vivono in istato d'isolamento. Anche Hügel afferma che nelle regioni montuose dell’India furono scoperte coppie umane simili a scimmie, che si rifugiavano sugli alberi tosto che alcuno appariva loro. Tali asserzioni appoggerebbero le ipotesi finora fatte sull’origine e sullo sviluppo della razza umana. E’ probabile che, dove comparve l’uomo, egli derivò da coppie isolate, ma certo è che appena si ebbe un certo numero di individui nati da una coppia originale isolata, essi si costituirono in orda, per supplire con i loro sforzi riuniti ai bisogni della vita, in principio molto primitiva, e per proteggersi scambievolmente dai nemici, dalle bestie feroci. Solo il numero crescente e la maggiore difficoltà di procacciarsi il mantenimento, che consisteva da principio in radici, bacche e frutta, poterono condurre alla divisione o alla separazione delle orde, e alla ricerca di nuove contrade abitabili.
Questo stato, quasi animale, del quale non abbiamo prova attendibile, è non pertanto esistito, e ci viene affermato dai diversi gradi di civiltà dei tempi storici, e delle tribù selvagge tuttora esistenti.
L'uomo non è entrato nella vita per ordine di un creatore, come un essere completamente incivilito; egli è passato per diversi stadi con lungo e lento processo di sviluppo, ed ha raggiunto solo a poco a poco il presente stato d'incivilimento, traversando periodi alternanti di progresso e di regresso, differenziandosi continuamente dai suoi simili in tutte le parti della terra e sotto tutte le zone.
Ora, mentre su una parte della superficie terrestre grandi popolazioni appartengono ai gradi più progrediti della civiltà, altre tribù si trovano, in lontane regioni, in uno stato meno avanzato di sviluppo civile. Queste dànno un quadro del passato e additano il cammino seguito dalla razza umana nel corso della sua evoluzione. Riusciti a stabilire alcuni punti di vista, comunemente e generalmente riconosciuti, sui quali l'indagine può basare le sue ricerche, troveremo una quantità di fatti che gettano addirittura una nuova luce sui rapporti degli uomini nel passato e nel presente. Ci sembreranno chiari e naturali avvenimenti, che oggi appariscono incomprensibili e da osservatori superficiali son ritenuti irragionevoli, e non di rado immorali. Dopo Bachofen, le ricerche di un numero considerevole di uomini eruditi quali Tylor, Mac Lennan, Lubbock, ecc., hanno alzato un po' il velo sulla primitiva storia dello sviluppo umano. Ad essi si unì Morgan con la sua opera, completata da Federico Engels con una serie di fatti storici di natura economica e politica, e recentemente in parte affermati, in parte corretti da Cunow.[1]
Le asserzioni chiare e precise del pregevole lavoro dell'Engels a complemento dell'opera di Morgan, gettano una viva luce sopra una quantità di fatti incomprensibili, che in parte appariscono assurdi, nella vita delle tribù che si trovano in grado più o meno avanzato di sviluppo civile. Per suo merito abbiamo potuto dare uno sguardo allo sviluppo della società nel corso del tempo, e abbiamo visto come le cognizioni possedute fin allora sul matrimonio, sulla famiglia e sullo stato posassero su vedute assolutamente false, fantasie senza alcun fondamento di verità.
Ciò che è provato per il matrimonio, per la famiglia e per lo stato, vale ancora per la parte che la donna ha avuto nei vari periodi di sviluppo, i quali negano recisamente quanto si è affermato, cioè che «essa sia stata sempre uguale».
Morgan, cui si unì Engels, divide la storia dell'umanità in tre epoche principali: stato selvaggi, barbaro e civile. Suddivide poi nuovamente le due prime epoche in grado inferiore, medio e superiore, perché l’uno dall’altro si distingue per decisi miglioramenti nell'acquisto dei mezzi di sussistenza.
Come Carlo Marx e Federico Engels valutarono il progresso di certi popoli dalle trasformazioni da essi subìte in certe epoche circa i processi di produzione, così Morgan vede nel concetto materialistico, nell'acquisto cioè dei mezzi per vivere, il segno principale dello sviluppo della civiltà. Così lo stato selvaggio nel suo grado inferiore rappresenta l’infanzia dell’umanità , durante la quale essa vive in parte sugli alberi, e si ciba principalmente di frutta e radici, ma in cui comincia il linguaggio articolato.
Il grado medio dello stato selvaggio comincia con l’uso di cibarsi di piccoli animali, quali pesci, crostacei, ecc., e con l’uso del fuoco. In esso ha principio la fabbricazione delle anni, prime le mazze, le lance di legno e di pietra, con le quali s'inizia la caccia ed anche la guerra con le orde circostanti per la conquista del cibo e dei territori d'abitazione e di caccia. In questo stadio vediamo apparire l’antropofagia, che esiste tuttora presso alcune tribù e popoli d'Africa, d'Australia e della Polinesia. Il grado superiore dello stato selvaggio è distinto dal perfezionamento delle armi in archi e frecce, dall'iniziarsi della tessitura a mano, dall'intrecciamento della corteccia d'albero o dei giunchi per costruire panieri, e dalla fabbricazione degli utensili di pietra affilati. Con questi utensili si rende possibile la lavorazione del legno per le barche e le capanne. La vita è divenuta già multilaterale. Gli utensili e i mezzi posseduti facilitano la bisogna di procacciarsi un cibo più ricco per provvedere alle esigenze di società più numerose.
Morgan fa cominciare il grado inferiore della barbarie con l’introduzione delle stoviglie, con l’allevamento e l'addomesticamento degli animali, mediante i quali si ottiene la produzione della carne e del latte, delle pelli, delle corna e dei peli per i più svariati scopi. Di pari passo va la coltivazione delle piante. Nell’occidente il mais, in oriente quasi tutte le specie conosciute di granaglie, ad eccezione del mais. Nel grado medio della barbarie troviamo sempre più esteso in oriente l'addomesticamento degli animali, in occidente la coltivazione delle piante commestibili per mezzo della irrigazione artificiale. L'allevamento e l’addomesticamento degli animali conduce alla formazione delle mandrie e alla vita pastorale. La necessità di ottenere maggiore quantità di cibo per gli uomini e per il bestiame porta all'agricoltura. Ciò significa maggiore stabilità, aumento e varietà di cibi, e a poco a poco la scomparsa dell'antropofagia.
Il grado superiore della barbarie ha principio con la fusione dei metalli e con la scoperta della scrittura. Con l’aratro di ferro si giunge alla coltivazione estensiva, poiché si mettono in uso le scuri di ferro e le vanghe, che agevolano il disboscamento. La lavorazione del ferro da luogo ad una serie di attività che danno un nuovo aspetto alla vita. Gli utensili di ferro facilitano la costruzione delle case, delle barche, dei carri. Con la lavorazione dei metalli hanno origine nuovi mestieri, si perfeziona la tecnica delle armi, si costruiscono città cinte da mura. Fra le arti sorge l’architettura. La mitologia, la poesia, la storia ottengono per mezzo della scittura conservazione e diffusione.
E’ a preferenza in oriente e nei paesi del Mediterraneo: in Egitto, in Grecia, in Italia, che questa vita si spiega e pone le fondamenta della riforma sociale, che nel corso del tempo ha un' azione decisiva sullo sviluppo della civiltà europea e del mondo intero.
Ma i periodi dello stato selvaggio e della barbarie ebbero pure i loro legami di famiglia e sociali, che differirono in grado notevole da quelli dei tempi posteriori. Bachofen e Morgan li hanno indagati a fondo: Bachofen, studiando nel modo più esatto le scritture degli antichi per poter penetrare nella vera natura dei fatti che si presentano nella mitologia, nella leggenda e nella storia, e ehe hanno tanta affinità con avvenimenti di tempi posteriori, anche fino ai nostri giorni; Morgan, invece, trascorrendo dieci anni fra gli Irochesi, residenti nello stato di Nuova York, e facendo osservazioni sulle relazioni di vita, di famiglia, di parentela delle suddette tribù indiane. Sulla base di queste osservazioni, altre ancora, eseguite altrove, diedero nuovi lumi e schiarimenti.
Bachofen e Morgan constatarono, ciascuno secondo la propria maniera, che le relazioni di parentela delle tribù primitive erano essenzialmente diverse nella origine di quello che divennero in tempi storici e presso i popoli civili moderni.
Il secondo notò di particolare, nel suo lungo soggiorno fra gli Irochesi dell’America del Nord e sulla base di studi comparativi, ai quali fu incitato dalle osservazioni ivi fatte, che tutte le tribù in istato di arretrata civiltà, possiedono sistemi familiari e parentali del tutto differenti dai nostri, ma che furono un tempo simili in tutte le tribù, nei loro primi gradi d'incivilimento.
Negli anni in cui egli visse fra gli Irochesi, presso queste tribù esiste una specie di matrimonio, da ambo le parti facilmente dissolubile, designato da lui come «accoppiamento». Egli trovò ancora che le denominazioni dei gradi di parentela, quali: padre, madre, figlio figli, fratello e sorella, quantunque secondo il significato nostro non abbiano applicazione dubbia, erano usate per tutt’altre relazioni. L'Irochese chiama figlio e figlia non solo i propri figlioli, ma anche tutti quelli dei proprio fratelli, che a lor volta lo chiamano padre. E così la donna irochese chiama figlio e figlia, oltre ai propri figlioli, anche quelli delle proprie sorelle, che la chiamano madre. Chiama invece nipoti i figli dei fratelli, rispetto ai quali è a sua volta chiamata zia. I figli di fratelli si dicono tra loro fratelli e sorelle, mentre i figli di un fratello e di una sorella si chiamano fra loro cugini e cugine [7]. Lo strano sta nel fatto che le relazioni parentali non sono come da noi stabilite per grado di parentela, ma dal sesso dei parenti.
Siffatto sistema è in uso presso tutti gl'Indiani dell'America, presso i primitivi abitanti dell'India, nelle tribù dravidiche del Dekan e nelle gauresi dell'Indostan, e dalle ricerche effettuate dal Bachofen in poi risulta che simili condizioni devono essere esistite dappertutto nei tempi primitivi. Se, sulla base di tali osservazioni, s’intraprendessero ovunque ricerche sulle relazioni sessuali e familiari delle tribù tuttora viventi in istato selvaggio o barbaro, si potrebbe dimostrare ciò che osservò Bachofen in numerose tribù dell'antichità, Morgan fra gli Irochesi, Cunow fra i Negri di Australi ed altri presso altre tribù, che, cioè, le formazioni sociali sono quali le basi dello sviluppo le fondarono per tutti i popoli della terra.
Dalle indagini di Morgan risultano altri fatti interessanti. Se la «famiglia» degli Irochesi in inesplicabile contrasto con le designazioni di parentela che essi adoperano abbiamo per contrapposto che nella prima metà di questo secolo nelle isole Sandwich (Hawai) esisteva una forma di famiglia che corrispondeva di fatto al sistema di parentela che oggidì gli Irochesi possiedono solo di nome. Ma il sistema di denominazione in uso nell'Hawai non corrispondeva alla forma di famiglia esistente, ma si rimandava ad una forma più antica, più primitiva. Ivi tutti i figliuoli di fratelli e sorelle si chiamavano fra loro, senza eccezione, fratelli e sorelle, tali si dicevano non solo i figli della madre e delle sorelle di lei, o del padre e dei fratelli di lui; ma anche tutti i figli dei fratelli e delle sorelle dei genitori senza distinzione.
Il sistema di parentela dell'Hawai corrispondeva così ad un grado di sviluppo ancor più arretrato dell'effettiva forma di famiglia esistente. Strano era che nelle Hawai, come fra gl'lndiani dell'America settentrionale, vigessero due diversi sistemi di parentela che non corrispondevano alle condizioni effettive, ma continuavano ad essere usati, mentre la forma della parentela era salita ad un grado più elevato. Morgan così si esprime in proposito: «La famiglia è l'elemento attivo; essa non è mai stazionaria, ma lotta per passare da una forma inferiore ad una superiore, nello stesso modo come, la società si sviluppa da un grado inferiore ad uno superiore. I sistemi parentali, per l'opposto, sono passivi; solo in lunghi periodi segnano i progressi che la famiglia ha fatto nel corso del tempo, e subiscono soltanto cambiamenti radicali allorché la famiglia si è già radicalmente cambiata.
Il concetto oggi generalmente accettato e difeso con vigore dai conservatori come vero ed inoppugnabile, che l'attuale forma di famiglia sia esistita da tempi primitivi e debba continuare sempre perché la generale civiltà non ne venga danneggiata, si dimostra falso e insostenibile dopo le indagini degli studiosi. L'esame della storia primitiva non lascia dubbio che le relazioni di parentela, dai gradi infimi dello sviluppo ai tempi posteriori, siano assolutamente cambiate, e che esistettero condizioni le quali, osservate con gli occhi dei nostri tempi, sembrano mostruose e sommamente immorali. Nell'istessa guisa che ogni grado di sviluppo sociale ha le sue volute condizioni per la produzione, così ha il suo codice morale che rappresenta il riflesso del suo stato sociale. E’ morale ciò che è costume, ed è costume ciò che corrisponde alla vera natura della società, ai bisogni sociali di un dato periodo.
Morgan giunge alla conclusione che nel gradino infimo dello stato selvaggio regnava, in mezzo ai vincoli di parentela, una comunanza sessuale per la quale ogni donna apparteneva a qualunque uomo e viceversa, e per la quale esisteva una generale promiscuità. Gli uomini vivevano in poligamia e le donne in poliandria; vi era promiscuità di uomini e donne come di bambini. Strabone narra (66 anni av. C.) che presso gli Arabi regnava il concubinato tra fratelli e sorelle e con le proprie madri. Senza incesto non sarebbe stato possibile in origine l’aumento della razza umana, specialmente se, come la Bibbia racconta, si accetta la discendenza da una sola coppia originale.
Ma la Bibbia si contraddice su questo fatto importante. In essa si legge che Caino, ucciso Abele, se ne partì dalla vista del Signore, a andò ad abitare il paese del Nord.
Ivi conobbe sua moglie che gli diede un figlio. Ma donde proveniva la moglie? Non erano i genitori di Caino i primi uomini? Secondo la tradizione ebraica Caino ed Abele avevano due sorelle con le quali ebbero incestuosamente figlioli.
I traduttori cristiani della Bibbia sopprimono questo importante avvenimento.
Ad affermare la promiscuità dei tempi primitivi, quando l'orda essendo endogame le relazioni sessuali erano senza distinzione, sta anche il fatto che, secondo il mito indiano, Brama sposò la propria figlia Saravasti; lo stesso mito si ripete fra gli Egiziani e nell'Edda nordica. Il dio egiziano Amon fu sposo della madre e se ne gloriò.
Odin, secondo l'Edda, era il marito della figlia Frigga [2]. E nell'opera del dott. Adolfo Bastian Viaggi nell’interno dell’arcipelago, a Singapore, Butavia, Manilla e nel Giappone (Jena, 1869), egli racconta a pag. 12: «A Svaganwara le figlie del rajà avevano il privilegio della libera scelta del marito. I quattro fratelli che si domiciliarono a Capilapur elevarono Prya, la maggiore delle loro cinque sorelle, al grado di regina madre, e sposarono le altre».-
Morgan ritiene che dallo stato di generale promiscuità dei sessi si sia sviluppata una forma più elevata di relazioni familiari, che chiamò «parentela di sangue».
Dopo varie generazioni, le relazioni di parentela delle tribù stabili cambiano. I nonni e le nonne, per un vincolo sessuale, sono detti marito e moglie; i loro figli costituiscono un altr’ordine di mariti e mogli e così i figli di questi, allorché giungono all’età matura.
Per tal modo, diversamente dal grado infimo, ove regna una comunanza sessuale senza distinzione, sono in seguito escluse le relazioni tra una generazione e l’altra. Al contrario esistono tra fratelli e sorelle, tra cugini e cugine di primo, secondo e lontano grado. Sono essi tutti tra loro fratelli e sorelle, ma anche mariti e mogli. Siffatto forma di famiglia corrisponde al sistema di parentela che nella prima metà del secolo si trovava ancora di nome nell’Hawai, sebbene non di fatto. Per l’opposto, secondo il sistema di parentela indo-americano il fratello e la sorella non possono essere mai padre e madre dello stesso figliuolo, ma ciò può accadere bensì col sistema di famiglia dell'Hawaï. La parentela di sangue è usata ai tempi di Erodono presso i Massageti, dei quali egli dice: «Ognuno sposa una donna, ma a tutti è permesso di usarne.... Quando un uomo ha voglia di possedere una donna, appende la faretra davanti il carro e sta con la donna, a suo piacere.... Indi pianta un bastone in terra per rendere nota la sua azione.... Il concubinato è usuale» [3]. Bachofen nota condizioni simili presso gli Etruschi, i Cretensi, gli Ateniesi, i Lesbi, gli Egiziani.
Secondo Morgan alla famiglia costituita a base di consanguineità, fa seguito una terza forma da lui chiamata «famiglia punalua». Punalua «Caro compagno, cara compagna».
Cunow, nell'opera suddetta, non concorda con Morgan nel concetto che la famiglia a base di consanguineità, cioè fondata sulle relazioni matrimoniali, compiutesi per generazioni, sia una forma anteriore al consolidarsi della famiglia «punalua».
Egli non vede in essa la primitiva fra tutte le forme di famiglia fin qui conosciute, ma piuttosto una forma transitoria sorta coi legami di parentela, una forma transitoria prima di pervenire ad un organamento gentilizio, durante il quale persistette per qualche tempo insieme coi vincoli del «totem» [4], la divisione per classi gerarchiche propria della così detta famiglia panaula.
Cunow continua: « La divisione delle classi - ogni uomo o donna porta il nome della sua classe e del suo vincolo di tribù (totem) - non serve soltanto per escludere il commercio sessuale fra parenti laterali, ma per impedire ancora il concubinato fra parenti in linea ascendente e discendente, cioè fra genitori e figliuoli, zii e nipoti.
Cunow cita le prove dell'esattezza delle sue vedute, che differiscono talvolta da quelle di Morgan. Ma, in complesso, egli protegge energicamente quest'ultimo dagli attacchi di Westermann e di altri. Egli dice: «Quand'anche alcune ipotesi del Morgan possano risultare false, non gli si può togliere il merito di avere, in primo luogo, affermata l’affinità dei legami del «totem» dell'America del nord con l'organamento gentilizio dei Romani; e, in secondo luogo, di aver comprovato che il sistema odierno parentale e familiare è il prodotto di un lungo processo evolutivo. Egli quindi per primo ha reso in certo modo possibili le recenti ricerche, creato il fondamento sul quale si può continuare a costruire ».
Anche nella prefazione della sua opera osserva che essa è in parte un compimento dell’opera dell'opera del Morgan sulla società primitiva.
I Westermann, gli Starcke, gli Ziegler, che hanno principalmente attinto dai suddetti autori, si dovranno adattare bene o male a ciò che l’origine e lo sviluppo della famiglia non siano quali vorrebbero i loro pregiudizi borghesi. Le confutazioni di Cunow ai sostenitori dello Ziygler dovrebbero aprire gli occhi ai fanatici suoi seguaci sul merito delle obbiezioni di lui.
Il matrimonio punalua comincia, secondo Morgan, con l'esclusione fratelli consanguinei dal lato materno. Quando una donna ha diversi mariti si rende impossibile la ricerca della paternità, questa diventa puramento una finzione. Anche oggi, regnando il matrimonio monogamico, come già Goethe fece dire a Federico nei suoi « anni di tirocinio », esso si basa solo sulla buona fede. « Se la paternità nel matrimonio monogamico è spesso dubbia, nel multiplo non è assolutamente rintracciabile. Solo l’origine materna è certa e incontrastabile; quindi sotto il diritto materno i figli erano chiamati spuri, bastardi. Come tutte le riforme radicali nelle relazioni sociali si compiono lentamente nel primo grado di civiltà, così pure l’evoluzione della così detta parentela di sangue in famiglia punalua ha richiesto lungo spazio di tempo ed è stata ritardata da vari regressi osservabili anche in tempi molto posteriori. L'occasione esterna immediata che favorì lo sviluppo della famiglia punalua dev'essere stata la necessità di separare la grande massa aumentata delle persone, che esigeva nuove terre per pascolo e per coltivazione. E’ probabile però che in un grado più sviluppato di civiltà vi abbia contribuito anche il concetto del danno e della sconvenienza del concubito tra fratelli e parenti prossimi, che condusse ad un altro ordinamento matrimoniale. A conferma di ciò sta una tradizione sulla origine del «Murdu» (concubito) che, da quanto riferisce Cunow, riscontrò Gason presso i Dieyerie, una tribù dall'Australia meridionale.
Essa dice: «Dalla creazione del mondo in poi si sposarono indistintamente tra loro padri, madri, fratelli, sorelle ed altri prossimi parenti, finché si resero palesi le dannose conseguenze di siffatte unioni. Si tenne allora un consiglio dei capi per considerare quale via fosse da seguire per impedirle. Il risultato fu d’innalzare una preghiera al Muratura (spirito supremo), il quale ordinò in risposta che la tribù si dividesse in vari rami, ognuno dei quali dovesse, per differenziarsi, portare un nome diverso di oggetto vivente o inanimato, come ad esempio di topo, pioggia, lucertola, ecc. I membri uomini di un gruppo non dovevano sposarsi fra loro, ma sebbene con un membro di altro gruppo. Per esempio un figlio del gruppo topo non poteva sposare una figlia dello stesso gruppo, ma potevano entrambi contrarre legami matrimoniali col gruppo ratto ecc.»
Questa tradizione è più chiara di quella della Bibbia e mostra in modo semplice l’origine del vincolo matrimoniale. Paolo Lafargue nei Tempi moderni [5] arguisce con acutezza d’ingegno quanto le nostre vedute affermano che, cioè, il nome di Adamo ed Eva non si riferisse a singole persone, ma bensì a gentes in cui erano riuniti gli ebrei nei tempi preistorici.
Lafargue, con le sue deduzioni, spiega una serie di passi oscuri e contraddittorî del primo libro di Mosè. Beer fa osservare anch'egli nei Tempi moderni che esiste tuttora fra gli ebrei l'uso che la sposa e la madre dello sposo non portino il medesimo nome, perchè non succedano disgrazie in famiglia, malattia o morte. Questa è un'altra prova dell'esattezza dei concetti del Lafargue. L'organamento gentilizio proibiva il matrimonio tra membri della stessa gens. Gli attuali israeliti non hanno più, naturalmente, nessuna idea del legame del loro pregiudizio con la proibizione dei matrimoni fra parenti dell'antica costituzione gentilizia. Questa proibizione aveva lo scopo di riparare le conseguenze degenerative dell'incesto, e, per quanto presso gli ebrei già da migliaia d'anni sia stata abolita la costituzione gentilizia, la tradizione, come vediamo, persiste nel pregiudizio.
Le esperienze sulle razze animali hanno già da tempo messo in evidenza la dannosità dell'incesto. Quanto siffatte esperienze si spingano addietro apparisce nel primo libro di Mosè (cap. 30, versetto 32 e seguenti) dove si narra che Giacobbe cercava d'ingannare il suocero Laban facendo nascere agnelli e capre macchiati che, secondo la promessa di Laban, dovevano essergli donati come salario. Gli antichi israeliti avevano assai prima di Darwin studiato praticamente il darwinismo.
E poiché siamo a parlare delle condizioni degli antichi ebrei, mi sia concesso citare qualche altro fatto che dimostra come nei tempi primitivi avesse valore la discendenza per linea femminile. E’ vero che Mosè dice nel libri I, cap. III, vers. 16, riguardo alla donna: « I tuoi desideri dipenderanno da tuo marito, ed egli signoreggerà sopra te ». Questo versetto è anche variato così: « La donna deve abbandonare padre e madre e seguire il marito». Ma Mosè stesso dice invece nel libro I, cap. II, vers. 24: «Perciò, l'uomo lascerà suo padre e sua madre, e si attaccherà a sua moglie, ed essi diverranno una stessa carne». L'istesso detto si ripete nell’Evangelo di S. Matteo, cap. XIX, vers. 5; in quello di S. Marco, cap. X, vers. 7, e nella lettera agli Efesi, cap. V. vers. 31. Si tratta di un precetto originante dalla discendenza femminile che i commentatori della Bibbia non hanno saputo spiegare e hanno mostrato sotto un aspetto assolutamente falso.
La discendenza femminile è attestata ancora nel libro IV di Mosè, cap. XXXII, vers. 41: «Il padre di Jair apparteneva alla tribù di Giuda, ma sua madre era della tribù di Manasse e Jair fu detto figlio di Manasse ed ereditò dalla madre». Un altro esempio della discendenza femminile presso gli antichi ebrei lo troviamo in Nehemia, cap. VII, vers. 63: I figli di un sacerdote che aveva tolto in moglie una delle figlie di Barsillai, appartenente a un clan giudaico, furono chiamati figli di Barsillai, adottando, come si vede, il nome materno e non il paterno. Del resto presso gli ebrei dell'Antico Testamento, cioè dei tempi storici, regnava sia il diritto paterno, e l'organamento dei clan e delle tribù si basava, come presso i Romani, sulla discendenza maschile. Le figlie erano escluse dall'eredità, come si legge nel primo libro di Mosè, cap. XXXI, vers. 14.15, dove è detto: «E Rachel e Lea risposero e dissero: Abbiamo noi più alcuna parte ed eredità, in casa di nostro padre? Non fummo noi da lui reputate straniere, quando egli ci vendette? ed oltr'a ciò egli ha tutti mangiati i nostri danari».
Come fra tutti i popoli dove era subentrata la discendenza maschile e alla femminile, così fra gli ebrei la donna era in condizioni di assoluta illegalità. Ad essa veniva imposta la più severa castigatezza, non così all'uomo. Era nel suo diritto di possedere diverse mogli. Se nella notte nuziale il marito poteva supporre che la moglie avesse perduta la verginità già prima del matrimonio, aveva il potere di ripudiarla, anche di lapidarla. Lo stesso castigo incombeva sulla donna adultera, e sull'uomo, soltanto nel case che l’adulterio fosse commesso con una donna maritata giudea. Secondo Mosè, libro V, cap. XXIV, vers. 1.4, l’uomo aveva il diritto di ripudiare la moglie qualora fosse caduta in disgrazia ai suoi occhi, fosse pure perché più non gli piacesse. Egli scriveva allora una lettera di separazione, le dava la mano e la metteva fuori di casa. Anche oggi troviamo segno del meschino conto in cui fu più tardi tenuta la donna fra gli ebrei, nel fatto che, durante il servizio divino nella sinagoga, le donne occupano uno spazio separato dagli uomini e sono escluse dalle preghiere [6]. Secondo il concetto antico giudaico la donna non faceva parte della comunità: essa era religiosamente e politicamente nulla. Se dieci uomini si trovavano riuniti, avevano dritto di fare officiare; le donne, per quanto numerose, non potevano fare altrettanto.
Nella famiglia punalua, secondo Morgan, si sposavano una o più serie di sorelle con una o più serie di fratelli di un altro clan. Le sorelle carnali, o le cugine di primo, secondo e più lontano grado, erano tutte comuni mogli di comuni mariti, che non potevano però essere loro fratelli. I fratelli carnali, o i cugini di vario grado, erano comuni mariti di comuni mogli che, a lor volta, non dovevano essere loro sorelle. Cessato l’incesto, la nuova forma di famiglia condusse indubbiamente al rapido e vigoroso sviluppo delle razze e procurò, a quelle che avevano adottato questa forma di vincoli, un vantaggio su le altre, che conservavano ancora l'antica forma di relazioni parentali.
Nei tempi primitivi le differenze fisiche e intellettuali dei due sessi erano molto meno spiccate di quanto siano nella nostra società attuale. In quasi tutti i popoli selvaggi, o viventi in istato di barbarie, le differenze nel peso e nella grandezza del cervello sono molto minori che non nei popoli civili. Nei primi le donne, anche in forza e destrezza, sono di poco inferiori all'uomo. Ciò affermano non solo le testimonianze degli antichi scrittori, che trattarono dei popoli dominati dalla discendenza femminile, ma anche gli eserciti di donne, degli Ascianti e dei re di Dahomey, nell'Africa occidentale, che si distinsero per valore e ferocia. Il giudizio è appoggiato da Tacito quando parla delle donne dell'antica Germania, e da Cesare quando studia le donne dell’Iberia e della Scozia. Colombo dovette sostenere un combattimento davanti a Santa Cruz con una scialuppa indiana, in cui le donne combatterono con altrettanto valore degli uomini. Questo concetto trova conferma nell'opera di Havelock Ellis Man und woman, di cui parla il dott. Hope Adams Walther nel N. 39 e 40 dei Tempi moderni, anno XII, vol. II, 1893.94. Egli dice: «Dall’Andombis al torrente del Congo, racconta Johnson, le donne si occupano di portare pesi e di altri lavori gravosi, quantunque menino vita completamente felice. Esse sono spesso più forti e meglio sviluppate degli uomini; diverse fra loro hanno personali splendidi». Parke chiama i Manyema della stessa contrada «fine animals» (begli animali) e trova le donne bellissime. Portano uguali pesi degli noinini e con la stessa facilità. Un capo indiano dell’America del nord
disse ad Hearne : «Le donne sono create per il lavoro, una donna può portare o trascinare pesi con la forza di due uomini riuniti». Schellong, che pubblicò nel Giornale di Etnologia del 1891 uno studio accurato sui Papuasi della Nuova Guinea, è di opinione che le donne siano di costituzione più robusta degli uomini. Nell'interno dell'Australia le donne vengono talvolta percosse dagli uomini per gelosia. Avviene però non di rado che in tali circostanze l’uomo riceva una dose maggiore di percosse. A Cuba le donne combattevano a fianco degli uomini. Presso alcune tribù indiane, come fra i Pueblo dell'America settentrionale e fra i Patagoni dell'America meridionale, le donne sono alte come gli uomini. Anche fra gli Arabi e i Drusi, nella maggioranza la differenza è minima; così fra i Russi e gli Europei occidentali i due sessi sono simili. In tutte le parti del mondo esistono esempi di uguale sviluppo corporale dei due sessi.
Il sistema parentale della famiglia punalua era il seguente: «I figli delle sorelle di mia madre sono figli suoi, ed i figli dei fratelli di mio padre sono pure suoi figli, e tutti quanti sono miei fratelli. Al contrario, i figli maschi e femmine dei fratelli di mia madre, sono di lei nipoti, come quelli delle sorelle di mio padre, sono nipoti di lui e miei cugini. Inoltre: i mariti delle sorelle di mia madre sono pure suoi mariti e le mogli dei fratelli di mio padre sono mogli di questo, ma le sorelle di mio padre ed i fratelli di mia madre sono esclusi dalla comunanza di famiglia, e i figli di questi sono miei cugini e cugine ».
Col progresso della civiltà subentra il divieto del commercio sessuale tra fratelli, che si estende a poco a poco ai parenti collaterali più lontani del lato materno. Ha origine un nuovo gruppo di parentela consanguinea, la gens, che nella sua forma primitiva si compone di una serie di sorelle carnali e lontane con i loro figli ed i loro fratelli carnali e lontani consanguinei dal lato materno. La gens ha una progenitrice donde derivano i discendenti femminili in ordine gerarchico. Ma i mariti di queste sorelle non possono essere più i fratelli delle loro spose, anzi non appartengono più nemmeno al gruppo della parentela di sangue, o gens delle loro mogli, ma bensì alla gens delle loro sorelle. Al contrario, i figli di questi mariti entrano a far parte del gruppo delle madri loro, poiché la discendenza tenuta in conto è la materna. La madre è il capo della famiglia: di qui il diritto materno che costituì per lungo tempo la base degli ordinamenti parentali ed ereditari. Finché si continuò a riconoscere la discendenza materna, le donne ebbero sede e voce nel consiglio della gens; esse nominavano i sachem (giudici di pace) ed i capi di guerra, e li destinavano. Dopo che Annibale ebbe concluso il trattato coi Galli contro Roma, nella contingenza di litigi coi vicini le matrone galliche erano arbitre nelle quistioni, tanto grande era la fiducia di Annibale nella loro imparzialità.
Erodoto dice dei Licii, che riconoscevano il diritto materno: « I loro costumi sono in parte cretensi, in parte carii; un solo costume li distingue da ogni altro popolo della terra. Se domandate ad uno di essi chi è, vi declinerà il suo nome, quello della madre, e così via per linea femminile. Di più: quando una donna libera sposa uno schiavo, i figli sono liberi cittadini; ma se un nomo libero sposa una straniera od una prostituta, i figli, quand’anche il padre fosse la più alta personalità dello stato, sono privi di qualunque diritto di cittadino ».
Si parlava a quei tempi di matrimonium invece che di patrimonium, di mater familias invece che di pater familias, e la patria era detta il caro paese materno. Come le precedenti forme di famiglia, così la gens si basava sulla comunione dei beni, cioè a dire sul sistema di economia comunistica. La donna è capo e guida di essa, gode di un'alta reputazione in casa e negli interessi della stirpe; è arbitra e giudice, provvede ai bisogni del culto, ond'è sacerdotessa. Le frequenti regine e principesse dell'antichità, la loro influenza anche in quei paesi dove regnano i figli, per esempio in Egitto, è conseguenza del dritto materno. In quel periodo anche la mitologia aveva acquistato carattere muliebre: Asturte, Demetra, Cerere, Latona, Iside, Frigga, Freia, Gerda, ecc. La donna era intangibile; il matricidio costituiva il più grave delitto, chiamava tutti gli uomini alla vendetta. La vendetta di sangue era lo sfogo dell’offesa recata agli nomini e alla tribù; tutti erano obbligati a vendicare il torto inflitto ad un membro della famiglia da un individuo appartenente ad altra tribù.
La difesa della donna spingeva l’uomo ad atti del più alto valore. In tutte le relazioni sociali dei popoli antichi si osservano gli effetti del diritto materno, fra i Babilonesi, gli Assiri, gli Egizi, i Greci, prima dei tempi eroici, nelle popolazioni italiche prima della fondazione di Roma, fra gli Sciti, i Galli, gli Iberi, i Cantabri, i Germani. La donna possedeva in quei tempi una posizione quale non ebbe più mai dopo di allora. Così dice Tacito nella sua Germania: «I Germani credono sia nella donna qualcosa di santo e di profetico; tengono quindi in conto i suoi consigli e le sue parole». Diodoro, che viveva ai tempi di Cesare, era altamente sdegnato della posizione occupata dalla donna in Egitto. Egli aveva saputo che non i figli, ma le figlie mantenevano i vecchi genitori. Manifesta un sovrano disprezzo per gli schiavi delle donne dimoranti sulle rive del Nilo, i quali concedevano al sesso debole diritti in casa e nella vita pubblica e gli accordavano libertà che ad un Greco o ad un Romano sembravano inaudite.
Sotto la ginecocrazia regnava in generale una relativa pace.
I vincoli erano stretti e limitati, il sistema di vita primitivo. Le stirpi si separavano l’una dall'altra rispettando reciprocamente i confini. Se una stirpe veniva attaccata, gli uomini ne prendevano la difesa coadiuvati gagliardamente dalle donne.
Secondo Erodoto, presso gli Sciti le donne prendevano parte ai combattimenti. Da quanto egli asserisce, la ragazza prima di maritarsi doveva provare di avere ucciso un nemico. Abbiamo già accennato qual parte prendessero in guerra le donne presso i Germani, gli Iberi, gli Scozzesi, ecc. Anche nella gens tenevano il governo con mano ferma, e guai all'uomo troppo pigro o inabile nell'adempiere al còmpito che gli spettava. Gli veniva chiusa la porta di casa e, o doveva far ritorno alla sua gens nella quale era accolto con durezza, o doveva entrare a far parte di un’altra, nella quale fossero più indulgenti verso di lui.[8]
Questo carattere della vita matrimoniale si conserva tuttora fra gl'indigeni dell'interno dell'Africa. Livingstone rilevò questo costume con sua grande sorpresa, come egli racconta nei suoi Missionary travels and researches in southern Africa, London 1857.
Allo Zambese incontrò i Balonda, una tribù agricola di negri belli e vigorosi, di cui gli avevano raccontato fatti, che da principio gli sembrarono inverosimili. Presso questo popolo le donne occupavano un posto privilegiato e sedevano in consiglio. Un giovanotto che prendeva moglie doveva emigrare dal suo villaggio in quello della sposa, impegnandosi inoltre di provvedere la madre di questa, vita natural durante, di legna da ardere. In caso di separazione i figli rimanevano alla madre. A sua volta la moglie doveva provvedere al mantenimento del marito. Sebbene avessero luogo talvolta piccoli litigi tra uomini e donne, Livingstone trovò che i primi non si ribellavano. Al contrario un marito che offendeva la moglie veniva severamente punito e a preferenza col digiuno. «Il marito», egli narra, «torna a casa per mangiare, ma una moglie lo respinge e lo manda da un'altra, dove non riesce ugualmente ad ottenere nulla. Stanco ed affamato si arrampica su un albero nella più popolata del villaggio e grida con voce lamentosa: Udite ! udite ! Credevo di aver sposato delle donne e sono invece streghe! Sono scapolo, non possiedo nemmeno una moglie. E’ giusto questo per un signore come me?»
Condizioni simili persistono nella colonia di Kamerum e particolarmente nell’Africa occidentale. Un medico di marina tedesco, che studia popoli e paesi, ci scrive quanto segue: «Presso un gran numero di tribù esiste il diritto ereditario per discendenza materna. La paternità non è tenuta in conto. Solo i figli della stessa madre sono fratelli tra loro. Un uomo non può trasmettere il suo patrimonio ai propri figli, ma ai figli di una sorella, cioè ai nipoti, come più prossimi parenti consanguinei. Un capo dei Way spiegò in un pessimo inglese: Mia sorella io siamo parenti consanguinei perché figli della stessa madre. Mia sorella è senza dubbio parente consanguinea di suo figlio, per cui egli è il mio erede e alla mia morte diverrà re della mia città. E vostro padre ? chiesi. Non so che cosa vogliate dire con la parola mio padre - replicò. Alla domanda se avesse figli rispose, sbellicandosi dalle risa, che presso di loro gli uomini non avevano figli, ma soltanto le donne ».
«Posso assicurarvi», scrive il nostro corrispondente, «che anche l’erede del re Bell nella colonia di Kamerum è suo nipote e non suo figlio. I così detti figli di Bell, alcuni dei quali vengono educati in Germania, sono soltanto figli delle sue mogli, il cui padre è sconosciuto. Potrei reclamarne uno come mio».
Che cosa diranno coloro che negano la successione in linea femminile davanti al quadro di un tempo così prossimo ? Il nostro corrispondente è uomo oculato, che va a fondo delle cose. Quanti tra coloro che vivono in mezzo alle popolazioni semi-selvagge possono dire di fare altrettanto ? Da ciò derivano le descrizioni sull’immoralità di quegli indigeni.
Negli annali che il governo tedesco presentò al Parlamento (sessione 189°-95) sulle colonie tedesche, troviamo nella parte che riguarda il territorio sud-ovest dell'Africa (pag. 239) il seguente passo: «Senza il consiglio degli anziani e dei possidenti non può il capo tribù di un villaggio errero prendere la benché minima decisione. E non solo gli uomini, ma spesso anche le donne e i servi danno il loro parere». Riguardo alle isole Marschall è detto, a pag. 254: «Il governo delle isole Marschall non è stato mai affidato nelle maui di un solo capo... Ma quando non esistesse più nessun membro femminile di questa classe (l’Irody) e qualora solo la madre potesse conferire ai figli rango e nobiltà, tutta la schiatta degli Irody si estinguerebbe con l’ultimo capo». Il modo di descrivere e di esprimersi del narratore mostra quanto gli siano sconosciute le menzionate relazioni. Da quanto egli dice non è possibile formarsi un concetto esatto.
Il Dott. Enrico von Wlislocki, che visse per anni fra gli zingari della Transilvania, e fu adottato da uno di essi, c'informa [9] che delle quattro tribù di zingari, che al tempo in cui visse presso di loro conservavano l'antica costituzione, due ve n'erano, gli Ascianti e i Tschali, in cui vigeva la successione per via di donna. Se lo zingaro nomade si ammogliava, entrava a far parte della parentela della moglie, che possedeva tutte le suppellettili di casa. Il patrimonio era proprietà della moglie o della parentela di questa; il marito era uno straniero. Secondo il diritto della successione materna, anche i figli facevano parte della parentela della madre. In Germania persiste il diritto materno. Nella seconda pagina del Westdeutschen Rundschau del 10 giugno 1902 si legge che nel comune di Haltern (Westfalia) è ancora in vigore per l’eredità degli averi l'antico diritto materno della gens: i figli ereditano dalla madre. Si è finora lottato invano per sopprimere questa vecchia usanza.
Con l’aumento della popolazione ha origine una serie di gentes di sorelle che, a lor volta, danno luogo ad altre serie di gentes di figlie. Di fronte a queste la gens materna appare come fratria. Un certo numero di fratrie compongono la tribù.
Quest'organamento sociale è tanto solido da formare le basi dell'organamento militare degli antichi stati, quando la costituzione gentilizia viene meno. La tribù si suddivide in diverse altre tribù, che hanno tutte la stessa costituzione ed in ciascuna delle quali si possono riscontrare di nuovo le antiche gentes.
La costituzione gentilizia, col proibire il matrimonio tra fratelli e parenti consanguinei dal lato materno fino al grado più lontano, si seppellì da sé stessa. Per le relazioni scambievoli delle singole gentes, sempre più strette per l’evoluzione sociale e domestica, diventa col tempo inattuabile la proibizione del matrimonio fra le diverse gentes, e per tal modo la costituzione gentilizia si seppellisce da sé o viene buttata giù.
Finché la produzione per i mezzi di sussistenza era all'inizio e poche erano le esigenze della vita, le attività dell'uomo e della donna erano uguali.
Ma con la divisione del lavoro si separarono non solo le attribuzioni, ma i guadagni ancora. La pesca, la caccia, l’allevamento del bestiame, la coltivazione del suolo esigevano speciali cognizioni e maggiore produzione di utensili e arnesi, che diventarono a preferenza proprietà dell'uomo. Questi, che in siffatta evoluzione teneva per l'operosità il primo posto, diventò padrone effettivo delle sorgenti di lucro.
Con l'aumento della popolazione e col desiderio d' impossessarsi dei migliori pascoli e delle migliori terre coltivabili, nacquero attriti e guerre e si manifestò il bisogno di forze lavoratrici. Quanto più queste divennero numerose, tanto maggiore fu la ricchezza dei prodotti e del gregge. Ciò condusse in seguito al ratto della donna, indi alla schiavitù dei vinti, da prima uccisi: due elementi introdotti nell’antica costituzione gentilizia che a lungo andare non potevano rimanere compatibili con essa.
Un altro elemento si aggiunse. Differenziate le attività, crebbe il bisogno di utensili, suppellettili, armi, ecc. L'arte meccanica che acquistò uno sviluppo indipendente, si separò a poco a poco dall'agricoltura. Ne seguì una popolazione cittadina specialmente dedita alle arti con interessi del tutto diversi, così riguardo alla proprietà, come all'eredita di essa.
Finché rimase in vigore la discendenza materna, i gentili, parenti fra loro, ereditavano dai loro defunti compagni gentili, consanguinei dal lato materno, e gli averi rimanevano nella gens.
Nel nuovo stato, il padre, divenuto proprietario del gregge, degli schiavi, delle armi, degli utensili, capo delle industrie, proprietario dei membri del gruppo, finché continuò a far parte della gens materna, non lasciava morendo i suoi averi ai propri figli, ma ai fratelli, alle sorelle, ai figli di queste ultime, o ai loro discendenti. I propri figliuoli erano diseredati. La necessità di un cambiamento si rendeva sempre più incalzante, ed avvenne.
In primo luogo invece del matrimonio multiplo, si istituì la famiglia accoppiata. Un dato uomo conviveva con una data donna ed i figli provenienti dall’unione appartenevano ad entrambi. Le famiglie accoppiate aumentarono a misura che le proibizioni riguardanti il matrimonio, sotto la costituzione gentilizia, resero più difficili i connubi. Le ragioni economiche fecero poi desiderare la nuova forma di vita domestica. L'antico sistema di economia comunistica non si conciliava con la proprietà privata. La condizione e la professione del luogo ove stabilirsi. Mercè la produzione delle mercanzie si stabilirono commerci con popoli vicini e stranieri, ciò che iniziò il baratto.
Era l’uomo che dirigeva e governava questa evoluzione. I suoi interessi privati non avevano più nessun punto essenziale di contatto con gli antichi organamenti, i cui interessi anzi erano spesso in antagonismo con quelli del proprietario privato. Così a poco a poco la gens andava perdendo importanza, finché rimase per legame familiare, poco più che per l'esercizio delle funzioni religiose. La sua importanza economica era finita, e il crollo totale della costituzione gentilizia era solo quistione di tempo.
Caduta l’antica costituzione, diminuirono rapidamente l’influenza e il potere della donna. Il diritto materno scomparve, cedendo il posto al paterno. L'uomo, come proprietario privato, cominciò ad avere interesse per i figli che considerava legittimi e poteva costituire eredi dei suoi averi. Egli proibì alla moglie ogni relazione sessuale con altri uomini, assumendosi invece il diritto di tenere, oltre la moglie legittima, quante concubile gli permettessero le sue condizioni economiche; ed i figli di queste ultime furono considerati pure legittimi. Nella Bibbia troviamo due esempi importanti.
Nel primo libro di Mosè, cap. XVI, vers. 1-2, sta scritto:
«1. Or Sarai, moglie d'Abram , non gli partoriva figliuoli; ed, avendo una serva egizia, nominata Hagar:
«2. Disse ad Abram: Ecco, ora il Signore m'ha fatta sterile, tal che non posso far figliuoli: deh, entra dalla mia serva; forse avrò progenie da lei. Ed Abram acconsentì alla voce di Sarai».
Il secondo esempio degno di nota lo troviamo di nuovo nel primo libro di Mosè, cap. XXX, versi 1 e seguenti:
«1. E Rachel, veggendo che non faceva figliuoli a Jacob, portò invidia alla sua sorella: e disse a Jacob, Dammi de’ figliuoli: altrimenti io son morta.
«2. E Jacob s'accese in ira contr' a Rachel, e disse: Sono io in luogo di Dio, il qual t'ha dinegato il frutto del ventre ?
«3. Ed ella disse, Ecco Bilha, mia serva, entra da lei, ed ella partorirà sopra le mie ginocchia, ed io ancora avrò progenie da lei.
«4. Ed ella diede a Jacob Bilha, sua serva, per moglie ed egli entrò da lei. >