L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

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Tracce di Lavoro comune . 2021
arteideologia raccolta supplementi
made n.21 Dicembre 2023
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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pagina
Elementi e complementi . (appunti IIi.1)

Non è dall’oggi al domani che il proletariato ha fatto del marxismo il suo metodo, e attualmente è ben lungi dal servirsene integralmente. Questo metodo serve ora principalmente e quasi esclusivamente a scopi politici. Il largo impiego come metodo di conoscenza e lo sviluppo metodologico del marxismo dialettico appartengono ancora all’avvenire. Soltanto nella società socialista il marxismo cesserà di essere lo strumento unilaterale della lotta politica, per divenire il metodo della creazione scientifica, l’elemento e lo strumento essenziale della cultura spirituale.(Trotsky cit.)

...Siamo qui, come attorno ad un bivacco notturno. Alla luce di un fuoco che a sprazzi illumina la radura qualcuno ci intrattiene parlando più o meno di arte. Ma più sul meno riesce a dire, lasciando oltretutto cadere i fili continui del suo discorso. E così, chi paziente l’ascolta si sforza di ravvisare, oltre l’ombra che avvolge il gruppo, la completezza degli argomenti che lui vorrebbe illuminare senza però mai raggiurgerli…

RICOGNIZIONI SUL FORMALISMO 6

Il metodo della critica (dell’economia politica) e le sue propensioni

Sistemati così[1] i difficili “oggetti” delle nostre chiacchiere in un quadro più ampio, possiamo ora riprendere il filo del discorso dal bandolo del prodotto del lavoro, che è giunto infine a potersi considerare come “forma del tempo” solo quando e dopo che gli immateriali rapporti reali di produzione, celati dietro le sue infinite particolari apparenze, sono stati storicamente svelati per le forme generali praticamente dominanti nella società mercantile capitalistica, vale a dire: le forme del denaro e della merce...
«In genere, la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento. Le forme che danno ai prodotti del lavoro l’impronta di merci e quindi sono il presupposto della circolazione delle merci, hanno già la solidità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto, non già del carattere storico di queste forme, che per essi anzi sono ormai immutabili, ma del loro contenuto. Così, soltanto l’analisi dei prezzi delle merci ha condotto alla determinazione della grandezza di valore; soltanto l’espressione comune delle merci in denaro ha condotto alla fissazione del loro carattere di valore. Ma proprio questa forma finita – la forma di denaro – del mondo delle merci vela materialmente, invece di svelarlo, il carattere sociale dei lavori privati, e quindi i rapporti sociali dei lavoratori privati. […] Tali forme [velate] costituiscono appunto le categorie  dell’economia borghese. Sono forme di pensiero socialmente valide, quindi oggettive, per i rapporti di produzione di questo modo di produzione sociale storicamente determinato, per i rapporti di produzione della produzione di merci. Quindi, appena ci rifugiamo in altre forme [modi] di produzione, scompare subito il misticismo del mondo delle merci, tutto l’incantesimo e la stregoneria che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della produzione di merci.».[2]

La difficoltà in queste analisi sorgerebbe dunque dal partire da forme d’uso comune già bell’e pronte di comprovata efficacia – tale il denaro in economia, tale il capolavoro in arte. Forme, cioè, che possiamo dire “caricate a significati”, e che dunque presentano unitariamente il loro dualismo forma/contenuto come già risolto – tale la moneta/valore nell’economia spicciola, tale la immagine/modello nell’arte alla spicciolata…

«L’ideologia è un processo che il cosiddetto pensatore compie bensì con coscienza ma con falsa coscienza. […] Trattandosi di un processo raziocinante, egli ne deduce sia il contenuto sia la forma dal puro pensiero, il suo o quello dei predecessori. Lavora con puro materiale intellettivo che, senza accorgersene, egli crede prodotto dal pensiero, non preoccupandosi di andare in cerca di un’origine più remota, indipendente dal pensiero; e tutto ciò gli riesce di per sé evidente, perché ogni azione in quanto mediata dal pensiero, gli appare anche fondata sul pensiero… e così continuiamo a muoverci nell’ambito del puro pensiero, il quale, a quanto sembra, ha felicemente digerito anche i fatti più duri. […] Questo lato della cosa, che qui posso soltanto accennare, noi tutti l’abbiamo, credo, trascurato più di quanto meriti. E’ la vecchia storia: in principio si trascura sempre la forma a favore del contenuto. Come già detto, anch’io l’ho fatto, e l’errore mi è sempre apparso chiaro solo post festum. Perciò non sono soltanto ben lontano dal farle dei rimproveri in materia – avendo da più tempo condiviso tale colpa, non vi sono affatto autorizzato; al contrario! –, ma vorrei richiamare la sua attenzione su questo punto per l’avvenire.»[3]

Come di fronte alla forma reale della “moneta“ l’economista volgare si volge idealmente al suo significato economico e qui lo cerca nel pensiero economico già pensato (anche questo quindi post festum), così di fronte all’affresco di una Trinità cristiana l’osservatore immediato (o lo storico volgare [4]) si volgerebbe al suo significato religioso e al modo più o meno rispondente alla rappresentazione dei corpi nella scena descritta dai Vangeli… Tutti e due insomma, come dice Engels, sembrano proprio aver “felicemente digerito i fatti più duri”. Ma cosa sono questi “fatti duri” della nostra cosa – e sia pure la Trinità di Masaccio – che, per simili ermeneutiche attenzioni ai significati, non sono invece stati presi in considerazione e digeriti?



Di fronte alle immagini dell’arte sembra star sempre al cospetto di quei pavimenti [5] costituiti da una superficie interamente coperta da cubi rappresentati in assonometria i cui vertici possono apparire sia sporgenti che rientranti. E’ una situazione che produce sulla retina un’immagine problematica che il cervello può interpretare in due modi diversi, cosicché non riesce a scegliere tra quale sia la posizione reale in cui si trovano i cubi. Solo l’assenso [6] del soggetto, soprattutto quello involontario, ad una delle due posizioni consente di riconoscere l’una a scapito però dell’altra, che viene “trascurata”. Un tipo di trascuratezza del pensiero che, come quella confessata da Engels nel 1893, anche nel pensiero dell’arte abbiamo poi visto denunciata da Kubler ancora ben oltre un mezzo secolo dopo:

«La parziale definizione di arte come linguaggio simbolico data da Cassirer ha dominato gli studi artistici del nostro secolo. Si è sviluppata così una nuova storia della cultura ancorata al concetto di opera d’arte come espressione simbolica… Il prezzo però è stato alto, giacché mentre la nostra attenzione si rivolgeva tutta allo studio dei significati, si trascurava un’altra definizione di arte intesa come sistema di relazioni formali.».[7]

E’ la vecchia storia: in principio si trascura sempre la forma a favore del contenuto – ripeterebbe Engels.
E sia chiaro che per lui allora, come per noi ancora, non si tratta affatto di stabilire o assegnare primati dell’uno o dell’altro, del contenuto sulla forma o della forma sul contenuto. E il nostro pavimento preso ad esempio è appunto lì a dimostrare praticamente la possibilità reale di una simultaneità degli aspetti dualistici dell’esperienza fisica, in particolar modo visiva. Ma per rispondere a cosa sarebbero concretamente questi “fatti duri” dell’arte trascurati dall’attenzione nella digestione mentale, ricorriamo ad Arnold Hauser che, bontà sua, riconosce proprio a Engels e a Marx il merito di aver raccolto nella mano l’intero sviluppo millenario dell’uomo.

«Engels anticipò il principio fondamentale della teoria dell’arte di Konrad Fiedler (1914) [8], quando dichiarò che la mano non è soltanto l’organo, bensì contemporaneamente il prodotto del lavoro. La dialettica nella quale è involto il creare artistico discende nella maniera più chiara da questa circostanza. L’artista non è soltanto il creatore, bensì anche la creatura della sua arte; egli non sta affatto lì bello e pronto quando si pone all’opera, piuttosto egli si sviluppa col nascere e svilupparsi della creazione artistica. I rapporti sono estremamente complicati, chiaro invece che i diversi fattori del processo creativo acquistano il loro particolare carattere soltanto nella connessione reciproca. L’idea della reciprocità di tali fattori tuttavia non discende da Engel ma da Marx, che già nei Lineamenti fondamentali del 1857-58 l’ha sviluppata quando dichiarò che è la produzione a produrre il produttore, il bisogno del prodotto, il senso per comprenderlo e la capacità per utilizzarlo e goderlo.».[9]

Sostanzialmente è chiaro che da ciò discende pure il fatto che per noi l’oggetto reale dell’antropologia dell’uomo consiste nello studio dei prodotti materiali del lavoro della mano e delle sue estensioni extracorporee per cui l’essere umano è nella sua industria plurimillenaria; tuttavia di questa antropologia si trascura volentieri la materia di cui è costituita, la tecnologia e la forma, in favore di tutt’altro…
Qualche giorno fa abbiamo visto in televisione una vecchia intervista degli anni sessanta del secolo scorso. Il già famoso pittore Guttuso rintuzzava il già famoso giornalista Montanelli chiedendogli cosa vedeva indicando una sua opera sistemata sopra un cavalletto nel suo studio. “Un uomo che fuma”, risponde il celebre giornalista al celebre pittore; il quale non si scompone, lieto della risposta che gli offriva il destro per parlare a non finire dell’uomo moderno che fuma in società… Insomma: lì dove c’è un quadro tu vedi un uomo? E no, caro Montanelli! non rispondesti a tono. Ciò che tu “prima facie”, in prima istanza, vedevi realmente era un quadro o un dipinto... Ma poiché il pittore ha ottenuto proprio la risposta incongruente che gli occorreva per parlar di tutt’altro che dell’oggetto sensibile del proprio lavoro materiale, tranquillamente procede oltre, di stanza in stanza: sociologica, storica, letteraria e poetica... Ecco – ci siamo detti – come per “andare al sodo”, ovvero al significato delle cose, la soda esperienza del duro mondo reale cade nella trappola paranoica dei significati per dissolversi in chiacchiere conviviali.
Che dire di una disciplina che finché parla di cosa rappresenta un dipinto non la smette di andare di quadro in quadro e di libro in libro, e però di cosa e di come è fatto concretamente ammutolisce?

Il metodo della critica e i dualismi

Mentre fin qui abbiamo cercato di dire qualcosa sul dualismo forma/contenuto del prodotto o dell’oggetto artistico, e precisamente sulla problematicità di separare tra loro i fattori che lo compongono, ecco che sulla scena reale della produzione vengono avanti altri fattori che reclamano assenso e attenzione:

«Produzione, distribuzione, scambio, consumo, formano così un sillogismo in piena regola; la produzione, è l’universalità; la distribuzione e lo scambio, la particolarità; il consumo, l’individualità in cui tutto si conchiude. Ora questa è certamente una connessione, ma superficiale.».[10]

Vediamo, cioè, come appena il produrre viene posto non come un produrre isolato (robinsoniano) ma come un produrre nella società, le “categorie” da trattare crescono e con esse crescono esponenzialmente anche le interconnessioni tra forma e contenuto del prodotto stesso che, per così dire, appare come palpitante di una propria vita – non per nulla nel primo libro del Capitale Marx dedica un intero paragrafo al feticismo delle merci e al loro arcano. Anche penetrare le “connessioni superficiali” in modo da pervenire ad una comprensione adeguata storicamente dei singoli momenti che costituiscono il processo produttivo, crea delle difficoltà:

«Gli avversari degli economisti politici – all’interno o all’esterno del loro campo –, i quali rinfacciano agli economisti di dissociare barbaramente cose che sono invece connesse, o stanno sul loro stesso terreno o stanno al di sotto di loro. Niente di più comune che rimproverare agli economisti politici di concepire la produzione troppo esclusivamente come fine a se stessa, obbiettando che la distribuzione avrebbe un’importanza altrettanto grande. Alla base di questo rimprovero sta proprio la concezione economica che la distribuzione vive come una sfera autonoma e indipendente accanto alla produzione. Oppure [rimproverare loro] di non concepire i momenti nella loro unità. Come se questa dissociazione fosse passata non dalla realtà ai libri, ma viceversa dai libri alla realtà, e come se qui si trattasse di una conciliazione dialettica di concetti anziché della comprensione di rapporti reali ! […] La produzione è immediatamente anche consumo. Duplice consumo, soggettivo e oggettivo…».[11]

Qui dunque produzione e consumo non sono nemmeno i momenti separati di un unico processo, ma sono immediatamente l’uno e l’altro, tanto oggettivamente quanto soggettivamente (ed ecco un altro "duro" dualismo).
Questo brano dei Lineamenti  lo abbiamo trovato molto utile ai nostri fini, perché sembra presentare molte analogie con i punti da noi toccati in precedenza, ad esempio: dissociare la forma dal contenuto (es. Cassirer vs Kubler); concepire forma e contenuto come sfere autonome; immaginare che le autonomizzazioni della forma dal contenuto e del contenuto dalla forma siano una costruzione spirituale e non un riflesso nello spirito di fatti reali [12].
Riguardo il nostro particolare dualismo forma/contenuto, questo ci permette inoltre di rilevare che a tale dualismo corrispondono in secondo luogo differenti modi di tracciare la separazione tra il fenomeno fisico-visuale scelto come oggetto di osservazione e il soggetto osservante: tracciare tale separazione è esattamente ciò che si intende quando si parla di fissare l’attenzione su un aspetto definito del fenomeno: a secondo di come tracciamo la linea di separazione tra i due, si può provare un’emozione come parte del sentimento oggettivo, o analizzarla come parte del fenomeno osservato [13].

«Uno dei misteri principali della critica critica è il “punto di vista” e la valutazione del punto di vista del punto di vista. Per lei, ogni uomo, così come ogni prodotto spirituale, si trasforma in un punto di vista. […] La Fenomenologia [di Hegel], quindi si conclude conseguentemente con il porre, al posto di tutta la realtà umana, il “sapere assoluto”: il sapere, perché questo è l’unico modo di esistere dell’autocoscienza rappresenta l’unico modo di esistere dell’uomo; sapere assoluto, appunto perché l’autocoscienza sa soltanto se stessa e non è più disturbata da un mondo oggettivo. Hegel fa dell’uomo l’uomo dell’autocoscienza, anziché fare dell’autocoscienza l’autocoscienza dell’uomo, dell’uomo reale, vivente quindi in un mondo reale, oggettivo, dell’uomo condizionato da questo mondo. Hegel pone il mondo sulla testa e quindi può anche risolvere nella testa tutti i limiti, con il che naturalmente essi continuano a sussistere per la cattiva sensibilità, per l’uomo reale. Inoltre, egli considera necessariamente come limite tutto ciò che rivela la limitatezza dell’autocoscienza universale, tutta la sensibilità, tutta la realtà, tutta l’individualità, degli uomini e del loro mondo. Tutta la Fenomenologia vuole dimostrare che l’autocoscienza è la sola realtà e tutta la realtà. Negli ultimi tempi il signor Bauer ha ribattezzato il sapere assoluto chiamandolo critica e la determinatezza dell’autocoscienza chiamandola punto di vista, che è parola dal suono più profano. Negli “Anekdota”, i due nomi rimangono ancora insieme, e il punto di vista è ancora spiegato mediante la determinatezza dell’autocoscienza… […].Poiché il “mondo religioso in quanto mondo religioso” esiste solo come mondo dell’autocoscienza, il critico critico – teologo ex professo – non può affatto arrivare al pensiero che ci sia un mondo in cui coscienza ed essere sono distinti, un mondo che continua a sussistere, se io sopprimo semplicemente la sua esistenza pensata, la sua esistenza come categoria, come punto di vista, cioè se io modifico la mia propria coscienza soggettiva senza mutare la mia propria realtà oggettiva, la mia propria e quella degli altri uomini. L’identità mistica, speculativa, di essere e pensiero, si ripete, perciò, nella critica, come identità egualmente mistica di prassi e teoria.  Di qui la rabbia della critica contro la prassi, che vuole essere anche qualcosa di diverso dalla teoria e contro la teoria che vuole essere qualcosa di diverso della dissoluzione di un categoria determinata nell’”universalità illimitata dell’autocoscienza”. La teoria della critica si limita a dichiarare che tutto ciò che è determinato è un’opposizione rispetto all’universalità illimitata dall’autocoscienza, e che quindi è un nulla; così per esempio lo Stato, la proprietà privata, ecc.».[14]

… così per esempio l’Arte, l’opera d’arte, ecc.. «E’ necessario all’opposto dimostrare che Stato, proprietà privata, ecc., trasformano gli uomini in astrazioni, o che sono prodotti dell’uomo astratto, anziché essere la realtà degli uomini individuali, concreti», conclude.
Nel lungo brano di Marx là dove abbiamo letto “critica critica”, “essere e pensiero”, “punto di vista”, “sapere assoluto”, “autocoscienza come la sola e tutta la realtà”, “identità mistica”, ecc., avremmo voluto che voi, in questo nostro diverso contesto, intendeste queste stesse parole – per quanto decisamente definite in Marx – tuttavia risuonanti come direttamente allusive o analoghe ad “analisi simbolica dell’opera d’arte”, “dualismo forma e contenuto”, “giudizio di valore artistico”, “atto creativo dell’artista e dell’opera sua come prodotto unico della sua autocoscienza”, ecc.. E, a proposito di quest’ultimo “prodotto unico della autocoscienza” dell’artista, in seguito vedremo che anche  prima di Hegel e della “critica critica”, si propone addirittura l’ipotesi un Raffaello senza mani (in Lessing), ossia di una arte senza lavoro – dove sarebbe invece necessario (a modo di Marx) all’opposto dimostrare che le astrazioni di arte, lavoro ecc., trasformano gli uomini in astrazioni anziché essere la realtà dell’uomo (anche individuo) concreto.[15]
Ammettiamo sia una stramba pretesa da parte nostra mostrare una cosa e aspettarci che se ne  pensasse un’altra; ed è anche discutibile per il pericoloso automatismo meccanico cui potrebbe voler indurre l’adozione di questo procedimento mentale. Adottare questa specie di “punto di vista strabico” potrebbe tuttavia essere di una qualche immediata utilità, quantomeno per sperimentare grossolanamente al primo colpo la tenuta del metodo di Marx anche nell’avvicinare ambiti diversi come quello dell’arte [16]. Ma per evitare di essere oltremodo fraintesi come volgari meccanici occorre assicurarvi che anche in questi esperimenti empirici di commutazione teniamo sempre presente l’ammonimento di Engels circa i riflessi dei rapporti sociali :

«Per quanto poi riguarda le sfere ideologiche sospese ancora più in area [dei riflessi economici], religione, filosofia, ecc., esse contengono un elemento preistorico, anteriore al periodo storico e da questo ereditato – quella che oggi chiamiamo scempiaggine. Alla base di queste diverse concezioni errate della natura, dell’essenza dell’uomo, degli spiriti, delle forze magiche ecc., sta in genere soltanto un fattore economico negativo: il basso sviluppo economico della preistoria ha per complemento, ma in parte anche per conduzione e perfino causa, false rappresentazioni della natura. E, quantunque il bisogno sia stato e sia sempre più divenuto la molla principale dei progressi della conoscenza della natura, sarebbe pedantesco voler trovare delle cause economiche a tutte queste primitive scempiaggini.».[17]      

Sembra che qui si tocchi un punto delicato che riguarda anche l’Arte (Kunst), se è consentito includerla tra gli eccetera delle “sfere ideologiche sospese in area” di Engels o tra quelle concrete “forme della coscienza in relazione ai rapporti di produzione e di traffico” che Marx si annota per non dimenticare di svolgerle in seguito secondo già specificati orientamenti per trattarle.
Quasi alla fine del Quaderno M del 1857 dei Grundrisse, subito prima dell’ultima famosa pagina su “L’arte greca e la società moderna”, Marx compila per se stesso un promemoria di lavoro costituito da otto punti, dei quali qui riportiamo solo quello che più direttamente interessano il nostro argomento:

«Notabene: circa alcuni punti che sono da menzionare qui e che non vanno dimenticati:
2) Rapporti della storiografia ideale come essa si è sviluppata fino ad ora, con la storiografia reale. In particolare con le cosiddette storie della civiltà, che sono tutte storie della religione e degli stati. (Con l’occasione si può anche dire qualcosa sui vari generi di storiografia finora esistiti. Il cosiddetto genere oggettivo. Il genere soggettivo (morale o altro). Quello filosofico).
6) L’ineguale rapporto dello sviluppo della produzione materiale con lo sviluppo, per es., artistico. In generale. Il concetto di progresso va inteso nel modo astratto e abituale. Arte moderna ecc. Questa sproporzione non è ancora così importante né così difficile da concepire come all’interno dei rapporti pratico-sociali stessi. Per es., della cultura. Rapporto del Stati Uniti con l’Europa. Ma il punto propriamente difficile da discutere qui, è come i rapporti di produzione nell’aspetto di rapporti giuridici abbiano uno sviluppo ineguale. Così, per es., il rapporto del diritto privato romano (la cosa è meno vera per il diritto penale e pubblico) con la produzione moderna.
7) Questa concezione si presenta come sviluppo necessario. Varia (Tra l’altro della Libertà). Influenza dei mezzi di comunicazione. La storia universale non è esistita sempre: la storia come storia universale è un risultato.
8) Il punto di partenza è dato naturalmente dalla determinatezza naturale; soggettivamente e oggettivamente: Tribù, razze, ecc..».[18]

Anche se questa sua lista meriterebbe una lettura attenta, tralasciamo al momento di trattare quello che subito dopo, con la ricordata ultima pagina sull’arte greca, sembra essere proprio uno svolgimento del punto 6, per accontentarci di tenere a mente che per l’arte “determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale, con l’ossatura per così dire della sua organizzazione”[19], e che sarebbe “pedantesco voler trovare cause economiche” (Engels) a certi periodi artistici e alle loro particolari manifestazioni. Tuttavia…

1° Quadro di illuminazione e rettifica . il prima e il poi, e lo sviluppo artistico

Tuttavia, nonostante i ripetuti avvertimenti, non essendo noi una istituzione ma una intuizione, non abbiamo nessuna esitazione ad avanzare ipotesi al momento non dimostrabili.
E così lasciamo pure che qualcuno di noi, ad esempio, leggendo qui [20] di Poincaré (che guarderebbe a sistemare il passato) e di Hilbert (che avanza problemi per il futuro della matematica) possa trovarvi una simmetria con i contemporanei Picasso e Duchamp: il primo che riassume e condensa in una guisa moderna tutta l’arte precedente il Novecento, il secondo che lavora per porre problemi per lo sviluppo dell’arte negli anni futuri…  Magari in ciò c’è solo dell’arguzia; ma se vedessimo poi di cosa trattano gli uni e gli altri scopriremo tra loro anche altre singolari specificità che rafforzerebbero quanto appena intravisto in un lampo.[21] >

Ovviamente non si tratta di cogliere diversamente la “verità” della loro storiografia personale (matematica o artistica) … forse solo la necessità di esporla in una forma un po’ più universale?...
Non riusciamo cioè a capacitarci come sia possibile scrivere la storia dell’arte contemporanea (dal verismo e impressionismo in poi) senza poggiarla su una base materiale così reale   e potente  da riuscire a “rivoluzionare” i processi vitali (produttivi) e la sostanza stessa dell’intero ambiente in cui concretamente è immerso l’intero organismo sociale dall’Ottocento in poi.
«La condizione di produzione basilare per la fabbricazione di macchine mediante macchine, era una macchina motrice capace di ogni potenza energetica e tuttavia pienamente controllabile. Essa esisteva già nella macchina a vapore. Ma si trattava al tempo stesso di produrre meccanicamente le forme rigorosamente geometriche necessarie per le parti singole delle macchine: retta, piano, circolo, cilindro, cono e sfera.
Il problema fu risolto nel primo decennio dell'Ottocento da Henry Maudslay con l'invenzione dello slide-rest, che, reso ben presto automatico e modificato nella sua forma, venne trasferito dal tornio, al quale era destinato in origine, su altre macchine da costruzione. Questo congegno meccanico sostituisce non un qualsiasi strumento particolare, ma la stessa mano dell'uomo, che produce una data forma tenendo, adattando e orientando il filo di strumenti da taglio ecc. contro o sul materiale del lavoro, — per esempio il ferro. Così si è riusciti a produrre le forme geometriche delle singole parti delle macchine con un grado di facilità, precisione e rapidità, che nessuna esperienza accumulatasi nella mano del più abile operaio poteva fornire
.».[22]

E’ in conseguenza di ciò che anche in un nostro precedente incontro sulla “prospettiva” [23]  – costretti per quanto concerne i particolari a fare delle “micrologie” – abbiamo ritenuto di poter stabilire una qualche connessione tra questa descrizione marxiana e le origini reali delle, diciamo così, “semplificazioni” post-impressioniste, cubiste, ecc., ovvero di avanzare una congettura storiografica non ideale, e commentarla in questo modo:

«La sottolineatura è nostra, perché di tutta la questione delle macchine a noi qui interessa la potenza immane impiegata per produrre forme “rigorosamente geometriche”, la retta, il piano, il cerchio, il cilindro, il cono e la sfera, ... come parti singole costitutive della macchina ecc. ... Ora, pur restando in guardia dalle facili analogie, e con il rischio di addentrarci in inutili pedanterie, leggendo questa pagina del Capitale non abbiamo potuto evitare di ricordarci immediatamente un brano dalle memorie del pittore Émile Bernard che ci riporta le parole di Paul Cézanne raccolte dalla sua viva voce nel 1904 [24]: In natura tutto è modellato secondo tre modalità fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potrà fare tutto ciò che si vuole.».[25]

… E dopo, in effetti, in arte si è fatto e si sta facendo tutto ciò che si vuole… dato che dopo la mano si è fatta macchina nel sistema di macchine…
«Forse i due pittori che hanno esercitato maggiore influenza sul nostro secolo [XX] – dice Octavio Paz [26] – sono Pablo Picasso e Marcel Duchamp. Il primo per le sue opere; il secondo per un’opera che è la negazione stessa della moderna nozione di opera».
Ebbene: cos’è la moderna nozione di Opera d’arte a petto della Macchina e del Sistema di macchine se non la negazione di sé stessa? E cosa sono le nozioni di mano, di lavoro, di abilità, di talento  o Genio a fronte del Sistema Automatico di Macchine (robot  ) se non la negazione di tutte e di ognuna di esse?…  
D’altro lato – si era chiesto Marx – è mai possibile Achille con la polvere da sparo e il piombo? o, in generale, l’Iliade con il torchio tipografico o addirittura con la macchina tipografica?  Essi necessariamente scompaio – rispondeva – assieme alle condizioni necessarie che le hanno prodotte…[27]
E così lasciamo pure che similmente, leggendo ad es. i Grundrisse (vol.2, a pag 401 e seg.), qualcuno possa cavar fuori qualcosa e comprendere meglio, o tentare di comprendere qualcosa in più di reale anche riguardo, ad es., l’origine dell’arte Concettuale degli anni ’60 del secolo scorso…
[ e, meglio ancora, sull’immancabile crollo della produzione basata sul valore di scambio, in seguito al quale il processo materiale immediato verrà a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo; e solo allora subentrerà il « libero sviluppo della individualità, e dunque non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare pluslavoro, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico, ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro.»…(Lineamenti p.402), ovvero, al subentrare del modo di produzione comunista!].
Il problema è che oggi in arte abbiamo ancora a che fare – e innanzi tutto a che vedere  – con una nebulosa opaca e disordinata di vestigia e resti inerti di epoche passate che vengono riciclate continuamente per la sostenibilità di un cadavere (che ancora cammina).
Paragonando l’attuale stato del sistema del capitale ad un cadavere che ancora cammina abbiamo forse incautamente evocato una trivialità, benché una trivialità significativa:

«…si enuncia certamente una molto triviale verità quando si afferma che il nascere, il fiorire e il perire sono il cerchio di ferro in cui è imprigionato tutto ciò che è umano, la parabola che questo deve percorrere. Così non sarebbe affatto strano che la filosofia greca, dopo aver raggiunto il più alto splendore in Aristotele, appassisse. Ma la morte degli eroi somiglia al tramonto del sole, non allo scoppiare d’una rana che s’è gonfiata. E poi il nascere, il fiorire e il perire sono rappresentazioni del tutto generiche, del tutto vaghe, nelle quali si può includere ogni cosa, ma con le quali nulla è dato comprendere. Lo stesso declino è preformato nella realtà vivente : la sua forma si potrebbe perciò cogliere in una specifica particolarità proprio come la forma della vita. Infine, se gettiamo uno sguardo alla storia, possiamo forse dire che epicureismo, stoicismo e scetticismo sono fenomeni particolari? Non sono essi i prototipi dello spirito romano? la forma in cui la Grecia migra verso Roma? Non sono essi così pieni di carattere, così vigorosi ed eterni che lo stesso mondo moderno ha dovuto conceder loro il diritto di piena cittadinanza spirituale?».[28]

2° Quadro di illuminazione e rettifica . i metodi di Marx

«Ma proprio perché quel preconcetto [qualunque esso sia] è antico quanto la storia della filosofia, perché le differenze sono così nascoste da scoprirsi, per così dire, solo al microscopio, sarà tanto più importante lo scoprire, eventualmente, una differenza essenziale, interessante fin gli elementi più minuti, tra la fisica democritea e la fisica epicurea, non ostante il legame che le unisce. Ciò che si può dimostrare nel piccolo è più facile dimostrare là dove i rapporti si riscontrano in più ampie dimensioni, mentre invece delle considerazioni del tutto generali lasciano il dubbio se il risultato sarà confermato nei particolari». (Marx, Democrito e Epicuro, dissertazione dottorale discussa a Jena il 15 aprile 1841)
«Avevo buttato giù un’introduzione generale, ma poi, dopo matura riflessione, l’ho eliminata: mi sembrava infatti che l’anticipare delle soluzioni che dovevano essere ancora dimostrate poteva costituire un elemento di disturbo per il lettore, il quale, se è bene intenzionato a seguirmi, deve decidersi a procedere dal particolare al generale. […] Sulla porta della scienza, come su quella dell’inferno, deve essere posto questo invito : Qui si convien lasciare ogni sospetto / Ogni viltà convien che qui sia morta». (Marx, prefazione a Per la critica dell’economia politica, 1859)

Se però è vero – come lo è certamente per noi – che le arti plastiche (pittura, scultura, architettura) sono state e sono tuttora una particolare produzione materiale (seppure “sublime” ma non ancora del tutto sublimata e completamente “sospesa in aria”), il metodo applicato da Marx per la critica dell’economia politica potrebbe, se non meccanicamente adottato, diradare di parecchio il numero delle “scempiaggini” accumulate anche nelle analisi particolareggiate della produzione artistica e della storia dell’arte senza per questo produrne di nuove.
Ed è dunque con l’avvertenza di maneggiare con cura che a questo punto del nostro narrare proponiamo un lungo brano su tale metodo.

«Per Marx – scrive l'economita russo Kaufman, e Marx riporta testualmente – una cosa sola importa: trovare la legge dei fenomeni che sta indagando. E per lui non è importante soltanto la legge che li governa in quanto hanno forma definita e fanno parte di un nesso osservabile in un periodo di tempo dato. Per lui è importante soprattutto la legge del loro mutamento, del loro sviluppo, ossia del trapasso dei fenomeni da una forma nell’altra, da un ordinamento di quel nesso a uno nuovo. Una volta scoperta tale legge, Marx indaga nei loro particolari le conseguenze con cui la legge si manifesta nella vita sociale… In conseguenza di ciò Marx si sforza solo di fare una cosa: comprovare attraverso una indagine scientifica precisa la necessità di determinati ordinamenti dei rapporti sociali e constatare nel modo più completo quei fatti che gli servono come punti di partenza o come punti di appoggio. A questo punto è del tutto sufficiente dimostrare insieme la necessità dell’ordine esistente e la necessità di un ordine nuovo, nel quale il primo deve trapassare inevitabilmente – del tutto indifferente rimanendo che gli uomini vi credano o non vi credano, che essi ne siano o non ne siano coscienti.
Marx considera il movimento come un processo di storia naturale retto da leggi che non solo non dipendono dalla volontà, dalla coscienza e dalle intenzioni degli uomini. Ma anzi, determinano la loro volontà, la loro coscienza e le loro intenzioni… Se l’elemento cosciente ha una funzione così subordinata nella storia della civiltà, è ovvio di per se stesso che la critica che ha per oggetto la civiltà stessa, non potrà prendere a fondamento, men che mai, una qualsiasi forma o un qualsiasi risultato della coscienza. Il che significa che non l’idea, ma solo il fenomeno esterno può servirle come punto di partenza.
La critica si limiterà alla comparazione e al confronto di un fatto, non con l’idea ma con un altro fatto. Per essa [critica] importa soltanto che entrambi i dati di fatto vengano indagati nel modo più esatto possibile, e che costituiscano realmente differenti momenti di sviluppo l’uno in confronto all’altro; ma più importante di tutto è che venga indagata con altrettanta esattezza la serie degli ordinamenti, la successione e il collegamento nel quale si presentano i gradi di sviluppo.
Ma, si dirà, le leggi generali della vita economica sono uniche e sempre le stesse; ed è del tutto indifferente se si applicano al presente o al passato. Marx nega proprio questo. Per lui tali leggi astratte non esistono… Per lui ogni periodo storico ha le sue leggi proprie… Appena la vita si è ritirata da un periodo determinato dello sviluppo, appena la vita passa da uno stato dato ad un altro, comincia anche ad essere retta da altre leggi. In breve, la vita economica ci offre un fenomeno analogo a quello della storia dello sviluppo negli altri settori della biologia
I vecchi economisti, confrontando le leggi economiche con le leggi della fisica e della chimica, mostravano di non averne capito la natura… Un’analisi più profonda dei fenomeni ha dimostrato che la distinzione fra i vari organismi sociali è altrettanto fondamentale di quella fra gli organismi vegetali e gli organismi animali… Anzi, il medesimo fenomeno ubbidisce a leggi differentissime in conseguenza delle differenze fra la struttura complessiva di quegli organismi, della variazione dei loro singoli organi, delle distinzioni fra le condizioni nelle quali gli organi stessi funzionano, ecc. Per esempio Marx nega che la legge della popolazione sia la stessa in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Afferma anzi che ogni grado di sviluppo ha una sua propria legge della popolazione…
Alla differenza di sviluppo della forza produttiva corrispondono cambiamenti dei rapporti e delle leggi che li regolano. Marx, proponendosi il fine di indagare e di spiegare l’ordinamento economico capitalistico da questo punto di vista, non fa che formulare con rigore scientifico lo scopo che non può non proporsi ogni indagine esatta della vita economica… Il valore scientifico di tale indagine sta nella spiegazione delle leggi specifiche che regolano nascita, esistenza, sviluppo e morte di un organismo sociale dato, e la sua sostituzione da parte di un altro, superiore. E il libro di Marx ha di fatto questo valore scientifico
.».[29]

Nel poscritto del 1873 alla seconda edizione del primo libro del Capitale, per replicare ad alcune grossolane critiche ricevute alla prima edizione Marx dice di non saper rispondere meglio che con alcuni estratti della critica svolta da Kaufman sul Viestnik Evropy  di Pietroburgo del maggio 1872, che “inoltre potranno interessare molti miei lettori ai quali è inaccessibile l’originale russo[30].
Così, dopo aver riportato anche noi i brani che abbiamo appena proposto alla vostra attenzione, Marx conclude: “Nel rappresentare quel che egli [Kaufman] chiama il mio metodo effettivo, in maniera così esatta … che cos’altro ha rappresentato l’egregio autore se non il metodo dialettico?”, e quindi commenta:

«Certo, il modo di esporre un argomento deve distinguersi formalmente dal modo di compiere l’indagine. L’indagine deve appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’intero concatenamento. Solo dopo che è stato compiuto questo lavoro, il movimento reale può essere esposto in maniera conveniente. Se questo riesce, e se la vita del materiale si presenta ora idealmente riflessa, può sembrare che si abbia a che fare con una costruzione a priori.».[31]

3° Quadro di illuminazione e rettifica . l’azzardo omologetico, l’uovo e l’embriologia descrittiva

L’esperimento mentale che vi abbiamo proposto – cioè quello di leggere i brani tratti dalla nostra letteratura ma di metterne i termini in connessione analogica con termini propri al campo della produzione artistica e dei suoi studi – noi stessi lo abbiamo ripetuto numerosissime volte e non ci metteremo qui a descrivere pedantemente la nostra esperienza; vogliamo però segnalarvi che abbiamo riscontrato parecchie analogie tra diverse nozioni, egregiamente desunte da Kaufman dalla critica dell’economia politica applicata al Capitale da Marx con quelle che caratterizzano il pensiero del “formalismo” e della “pura visibilità”; ad esempio, anche queste ultime esprimono il loro massimo interesse nel cercare le leggi delle metamorfosi delle forme artistiche nel corso del tempo, scandito oramai dall’avvicendamento dei vari “stili” storici (cioè secondo un criterio del tutto moderno) per raccogliere e classificare le opere dell’arte figurativa).
E’ inoltre interessante notare che è sempre nel corso della seconda metà dell’Ottocento che sono venute emergendo sempre più nettamente in ogni campo di studi le medesime esigenze cognitive che reclamavano un cambio di paradigma conoscitivo capace di dissolvesse i residui romantici, metafisici e idealistici, con il favore di metodi scientifici di analisi e ipotesi a-teologiche e a-teleologiche adottate nelle prassi e negli studi “umanistici”, da tempo praticate e sperimentate dalle “scienze naturali”, oltreché trasferite profittevolmente nella produzione di merci [32].
Tuttavia la storia dell’arte insiste a spiegare ogni cosa di sé ritornando sempre sui propri passi anche riguardo le proprie origini, come in un cortocircuito dal quale non sa, né in tal modo potrebbe, uscirne. Sedotta e abbacinata, quasi annientata da una agognata visione minotaurica di sé stessa procede consultando il già detto come un turista compulsivo le guide e i manuali del luogo ….  Così, in cerca delle origini teoriche – mai pratiche, mai concrete, mai reali  – la storiografia ideale e la sua critica segue i (propri) pensieri di sempre e se ne esce, infine, senza venire a capo di alcunché……

«Per ritrovare le origini teoriche della critica della pura visibilità occorre risalire a una distinzione di Kant tra bellezza libera e bellezza aderente. Sono bellezze libere quelle che per se stesse non significano nulla, per esempio i disegni alla greca, i fogliami delle cornici e dei tappeti. Sono bellezze aderenti, quelli di una donna, di un cavallo di un edificio che presuppongono un concetto di scopo, che determina ciò che la cosa deve essere e quindi un concetto della sua perfezione. L’estetica idealistica, e in particolar modo quella dello Hegel, riconobbe soltanto la bellezza aderente, e considerò la forma artistica come manifestazione sensibile dell’idea. Ma nella sua polemica contro la filosofia idealistica lo Herbart [33], fedele al Kant nell’ammettere inconoscibile “la cosa in sé”, ridusse ogni conoscenza alla forma, e ogni bellezza alla forma libera da sentimento. Egli opponeva così al contenutismo dell’estetica idealistica un formalismo astratto. La distinzione tra le arti assumeva per lui un nuovo valore, in quanto il valore dell’opera d’arte dipendeva dalla purezza del tipo d’arte cui apparteneva. La confusione tra l’uno e l’altro tipo era secondo lui il contrario dell’arte. Per conoscere la bellezza bisognava perciò compiere una doppia astrazione: 1) dal sentimento, 2) dai tipi di arte differenti. Lo Herbart infatti fulminava contro coloro che “tengono la musica per una specie di pittura, la pittura per poesia, la poesia per la plastica suprema, la plastica per una specie di filosofia estetica.»[34]. […] «.La teoria della pura visibilità è l’opera di Konrad Fiedler (1841-95). Egli parte dalla distinzione di Kant tra una percezione soggettiva che è determinazione di sentimento di piacere o di pena, e una percezione obbiettiva che è rappresentazione di una cosa. Egli afferma che il campo proprio dell’arte è la percezione obbiettiva. Visione e rappresentazione, intuizione ed espressione, vengono in tal modo identificati nell’opera d’arte. E il carattere essenziale dell’arte risulta nel concetto di “contemplazione produttiva”. Questo riportare l’arte al problema della conoscenza, questo escludere dall’arte il sentimento, questo ridurre l’arte a conoscenza della forma, a pura visibilità, era un modo di tornare al criticismo kantiano. Ma si trattava di un kantismo alla Herbart. E infatti il Fiedler si oppone all’estetica dell’idealismo in nome del realismo estetico. Inoltre, come Herbart, il Fiedler rifiuta di riconoscere un problema non solo del bello, ma anche dell’arte in generale, e afferma che esistono soltanto le arti particolari. Ed egli vuole occuparsi delle arti visive. Perciò egli è il fondatore della “scienza dell’arte”, distinta dall’estetica.».[35] 

Siamo noialtri forse affetti da una patologia dei sentimenti e del piacere se magari troviamo una mirabile “bellezza aderente” al particolare “scopo” che si prefigge – ad esempio l’Embriologia – guardando un uovo non dipinto da Piero?

«Il fatto straordinario che un uovo, con ben poca organizzazione apprezzabile, si sviluppi in un individuo adulto ad organiz-zazione molto complessa, ha stimolato l’interesse dei filosofi da Eristotele a Whithead e largamente essi compresero trattarsi di un mistero senza paralleli in altri campi della scienza. Questi pensatori furono specialmente colpiti dal genere di organizzazione che si esprime nella forma e interpretarono ciò come caratteristica principale dello sviluppo. E tale concetto perdura tutt’oggi [1934]. Che i cambiamenti della forma potessero dipendere da cambiamenti chimici avvenuti nell’embrione o fu ritenuto per ovvio o fu ignorato.».[36]

Ovviamente noi sappiamo distinguere a memoria il dipinto di Piero da un comune uovo o dallo schema di un uovo messo giù da un embriologo; come sappiamo distinguere la diversità di godimento che può procurarci la loro rispettiva osservazione. Ma sempre di immagini e di forme si tratta; e allora l’embriologia descrittiva, che si era occupata esclusivamente dei cambiamenti di forma dell’embrione, poteva forse ignorare l’arte figurativa, o l'arte figurativa l'embriologia?

«Per molti anni, dal 1850 al 1900 circa, nel campo dell’embriologia ha dominato l’idea che lo sviluppo degli organismi superiori ricapitoli l’intera storia della loro evoluzione. Teoria che prese il nome di teoria della ricapitolazione [legge biogenetica universale]. Sotto l’influenza di questa teoria venne eseguita una grande quantità di lavori descrittivi e attualmente l’embriologia di tutti i tipi animali è conosciuta nei minimi particolari. Nelle uova piccole e trasparenti gli stadi di sviluppo possono essere seguiti al microscopio ed anche per le uova più opache esistono metodi tecnici che permettono di riconoscere i cambiamenti che avvengono in profondità. Il perfezionamento di questi metodi … occupò per molto tempo l’attenzione della maggior parte degli embriologi, ed ha fatto trascurare completamente i processi fisici e chimici che accompagnano i vari stadi visibili dello sviluppo. Il richiamo storico era irresistibile, specie per chi riteneva che quanto vedeva  fosse “la storia della creazione” o, come la si denominava, dell’evoluzione. Ben presto fu raccolto un corpo immenso di notizie sullo sviluppo di tutte le principali forme animali. Era necessario a tale scopo uno spirito d’osservazione acuto, pari a quello richiesto dalle arti figurative. Bellissime figure di tutti gli stadi dello sviluppo comparvero in moltissime monografie. Quanto più abile l’artista, tanto più brillante era il risultato. L’anatomia dello sviluppo fu in breve conosciuta bene come l’antica anatomia della struttura dell’adulto, la quale a sua volta aveva richiesto osservazione acuta e senso artistico del colore e della prospettiva.».[37]

Non vogliamo andare da nessuna parte, né dell’arte né dell’embriologia, ma rimanere qui, e godere del punto.

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[1] . Cfr. La prima parte di queste note sul formalismo in L’arte raccontata nell’almanacco precedente, nømade n° 20, giugno 2023, pgg.19-73.

[2] . Karl Marx, Il Capitale, Lib. I, sez.1.4, pag. 89, Editori Riuniti, Roma 1970; (ed. UTET 1974/2013, cit., vol.1, pag. 153). – “Post festum”, “a cose fatte”.

[3] . Friedrich Engels, lettera a Franz Mehring del 14 luglio 1893, in Lettere di Engel sul materialismo, ed. Iskra, Firenze 1982, pp. 65-66. Interessante per noi, in questa lettera, è anche il chiarimento di un punto successivo su “…la sciocca concezione degli ideologi, secondo cui, poiché neghiamo alle diverse sfere ideologiche che recitano una parte nella storia uno sviluppo storico indipendente, negheremmo loro anche ogni efficacia storica. Alla base di ciò è la volgare concezione antidialettica di causa e di effetto come poli rigidamente contrapposti, l’assoluta dimenticanza dell’azione e reazione reciproca. Che un fattore storico, una volta dato alla luce da altre cause, in definitiva economiche, possa a sua volta reagire sul mondo circostante e perfino sulle sue stesse cause, quei signori lo dimenticano, spesso, quasi a proposito “ (Ibidem, pag. 67).

[4] . “Sembrerebbe corretto cominciare con il reale ed il concreto, con l’effettivo presupposto; quindi, per es. nell’economia dalla popolazione… Se cominciassi quindi con la popolazione, avrei [mi trovo davanti] una rappresentazione caotica dell’insieme [del tutto] e, precisando più da vicino, perverrei via via analiticamente [in via analitica] ad astrazioni sempre più sottili [a concetti più semplici]; dal concreto [che mi ero] rappresentato ad astrazioni sempre più sottili [rarefatte], fino a giungere alle determinazioni più semplici. Da qui si tratterrebbe [bisognerebbe] poi fare di nuovo il viaggio all’indietro [a ritroso], fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, ma questa volta però non come una caotica rappresentazione di un insieme [di un tutto], bensì come ad una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e nessi [relazioni].” (K. Marx, Lineamenti, cit., pag. 26 seg.; in parentesi quadre, confronto con la traduzione di B.S. Vigorita in Per la critica, ed. Newton Compton, Roma 1972, pag, 45).

[5] . Immagini in alto, a destra: Casa del Fauno, Pompei, a sinistra: Matteo Civitali e/o collaboratori (?), quadro commesso a trompe-l'oeil prospettico, Lucca, Cattedrale di S. Martino, pavimento navata centrale.

[6] . Sesto Empirico riporta la concezione stoica del phainomena, ossia delle “apparenze”. Secondo gli stoici infatti perché si abbia una “apparenza” non basta l’impressione sensibile (passiva, es. visiva), ma è essenziale anche l’assenso del soggetto, che è allo stesso tempo attivo e involontario – tuttavia gli stoici consideravano anche l’assenso volontario, che è quello che a noi qui interessa, dato che quest’ultimo riguarda il metodo tuttora usato di fatto dagli scienziati. E’ comunque significativo che le diverse scuole filosofiche ellenistiche pongano alla base della conoscenza vari aspetti e forme della percezione: le sensazioni i Cirenaici, la percezione gli Epicurei, l’impressione gli Storici (Cfr. Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, 1996, ed. Feltrinelli, Torino 2019, pp. 206-207). – L’apparenza quale riflesso o immagine del pensiero acquisterebbe tuttavia un propria potenza reale ed effettuale qualora la si consideri alla luce della complessa dinamica sociale, come mostra Engels per la forma Stato: "Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società e nemmeno «la realtà dell’idea etica», come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano sé stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'«ordine»  e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato" (Engels, L'origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato, 1884, it. Editori Riuniti, Roma 1970, pag. 200).

[7] . George Kubler, Simbolo, forma a durata; premessa a La forma del tempo (1962), it. Einaudi, Torino 1972, pag. 3.

[8] . L’Hauser specifica che qui si riferisce alle ripetute dichiarazioni di Fiedler (in polemica sulla possibilità artistica di un “Raffaello senza mani” avanzata da Lessing”) che nel creare artistico “…il processo eseguito dalla mano è solo lo stadio successivo di un procedimento unitario, inscindibile… la mano non esegue qualcosa che nello spirito già prima ha potuto venir compiutamente formato”. E lasciamo pure ad Hauser l’illusione di aver colto qui un allontanamento di Marx dai principi della sua stessa dialettica quando distingue tra i lavori degli uomini e quello delle bestie… mentre è lui a non distinguere tra lavoro e prodotto, tra processo e risultato …

[9] . Arnold Hauser, Sociologia dell’arte (1974), ed. Einaudi, Torino 1977, vol. II, pag. 71. Subito di seguito l’A. cita due brani dei Lineamenti Fondamentali, ed. La Nuova Italia, Firenze 1968, lib. I, pag. 16; ma, precisa più avanti Marx (pag. 18,19): “Niente di più semplice a questo punto, per un hegeliano, che identificare produzione e consumo... Per di più considerare la società come un unico soggetto, significa considerarla in modo falso. In un soggetto produzione e consumo si presentano come momenti di un solo atto. Ma la cosa più importante da mettere in rilievo è che produzione e consumo, considerati come attività di un soggetto o di più individui, si presentano in ogni caso come momenti di un processo in cui la produzione è l’effettivo punto di partenza e perciò anche il momento egemonico. Il consumo come necessità, come bisogno, è esso stesso un momento interno all’attività produttiva… l’atto nel quale l’intero processo riprende il suo andamento. L’individuo produce un oggetto, e consumandolo, fa di nuovo ritorno a se stesso, ma come individuo produttivo e che riproduce se stesso. Il consumo si presenta quindi come un momento della produzione. Nella società, invece, la relazione tra il produttore e il prodotto, quando quest’ultimo è terminato, è una relazione esteriore, e il ritorno del prodotto al soggetto dipende dalle relazioni in cui questi si trova con altri individui… Inoltre, quando egli produce nella società, l’appropriazione immediata del prodotto non è il suo scopo. Tra il produttore e i prodotti si interpone la distribuzione che, in base a leggi sociali, determina quale quota della massa dei prodotti spetti al produttore, venendo così ad interporsi tra produzione e consumo.” Ed ecco risolti altri tipi di dualismo… E’ chiaro qui che invece l’hauseriana “produzione a produrre il produttore, il bisogno del prodotto, il senso per comprenderlo e la capacità per utilizzarlo e goderlo” esprime solo una fallace identificazione del singolo produttore con il produrre del singolo nella società, estendendo, e così confondendo, il ritorno a se stesso come ritorno (della massa delle merci prodotte socialmente) alla società intera… Allora Hauser si è fermato all’oggetto artistico e al singolo produttore ma non ha proseguito oltre con Marx, e così non è arrivato alla società reale, e – se così è – neppure alla sociologia…
[10] . Marx, Lineamenti fondamentali cit., pag. 12.

[11] . Ibidem, pag. 13.

[12] . Tuttavia, tali “immaginazioni”, una volta che hanno assunta una “forma” (per quanto sempre immaginaria, astratta, anche solo lessicale ecc.) essi possono sempre svilupparsi nel proprio immaginario ed evolversi nella società come ogni altra forma particolare – non è così che si è sviluppato storicamente (nella serra isolata dell’astrazione) il pensiero filosofico?

[13] . E’ qui una descrizione del processo di osservazione che si avvicina all’idea di complementarità in fisica più o meno per come proposta dall’analogia di Niels Bohr con il “bastone per ciechi” (1928). Cfr. Gerald Holton, L’immaginazione scientifica (1973), ed. Einaudi, Torino 1983, pag. 134.

[14] . Engels-Marx, La sacra famiglia (1844), ed Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 247 seg..

[15] . Ibidem, pag. 249: “Come per Rodolfo tutti gli uomini si collocano dal punto di vista del bene o in quello del male e sono giudicati secondo questa due rappresentazioni fisse, così, per il signor Bauer e soci, tutti gli uomini si collocano dal punto di vista della critica o in quello della massa. L’uno e gli altri trasformano però gli uomini reali  in punti di vista astratti”.

[16] . Ma non certamente per una diretta e tanto meno completa comprensione dei suoi particolarissimi fenomeni.

[17] . Friedrich Engels, Lettera a Conrad Schmidt a Berlino, Londra 27 ottobre 1890, ed. Iskra, Firenze 1982, pag. 34 seg..

[18] . Marx, Lineamenti…, cit. pag. 37 seg.

[19] . Ibidem, pag. 39.

[20] . Vedi qui poco oltre, e nota.

[21] . Poincarè-Picasso: empirico intuitivi, caldi “intuizionisti”, ironici, metamorfici, socratici (fase  artigianale-manifatturiera avanzata) / Hilbert-Duchamp: dea di struttura e di spazi astratti, freddi “formalisti”, sardonici, concettuali, catastrofici, cinici-stoici (fase macchinista, grand’industriale...)? ...

[22] . K. Marx, Il Capitale, Libro I, sez. IV, cap. XIII, ed. UTET de Agostini, Roma 2013, pag. 516 seg.. Vedi qui immagine a pag. 40.

[23] . Cfr. nømade n.19 Giugno 2020, La bellezza della macchina (la prospettiva), pag. 112.

[24] . Emile Bernard, Cézanne, Ricordi e lettere, ed. Longanesi, Milano 1953, pag. 30.

[25] . Cfr. nømade n° 19 cit.,  pag. 115.

[26] . Octavio Paz, Apparenza nuda. L’opera di Marcel Duchamp (1966), ed. Abscondita, Milano 2000, pag, 15. – Ma qui Paz si riferisce ad una unica opera di Duchamp, alla Marieé… come capolavoro, o piuttosto all’intera produzione di Duchamp come un’unica opera? Staremo a vedere… Solo in questa seconda ipotesi si incorporerebbe il processo produttivo nella Marieé  quale macchina cosciente del sistema stesso dell’arte assieme alle condizioni produttive necessarie che l’hanno prodotta…..

[27] . Cfr. Lineamenti, cit., p. 40.

[28] . Qui, nella sua dissertazione dottorale del 1841 (cit. p. 14), Marx formula già quanto che poi sviluppò nel 1857 nel primo quaderno dei Lineamenti…(cit., vol,1 ,p. 161): «Ma nell’ambito della società borghese fondata sul valore di scambio si generano rapporti sia di produzione che commerciali, i quali sono altrettante mine per farla saltare. (Una massa di forme antitetiche dell’unità sociale il cui carattere antitetici tuttavia non può mai essere fatto saltare attraverso una pacifica metamorfosi. D’altra parte se noi non trovassimo già occultate nella società, così com’è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi per farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi).».

[29] . K. Marx, in poscritto alla seconda edizione de Il Capitale, cit., pp. 26-27 (le sottolineature sono nostre).

[30] . Ne è autore lIarion Ignat'evic Kaufman (1848-1916), economista russo, professore a San Pietroburgo. Sul numero del Viestnik  l’autore tratta esclusivamente “il metodo del Capitale”. Di questo economista, nella biblioteca personale di Marx si trovano diversi testi sparsi in riviste russe di economia, oltre al suo libro che tratta di problemi della circolazione monetaria e del credito in un volume uscito nel 1873, che Marx lesse e annotò (Nr. 659 della MEGA 2).

[31] . Marx, poscritto cit., pag. 27 (corsivi nostri).

[32] . La socializzazione della produzione, cui il capitalismo è costretto, comporta la socializzazione della distribuzione e la socializzazione del consumo, vale a dire la socializzazione della conoscenza, ovvero lo sviluppo del cervello sociale, ossia oggi la Rete, e il superamento del suo transitivo modo di produrre le inutilità materiali e le scempiaggini teoriche…

[33] . Citato già da Marx nella sua voce Estetica della New American Cyclopaedia, leggi  in nømade n° 20, pag. 159 seg..

[34] . Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, ed. Einaudi, Torino 1964, p. 284 seg. – Da notare qui che la bellezza astratta dal sentimento e dalle “arti particolari” è quella bellezza che può essere condivisa anche dall’immaginazione scientifica (es. Einstein, Dirac e altri); Cfr. il paragrafo La bellezza e la verità, in nømade n° 20, pag. 26 seg..

[35] . Ibidem, pag. 286 seg.

[36] . Thomas Hunt Morgan, Embriologia e Genetica (1934), ed Einaudi, Torino 1950, pag. 18 (corsivi nostri).

[37] . Ibidem, pag, 16 seg.

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