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01 - Gli spostamenti dell'arte contemporanea, dovuti a tensioni che forze esterne e/o interne esercitano sul suo vivo corpo, avvengono ancora tutti entro una fase elastica; la cui caratteristica si manifesta quando ogni allentamento di tensione viene sempre accompagnato da ritorni del corpo su posizioni precedenti. Ritorni non sempre integrali e meccanicamente prevedibili, poiché, uncinata in avanti, verso la fase plastica (dove la materia dell'arte si plasmerà senza ritorno sotto le forze reali storicamente ricomposte (ossia risolte) può rimanere attiva la tensione ironica che, impedendo al corpo si scaricarsi bruscamente, gli evita la mutazione nella fragilità parafrastica.
02 - La pittura raggiunta dall'azzeramento diviene facile preda della coazione all'ospitalità. E le leggi dell'ospitalità gli prescrivono o di seguire la linea del silenzio che perpetua l'interruzione del cerimoniale pittorico risolvendola in mera superficie, o di abbandonarsi alla molestia dei significati erratici che la vogliono putativo supporto alla loro incontinenza letteraria. La sua immaginazione gli lascia dire: "Prima che il giallo canti sarò rinnegata più volte". Afferrata nel cornuto dilemma tra la posizione tragica della mera superficie e quella patetica del supporto, la pittura inizia a oscillare tra queste due proprie soluzioni in cerca delle condizioni sotto le quali apparire di nuovo senza trascinarsi appresso la piagnona piattola del pentitismo.
03 - Dopo la presa surrealista della Bastiglia, provata dalla ossessione del politico, detersa dalla quarantena concettuale, addestrata alla dura sospensione del gesto e del colore, la pittura può fare una nuova apparizione esclamando: "Nulla avendo dimenticato, nulla posso trascurare. È questo il mio verde cruccio!".
Poi si ritira dietro le quinte a scrutare l'esibizione che la vecchia rassicurante coppia di pudore e buongusto esegue sulla orizzontalità della convenienza e del risparmio stilistico, tra la verecondia del decorativismo e le insinuazioni dell'iconografia.
04 - Allora, sebbene avvolta nelle sonorità pettegole del tribalismo attualista, nelle nenie pedanti d'erudizione carpita in scassi bibliografici, la pittura prende a vivere negli interstizi dei segni, fuori dagli sguardi obbligati, dietro la superficie del quadro, sotto la pelle.
05 - Il quadro come scudo reclama l'occhio verticale quale organo supremo delle somatizzazioni dell'arte e della critica. Gli affida la capacità di sorprendere quanto viene espulso dalle code dell'occhio, dagli angoli della bocca. Giacché l'occhio verticale è anche l'orecchio reciso da lasciare al bordello arlesiano; e volentieri si scambiano di posto; irriducibili entrambi a punti di fuga, a linee di orizzonte, a piani geometrali sui quali proiettare e sezionare in appiattiti contorni la consistenza pesante delle cose per indurle alla convergente prassi dello stile, dove l'esistenza è consumata a perfezionare inezie, a correggere tiri mandati a vuoto, a segnare i marciapiedi dell'estetica come cani piscioni a passeggio nel grembo della proprietà privata.
06 - Mentre lo sguardo erettile della critica tiene incolonnati i poli dell'alto e del basso, del sublime e del volgare, dell'esclusivo e dell'orda, dell'oro e del fango, l'occhio verticale avvia le strategie epifaniche che spingono l'opera nell'orbita delle profanazioni, nella dimensione finalmente oscena della man bassa, nella promiscuità eudonica degli interfaccia con tutti i termini nessuno escluso.
07 - L'occhio verticale è quell'idea libertina che ci consente familiarizzare con il pensiero della morte dell'arte [non con uno schianto, ma con una lagna!].
Egli è l'ultima irrisione miliare e l'ultima metafora di quando si arriva alla radice del simbolo e non si può più procedere con la pornografia delle sostituzioni. Quando l'ultima mossa ulteriore, non differibile e forse definitiva, rimane quella che tenta il temerario scambio del simbolo con la cosa simbolizzata stessa: è l'occhio per occhio.
Qui il completamento dell'opera richiede l'uomo stesso quale posta, non più i suoi impotenti messaggeri.
08 - Costretti a varcare il cerchio allucinante dell'immaginazione, la realtà non potrà certamente perdonare a chi non comprende fin da ora che in tal modo si trapassa dalla storia delle metafore nella storia dei rapporti di forza.
E in questa ultima il soggettivismo può salvarsi anche dalla intolleranza poliziesca a condizione di farsi trovare alla stessa altezza delle vicende; vale a dire nel cerchio allucinante della necessità che intreccia i destini dei singoli in un unico filo armonico teso fino all'apogeo.
E l'apogeo artistici di un'epoca rimane tale fin quando per essa epoca la cosa principale non è l'immaginato ma l'immaginare, non la rendita del simbolo ma il modo di simbolizzare.
09 - Salito sulla montagna disincantata, l'occhio verticale vi rimane seduto come un turgore insoddisfatto; che sa di esserlo e in questo saperlo è racchiusa la sua rossa condanna; con la quale può anche tornare indietro, ora, se lo desidera. E, anche - se lo desidera - sottrarsi ai rischi degli interfaccia con quei termini dall'alito cattivo, mal tollerati dalla rispettabilità oftalmica dei chierici prescrittori.
10 - Ma dopo tutto questo, come potrà rassegnarsi a mettere nuovamente in opera le escrementate tavole del privilegio e dell'ordine?
Con cerulea consapevolezza di cause e di effetti, la sua sommessa cantilena prende a dire:
Voialtri su me non potete contare
Per questo - lo so - me la fate pagare.
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