Archivio (comunque indiziario) di Bunker
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PRIMA CHE IL GALLO CANTI . 5 quadri della situazione . Uno scritto di Carmelo Romeo con Tullio Catalano quale contributo degli Uffici (unificati) alle attività di Bunker . Pubblicato nella rivista RISK No.9, Milano, dicembre 1992 .
1º quadro

Non vegliammo tutta la notte, i miei amici ed io: riposavamo i tubi catodici e i globi oculari.
Dalle persiane socchiuse intanto giungevano mediterranei scirocchi di guerra; mentre sul bagnasciuga venivano a morire nuvole di cavallette estenuate da carestie e incurie nei campi abbandonati alla polvere magrebina o ai sassi della tundra.
Ci sapevamo soli in quell'ora ad essere addormentati, mentre concitata Wall Street scaldava le brioches per il quotidiano banchetto degli affari, sempre più liberi, produttivi, estesi dalle ascelle della foresta amazzonica che brucia di quella medesima febbre tonsillare che preme alla gola il pomo all'Adamo doligocefalo berlinese o brachicefalo romano.
Fuori nel buio mugolava il sassofono baritono cane del suo padrone e pressanti si facevano i sogni che senza più capacità premonitoria s'erano dati ai numeri, e i numeri ai sogni sognati per i botteghini delle Bische di Stato; e nessuno più poteva mettersi in guardia dai colpi della fortuna che invece affondava l'astile fin dentr'al fegato.
Ora d'altrove giungono gli avvisi.
Ma sono avvisi di reato per sogni mal sognati, e invece di cercare terapeutici lettucci da Psiche uno cerca la sedia dall'Avvocato per difendere molli tabernacoli svizzeri edificate da mogli ubriache e botti piene di provvigioni giunte in porto col vento di mafia: inseparabile cacio per maccheroni ben conditi.
Pressanti si facevano i segni.
Ma v'era ancora tempo allo scadere del millennio (se non al suono delle trombe di bronzo ma sotto quello dei pifferi d'oro erano crollati i muri, e scacciata la debole mosca v'erano adesso tafani di ferro a tormentare la vacca Europa per sospingerla nel boschetto di allori, dove sovrani corvi bicipiti la violano a turno con gusto zuccherino strizzandogli dal tergo i seni zampettanti come morbidi leprotti inseguiti dai debiti).
D'improvviso, insinuata tra le pieghe delle sinecure, l'Incertezza provocò la combustione.
E dai portali delle Borse, come fari puntati ad occidente, ci giunse il brusio della primissima aurora.
Ecco, diss'io, si intravede lo scadere del millennio.
Ma noi non avevamo vacche grasse per supplicare categorie prodighe. Sgozzate pure i vostri cari sui roveti di cedole svalutate: bandiere delle vostre illusioni, non delle nostre, ché nascemmo lacerandole.
Di chi sono allora quelle trippe sul libero mercato? Liberamente la Provvidenza le arrovescia sui banchi di svendita e le improfuma con foglie di salviezza e preci.
Dalle nostre postazioni di mare di terra di cielo, dietro le caligini brumose dell'Ipocrisia e le malenebbie della Speranza, si indovinano gli annaspamenti asmatici dei maestri liquidatori, mentre invocano grucce teoriche troppo presto abbandonate per baldanza indotta da anni di body building sostenuti con diete di beveroni scremati dai termini indigesti ai succhi gastrici delle conciliazioni supine e paciose - quando ancora il Sole Ventiquattrore brillava sulla filigrana stellata del cielo.
E ora che la circolare costellazione della Lira declina, incurante delle ecatombi votive offerte dalla malafede dei dilettanti in economia dal fiato corto, chi smentisce la caduta tendenziale del saggio del profitto?
Insomma, di chi sono quelle trippe sfolgoranti di latte e di sangue?
In attesa di conforto, mentre dal fondo delle città le laceranti sirene delle ambulanze cantano l'insufficienza epatica per raccogliere carne fresca in piccoli tagli da appendere nelle patriottiche celle frigorifere di basiliche finanziarie, l'Arte ripara in sala d'attesa vaste come nelle stazioni terminali, dove solo sedie sono allineate come gigli lungo le pareti: ché le socializzanti panche sarebbero un pericolo per l'individuo estetico - la sedia è più simile all'io e singolare dev'essere il pasto.
L'ingresso è comunque sempre libero, se le visite sono di condoglianza.
Ecco una sedia…
Le porto qualcosa?
Gradisce Caffè o Trippa parmigiana?

2º quadro

Prendo cavoli a merenda. Non abbiatevene a male.
Adesso tutti si invitano a convegno per riportare in vita reciproci cadaveri nemmeno "squisiti", pur tuttavia eccellenti, lasciati semplicemente ibernare più a lungo nell'armadio della ideologia prêt-à-porter, con annesso sconto censorio.
Visto che tutto è superato, è della postdemocrazia che ora si parla?
Sia detto senza irriverenza. Prometto di non uscire dalle speciose distinzioni tra formale e sostanziale: ossia di confermare il valore metastorico del termine su cui si discetta e rimanere tranquillamente preso al laccio della perfettibilità sempre inseguibile e mai raggiungibile, come Achille la Tartaruga.
Non temete. Si rimane nell'esercizio organico dei maestrini dalla penna rossa o nera che sia, purché solleciti alle necessità della comunistica barca - scusate l'uso del deprecato termine… ma quando si affonda ci vuole! - nella quale siamo tutti liberi, sia chi sdraiato sul ponte superiore a gustare un drink sotto i carezzevoli raggi di un sole mediterraneo, oppure chi steso sotto un dentato ingranaggio della melmosa sala macchine nel fondo del sacrosanto battello democratico.
Occorrono altre sedie? Chi è rimasto in piedi?
I fatti della cultura in questi ultimi anni sembrano ispirati tutti da problemi di ordine pubblico; e se una volta si avevano delle catene da spezzare, poi si sono confezionate delle catenine con le quali ornarsi per una posizione da conquistare.
Oggi chi può sostenere che si sta uscendo quando si hanno solo dei posti da difendere in un mondo che ci ha conquistati?
Più semplicemente qualcuno, spaventato dalle ricorrenti mungiture delle neo-Wall Street che minacciano gli scannatoi di sempre, vorrebbe sgusciar fuori dall'assedio coniando formulette  propiziatorie; e magari alla fine ci riesce, essendo sempre consentita la salvezza, purché privata, purché individuale.
Qualche altro ha pensato di procacciarsi dei meriti bruciando steccati o abbattendo muri.
Ma il fuoco che prima divorava adesso colora, omogeneizza tutte le cose col suo nero profondo che assorbe la luce e non rimanda a nulla. Neppure il linguaggio si scompone più, confortato nel riposo di una nottata che non passa.
Appena bruciati i legni o mattoni o intonaci graffiti, diventano belli da guardare e i buoi rimangono incastrati dentro ad ammirare questi ceppi di confine, però dipinti con l'azzurro del cielo.
D'altronde se tutte le questioni sociali sono date per risolte, rimarrebbero allora solo quelle estetiche, ovvero morali. Ma come prenderle alla radice, se la radice rimane pur sempre l'antinomia incrollabile tra produzione sociale e appropriazione privata?
Antinomia intoccabile purché tassabile e non evasiva, precisano solennemente i Prodi Anselmi, araldi della proprietà privata in lizza per la corona ossidionale che spetta ai salvatori dei Bilanci.
Ma, come per uno specchio stregato, è l'immagine che assedia le cose e capovolge ogni sortita in un ingresso nelle file nemiche.
Abbiamo saputo di un abitante nel ghetto di Varsavia che durante l'ultima guerra ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, illustrava sulla parete di fronte al letto della figliola, una favola sempre diversa. La piccola restava tutto il giorno coricata sotto le coperte a guardare il disegno, ripercorrendo con lo sguardo e la memoria la medesima storia per innumerevoli volte fino al ritorno del padre.
Priva di scarpe e di soprabito le sarebbe stato micidiale altrimenti sopravvivere all'inverno polacco. Vi è una fotografia di tutto questo, da qualche parte.
Col tempo quel procedimento è diventato potente fascinazione grazie alla luminosità elettronica che sembra bucare i muri domestici della solitudine e della noia; e se una volta era servito per la sopravvivenza dell'innocente, ora serve ad altro.
Forse invece di padri ora si attendono padrini di turno, mafiosi o pedofili che siano, purché rimbocchino le coperte di sicurezza.
Anche avendo scarpe e soprabiti sempre nuovi, si rimane con i piedi nel letto nell'illusione che la vita ci venga incontro sorridente e chiara. La simulazione tecnologica dell'occhio orizzontale ci illude di penetrare i fatti allontanandocene irrimediabilmente e rendendoci prigionieri della cosa (il solito colpo di coda?) di un fantomatico presente che pure ci aveva avvisato, e ancora canta sommesso:

Il letto che ognun si prepara
è il letto in cui poi dormirà.
E se c'è chi dà calci, son'io
e se c'è chi li piglia, sarai tu.
Nel letto in cui siamo staremo
nessuno a coprirci verrà.
E se c'è chi dà calci...
Crollata, nella serie continua di quei venerdì (talmente neri che parevano dei lunedì d'anteguerra) ogni speranza in un Futuro di allargata e gaudiosa produzione (che a contemplarlo pareva un mistero doloroso), non resta altro che raccomandarsi a Dio, tanto da ovest che da est.
E radiosa cala dal Cielo la grazia di un Nuovo Pensiero Economico: rastrellate dai dindaroli e generosamente riempiteli di buone intenzioni, ossia di titoli sui futuri guadagni, immancabili, si auspica, poiché: date e vi sarà dato.
Perché non si mettono date di scadenza sulle scatole rotte di queste belle pensate, già rancide prima della salamoia, ma sempre buone per riempire i ripiani di dispense svuotate dagli accaparratori?

3º quadro

Alla prima mostra della stagione
Come una mammola risplende il pittore.
E anche se il lavoro non è granché
Quanta bella gente attorno al buffé!
Allineati in bell'ordine - non li vedi? - sembrano tutti usciti di fresco da corsi specialistici dove hanno appreso lezioni coatte per correre sul filo del perbenismo ottico esercitandosi con insensibili spostamenti di quanto si sono ritrovati sulla strada senza essersi posti neppure il problema di sceglierlo, solo l'incarico di amministrarlo.
Alcuni hanno preso a dare spintoni alle avanguardie storiche per costringerle al passo dei pentiti; altri, più scaltri nell'esercizio delle arguzie, riescono persino ad accecarsi senza perdere di vista il decorativismo dello stile.
Tralasciamo i post-raffaelliti della città del mobile Rossetti con i loro spupazzamenti neppure pornografici. 
Avviati verso inconcludenti derive poetiche, a che serve mostrare i fatti, sia pure dei fatti artistici, se poi non è possibile proiettarli nel futuro, loro e nostro?
Aver detto ad esempio (col cinismo, forma laica del moralismo), che nella pittura la fame e la morte sono dei semplici colori, è semplicemente non aver capito che si tratta precisamente di quei colori che gli mancano.
Certamente le opere devono reggersi sulle proprie gambe, ma se poi non prendono a camminare, se non ne hanno o trovano motivo, a cosa serve farle stare in piedi?
Allora, giusto: procurategli una sedia!
Rimarrebbe da decidere quale?
La sedia di Van Gogh è Van Gogh, il suo migliore autoritratto. Proprio perché lui vi è sottratto, si è sottratto. Negandosi al gioco illusorio degli specchi, rimane vuota la sedia sulla quale dovrebbe pur stare. Se non c'è è per sancire il suo esistere nel mondo, al di qua del quadro, in piedi a sfondare le proprie scarpe comunque troppo strette anche per quella camera di tortura.
E proprio a quel dolore Duchamp rispose restando comodamente seduto e facendo camminare per delega i pedoni delle sue scacchiere.
Invece Rauschenberg, poggiata la sedia contro il muro, volta le spalle al quadro; ma gli rimane accanto per bon ton, in grandi scarpe da insegna luminosa, osservandoci con occhio affluente: gli interessa di più il pubblico.
Poi Kosuth con un calcio mostra una sedia qualsiasi: non serve più all'arte né all'artista, per cui guardala dove vuoi salvo che in galleria: tanto è la stessa cadrega di sempre.
In tal modo l'arte ha infine partorito al mondo una sedia senz'altro.
E non è stata poca cosa offrire ad una minoranza linguistica di monomaniaci dallo sguardo spaesato una semplice sedia sulla quale far riposare l'oeil de bronze. 
A questo punto la vicenda potrebbe ritenersi conclusa (come si dice? il motivo è esaurito) se non fosse che qualcuno, inciampando nuovamente nella sedia, non pensasse di poter ancora spremere, da questo oramai esangue stilema da fondi comuni, un qualche lucroso ulteriore profitto applicandovi un tassametro per eterni giri a vuoto e cantarne le imprese.
Magari si ritiene più duro di Van Gogh se prende una brutta sedia; più lucido di Duchamp se la sceglie comoda; più secco di Rauschenberg se la dipinge di un solo colore; più rigoroso di Kosuth se la conduce a fare un carminativo giro di sederi porta a porta in cerca di insufflaggi  trasfusionali di vita quotidiana, psichica e sociale.
Così, assieme ai cadaveri, riprendono a vivere anche le loro suppellettili.
Sembra proprio di andare in giro per una visita d'obbligo nei sepolcri egiziani.
Allora uno non asseconda tabelle di marcia redatte a prescindere dalle proprie convinzioni e rimane seduto quanto gli pare e piace, magari ad aspettare Godot, incipiente dentro l'orizzonte.
C'è da meravigliarsi se invece poi arriva una carruba?
In fondo Cézanne si aspettava tutto da una carota.

4º quadro

Sarebbe meglio aspettarsi tutto da un bastone?
Dopo aver capito che c'è qualcosa di sbagliato che dirotta tutto sul binario doppiamente morto della dislalia dell'opera e dislessia della critica, si capisce anche che la durezza, il rigore, l'ideologia non sono dei brevetti connessi all'apparecchiatura delle cose o delle formulette da applicare; e forse neppure dei metodi semplicemente da adottare a prescindere dalle condizioni materiali.
L'intervallo che intercorre tra la pittura e la critica rimane quello medesimo esistente tra il quadro e la sedia; e il sole, per quanto sempre più abbassandosi all'orizzonte allunghi le loro ombre, non arriverà mai a congiungerle.
Invece le confonde.
E tutti ne approfittano: replicanti della critica e turisti della pittura, ciceroni e vacanzieri, ognuno con la propria sedia in mano si assiepano attorno alle cose e ognuno dice quello che vuole: tanto è valso l'effetto Doppler della critica doc, che discetta sull'annosa questione dell'autenticità in pittura. Tanto è valso l'effetto Doppler della politica doc che discetta sull'annosa questione del valore in economia.
Forse ad attendere Godot sono rimaste solamente le nostre ombre. Noi ci siamo alzati. Siamo andati?
Anche le ombre sporche sui muri di Hiroshima hanno smesso di essere doloranti per diventare una possibilità in più per la pittura: un motivo per affreschi imperiali da utilizzare in qualche mostra - incisiva, si spera!
Si spera. Ecco un'altra paroletta santa. Perché una società che neppure riesce a prevedere, mai potrà prevenire alcunché.
L'immaginazione potrà non essere certo lo strumento fine di osservazione e organizzazione preventiva dei fatti, e neppure dei fatti dell'arte in particolare. Certamente non dovrebbe rimanere alla coda di una immaginazione soddisfatta e satolla che collabora ad estendere il parco buoi per le cicliche mattanze dei cervelli ingrassati al pascolo della speranza.
Sicuramente il ruolo che gioca l'arte in tutto questo non può che essere marginale, al più partecipando di quelli che possiamo definire i caratteri fisiognomici di un'epoca, senza per altro poterli determinare.
Sappiamo essere al contrario i fatti sociali che sempre giocano brutti scherzi all'arte.
In fondo tra le catene da spezzare vi sono anche le frasi fatte, i luoghi comuni, i pregiudizi visivi, i pensieri pensati.
E sebbene l'attività delle avanguardie sia stata già stigmatizzata quale "coazione a creare", senza aver prima spazzato via tutti i tipi di locuzione, l'arte continuerà a consumarsi in questioni di stile.
Perché uno capisce tutto. Poi guarda i risultati e dice: no! Non sarà la mia cosa ad essere calzante, ma lo è forse di più la tua?
Con Raskolniov invece incalziamo nel dire che il timore del giudizio estetico è il primo sintomo dell'impotenza.
Se questo è vero, edonismo e impotenza vanno a braccetto; e in un'epoca di massa il braccetto non può che essere di massa. A cosa è valso, se non all'estetica, liberarsi di illusorie muraglie che mai sono state d'ostacolo all'incursione degli affari?
Bisogna invece incendiare il Padiglione d'Oro: sublime trappola per l'occhio pineale. 
Se le ombre si sono allungate  i tempi si sono accorciati: e i problemi rimangono molti. Ma non possiamo dirveli tutti altrimenti ne rimarremmo sprovvisti.
L'atto gratuito della pittura e il gesto disperato della critica hanno strizzato fuori dallo stivale anche l'ombra di Perelà.
Con una gran risata l'uomo di fumo è sparito portandosi dietro il motto che il ciabattino aveva inciso a fuoco nella tomaia: Et ultra... Ma verso dove?
Di sicuro sappiamo che l'ultima frase pronunciata da quel praticone di Garibaldi (pace all'anima) ricordando l'incontro di Teano, è stata: "Mai più senza programma".
E chi la riferì al fumato Emmanuele giura che pure lui rise di gusto.
Anche di questo vi è un quadro, da qualche parte, con dettaglio di quercie, carabinieri a cavallo e giberne per il rancio.
Allora: quadro per quadro e ride bene chi ride l'ultimo.
È a questo punto che può nascere un inquietante interrogativo che volentieri porgiamo alla cortesia degli astanti in questo bunker d'attesa: l'ombra dello stivale è una palla al piede?
La cosa ci preoccupa... 


5º quadro

... ma non più di tanto, se per finire riusciamo ancora a rilanciare gli spudorati scoli dell'occhio verticale.

. 01 . Gli spostamenti dell'arte contemporanea, dovuti a tensioni che forze esterne e/o interne esercitano sul suo vivo corpo, avvengono ancora tutti entro una fase elastica; la cui caratteristica si manifesta quando ogni allentamento di tensione viene sempre accompagnato da ritorni del corpo su posizioni precedenti. Ritorni non sempre integrali e meccanicamente prevedibili, poiché, uncinata in avanti, verso la fase plastica (dove la materia dell'arte si plasmerà senza ritorno sotto le forze reali storicamente ricomposte, ossia risolte) può rimanere attiva la tensione ironica che, impedendo al corpo si scaricarsi bruscamente, gli evita la mutazione nella fragilità parafrastica.
. 02 . La pittura raggiunta dall'azzeramento diviene facile preda della coazione all'ospitalità. E le leggi dell'ospitalità gli prescrivono o di seguire la linea del silenzio che perpetua l'interruzione del cerimoniale pittorico risolvendola in mera superficie, o di abbandonarsi alla molestia dei significati erratici che la vogliono putativo supporto alla loro incontinenza letteraria. La sua immaginazione gli lascia dire: "Prima che il giallo canti sarò rinnegata più volte".
Afferrata nel cornuto dilemma tra la posizione tragica della mera superficie e quella patetica del supporto, la pittura inizia a oscillare tra queste due proprie soluzioni in cerca delle condizioni sotto le quali apparire di nuovo senza trascinarsi appresso la piagnona piattola del pentitismo.
. 03 . Dopo la presa surrealista della Bastiglia, provata dalla ossessione del politico, detersa dalla quarantena concettuale, addestrata alla dura sospensione del gesto e del colore, la pittura può fare una nuova apparizione esclamando: "Nulla avendo dimenticato, nulla posso trascurare. È questo il mio verde cruccio!".
Poi si ritira dietro le quinte a scrutare l'esibizione che la vecchia rassicurante coppia di pudore e buongusto esegue sulla orizzontalità della convenienza e del risparmio stilistico, tra la verecondia del decorativismo e le insinuazioni dell'iconografia.
. 04 . Allora, sebbene avvolta nelle sonorità pettegole del tribalismo attualista, nelle nenie pedanti d'erudizione carpita in scassi bibliografici, la pittura prende a vivere negli interstizi dei segni, fuori dagli sguardi obbligati, dietro la superficie del quadro, sotto la pelle.
. 05 . Il quadro come scudo reclama l'occhio verticale quale organo supremo delle somatizzazioni dell'arte e della critica. Gli affida la capacità di sorprendere quanto viene espulso dalle code dell'occhio, dagli angoli della bocca. Giacché l'occhio verticale è anche l'orecchio reciso da lasciare al bordello arlesiano; e volentieri si scambiano di posto; irriducibili entrambi a punti di fuga, a linee di orizzonte, a piani geometrali sui quali proiettare e sezionare in appiattiti contorni la consistenza pesante delle cose per indurle alla convergente prassi dello stile, dove l'esistenza è consumata a perfezionare inezie, a correggere tiri mandati a vuoto, a segnare i marciapiedi dell'estetica come cani piscioni a passeggio nel grembo della proprietà privata.
. 06 . Mentre lo sguardo erettile della critica tiene incolonnati i poli dell'alto e del basso, del sublime e del volgare, dell'esclusivo e dell'orda, dell'oro e del fango, l'occhio verticale avvia le strategie epifaniche che spingono l'opera nell'orbita delle profanazioni, nella dimensione finalmente oscena della man bassa, nella promiscuità eudonica degli interfaccia con tutti i termini nessuno escluso.
. 07 . L'occhio verticale è quell'idea libertina che ci consente familiarizzare con il pensiero della morte dell'arte - non con uno schianto, ma con una lagna!. Egli è l'ultima irrisione miliare e l'ultima metafora di quando si arriva alla radice del simbolo e non si può più procedere con la pornografia delle sostituzioni. Quando l'ultima mossa ulteriore, non differibile e forse definitiva, rimane quella che tenta il temerario scambio del simbolo con la cosa simbolizzata stessa: è l'occhio per occhio. Qui il completamento dell'opera richiede l'uomo stesso quale posta, non più i suoi impotenti messaggeri.
. 08 . Costretti a varcare il cerchio allucinante dell'immaginazione, la realtà non potrà certamente perdonare a chi non comprende fin da ora che in tal modo si trapassa dalla storia delle metafore nella storia dei rapporti di forza.
E in questa ultima il soggettivismo può salvarsi anche dalla intolleranza poliziesca a condizione di farsi trovare alla stessa altezza delle vicende; vale a dire nel cerchio allucinante della necessità che intreccia i destini dei singoli in un unico filo armonico teso fino all'apogeo.
E l'apogeo artistico di un'epoca rimane tale fin quando per essa epoca la cosa principale non è l'immaginato ma l'immaginare, non la rendita del simbolo ma il modo di simbolizzare.
. 09 . Salito sulla montagna disincantata, l'occhio verticale vi rimane seduto come un turgore insoddisfatto; che sa di esserlo e in questo saperlo è racchiusa la sua rossa condanna; con la quale può anche tornare indietro, ora, se lo desidera. E, anche - se lo desidera - sottrarsi ai rischi degli interfaccia con quei termini dall'alito cattivo, mal tollerati dalla rispettabilità oftalmica dei chierici prescrittori.
. 10 . Ma dopo tutto questo, come potrà rassegnarsi a mettere nuovamente in opera le escrementate tavole del privilegio e dell'ordine? Con cerulea consapevolezza di cause e di effetti, la sua sommessa cantilena prende a dire:
Voialtri su me non potete contare.



sezione 5
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