Archivio (comunque indiziario) di Erostrato poi Frazione Clandestina
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TESTI E PRETESTI . Note sulla mercificazione dell'opera d'arte . Lettera aperta ad un critico d'arte dal nome (oramai) dimenticato . Compilata e spedita in seguito ad una conversazione avvenuta durante l’inaugurazione della mostra Germinale del 1972 . Cfr. Abaco delle esortazioni critiche, in Aut.Trib.17149 n.1, maggio 1978 .
« Il Vogt insegna a pag.225 del Libro principale : "Da tempo immemorabile era un accorgimento dei reazionari il pretendere dai democratici che dovessero far tutto grtis, mentre essi medesimi (cioè non i democratici ma i reazionari) pretendevano per sé il privilegio di farsi pagare e d'essere pagati... ". Che colpa dei reazionari dunque da parte del Popolo di non essere solamente redatto e scritto gratis, ma di fare per di più ancor pagare i propri collaboratori! Se non è questa una prova della connessione tra il Popolo e la reazione, Carlo Vogt non ci capisce più nulla. » (Karl Marx, Il signor Vogt, Londra 1860)
Spesso alcuni ricorrono al concetto di "mercificazione dell’arte" per rinfacciare una contraddizione nel comportamento di chi tenta, in un sistema sociale capitalistico, la politicizzazione dell'arte in senso "antiformista". Mentre, per questi difensori della coerenza, quanti usano le strutture estetiche già determinate e accettano le indicazioni ideologiche più diffuse, senza nessuna "intenzione politica”, non sarebbero incoerenti e gli si riconosce il diritto di vivere, in generale di arricchirsi.
Per questi ultimi il pascolo, la greppia conquistata  dalla loro immacolata coerenza, viene difeso - sicuramente in considerazione del fatto che riconoscere la greppia porta con sé il diritto al pasto senza limitazioni di sorta.
La verità è un'altra, ed impietosa nei confronti di questi spiriti innocenti.

Per chi in arte non ha "velleità politiche", per chi pretende essere il suo lavoro niente altro che una affermazione formale, l'indifferenza politica si trasforma in scelta di quella particolare ideologia che illude sé stessa su una pretesa produzione spirituale che nascerebbe dal cervello dell'individuo inteso come unità astratta, cosìcché i prodotti di tale attività "rivelazionistica" vorrebbero risultare una pura autoaffermazione del sé per sé o del sé per gli altri, cioè sempre una affermazione tanto individuale quanto astorica. Tale mistificazione dei reali rapporti tra gli uomini non può avere le sue più profonde radici che nella ideologia borghese, e nemmeno della "migliore".
Ma lasciamo in sospeso la questione generale per ritornare a quella particolare della "mercificazione dell'arte", per trattare la quale dobbiamo ricorrere a Marx.
“ Se avessimo indagato per vedere in quali circostanze tutte (corsivo di Marx), o anche soltanto la maggior parte dei prodotti, assumono la forma di merce, avremmo trovato che ciò avviene soltanto sulla base di un modo di produzione assolutamente specifico, cioè nel modo di produzione capitalistico... Le sue condizioni storiche d'esistenza (del capitale) non sono affatto date di per se stesse con la circolazione delle merci e del denaro. Esso nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro e questa sola condizione storica comprende tutta la storia universale"(Marx -Il Capitale-; libro I, sezione II; 3).
"La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e così rende necessaria la trasformazione di esso in denaro: e allo stesso tempo rende casuale che tale transustanzazione avvenga" (op. cit.; libro I, sezione I; 2).
Da queste poche righe si può ricavare che:

l - il modo di produzione capitalistico trasforma tutti i prodotti del lavoro in merce; 
2- tale trasformazione è direttamente connessa alla divisione del lavoro in tale modo di produzione; 
3- la circolazione delle merci e del denaro non sono di per se stesse causa dell'accumulazione del capitale.
Appare chiaro come utilizzare superficialmente l'accusa di "mercificazione dell'arte" in una società che rende merce anche la forza-lavoro, non si riduca a niente altro che ad una affermazione tautologica. D'altra parte la critica che questa "condanna" a produrre merci provoca si accompagna con l'illusione che tale mercificazione possa non avvenire, anzi non deve avvenire affatto per i prodotti del lavoro artistico, a dispetto della generalizzazione che tale fenomeno assume nella società capitalistica.

Da questa illusione - perché di ciò si tratta - se ne dedurrebbe che: 
l) il fenomeno estetico può rimanere intoccato dai rapporti di produzione, nonché dalle forze produttive che ha sviluppato la società nel quale “accade";
2) per cui la serie di tali fenomeni non può essere storicizzata; 
3) potendo rimanere la produzione di tali fenomeni estetici intoccata da una determinata articolazione sociale e dai suoi conseguenti rapporti materiali, il processo di trasformazione dei prodotti del lavoro intellettuale in merce avviene per la volontà del suoi singoli produttori. 
Quest'altra faccia della medaglia a cui ci conduce una utilizzazione non corretta della critica del concetto di "mercificazione dell'arte", si rivela intrisa del più marcio idealismo piccolo borghese, e non importuneremo il materialismo per dimostrare una cosa che si dimostra abbastanza bene da sé.
A questo punto possiamo provare a spostare l'accusa, in questa ricerca dell'imputato (ossia di chi trasformerebbe in merce l'opera d'arte), dalla merce a quella forma nella quale essa si trasforma: il denaro. Sarebbe forse lui la testa di ponte con la quale i rapporti materiali irrompono nell'universo estetico corrompendo il produttore e i suoi prodotti?
A questo denaro che impietosamente riduce alla sua forma tutti i prodotti del lavoro indistintamente, a questo unico possibile mezzo di scambio nella società capitalistica gli "artisti" (specialmente quelle con pretese “critiche”), con un atto della loro libera e individuale volontà, potrebbero opporsi. Così quello che un secolo di lotte di classe ancora non hanno risolto lo si vorrebbe far risolvere al singolo artista, essere soprannaturale, e per la propria salvezza personale! Lasciamo tali vagheggiamenti agli illusi.
Per altri versi deprecare il verificarsi del processo che modifica i prodotti del lavoro artistico in merci e quindi in denaro, è deprecare quella auspicata perdita dell’aura che rapporti economici e tecnologia tendono a liquidare una volta per tutte. Cosa, quest'ultima, che non può che compiacerci.
La teoria benjaminiana della perdita dell'aura ad opera della riproducibilità tecnologica dell'opera d'arte, trova nel denaro uno spietato concorrente, il quale non solo priva l'opera d'arte dalla sua aura sacrale, ma nullifica persino la sua oggettività disperdendola nella sua propria forma. 

In ogni caso è impensabile la riproducibilità tecnologica senza il passaggio storico dal lavoro artigianale a quello industriale, dai mezzi di produzione individuali a quelli sociali, cioè il passaggio dal modo di produzione feudale a quello capitalistico. Così, anche se l'accusato è il denaro, l'utilizzo di questo altro taglio che possiamo dare alla sentenza della mercificazione, svela la sua natura non solo moralista ma anche reazionaria nella misura in cui "sogna" il ritorno a modi di produzione preborghesi.
Fin qui abbiamo voluto individuare i possibili riflessi che l'uso superficiale e approssimativo del termine mercificazione implica conseguentemente.

Ma il senso corretto della "mercificazione dell’opera d'arte" va cercato nel fatto che: "per divenire merce, il prodotto non deve essere prodotto come mezzo immediato di sussistenza per colui che lo produce. Per il possessore merci la sua merce non ha per lui nessun valore d'uso immediato. Altrimenti non la porterebbe al mercato. Essa ha valore d'uso per altri. Per lui, immediatamente, essa ha soltanto il valore d'uso d'essere depositaria di valore di scambio, e così di essere mezzo di scambio. Perciò egli la vuole alienare per merci il cui valore d'uso gli procuri soddisfazione". Così Marx nel Capitale a proposito del rapporto tra merce e suo produttore. 
Per quest'ultimo dunque "...il lavoro (nell'epoca capitalistica) non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d'altro genere, il lavoro è fuggito come una peste... Quando il lavoro alienato abbassa la spontaneità, la libera attività, ad un mezzo, fa della vita generica dell’uomo il mezzo della  sua esistenza fisica" (Manoscritti econ. filosof.)
Questi sono i termini reali in cui va individuato il fenomeno della mercificazione dell'arte come fenomeno particolare conseguente i rapporti di produzione capitalistici che, generalizzati per la gran massa della produzione, tendono ad imporsi nel lavoro di tipo intellettuale. La sussunsione dei prodotti di tale lavoro alle leggi del mercato e del profitto diverrebbe automaticamente sussunsione alla ideologia dominante del capitale.
Ma là dove, quando e nella misura in cui il lavoro di tipo intellettuale non viene ridotto a mero mezzo, esso risulta una manifestazione naturale della quale il suo prodotto rappresenta "l'oggettivazione della vita generica dell'uomo".
Chi con volgarizzazione meccanicistica vede la mercificazione ad ogni apparire di un rapporto di scambio crediamo sia non solo al di fuori del materialismo storico e scientifico, al di fuori dei reali rapporti dialettici ma al di fuori della stessa realtà.
A questo vogliamo aggiungere che in ogni caso "la produzione immateriale, anche quando viene effettuata soltanto per lo scambio, e quindi produce merci, può essere di due specie: l) il risultato di essa sono merci, valori d'uso, che possiedono una forma indipendente e separata dai produttori e dai consumatori... possono circolare come merci vendibili...In questo caso la produzione capitalistica non può trovare che un'appllcazione molto limitata...2) la produzione non è separabile dall'atto del produrre, come nel caso di tutti gli artisti esecutori, degli oratori, degli attori, degli insegnanti, dei medici, dei preti etc.. Anche in questo caso, il modo di produzione capitalistico non trova che una applicazione molto limitata. Tutte queste manifestazioni della produzione capitalistica in questo campo sono così insignificanti, se le paragoniamo con l'insieme della produzione, che esse possono essere completamente trascurate". (Marx, Theorien).

Chi pensa che le contraddizioni che il modo di produzione capitalistico si porta con se e riversa tanto nella produzione materiale che immateriale, possano essere risolte per via volontaristica dai produttori in quanto singoli e persistendo tale modo di produzione, merita la nostra commiserazione critica.
Noi, tenendo presenti i rapporti di forze storiche reali, sappiamo bene che tutte le contraddizioni come le catene che ci legano ancora al regno della necessità, possono essere dileguate e spezzate solo con l'affermazione materiale di un modo di produzione comunistico ad opera di quella forza materiale che è il proletariato moderno.
E in ultimo, nel nostro lavoro, non vogliamo dimenticare neppure per un attimo che nessuna arma della critica può sostituire la critica delle armi. (cr 72)


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