capitolo 6 da 01/54
Le apparizioni dello schermo
41.0 – C’è una strada più chiara di quella (impressionista?) di Swan, che conduce la pittura (giunta al punto limite della mera superficie) a risolversi come "schermo".
È quella che tira dritta, ed evitando la mossa verso l'identificazione [1], raggiunge lo "schermo" direttamente dal movimento di "separazione" [2].
Vi perverrebbe attraverso un procedere empirico, che prende le mosse appena dopo che la figura e lo sfondo si sono separate una dall'altra, per diventare un fantasma la prima e, appunto, uno "schermo" il secondo. Fantasma e schermo che uno verso l'altro e uno contro l'altro si cercano - in ciò manifestando la reciproca ostilità che li rende "ospiti".
Lo "schermo", raggiunto dal movimento di separazione, privato del rigore del passaggio chiasmatico identificativo, consente ora anche l'esercizio delle mosse patetiche per la fissazione della figura; dunque rende questo tipo di "schermo" sempre suscettibile di una sua riconversione in "supporto"; e ancora permette di spingerlo nelle braccia del "motivo" per precipitarlo nuovamente nella rappresentazione.
Alla luce di questo, è del tutto ovvio come non sia indifferente in pittura raggiungere le varie attualizzazioni della "mera superficie" percorrendo strade diverse, che però tutte prevedono e impongono il passaggio per il limite.
I vari modi e modalità di risolvere il passaggio sono le variabili determinanti che consentono, persino allo "schermo", di manifestare il silenzio della pittura in modo altrettanto determinato.
Come il rumore fossile del Big-Bang si mantiene nell'universo, il rumore delle separazioni avvenute nella pittura si mantiene impastato nel fondo della "mera superficie".
È il particolarissimo modo di ritenzione dell'artista di questo silenzio della pittura che consente a tale silenzio di manifestarsi come sonoro silenzio di un’opera particolare.
(Lacerazioni) - Il suono del flauto nelle cerimonie sufi è l'espressione simbolica di una malinconia, di una nostalgia di quando era ancora una canna confusa tra le altre nel canneto: prima della separazione, prima dell'elezione, prima della sua particolarità…. Allora l’individualismo sarebbe una patologia che esprime dolore con tonalità tuttavia personali.
41.1 - Può anche avvenire che esercitando una mossa cinica sul "motivo" o sul "supporto", si possa pervenire ugualmente allo "schermo".
Vedi ad esempio la "tabula rasa" del Caravaggio descritto da Longhi:
- "…La sua (del Caravaggio) deferenza al vero poté anzi dapprima confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardare per lui e a suggerirgli tutto…e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto indispensabile la figura umana; se, uscita questa dal campo, esso seguita a rispecchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro lasciato a terra. Che cosa potesse conseguire a questa risoluzione di procedere per specchiatura diretta della realtà, non è difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che… aveva elaborato una partizione del rappresentabile".
E ancora:
"Uscito che sia il Bacco dal vano colmo dello specchio, vi restano ancora il vassoio di frutta, il nastro dimenticato; receduto il suonatore o il commensale dal tavolo, vi rimangono ancora lo strumento di bellezza 'indecifrata', o il 'pospasto' non consumato: la caraffa smezzata, l'anguria e il melone affettati, la mela intatta e la pera mèzza, le mosche che saltano sulla propria ombra".[3]
Dunque già in Caravaggio la superficie aveva avviato un movimento proprio: lo specchio aveva iniziato a muoversi indipendentemente da ogni figura che lo fissava, verso una propria autonomia che affrancherà infine lo sguardo stesso da tutti gli oggetti del mondo, non escluso quello rivolto alla pittura medesima.
(Allo sguardo in quanto tale sono indifferenti gli oggetti sul quale applicarsi …)
Resterebbe magari da chiarire come si è concretamente svolto e portato a compimento - nel periodo industriale e capitalistico - quel movimento iniziato dallo specchio caravaggesco. Ossia, quali sono stati i procedimenti materiali messi in gioco per completare le separazioni e renderle del tutto concrete e possibili (quelli che, in ultima istanza, come paradigmi interiorizzati, hanno attivato, anche in pittura, quelle procedure che indeboliscono e infine sopprimono i nessi che legano la sensibilità estetica – pittorica - di un'epoca alla vita materiale, immediata e storica.
41.2 - Benché la pittura non abbia paura della vastità, non può spingersi oltre lo "schermo", limite del proprio limite, pupilla e sguardo vuoto sul territorio della non-pittura.
Lo "schermo" tiene la pittura per i capelli: sospesa sopra il baratro nel quale si smarrirebbe tra tutti gli oggetti del mondo.
Con lo "schermo" la discesa di Orfeo si è spinta troppo avanti; e l'unico piacere di cui ancora può godere è lo starsene proprio lì, sul ciglio, a riguardare nell'invisibile la terra fertile della Pittura che si è lasciata alle spalle.
La forza di andare di Mosè era riposta tutta nell'interdizione ad entrare in Canaan; la gloria del suo destino è tutta nel deserto.
- Lo stare di Orfeo ospite tranquillo di Euridice - poiché finalmente adesso sa che ogni ritorno è pericolosamente esposto alla lagna delle ripetizioni.
Lo "schermo" dunque è la forma più compiuta e raggiunta della genealogia della "mera superficie".
Ma un passo è ancora possibile; purché abbia il carattere di un passo in avanti, oltre la soglia della "mera superficie", oltre il sacrificio, ora che la Pittura non può che attingere fuori da sé stessa la propria estrema esigenza.
Così quello che avviene dopo può accadere solo fuori dalla "mera superficie", fuori dal quadro e anche dallo "schermo": ché già è la pittura che si dispone ad essere preda del mondo.
Allora si compie il triplo salto mortale; e la solita scommessa è di cadere in piedi, finalmente nel mondo della realtà fisica e sofferente.
Cosa dire, infine? Per la Pittura è stato fatto tutto il possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore.[4]
41.a - Scolii sullo schermo
(Annunciazione) - La pittura ha potuto raggiungere questa sua particolare (cruciale e miliare) soluzione soltanto carpendola al di fuori del suo corpo ormai stremato e quieto.
L'annunciazione doveva provenire da un messo angelico inviato da un altro luogo; la soluzione rivelata da una nuova e ancora innocente rappresentabilità che era riuscita a sincronizzare le diverse categorie condivise con la Pittura: la luce e il colore, l'immagine e la superficie e lo spazio, tutte impastate con il tempo, e nell'istante offerte all'occhio e allo sguardo.
Così la pittura sorprende, nello sfarfallio cinematografico, la possibilità di un proprio rinnovato palpito.
(una mossa patetica che proviene da situazioni precedenti e progressive)
41.b - L'esperienza cinematografica è propriamente esperienza di incessanti congiunzioni e separazioni (clivaggi?) delle immagini con il piano di proiezione [5]; dalle sue modalità circostanziali la Pittura trae ispirazione, conforto sperimentale e legittimità procedurale per i passaggi che la stanno conducendo verso il limite tendente alla "mera superficie". (E qui forse risiedono i paradigmi dei paraenigmi di "questo" testo)
41.c - (Riproduzioni) Si raccolgono sempre più prove in favore del sentimento del selvaggio (ma anche di Poe e di Wilde) che l'immagine tolga l'anima alle cose riprodotte. Ora la velocizzazione di questa riproduzione può risucchiare via l'intera anima del mondo reale per lasciarlo vuoto come una lapide piatta.
L'obiettivo fotografico, cinematografico, elettronico, risucchia come in un vortice di Maelstrom persino lo spazio tra le cose, gli toglie l'aria, il respiro; toglie il vuoto e le toglie dal vuoto per rinchiuderle nella compattezza fotogrammetrica e farne ciò che ne vuole.
E l'obiettivo applicato alla Pittura la prosciuga dall'immagine, dalla figura, per lasciare il quadro sotto un vuoto pneumatico che - come per la presenza di un gas illuminante - lo rischiara di un'ultima, estenuata ed estenuante, aura da opera d'arte.
Allora: come la riproduzione meccanica del mondo reale, togliendo il vuoto, rende visibile la struttura dell'oggetto (e così lo priva di ogni uso), la riproduzione meccanica della Pittura togliendo il pieno ne rende concreta la struttura e ne consente l'uso.[6]
41.d
- (Cine) - Nella riproduzione filmica il fascio luminoso che parte dalla postazione del proiettore svela, come in un diagramma delucidante, la meccanica stessa del fenomeno che si realizza e mentre si realizza, mantenendo separati (distanti) e del tutto concreti gli elementi in gioco (il testo della pellicola, l'apparecchiatura di proiezione, lo schermo nel buio della sala).
Nella sala cinematografica l'interposizione - sempre possibile - dello spettatore con il fascio luminoso, rivela immediatamente la concretezza dello spettatore stesso, la sua materialità e fisicità, la sua esistenza e sussistenza in uno spazio diverso da quello filmico e tuttavia incidente sulla realtà della riproduzione cinematografica: basta alzare una mano per accertarsi che si è appunto lì con la propria opaca fisicità, e scombinare con la propria importuna ombra il travisamento luminescente dello schermo.
- (TV) - Nella riproduzione televisiva la fonte del segnale coincide con lo schermo che si fa lui stesso luminoso. Il coincidere di quanto era distinto (nella sala dell'esperienza filmica) in un unico punto che è testo, apparecchiatura e schermo, inverte e confonde l'ordine cinematografico per proiettare ora il fascio luminoso (privo però di immagini) sulla realtà circonvicina e imprimersi nella vita quotidiana.
E questo è il suo lavoro: trasformare la realtà fisica in immagine (laddove il film e/o la fotografia trasformano l'immagine in una ulteriore realtà fisica, ovvero non modificano la materia che trattano).
Qui il testo che scorre nello schermo tv prende adesso a illuminare la realtà di chi ne sta facendo esperienza per sottomettersela quale cosa propria, segnata: a questo è valso il capovolgimento della lanterna magica.
L'apparecchio televisivo illumina lo spettatore di fronte per abbacinarlo, proiettandone l'ombra alle spalle, fuori dalla portata del suo sguardo diretto.
Ora l'ombra, la prova della propria tangibilità corporale, dell'atto gratuito dell'interferenza e del proprio marchio fugace sullo schermo cinematografico, è fuori dal suo controllo.
Le immagini televisive non vengono mai disturbate e possono proclamare il loro primato sulla materia mentre il corpo del riguardante si fa evanescente e virtuale, indifferente. (Storia ordinaria di Peter Schlemihl).
L'attività luminosa del video si estende nella circostante quotidianità, sulle opere e i giorni, per divenire attività numinosa.
(Il segnale del cinema proviene dalle spalle, da dietro, come lavoro trascorso, come passato; quello televisivo proviene dal davanti, ossia dall'adesso - è lo stato attuale delle cose; ed essendo sempre in presa diretta, ha una presa diretta sull'esperienza e la comprensibilità del quotidiano, allora del futuro - sorge da diversi passi avanti rispetto al riguardante, e lo compromette)
41.e - La proiezione cinematografica può essere vista (lei stessa) come un modello elementare e metaforico dell'esperienza e della produzione estetica (nella esemplificazione evolutiva della Pittura).
I termini di questa metafora sarebbero il proiettore, lo schermo, il fascio di luce (come rapporto che lega il produttore di luce al suo proprio opaco oggetto attualizzato); lo schermo è il campo di attualizzazione con il quale si opera un sezionamento del rapporto (del fascio di luce proiettato) e dal quale ne consegue una immagine proiettata piana.
L'apparecchiatura cinematografica, quale apparato biologico del pittore (nel quale la memoria-conoscenza è il film, ossia il privato, e il provato) non è nulla senza lo schermo che ne converte l'ego(t)ismo.
Ripartizione trinaria: Macchina motoria lucente - Schermo immobile opaco - Fascio luminoso fantasmatico dell'apparato.
È lo schermo sul quale avviene la sezione e proiezione del fascio luminoso, che consente di trasformare ogni potenzialità dell'intero apparato nell'attualità delle sensibilità visive.
Lo schermo è l'umano (il sociale) e come tale può anche prendere a circolare liberamente tra gli uomini come una offerta; e come un'offerta aprirsi: egli è il figlio da sacrificare per attenuare o redimere una colpa originaria (il conflitto tra individuo e società - limitazioni - flauto sufi - ribellione al padre - l'immagine rinnova l’atto delle sostituzioni, dei capri espiatori, di Abramo e dei suoi figli).
Lo schermo è fisicità di contro al film, emblema del pensiero e del pensabile, che però solo tramite lo schermo può farsi pensiero pensato, sottratto al buio nell'istante di frenata della velocità della luce.
41.f - È dunque attraverso l'esperienza cinematografica che la pittura può prende atto che si può consumare realmente un divorzio definitivo tra la superficie e l'immagine.
Per condurre a compimento tale separazione (clivaggio, sfaldatura) occorreva cioè realizzare anzitutto la possibilità sperimentale e cogliere l'immagine, il fondo e la superficie come cose separabili; soltanto dopo aver visto questa strada possono iniziare ad allontanarsi l'uno dall'altra per inseguire il proprio destino.
Così, trovata infine (concretamente) la mera superficie come "schermo" (ospite) questa si pone adesso come l'ultima e la prima risorsa della pittura.
Da ora in poi anche l'immagine avrà una propria vita: incistata nel fascio luminoso solo l'incidente e il caso ce la potrà rivelare.
(Sembra trovare così forma concreta, storica e tecnologica, anche la definizione data da Leon Battista Alberti alla pittura come intersezione della piramide visiva).
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The apparitions of the screen
41.0 – There is a road clearer than Swann’s (the impressionistic one?), which helps painting (which has now reached the extreme limit of the mere surface) to end up as a “screen”.
It’s the road that goes straight ahead, avoiding the move to identification [1] in order to reach the “screen” directly through the movement of “separation”.[2]
Indeed, it would reach this point proceeding empirically, i.e., right after the figure and the background have separated from each other, the first becoming a ghost, and the second… yes, a “screen”. Ghost and screen, seeking each other and pushing each other away, thus expressing the mutual hostility which makes them both “guests”.
Having been reached by the movement of separation, deprived of the rigour of the chiastic identifying passage, the “screen” now also paves the way for the exercise of the pathetic moves to fix the figure. Thus this type of “screen” is at all times susceptible of being reconverted into a “prop”; and still permits it to push it into the arms of the “reason”, thus resolving it into depiction once again.
In the light of the above, it is quite evident how in painting attaining various expressions of the “mere surface” by diverse pathways does make a difference, given that each requires and demands a limit passage.
The various ways and methods to foster the passage are the variable determinants which allow even the “screen” to express the silence of painting in an equally determined manner.
Like the fossil noise of the Big Bang lingers throughout the universe, so the noise of the separations consumed in painting lingers as a smear at the “bottom” of the “mere surface”.
It is the highly distinctive manner in which the artist retains this silence of painting which enables it to express itself as the loud silence of a specific work.
(Gashes) – the sound of the flute in sufi ceremonies is the symbolic expression of melancholy, of the flute’s nostalgia for when it was still an indistinct reed amongst a clump of other reeds: before separation, before election, before its specifics… Then individualism would be a pathology which expresses pain, albeit in highly individualized tones.
41.1 – It can also happen, that in spite of making a cynical move at the expense of the “reason” or the “prop”, we can still reach the “screen”.
Take for example Caravaggio’s “tabula rasa”, as described by Longhi:
- “…his (i.e., Caravaggio’s) deference to truth at first allowed him to confirm his naïve belief that it was the “camera’s eye” that was doing the looking for him and telling him how to proceed.. and what surprised him most was when he realized that the human figure is not at all indispensable to the mirror; given that, after the figure has left the field, it continues to reflect the slanting floor, the shadow on the wall, a ribbon lying on the ground. It is not difficult to understand what could result from this resolution on the part of the artist to proceed with a direct mirroring of reality. The result being the tabula rasa of the painterly tradition of those times, which… had wrought a division of what can be depicted.” And further on: “once the Bacchus has come out of the mirror’s full space, there still remain there the bowl of fruit, the forgotten ribbon; the musician or the diner having withdrawn from the table, there still remain the instrument of “undeciphered” beauty, or the “last course”, left untouched; the half-full pitcher, the sliced water melon and melon, the intact apple and the overripe pear, the flies which jump on their own shadows.[3]
And thus in Caravaggio the surface had already initiated an indipendent movement: the mirror had begun to move freely in relation to all the figures that were fixing their gaze on it, moving towards an independence of its own which will ultimately free the gaze from all the objects of the world, including aalso the gaze which is fixed on painting itself.
(The objects on which we need to apply ourselves are indifferent to the gaze qua gaze…)
We would still need to explain how, in the industrial and capitalist era, that movement away from Caravaggio’s mirror was actually effected and accomplished. In other words, what were the actual procedures put into play to complete the separations and render them absolutely factual and possible – i.e., those procedures which, in the final analysis, like internalized paradigms, brought into being, in painting as well, the processes which weaken and finally suppress the bonds that link the aesthetic-pictorial sensitivity to real, immediate and historic life.
41.2 – Although painting has no fear of open spaces, it cannot push beyond the “screen”, the limit of its limit, the pupil and empty gaze over the lands of non-painting.
The “screen” holds painting by the scruff: dangling over an abyss, down which it would be lost in the world and all its objects.
With the “screen”, Orpheus’ descent has gone too far; and the only pleasure it can still enjoy is to stand right there, on the edge, seeing inside the invisible the fruitful soil of Painting it has left behind.
Moses’ will to go was fully dependent on the prohibition to enter Canaan. The full glory of his fate lies in the desert.
– Orpheus staying on quietly as Eurydice’s guest – for now at last he knows that to return in any form dangerously exposes him to the boredom of repetitions.
The “screen” is thus the fullest and most complete form of the genealogy of the “mere surface”.
But one step is still possible: as long as it is a real step forward, past the threshold of the “mere surface”, past the sacrifice, now that Painting can only find its ultimate requirement outside of itself.
Thus, what happens afterwards can happen only outside the “mere surface”, outside the frame and also outside the “screen”: for it is already painting that offers itself as a prey to the world.
That’s when the triple somersault takes place. And the usual challenge is to come out of it unharmed, finally in the world of physical, painful reality.
What to say, then? All that was possible has been done for Painting, starting with the limit of external totality.[4]
41.a – Run-offs on the screen
(Annunciation) – Painting could reach this specific solution (a crucial milestone), only by grabbing it from outside its exhausted and now motionless body.
The annunciation could only come by way of an angelic messenger sent from another place; i.e., the solution as revealed by a new and as of yet innocent ability to represent – an ability to successfully synchronize the different categories shared with Painting: light and colour, image and surface and space, all of them mixed with time, and instantly offered to the eye and to the gaze.
Thus painting finds, in a cinematic flutter, the possibility to throb once again.
(a pathetic move which comes from previous and progressive situations)
41.b – The experience of cinema is in itself an experience of the images’ continuous conjunctions with and separations from (cleavages?) the plane of projection [5]. Painting derives inspiration from cinema’s manner and circumstances, experimental corroboration and procedural legitimacy for the passages which take it to the very edge of the “mere surface”. (And here perhaps is where the paradigms of the paraenigmas of “this” text are to be found)
41.c – (Reproductions) More and more evidence is gathered in favour of the wild sentiment (but also Poe’s and Wilde’s sentiment) that the image should pluck the soul out of things which have been reproduced. Now the speeding up of this reproduction can suck the entire soul out of the real world, leaving it empty and flat as a tombstone.
The photographic, cinematic, electronic lens like an impetuous Maelstrom sucks out even the space between things, takes away the air, takes away our breath. It takes away the void, and takes those things out of the void, shutting them up in a photogrammetrical compactness, so that it can then do what it wishes with them.
While the lens, applied to Painting, dries up the image and the figure, leaving a frame under a compressed-air vacuum, which – like in the presence of a bright gas – lights it up with a final, exhausted and exhausting aura of something resembling a work or art.
In other words: just as the mechanical reproduction of the real world removes the void, revealing the object’s structure (and so depriving it of any meaning), so the mechanical reproduction of Painting takes away the full to make the structure concrete and usable.[6]
41.d
- (“Cine”) – When a film is projected, the beam of light which moves from the projector reveals, like a clarifying diagram, the actual mechanics of the phenomenon as and while it comes into being, keeping the elements in play separate (i.e., apart from one another) and totally concrete (the film text, the projector and other relevant equipment, the screen in the dark cinema hall).
When in a cinema hall the spectator, as sometimes may happen, stands up getting in the way of the beam of light, we are immediately aware of his physical presence, his material and physical substance and existence in a space which is different from cinematic space and cinematic reality, and yet obstructs it. Simply raise your hand and you will be able to test this fact, that you are indeed present here with your shadowy physicality, and that your presence bedevils the luminescent deception taking place on the screen.
- (TV) – In TV, the source of the signal coincides with the screen, which grows luminescent of its own accord. What was distinct (the cinematic experience in the cinema hall) meets in a single point, which consists of text, equipment and screen all in one; it inverts and confounds the cinematic order, which now projects the beam of light (without images, however) on the surrounding reality and leaves its mark on daily life.
And this is its job: to transform physical reality into an image (in that a film and/or a photograph transform the image into another physical reality, i.e., they do not alter the material they treat).
Here the text that runs on the TV screen now begins to light up the reality of those who are experiencing it, in order to control that reality as though it were its own, reserved property. This is what turning the magical lantern upside down has led us to.
The TV set casts light on the spectator from the front in order to blind him, and projects his shadow behind him, beyond the range of his direct gaze.
he shadow, which is proof of the spectator’s physical presence, of his gratuitous interference with and fleeting appearance on the film screen, is now beyond his control.
The TV images are never disturbed and can proclaim their primacy over matter, while the viewer’s body becomes faint, virtual, negligible. (Peter Schlemihl’s Ordinary History)
The video’s luminous activity spreads to the surrounding daily life, to the works and the days, and becomes numinous activity.
(The film signal comes from behind one’s shoulders, like a work accomplished, like the past; the TV signal reaches from the front, i.e., from the present. And so it is the present state of things: and being always live, it has a direct bearing on experience and on our understanding of everyday life, and thus of the future. It arises several steps ahead of the viewer, and puts him at risk).
41.e – The projection of film can indeed be seen as an elementary and metaphorical model of aesthetic experience and production (in the context of the development of Painting).
The terms of this metaphor are, then, the projector, the screen, the beam of light (as a relationship linking the producer of light to its dim physicalized object); the screen is the physicalized field with which we section the relationship (of the projected beam of light) and from which we obtain an image projected on a flat surface.
The film equipment, i.e., the painter’s biological apparatus (in which the memory-knowledge is the film, i.e., the private, or better, the proven) is nothing without the screen, which converts his ego(t)ism.
Threefold partition: luminous motor machine – Dim, still screen – The equipment’s phantasmagorical beam of light.
It’s the screen on which the section and projection of the beam of light take place, which enables us to transform all the potential of the entire apparatus into the present time of the visual senses.
The screen is the human (the social), and as such can also start mingling freely with humankind in the form of an offer. And open up like an offer. The screen is the son to be sacrificed in order to reduce or redeem the original sin (the conflict between individual and society – constraints – sufi flute – rebellion against father – the image once again enacts the act of the substitutions, of the scapegoats, of Abraham and his children).
The screen is physicality as opposed to cinema, an emblem both of thought and the thinkable, which however only through the screen can become produced thought, removed from the dark just as the light decreases in speed.
41.f – And thus it is through the experience of cinema that painting takes cognizance of the factual possibility of a final divorce between the surface and the image.
To accomplish this separation (this cleavage, this falling apart) it was above all necessary to make the experiment possible, and see the image, the background and the surface as separable entities. Only after having seen this path, was it possible for them to part ways, so that each may seek its own destiny.
Thus, having finally (and factually) understood the mere surface to be a “screen” (guest), said surface now posits itself as the ultimate and primary resource of painting.
From now on the image will also have an indipendent life. Encysted in the light beam, only accident and chance will reveal it to us.
(In this way even Leon Battista Alberti’s definition of painting as an intersection of the visual pyramid seems to get factual, historic and technological corroboration).
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