COSA VENIVA FATTO LEGGERE AGLI ABITANTI DELLE CITTA' IN FACCIA AI MONUMENTI E AI LORO PIU' FAMILIARI
FRAMMENTO NUMERO 1 - Questa città appariva al mondo come l'onore e il modello delle città. Non si era d'accordo solo nel dirla la più perfetta, la più ricca di grandi poeti e di grandi monumenti, la più gloriosa. Per l'uomo essa era anche il simbolo, la prova e l'illustrazione di un certo modo di vivere; per il popolo, di un certo modo di governare. Dire questa città significava dire Eschilo, Fidia, Pericle, e altri nomi che ancora ricordavano che quegli artisti erano forti, quegli oratori resistenti, quei sofisti ostinati. Su questa città regnava realmente la severa dea dal gufo e dalla lancia. FRAMMENTO NUMERO 2 - Allora nacque e crebbe nel Nord uno spirito di violenza e di prontezza che dapprima la fece ridere, e poi presto la spaventò. |
FRAMMENTO NUMERO 24
– I cittadini più sapienti, abituali lettori degli storiografi, non trovavano del tutto innocente il passato della loro città, e vedendo nella violenza e nella furbizia le molle ultime della politica, ritenevano che Filippo facesse solo apertamente e in grande ciò che in fondo era stato sempre fatto pudicamente e in piccolo. Certamente condannavano i suoi eccessi, ma accoglievano i suoi princìpi in nome dell'esperienza. Li trovavano conformi all’attuale andazzo delle cose. A parer loro la ragione stessa consigliava di liberarsi dai pregiudizi della morale corrente e di praticare arditamente precetti più aderenti e realistici, concreti e disinvolti. FRAMMENTO NUMERO 25 - Accogliendo sorridendo gli implacabili insegnamenti introdotti da Filippo, alcuni cittadini si soffermavano a pensare che se a decidere fosse solo la spada, allora non rimaneva più nulla che, volendo, non si poteva conquistare; più nulla che, piacendo, non si poteva abbandonare. Davanti al preciso dilemma della forza e della debolezza ogni regola si stemperava e cancellava. Così non esistendo altra legge oltre il successo nessuno sforzo poteva esser condannato in anticipo e ognuno poteva prendere il via per tentare la propria fortuna, lo schiavo quanto gli altri. Non era forse questa la via per l’estendersi della democrazia? FRAMMENTO NUMERO 26 – Questa città era giunta a tal punto di follia, di insania, o di non si sa cos’altra cosa, che invitava a parlare uomini prezzolati, tra i quali alcuni non potevano neppure negare di esserlo. E non era neppure questa la cosa più intollerabile, ma il fatto che veniva consentito a costoro di far politica con maggiore sicurezza e senza i rischi di coloro che parlavano con franchezza nell’interesse della città. Eufreo venne preso a bastonate dai suoi concittadini per aver scoperto le trame e denunciato i traditori ben prima che Filippo si presentasse in ordine di battaglia di fronte alle mura della sua città. E allora si uccise. Inutilmente qualcuno ricordava ai cittadini che per un uomo veramente libero la necessità più forte è costituita dalla vergogna per ciò che accade. FRAMMENTO NUMERO 27 – In questa città c’erano anche parecchi giovani pieni di spirito estroso e sacrilego. Questi rampolli viziati pendevano dalla parte del rozzo Macedone per un eccesso di raffinatezza, quasi per assaporare un poco di ascetismo tra un'orgia e l'altra. Non si rendevano conto che la loro mania del paradosso e dello scandalo non sarebbe stata tollerata affatto dal loro rozzo idolo attuale. Sarcastici verso la democrazia, che sopportava la loro irrisione, questi giovani ammiravano un tiranno che nel suo Paese li avrebbe fatti decapitare senz’altro, ma che invece si deliziava nel vedere tali fermenti di decadenza e dissolutezza operosi nella città nemica. FRAMMENTO NUMERO 28 - Questa era la situazione. Per questa città non si trattava soltanto di affrontare una guerra di cui non aveva dopo tutto alcuna ragione di disperare. La città disponeva di un esercito temibile, della prima flotta del mondo, di un tesoro ben fornito, di colonie numerose e ricche di materie prime. Nell'opporre gli opliti alla falange aveva qualche speranza; ma di fronte ai metodi usati da Filippo tutto si complicava e la città si sentiva disarmata. Si sarebbe forse venuti a capo della violenza con le preghiere? dell'avidità con i ragionamenti? dell'inganno con il candore? FRAMMENTO NUMERO 29 - Come poteva la volontà di questa città trovare un'intesa contro la volontà di conquista di Filippo? Cosa poteva lo spirito di giustizia di questa città contro l'insaziabile ambizione di Filippo, della sua buona fede contro i falsi giuramenti di Filippo? Cosa potevano gli oratori di questa città contro le spie di Filippo? Come poteva questa città vincere Filippo se non con le stesse armi di Filippo? Ma tradire sé stessa sarebbe stato sicuramente per questa città peggio della vittoria del suo avversario. Perché il tradimento di questa città era infinitamente più rilevante dei tradimenti di Filippo. Significava passare armi e bagagli al nemico. L'universo stupito e deluso avrebbe allora vista questa città riconoscere l'efficacia della perfidia, l'onnipotenza della menzogna, la fondatezza del tradimento. FRAMMENTO NUMERO 30 - Certo nei suoi compiti quotidiani, la polizia di questa città provocava delazioni, preparava trappole, si comportava brutalmente. Era necessario. L'opinione pubblica la giustificava per il benessere generale. Ma non certo per questo la polizia era stimata. Non era certo con metodi da gendarmeria che questa città poteva trovare il proprio destino. Al contrario, sconfitta ma rimasta leale e fedele agli insegnamenti dei suoi filosofi, affermando con loro come fosse preferibile subire l'ingiustizia piuttosto che commetterla, questa città restava nella storia l'eterna Città di Socrate e di Platone. FRAMMENTO NUMERO 31 - La storia poteva anche approvare l'opera del vincitore, ammirare la straordinaria elevatezza di quel piccolo e oscuro re del Nord, additarlo addirittura ad esempio di energia e tenacia. La storia avrebbe forse mostrato un Filippo sempre deciso e attento, che dappertutto fa nascere occasioni e circostanze ed è capace poi di coglierle una ad una nel momento più opportuno, mentre questa città era pigra, frivola o stanca, incurante o esitante. FRAMMENTO NUMERO 32 - In queste condizioni, qual era il dovere di questa città? Doveva lasciarsi asservire da Filippo piuttosto che imitarlo? Oppure doveva annientarlo muovendosi sulle sue orme e battendolo per eccesso degli stessi crimini inaugurati da lui? Portando alle estreme conseguenze i suoi stessi ammaestramenti? Cosa sacrificare tra la propria esistenza e la propria vocazione? Disperando di un avvenire che rinunciava a preparare e intorno a cui presagiva male, questa città finiva col dubitare del proprio diritto. Si sorprendeva a pensare che la scelta di rimanere nella ragione forse non era dovuta a virtù, ma a debolezza, consuetudine o paura. FRAMMENTO NUMERO 33 - Gli abitanti di questa città si rendevano conto che oltre al fatto di attendere e discutere, imbastire teorie, proporre ipotesi e spiegare, studiare e commentare, non facevano nient'altro. Erano coscienti di essere troppo distaccati, troppo filosofi, troppo obbiettivi. In una parola troppo civili. Si chiedevano inoltre se Filippo non avesse ragione. Non prolungavano essi forse una vita stanca della vita in un mondo in cui essere stanchi era funesto? In tal caso la vittoria dei loro eserciti o quella dei loro alleati, non li avrebbe affatto cambiati. Li avrebbe soltanto restituiti al proprio languore. FRAMMENTO NUMERO 34 – Una vittoria conquistata dall’uno o dall’altro tramite un’abile diplomazia, non avrebbe per nulla spento quello spirito di arroganza esperta che prende per lode il biasimo rivolto al cinismo. Compiacendosi di essere conseguenti e lucidi dove gli altri si dimostrano timidi e in errore, quello spirito di impudenza e di sopraffazione sarebbe presto rinato in qualche altro punto del mondo, fiducioso nelle proprie forze, sdegnoso delle leggi umane che invano si era sperato di fargli rispettare. Sarebbe risorto nuovamente, sveglio e audace dinanzi al piacere del momento e all'indolenza di sempre. Meglio dunque affrontarlo. FRAMMENTO NUMERO 35 - Era necessario sconfiggere l’ardore che al momento animava Filippo. Volendo sottomettere alla grandezza della Macedonia qualsiasi cosa dell'universo, quel tiranno forzava ognuno a diventare servitore terrorizzato del suo appetito di conquista. In caso di trionfo avrebbe portato via il corpo e lo spirito a chiunque lasciandogli unicamente la sola libertà di cui non poteva privare le sue vittime: quella di piangere in segreto la miseria della propria sorte. FRAMMENTO NUMERO 36 - Prendendo le armi contro un conquistatore tanto metodico, questa città le prendeva contro chiunque portasse in sé qualche progetto, nutrisse qualche speranza, fosse disposto a firmare qualsiasi cambiale sull'avvenire. Ma in quanto a speranze o progetti, questa città non ne presentava affatto. Era questo il suo vizio capitale e la fonte di ogni sua manchevolezza. Sembrava che un dio, provando vergogna per questa città, avesse ispirato a Filippo quella smania di agire. FRAMMENTO NUMERO 37 - Non essendo trascinato da una fede, ogni abitante di questa città pensava per prima cosa al proprio comodo e non concedeva alla Città neppure quel poco che essa si aspettava da lui. Per quanto minimi fossero gli obblighi di ogni cittadino, egli mercanteggiava e otteneva che venissero ancor più ridotti e meglio retribuiti. Ogni compito lo eseguiva male, senza coscienza, quando ne aveva voglia, stando ai propri comodi, risparmiandosi ogni fatica e ogni seccatura; contento di dar l'illusione del lavoro compiuto ad un superiore che, per semplificare il proprio, si accontentava delle apparenze. Invece di proporsi per lavori difficili, ripugnanti o pericolosi, ognuno si sottraeva, aspettando che se ne occupasse qualcun altro, per poi prenderlo in giro nel vederlo eseguire senza piacere quel compito che invece lui aveva saputo abilmente evitare. L'altro capiva la lezione e non riprendeva il lavoro. FRAMMENTO NUMERO 38 – L'emulazione, che normalmente porta ognuno a far meglio o anche più del prossimo, suggeriva ad ogni cittadino di competere invece nell'arte di allontanare più lavoro possibile, o di sbarazzarsene al più presto. Se qualcuno formulava il progetto di una riforma o concepiva la necessità di una revisione, rinunciava poi subito ad intraprenderle nella certezza che il suo sforzo non avrebbe risvegliato alcun interesse, né rinvigorita alcuna decisione. Conveniva evitarsi ogni seccatura, destinata soltanto ad incontrare l'indifferenza e l'ironia dei più, la pigra e disillusa simpatia di pochi. Così ogni abitante di questa città vegliava gelosamente sulla propria tranquillità giustificando gli altri per poter essere giustificato. E la reciproca indulgenza alimentava l'incuria generale. FRAMMENTO NUMERO 39 - Le esitazioni, la lentezza, la mancanza di iniziativa e di coraggio di questa città dinanzi a Filippo erano lo specchio del poco animo e della scarsa premura che i suoi cittadini mettevano nel servire la città, che si attardava a riflettere per non dover decidere. Ingegnandosi a conciliare per non dover scegliere questa città scopriva vantaggi in ogni tipo di comportamento; e pur di non condannare nessuna condotta, mancava poco di trovarle in blocco tutte compatibili; nondimeno ne sottolineava gli inconvenienti, perché neppure trovava vantaggioso approvarne una senza riserve. FRAMMENTO NUMERO 40 - La tolleranza di questa città verso chi agiva a proprio piacimento nascondeva un abbandono, la sua pazienza copriva una perplessità, la sua benevolenza celava uno sgomento. Essa aveva perduto persino quella fermezza di pensiero che permette di porre i problemi con chiarezza e così fornire anche l'audacia e l'immaginazione necessari per risolverli. FRAMMENTO NUMERO 41 - Lucida e decisa, questa città avrebbe saputo forse guardare in faccia la situazione che le creava Filippo. Avrebbe osato guardarla fissamente, in tutta la sua severità, invece di aver l'aria di stropicciarsi gli occhi perfino sul campo di battaglia. Lucida e decisa, questa città avrebbe riconosciuto la via che le restava da prendere in una situazione estrema così crudele, e vi si sarebbe spinta senza titubanze consentendo agli indispensabili sacrifici, venendo a patti dove necessario, rimanendo inflessibile sul resto. La si credeva votata alla difesa di posizioni acquisite e incapace di innovazioni, e invece avrebbe presto sconcertato tutti ovunque per l'ampiezza e l'imprudenza dei suoi progetti. Ma anche risoluta ad agire in tal modo, la situazione non presentava vie d'uscita. FRAMMENTO NUMERO 42 - Filippo aveva infiammato l'ardore dei suoi proponendo un'impresa la cui stessa follia li aveva attratti proprio nel momento in cui la si era creduta disperata. Una impresa che poi sedusse per la sua dismisura appena si dovette riconoscerle una possibilità di successo. Per strappare via il prestigio che Filippo traeva da un disegno che aveva le dimensioni stesse dell'universo, occorreva che questa città concepisse un progetto la cui portata non fosse da meno. FRAMMENTO NUMERO 43 - Si sarebbe detto che il Mondo avrebbe esaurito le terre che poteva offrire all'avidità di Filippo ben prima che lui, stanco di soggiogarne, facesse a tutti la grazia di sentirsene appagato. Ma questo eccesso d'amore per la Macedonia comportava l'odio in tutti coloro che avevano pagato o si vedevano costretti a pagare le spese della crescita della Macedonia. Quel monarca che portava al suo paese un amore tale da volerlo dilatare ai confini del mondo, risvegliava ovunque e in ognuno i più vecchi e i più sterili risentimenti. FRAMMENTO NUMERO 44 - Se si intendeva soltanto limitare l’ambizione di Filippo e ristabilire un ordine, sarebbe stato sufficiente che i cittadini di questa città rispondessero a quello smisurato amore di Filippo per la Macedonia con un uguale amore per la propria Città. Ma giustificando con un simile amore la condotta di Filippo, essi dovevano biasimare sé stessi per lesinare alla loro città un istante del loro tempo o una particella dei loro beni e ritenersi colpevoli di non fare per il loro paese quanto Filippo faceva per il suo. FRAMMENTO NUMERO 45 – Questa città non poteva esigere dai propri concittadini una devozione minore di quella dimostrata dal loro nemico, per il quale non c'erano né ricchezze né vite né princìpi che si risparmiasse se era in gioco l'interesse della sua dinastia e del suo popolo. Era dubbio che questa città ottenesse spontaneamente una uguale devozione; e ad esigerla avrebbe perso il diritto di indignarsi del fatto che Filippo commettesse tanti inespiabili crimini per la massima gloria della sua patria. FRAMMENTO NUMERO 46 – Si trovava di nuovo scatenato quell'odio puro dei popoli, che già tanto era costato agli uomini in sangue e in lacrime, e che arrivava sempre solo a quei risultati effimeri, che la violenza aveva assicurato e che la violenza avrebbe compromesso. Da tempo questa città riponeva altrove la sua sottile felicità e la sua essenziale gloria. Era a lei che gli antenati avevano procurato il privilegio della guida lasciatagli in eredità con molti e gravi rischi. Adesso questa città doveva sopportare le conseguenze della propria elezione. I suoi indugi non cambiavano minimamente una verità così semplice e crudele. Continuavano solo a persuaderla ancor di più di dover pagare. FRAMMENTO NUMERO 47 – Questa città aveva scelto i lavori dell'arte, della ragione e della pace che alla lunga, sembra, snervano gli spiriti più fieri. Accumulava all'interno di antiche mura tesori fragili la cui stessa rinomanza l'esponeva alla brama di conquista. Così nel momento in cui provocava maggiormente l’avidità del Barbaro, questa città si scopriva la meno adatta a resistere ai suoi assalti. Ma anche senza speranza né convinzione, e sapendosi dall’inizio destinata a soccombere, doveva affrontarli. E infatti lo fece. FRAMMENTO NUMERO 48 - Questa città, che era stata vista rinascere ogni volta dopo le sue molte distruzioni, fu vinta a Cheronea, e lo fu per sempre. |
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