LA DONNA E IL SOCIALISMO

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August Bebel . 1883 . ediz. it. 1905
arteideologia raccolta supplementi
made n.22 Luglio 2024
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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LA DONNA NEL PRESENTE . 11. 1

LA SOCIALIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ . seguito 

[ chimica e fonti di energia ] [1]

Colui che fa intravedere questa prospettiva non è un illuso, ma un ben noto professore dell'università di Berlino e presidente dell'Istituto imperiale di tecnica fisica, un uomo che occupa uno dei primi posti nella scienza.
Secondo questo concetto si eliminerebbe la possibilità di mancare di materiale combustibile. Ed essendo possibile, per l'invenzione degli accumulatori, il riunire grandi quantità di forze e riserbarle per un luogo e un tempo a piacere, di modo che oltre alla forza che ne forniscono il sole, il flusso e il riflusso, possa essere ottenuta e utilizzata anche la forza del vento, dei rivi montani, che non si ha se non periodicamente, così non esiste nessuna attività umana per la quale, se occorresse, non vi sarebbe forza motrice. Prospetti favolosi sono pure quelli che l'ex ministro del culto francese, il prof. Berthelot, ci manifestò nella primavera del 1894 in un banchetto del sindacato dei fabbricanti di prodotti chimici in un discorso sull'importanza avvenire della chimica. Il Berthelot descrisse quale sarà nel 2000 la chimica e, se le sue esposizioni contengono molte esagerazioni umoristiche, vi è però anche tanto di giusto da citarne alcuni brani.
Il Berthelot espose i progressi della chimica in pochi decenni e designò fra gli altri come suoi prodotti: «La fabbricazione dell'acido solforico, della soda, l’imbiancare e il colorare, l’estrazione dello zucchero dalle barbabietole, gli alcaloidi terapeutici, il gaz, la doratura e l’argentatura, ecc.
Poi venne l'elettro-chimica, la quale trasformò fondamentalmente la metallurgica, la termo-chimica, e la chimica delle sostanze esplosive, che provvede l’industria delle miniere come la strategica di nuove energie, i miracoli della chimica organica nella produzione dei colori, dei profumi, i mezzi terapeutici ed antisettici, ecc.»
Ma questo non sarebbe se non un principio; presto sarebbero sciolti problemi più importanti. Nell'anno 2000 non esisterebbero più agricoltura né contadini, poiché la chimica avrebbe fatto cessare il sistema fin qui usato di coltivazione del suolo.
Non vi sarebbero più miniere carbonifere né, in conseguenza, scioperi di minatori. Il materiale combustibile sarebbe sostituito da processi chimici e fisici. Dazi e guerre aboliti; l’areonautica, che si servirebbe di sostanze chimiche per forza motrice, avrebbe segnata la sentenza di morte di tutte le istituzioni antiquate. Il problema dell'industria consisterebbe nel trovare sorgenti di forze inesauribili e rinnovabili col minor lavoro possibile.
Fin qui si sarebbe prodotto il vapore con l’energia della combustione del carbon fossile, ma questo sarebbe difficile ad ottenersi e la quantità diminuirebbe di giorno in giorno. Bisognerebbe pensare a utilizzare il calore solare e il calore interno della terra. Esiste una speranza fondata di potersi servire di ambedue le sorgenti con applicazione illimitata.
L’aprire una miniera profonda dai tre a quattro mila metri non sorpassa il potere degli ingegneri moderni e tanto meno di quelli dell’avvenire. Con ciò si aprirebbe la fonte di tutto il calore e di tutte le industrie. Se vi si aggiungesse ancora l’acqua, si potrebbero fare agire sulla terra tutte le macchine immaginabili. Questa sorgente di forza subirebbe in centinaia il' anni solo una minima diminuzione.
Col calore della terra si potrebbero sciogliere numerosi problemi chimi, fra i quali il più grande, quello di comporre artificialmente gli alimenti. Nei principî sarebbe già sciolto; la sintesi dei grassi e degli olii è nota da molto tempo. Gli idrati di zucchero e di carbone si conoscono già, e presto si conoscerebbe la composizione degli elementi azotati.
Il problema dell’esistenza è puramente chimico: il giorno in cui si potesse ottenere la forza corrispondente a buon mercato, si produrrebbero alimenti di ogni specie, ottenendo le sostanze carboniche dall'acido carbonico, l’ossigeno e l’idrogeno dall'acqua, l’azoto dall'atmosfera. Quello che hanno fatto finora le piante farebbe l'industria e più perfettamente della natura. Verrebbe il tempo in cui ognuno porterebbe una dose di prodotti chimici in tasca, coi quali soddisfare i propri bisogni di alimentazione riguardo all'albumina, ai grassi e agli idrati di carbonio, senza curarsi del giorno e della stagione, della siccità, dei geli, della grandine e degl'insetti devastatori.
Nascerebbe allora uno sconvolgimento di cui ora non possiamo nemmeno farci idea. Orti, vigne e pascoli sparirebbero, l'uomo acquisterebbe in mitezza e moralità, perché non vivrebbe più dell’uccisione e della distruzione di esseri viventi. Sparirebbe anche la differenza fra le contrade fertili e le sterili, e forse i deserti diventerebbero i soggiorni preferiti degli uomini, perché sarebbero più igienici che non il suolo umido e le pianure paludose dove si pratica l’agricoltura.

[ anche l’arte ]

Anche l’arte con tutte le sue bellezze giungerebbe a pieno sviluppo.
La terra non sarebbe più sfigurata dalle linee geometriche, ora tracciate per scopo agricolo, ma diventerebbe un giardino nel quale si potrebbe lasciar crescere a piacere erbe, fiori, boscaglie e foreste, e nel quale la razza umana vivrebbe nell'abbondanza dell'età dell'oro.
L'uomo non s'abbandonerebbe più all'ozio e alla corruzione. Per la felicità ci vuole il lavoro e l'uomo lavorerebbe quanto mai, perché farebbe ciò solo per il suo profitto, per portare al punto culminante il suo sviluppo spirituale, morale ed estetico
Il lettore farà della conferenza del Berthelot l’apprezzamento che crede. Certo è che in avvenire la qualità, la quantità e la molteplicità dei prodotti crescerà notevolmente per opera dei più svariati progressi, ed i piaceri della vita delle future generazioni si miglioreranno in modo che non prevedibile.

[ elettricità, velocità e alimenti artificiali ]

L’elettricità renderà possibile di più che raddoppiare la rapidità delle nostre ferrovie. Se al principio del 1890 Meems di Baltimora ritenne possibile di costruire un motore che percorresse 800 km. all’ora, ed Elihu Thomson a Lyn (Massachusetts) motori elettrici che, rinforzando le strade ferrate e migliorando il sistema di segnalazione, facessero 200 km. all’ora, queste aspettative si sono quasi realizzate. Le corse di prova intraprese nel 1901 e nel 1902 sulla strada militare Berlino-Zossen, provarono la possibilità di una rapidità di locomozione fino a 150 km. all’ora.
Elihu Thomson si accorda ancora con Werner Siemens, il quale, nel 1887 al congresso dei naturalisti a Berlino, espresse l’opinione della possibilità di convertire la materia prima in alimenti.
Mentre Werner Siemens riteneva una volta che si potesse, se pure in tempi ancora lontani comporre artificialmente un idrato di carbone come lo zucchero e, più tardi, l’amido suo prossimo parente, con la qual cosa si sarebbe avuta la possibilità di fabbricar pane coi sassi, il chimico Meyer asserisce che sarà possibile convertire le fibre legnose in una sorgente di alimenti. Intanto il fisiologo Tiseler ha fabbricato artificialmente lo zucchero, facendo con ciò una scoperta che Werner Siemens supponeva probabile soltanto in un tempo remoto.

[ la scelta ]

Un bisogno profondamente radicato nella natura umana è quello della libertà di scelta e della possibilità di cambiamento di occupazione. Come il mangiare continuamente un cibo, anche il più prelibato, lo fa venire a nausea, così avviene di un’occupazione ripetuta giornalmente a guisa di macchina: essa rende svogliati e snervati. L’uomo fa solo meccanicamente quanto è obbligato a fare, ma senza slancio e senza piacere. In ogni uomo stanno latenti attitudini o impulsi che hanno bisogno soltanto di essere svegliati e sviluppati per produrre i migliori risultati. Solo allora l’uomo diventa perfetto. La società a sistema socialistico offre la migliore occasione di soddisfare questo bisogno di cambiamento. Il grande aumento delle forze
produttive, unito con la sempre maggiore semplificazione dei processi di lavorazione, rende possibile non solo una considerevole limitazione delle ore di lavoro, ma facilita l’addestrarsi nei più disparati mestieri.
L’antico sistema d'insegnamento è già fuori d'uso; esso esiste ed è soltanto possibile ancora in quella forma di produzione arretrata ed antiquata che presentano le piccole industrie.
Ma con lo sparire di queste, nella nuova società spariranno tutte le istituzioni e le forme che sono loro proprie per cedere il posto a nuove forme. Ogni fabbrica mostra già oggi quanti pochi operai essa possieda che seguano ancora l’inclinazione sviluppatasi nell'esercitare un mestiere. Gli operai hanno le tendenze più svariate: poco tempo basta per addestrarli in qualche ramo di lavoro nel quale sono obbligati, dal sistema di sfruttamento dominante, a servire per lungo tempo senza variare e senza riguardo alle loro inclinazioni e dove finiscono per diventare vere macchine.[2]
Questo stato di cose cessa con la nuova organizzazione sociale. Rimane sempre tempo sufficiente per i mestieri e per le occupazioni artistiche. Grandi locali, provveduti di ogni comodità e disposti nel modo più perfetto, facilitano ai giovani e agli adulti l’imparare un’arte o un mestiere qualsiasi.
Esistono laboratori chimici e fisici corrispondenti a tutte le esigenze della scienza, e non mancano gli insegnanti. Resta soltanto a conoscere quante attitudini e capacità soffoca o fa sviluppare in modo falso il sistema di produzione capitalistico. [3]
Ma non esiste solo la possibilità. di tener conto del bisogno di cambiamento, dev'essere scopo della società di soddisfare questo bisogno, perché su ciò si basa l’armonico perfezionamento dell’uomo. Spariranno a poco a poco le fisionomie che portano l’impronta del mestiere, oggi incontrate nella nostra società – consistano questi mestieri in attività uniformi determinate di qualunque specie o nell'ozio. Sono assai pochi ai nostri giorni gli uomini che posseggono la possibilità di cambiare occupazione. Troviamo qualche volta alcuni privilegiati per condizioni speciali che si sottraggono alla monotonia del mestiere giornaliero e, dopo aver pagato il tributo al lavoro fisico, si ricreano in un lavoro intellettuale. Al contrario si trovano a volte lavoratori intellettuali che si occupano in qualche attività manuale, di giardinaggio, ecc.
L’effetto benefico di un'attività basata sull’alternativa di un lavoro fisico e intellettuale è confermata da tutti gli igienisti; esso solo è secondo natura. È sottinteso che ogni attività venga esercitata misuratamente e corrisponda alle forze individuali.
Nell'opera L’importanza della scienza e dell’arte Leone Tolstoj sferza il carattere ipertrofico e non naturale che nella nostra società hanno assunto l’arte e la scienza.
Egli condanna il disprezzo nutrito dall'odierna società per il lavoro fisico e raccomanda il ritorno a condizioni naturali. Ogni uomo, che vuole vivere secondo natura e con soddisfazione, deve impiegare la giornata: 1. nel lavoro manuale dell'agricoltura; 2. nel lavoro d’artigiano; 3. nel lavoro intellettuale; 4. Nella società educata. L'uomo non deve compire più di 8 ore di lavoro fisico. Tolstoj, che mette in pratica questo modo di vivere, e da che l’esercita soltanto dice di sentirsi uomo, non calcola però che quanto è possibile per lui, uomo indipendente, è impossibile nelle condizioni attuali per la grande massa degli uomini. Un uomo che deve lavorare assiduamente da 10 a 12 ore del giorno per assicurarsi l’esistenza più meschina, e che fu allevato nell’ignoranza, non può attenersi al modo di vivere di Tolstoj. Altrettanto non possono fare neppure tutti quelli che lottano per l’esistenza e le cui pretese debbono piegarsi alla sorte; e i pochi che potrebbero fare come Tolstoi, nella maggioranza, non ne sentono il bisogno. È una sua illusione credere che le prediche e l’esempio possano cambiare la società. Le esperienze fatte da Tolstoj col suo modo di vivere provano quanto sia razionale, ma per poterlo introdurre come regola generale fa duopo di altre condizioni di una società nuova.

La futura società avrà queste condizioni; essa possiederà dotti ed artisti d’ogni specie, ma ognuno di essi si eserciterà una parte del giorno nel lavoro fisico e il resto del tempo lo dedicherà, secondo il suo gusto, agli studi, alle arti e alla vita sociale. [4]

Da quanto si è detto fin qui si deduce che saranno impossibili nella società futura le crisi e la mancanza di lavoro. Le crisi provengono; dal fatto che la produzione capitalistica, allettata dal profitto personale e senza misura certa del vero bisogno, produce la sovrabbondanza della merce e della produzione. La natura dei prodotti sotto l’ordinamento capitalistico, considerati come mercanzie che i proprietari sono desiderosi di scambiare, rende il loro consumo dipendente dalla facoltà di acquisto dei consumatori. Ma tenuto conto dell’immensa maggioranza della popolazione, che viene pagata meno del giusto prezzo per il lavoro che produce e non trova impiego se colui che la adibisce non può cavare da essa un profitto, la facoltà d'acquisto è limitata. Capacità d'acquisto e di consumazione sono nel mondo borghese due cose affatto diverse.
Molti milioni di persone abbisognano di nuovi vestiti, di scarpe, di mobilia, di biancheria, di commestibili, ma non posseggono denaro, e così restano insoddisfatti i loro bisogni, cioè la loro facoltà di consumazione.
Il mercato ribocca di merci, ma la massa ha fame; essa vuole lavorare ma non trova nessuno che paghi il suo lavoro, perché l’intraprenditore non vi può nulla guadagnare.
Muori, sparisci, diventa vagabondo, delinquente, io, capitalista, non ho il rimedio; non posso fare acquisto di mercanzie per le quali non trovo i consumatori che mi diano corrispondente profitto. E dal suo punto di vista, il capitalista ha ragione.
Nella nuova società questo contrasto verrà eliminato, perché essa non produrrà merci da comprare e da vendere «ma bensì le merci che occorrono per i bisogni della vita, le quali dovranno essere consumate, altrimenti non avrebbero altro scopo». La capacità di consumazione non trova dunque in essa, come nella società borghese, il suo limite nella capacità di acquisto dell'individuo, ma nella capacità di produzione della collettività. Se esistono mezzi e forza di lavorazione, ogni bisogno potrà essere soddisfatto. La capacita di consumazione della società non troverà limite se non nella sazietà dei consumatori.
Se nella nuova società non esistono merci, non esisterà nemmeno denaro. Il danaro è l’opposto della merce, ma è merce a sua volta ed è la forma sociale equivalente, la misura di valore per tutte le altre merci.
Ma la nuova società non produce merci; ma oggetti necessari ai bisogni, la cui creazione esige una certa misura di tempo e di lavoro sociale. La durata del lavoro necessario in media per fabbricare un oggetto è la sola misura con la quale viene misurato per l'uso sociale. Dieci minuti di lavoro per un oggetto sono uguali a dieci minuti di lavoro per un altro, né più né meno. La società non vuole guadagnare; essa vuole solo che fra i suoi membri si effettui a parità di valore lo scambio di oggetti d'uso e finalmente, non avendo bisogno di determinarne il valore, essa non farà che produrre ciò di cui abbisogna. Se, per esempio, la società trova che per la fabbricazione di tutti i prodotti necessari occorrono tre ore di lavoro giornaliero, stabilirà la durata di questo lavoro di tre ore. [5]
Se la società migliora i metodi di produzione di modo che l'occorrente possa essere ottenuto con due ore di lavoro, si stabiliscano allora due ore; se, al contrario, la collettività richiede la soddisfazione di maggiori bisogni di quanto può disimpegnare, non ostante l’aumento delle forze lavoratrici e della maggiore produttività dei processi di lavorazione, stabilisca allora più ore. La sua volontà regnerà sovrana.
È facile calcolare quanto lavoro sociale richieda ogni singolo prodotto per la sua fabbricazione.[6]
Si misura la parziale durata del lavoro con la durata totale. Qualche certificato, un pezzetto di carta stampata, attesta il lavoro effettuato e mette il possessore in posizione di scambiare questi segni con oggetti necessari di varie specie. [7]
Se trova che i suoi bisogni sono minori di quanto riceve per il lavoro prestato, potrà lavorare relativamente meno; se vuole regalare quello che non ha consumato, nessuno glielo impedisce. Se vuole lavorare per un altro affinché questo possa abbandonarsi al dolce far niente, o se vuole dividere con lui i diritti che ha ai prodotti della società, padrone. Ma nessuno può costringere uno a lavorare per il vantaggio di un altro, nessuno gli può togliere una parte di quanto gli compete. Tutti possono soddisfare desideri ed esigenze legittime, ma non a spese altrui. Ognuno riceve l’equivalente di quanto dà alla società, né più né meno, ed è sottratto allo sfruttamento di terzi.
« Ma dove sta la differenza tra infingardi e oziosi? Tra intelligenti e stupiti? » ci si obbietta dai nostri avversari, i quali non pensano che nella gerarchia attuale dei nostri impiegati non viene fatta distinzione fra oziosi e diligenti, intelligenti e stupidi, ma che la durata del servizio decide per lo più del salario e anche dell’avanzamento, a meno che una speciale attitudine non sia retribuita con un prezzo più elevato.
Il maestro, il professore – e sono specialmente questi ultimi che ci rivolgono le più ingenue domande – sono considerati oggi secondo il salario adeguato al posto che occupano, e non secondo il loro valore. È cosa nota come nelle promozioni dei militari, degli impiegati e dei professori, si tenga conto non del più valente, ma di quello favorito dalla nascita, dalle parentele, dalle aderenze, dai favori femminili. Come anche la ricchezza non si misuri dall’intelligenza e dall'operosità è provato in modo evidente dal fatto che gli osti, i fornai, i macellai di Berlino sono elettori di prima classe nel sistema elettorale prussiano composto di tre classi, mentre spesso non sanno discernere il dativo dall'accusativo. Al contrario, uomini di talento ed eruditi, gl’impiegati più alti dell'Impero e dello Stato, sono elettori di seconda e terza classe. Non esisterà più differenza fra pigri e operosi, intelligenti e sciocchi, perché ciò che noi intendiamo con questo sarà scomparso. Ozioso chiama per esempio la nostra società colui che è stato messo fuori dal lavoro, costretto a vagabondare, e che infine diventa realmente tale; o colui che, falsamente educato, è diventato corrotto. Ma è offesa chiamare ozioso il ricco che passa il tempo non facendo nulla e gozzovigliando, perché quello e un uomo onorato.
Ma come stanno le cose nella nuova società? Tutti si sviluppano in eguali condizioni di esistenza e lavorano nel campo in cui sono portati dalle proprie inclinazioni e capacità; quindi le differenze saranno minime. [8]

[ la società, la storia, e il singolo ]

L'atmosfera della società, che eccita uno ad emulare l'altro, aiuta a pareggiare le differenze. Se uno trova che in un campo non è capace di produrre quanto producono gli altri, ne sceglie uno nuovo che corrisponda alle sue forze ed alle sue capacità. Chi ha lavorato in una grande azienda con molte persone, sa che un individuo provato inetto per un certo lavoro, occupato in altro posto adempie il suo compito nel modo migliore. Non esiste uomo normale che, in un campo o in un altro, se collocato nel giusto posto, non possa soddisfare alle più alte esigenze, Con quale diritto uno può chiedere preferenza sull’altro? Se natura ha trattato alcuno da matrigna in modo che con la migliore volontà non possa fare quello che altri fanno, la società non lo può punire per le colpe della natura. E se, al contrario, qualcuno ha ricevuto da natura capacità che lo sollevano al disopra degli altri, la società non deve compensarlo di quello che non è suo merito personale.
Nella società socialistica è offerta a ognuno la possibilità di sviluppare le disposizioni naturali, ed anche da ciò si vede che in essa non solo la cultura e la capacità sono molto al disopra della società borghese, ma che le qualità sono anche più uniformemente distribuite e più svariate.
Quando Goethe in un viaggio sul Reno studiava la cattedrale di Colonia, scoprì fra gli atti di costruzione che gli antichi architetti pagavano i loro operai con uguale prezzo e a seconda delle ore di lavoro. Facevano così per avere un lavoro ben fatto e coscenzioso. Alla società borghese ciò appare molte volte come un’anomalia. Essa ha introdotto il sistema del cottimo per il quale gli operai sono obbligati ad un lavoro eccessivo, affinché l’intraprenditore possa più facilmente regolare la diminuzione dei salari.
Come del lavoro materiale, così del lavoro intellettuale. L'uomo è il prodotto dei tempi e delle circostanze in cui vive. Un Goethe, nato in uguali condizioni di sviluppo nel quarto secolo invece che nel decimo ottavo, in luogo di un celebre poeta e naturalista sarebbe probabilmente divenuto un gran padre della chiesa che forse avrebbe offuscato S. Agostino.
Se Goethe, invece di essere il figlio di un ricco patrizio di Francoforte, fosse nato da un povero calzolaio forse non sarebbe mai divenuto ministro del granduca di Weimar, ma probabilmente sarebbe rimasto calzolaio e morto onorato calzolaio. Goethe stesso riconosceva il vantaggio che aveva avuto di nascere in condizione materialmente e socialmente favorevole per giungere al suo sviluppo, così dice nel Wilhelm Meister.
Se Napoleone I fosse nato dieci anni più tardi non sarebbe potuto diventare imperatore de' Francesi. Come pure senza la guerra del 1870, al 1871 Gambetta non sarebbe diventato quello che è diventato.
Mettete un fanciullo intelligente, nato da genitori intelligenti, fra selvaggi e diventerà un selvaggio.
Dunque uno è ciò che la società l'ha fatto. >

Le idee non sono un prodotto che per ispirazione dall'alto nascono nella testa di un individuo, ma un prodotto della vita e del movimento sociale; cioè dello spirito dei tempi.
Aristotile non poteva avere le idee di Darwin, e Darwin doveva pensare diversamente da Aristotile. Ognuno pensa come vuole.
Lo spirito dei tempi, secondo l’ambiente che lo circonda e i suoi fenomeni. Di qui il fatto che spesso parecchie persone pensano contemporaneamente la stessa cosa e fanno le stesse invenzioni e scoperte in luoghi molto lontani uno dall’altro. Di qui anche il fatto che un’idea, la quale espressa cinquanta anni prima aveva lasciato il mondo indifferente, ripetuta cinquanta anni più tardi agita il mondo intero. L’imperatore Sigismondo poté nel 1415 mancare alla parola data a Husse e farlo bruciare a Costanza; Carlo V, benché più grande fanatico, dovette lasciar andare Lutero dal Reichstag a Worms.
Le idee sono il prodotto dell’opera sociale, e, quanto vale per la società in generale, vale per le diverse classi in particolare delle quali è composta la società in una determinata epoca. Ogni classe ha i suoi interessi speciali e possiede le sue idee e le sue vedute, che conducono a quelle guerre di cui è piena la storia, e che raggiungono il punto culminante nei contrasti e nelle lotte di classe dei nostri giorni.
Non decide dunque solo l’epoca in cui uno vive, ma anche lo stato sociale dell’epoca determina il suo modo di sentire, di pensare di agire.


[ il lavoro nel capitalismo e nel comunismo ]

Senza la società moderna non esistono idee moderne; questo è chiaro ed evidente. Per la nuova società si aggiunga che i mezzi che ognuno richiede per la sua educazione sono proprietà sociale, e quindi la società non ha il dovere di onorare in special modo ciò che essa ha reso possibile ed è prodotto suo proprio.
Ciò valga per la qualità del lavoro fisico ed intellettuale. Inoltre, non può esistere differenza tra lavoro più alto e più basso, come sembra credere oggi un meccanico il quale si figuri di essere da più di un manuale che eseguisce lavoro stradali e simili.
La società fa eseguire solo lavori socialmente utili, per la qual cosa tutti i lavori hanno uguale valore agli occhi suoi. Se lavori spiacevoli, antipatici non possono essere eseguiti, con la meccanica o la chimica vengono convertiti, per mezzo di un qualunque processo, in lavori piacevoli – ciò di cui non si può dubitare visti i progressi che abbiamo fatto nel campo tecnico e chimico. Se non si dovessero trovare spontaneamente le forze necessarie, allora ognuno ha il dovere di prestare a sua volta l’opera sua. Non vi è falsa vergogna o insensato disprezzo per il lavoro utile. Questi esistono solo ai nostri tempi, ove il dolce far niente è considerato come sorte invidiabile, e dove l’operaio è tanto più disprezzato quanto più duro, faticoso, spiacevole è il lavoro da esso eseguito e più necessario per la società. Oggi il lavoro è retribuito tanto più malamente, quanto più è sgradevole. La ragione è che abbiamo una quantità di forze lavoratrici mantenute nel più basso gradino di cultura, le quali per la continua rivoluzione del processo di produzione stanno sul lastrico come armata di riserva; e queste forze, per vivere, compiono i lavori più bassi a prezzo così vile, che anche l’introduzione delle macchine non si dimostrerebbe proficua.
Per esempio, lo scavo delle pietre è generalmente ritenuto uno dei lavori più rudi e più male retribuiti. Sarebbe cosa da nulla fare eseguire, com’è già in uso negli Stati Uniti, lo scavo delle pietre da macchine, ma noi abbiamo tale esuberanza di forze lavoratrici a buon mercato che le macchine non darebbero rendita. [9]
La pulizia delle strade, il vuotare le cloache, lo sgombro dei calcinacci, i lavori di scavi sotterranei di ogni, specie, ecc., si potrebbero già, visto lo stato presente del nostro sviluppo, eseguire con l’aiuto di macchine e di congegni meccanici, in modo che non vi fosse più traccia di quegl'inconvenienti che esistono per gli operai. Considerato bene, un operaio che sgombra le cloache per proteggere gli uomini da miasmi nocivi alla salute, è un membro molto utile della società; mentre, al contrario, un professore che falsa la storia nell’interesse delle classi dominanti, o un teologo che cerca di offuscare le menti con dottrine trascendentali, sono individui estremamente nocivi.
Il regno dei dotti, oggi, tanto tenuto in considerazione, rappresenta in gran parte una gilda organizzata e retribuita per difendere e giustificare con l’autorità della scienza il dominio delle classi dirigenti, per farle sembrare giuste e necessarie e per mantenere i pregiudizi esistenti. In verità questa dottrina è una scienza ausiliaria, un veleno del cervello, un nemico della cultura, del lavoro intellettuale, pagato perché faccia l'interesse della borghesia e dei suoi clienti. [10]
Una società, che in avvenire rendesse impossibile l’esistenza di siffatti elementi, compirebbe un’azione liberatrice dell’umanità.
D'altra parte la scienza pura è collegata spesso con un lavoro sgradevole e disgustoso. Per esempio, quando un medico eseguisce l’autopsia di un cadavere già in processo di putrefazione, o un'operazione in qualche parte del corpo suppurato, o quando un chimico fa l’analisi di escrementi, sono questi lavori spesso più disgustosi di ogni altro lavoro compiuto da operai ignoranti. Nessuno pensa di apprezzare questo fatto.
La differenza consiste in ciò, che uno dei lavori per essere eseguito esige un corredo di studi, mentre l’altro può essere adempiuto da tutti senza studio speciale.
Di qui la diversità degli apprezzamenti. Ma in una società dove è accordata a tutti la possibilità dell'istruzione più elevata, spariscono le distinzioni che oggi esistono fra persone istruite e non istruite, e spariranno con esse i contrasti fra il lavoro per il quale occorre uno studio e quello che ne può fare a meno. Tanto più che lo sviluppo della meccanica non conosce limiti e quindi anche il lavoro manuale potrebbe essere eseguito da macchine e da processi tecnici.
Si osservi soltanto lo sviluppo delle nostre arti e dei mestieri, per esempio dell’incisione in rame, della xilografia, ecc. Siccome i lavori sgradevoli sono spesso i più utili, così il nostro concetto sui lavori piacevoli e spiacevoli, come tanti altri concetti della
Società borghese, è superficiale e si basa solo sulle apparenze.

***

[ la socializzazione di produzione, distribuzione e consumo ]

Tosto che la produzione collettiva della nuova società sarà fondata su simili basi, la società non produrrà più, come è già stato osservato, mercanzie, ma oggetti necessari. Il commercio cessa, a meno che le comunicazioni con altri popoli, basati ancora su fondamenti borghesi, non rendano necessaria l'antica forma di commercio, la cui esistenza è solo possibile in una società dove regna la produzione mercantile. Così un grande esercito di persone d’ambo i sessi viene mobilizzato per l’attività produttiva. Questo grande esercito produce ora articoli d’uso e rende possibile da un lato una maggiore consumazione di essi, dall’altro la limitazione delle ore di lavoro socialmente necessarie. Oggi queste persone vivono più o meno come parassiti col prodotto del lavoro altrui; e, come non si può contestare, debbono spesso affaticarsi senza trovare il modo di guadagnarsi l’esistenza. Nella nuova società questi esseri saranno superflui come i commercianti, gli osti, i mediatori. Invece di dozzine, di centinaia, di migliaia di negozi e di botteghe di ogni specie, che al giorno d'oggi ogni comune possiede in rapporto alla sua grandezza, subentreranno grandi magazzini di provvigioni, bazar eleganti, locali che richiedono relativamente un personale amministrativo minimo. Si avrà quindi tutto il movimento di un'amministrazione che dovrà adempiere funzioni estremamente
semplici, e che sempre più verranno semplificate per l’accentramento di tutte le istituzioni sociali.
Simile trasformazione sarà subìta da tutto il sistema di trasporto. I telegrafi, i telefoni, le strade ferrate, le poste, la navigazione di fiume e di mare, la strada maestra e tutti i veicoli che rendono possibili le comunicazioni, saranno proprietà sociale.
Molte di queste istituzioni, come la posta, i telegrafi, i telefoni, la maggior parte delle ferrovie, sono in Germania già istituzioni dello Stato e la loro conversione in proprietà comune è soltanto quistione di forma. Qui non sono da ledere interessi privati; lo Stato lavora e continua a lavorare in questo senso; tanto meglio.
Ma queste industrie, amministrate dallo Stato, non hanno affatto carattere socialistico, come comunemente si crede. Sono industrie che vengono sfruttate dallo Stato a scopi capitalistici, come se fossero nelle mani d’intraprenditori privati.
Né gli operai, né gli impiegati ne traggono profitto alcuno. Lo Stato non li tratta altrimenti di un intraprenditore privato. Quando, per esempio, negli stabilimenti della marina imperiale e delle amministrazioni ferroviarie viene emesso un regolamento di non impiegare operai al di là dei 40 anni, è questa una misura che denota il carattere dello Stato come Stato di sfruttatori, e che deve indisporre gli operai. Se non che queste misure, partendosi dallo Stato, che è distributore di lavoro, sono molto peggiori che se provenissero dall'intraprenditore privato. Quest’ultimo di fronte allo Stato, è sempre soltanto un piccolo intraprenditore, e l’occupazione che egli rifiuta può essere accordata da altri. Al contrario lo Stato, come ente che esercita un monopolio del lavoro, può con un solo colpo gettare migliaia di individui nella miseria. Ciò si chiama agire in senso non socialistico, ma capitalistico, ed i socialisti hanno ragione di ribellarsi a che le industrie esercite dallo Stato siano considerate come industrie a base socialistica e come realizzazione delle aspirazioni socialistiche.
Ai milioni d'intraprenditori privati, commercianti e mediatori di tutte le specie, subentreranno grandi stabilimenti centrali, e così anche il sistema di trasporto assumerà altra forma. I milioni di piccole spedizioni inviate giornalmente ad altrettanti proprietari, e che significano grande dispersione di lavoro, di tempo e di materiale di ogni genere, diventano grandi spedizioni inviate a depositi generali e nei centri di produzione. Anche qui il lavoro viene molto semplificato. Come il trasporto di materiale greggio per un’industria che occupa mille operai, si eseguisce molto più semplicemente che non per cento piccole industrie sparpagliate, così l’accentramento dei locali di produzione e di distribuzione per tutti i comuni o per una parte di essi significa considerevole risparmio di ogni specie. Tutto questo è a vantaggio dell’intera società, ma anche di ogni singolo individuo perché l’interesse generale e il personale s'equilibrano.
L’aspetto dei nostri stabilimenti di produzione e dei mezzi di trasporto e specialmente l’aspetto delle nostre abitazioni viene totalmente cambiato, assumendo una fisionomia molto più piacevole.
Cesseranno il rumore, la folla e il movimento delle nostre grandi città con le migliaia di veicoli d'ogni genere. La costruzione delle strade, la nettezza pubblica, l’intero sistema di abitazione e di vita, i rapporti scambievoli tra gli uomini, tutto subirà una grande trasformazione. Si potranno facilmente eseguire misure igieniche, che oggi importano grandi spese, sono imperfette e spesso vengono adoperato soltanto per i quartieri principali.

[ Logistica e informazione ]

I sistemi di comunicazioni subiranno il maggiore perfezionamento; forse l’areonautica sarà il mezzo più usato di trasporto. Le vie di comunicazione sono le arterie che portano il sangue attraverso tutto il corpo sociale, facilitano i rapporti personali e intellettuali degli uomini e sono il mezzo più adatto per stabilire un uguale livello di benessere e d' istruzione in tutta la società. La diffusione e la ramificazione dei mezzi più perfetti di comunicazione fino ai luoghi più remoti delle province è una necessità e un interesse sociale generale. Qui sorgono per la nuova società compiti che sorpassano di molto quelli della società presente. Questo sistema di comunicazioni perfezionato favorirà il decentramento di tutta quella massa di popolazione
accumulata nelle grandi città e nei centri industriali, e sarà della maggiore importanza per l’igiene e per il progresso materiale e morale della civiltà.

[ la terra e lo Stato della proprietà ]

Come gli strumenti di lavoro e di produzione, la terra materia prima di ogni lavoro umano e fondamento di ogni esistenza, appartiene alla società. Questa, giunta al suo più alto grado di progresso, riprende quello che possedeva già nello stato primitivo. Presso tutti i popoli giunti ad un certo grado di civiltà esisteva la proprietà comune del suolo; essa formava la base di ogni associazione primitiva, senza di cui non avrebbe potuto esistere. Soltanto col sorgere e con lo svilupparsi della proprietà privata e delle forme di dominio ad essa collegate è sparita, come noi vedemmo, con grandi lotte lotte la proprietà privata. L’impossessarsi del suolo e il suo convertimento in proprietà individuale fu la prima causa della servitù, che ha percorso tutta la scala della soggezione fino al «libero salariato» del secolo XIX, finché dopo migliaia d'anni d'evoluzione gli oppressi convertiranno di nuovo il suolo in proprietà comune.
L’importanza del suolo per l’esistenza umana ha fatto sì che in tutte le lotte sociali del mondo il possesso di esso formasse l’aspirazione principale dei combattenti – in India, in Cina, nell' Egitto, nella Grecia (Cleomene), a Roma (i Gracchi), nel medio evo cristiano (nelle sette religiose anabattiste, guerre di contadini), nell’impero degli Azteki e degli Inca, nelle rivoluzioni sociali moderne ecc. – Anche oggi vi sono alcuni che trovano legittima la proprietà comune del suolo, (Adolfo Samter, Adolfo Wagner, Enrico George ed altri i quali, sotto altri rapporti, non vogliono saperne di proprietà comune). [11]
Il benessere dei popoli dipende in primo luogo dalla coltivazione e dallo sfruttamento del suolo.
Il portarne la coltivazione al più alto grado è interesse generale.
È già stato detto come questa cultura sia impossibile sotto il sistema della proprietà privata. Ma il maggiore sfruttamento del suolo non dipende dalla sua lavorazione; qui sorgono fattori che non può dominare né il più grande singolo possidente, né la più potente associazione; fattori che, secondo le circostanze sorpassano i confini nazionali e debbono esser trattati con criteri internazionali.
La società deve considerare la terra come un complesso: la sua topografia, i monti, le pianure, le foreste, i fiumi, gli stagni, le lande, le paludi, le maremme. Questa topografia esercita oltre alla posizione geografica, che è inalterabile, certe influenze sul clima e sulle proprietà del suolo.
Qui si offre un campo di attività della più grande estensione, sul quale potranno farsi quantità di esperienze e tentarvi numerose prove. Quanto ha fatto ha fatto finora lo Stato in questo senso è poca cosa.
Primieramente esso dispone di pochi mezzi per tale coltivazione, e, d’altra parte, anche se volesse fare di più, glielo impedirebbero i grandi proprietari privati che nella legislazione hanno il voto decisivo.
Senza attaccare fortemente la proprietà privata non si potrà ottenere nulla in questo campo. Ma l’esistenza dello Stato si basa sulla «apoteosi» della proprietà privata; i grandi proprietari privati sono i principali sostegni e così manca allo Stato il potere di progredire nella direzione accennata. Bisognerebbe intraprendere grandiosi ed estesi miglioramenti di terreni, rimboscamenti e diboscamenti, canalizzazioni e deviazioni di corsi d’acqua, mescolanze di terre e cambiamenti di piantagioni, ecc., per portare il suolo alla sua più alta capacità di produzione.

[ la terra e l’acqua ]

Una questione sommamente importante per le condizioni della coltivazione del suolo sarebbe di stabilire una rete estesa di canali sistematicamente coordinata secondo i principi della scienza. La quistione del trasporto più a buon mercato per le vie navigabili, tanto importante per le nostre società, sarebbe per la nuova di poca importanza; ma le vie navigabili sono da considerarsi come comode e da usarsi quale mezzo di trasporto che esige poca spesa di materiale e di forza.
La parte più importante l’avrà il sistema fluviale e di canalizzazione riguardo alla conduttura e alla deviazione dell’acqua, per il trasporto dei concimi e per il miglioramento del suolo, come per il trasporto dei raccolti.
E’ stabilito dall'esperienza che i paesi poveri d'acqua soffrono molto più delle temperature estreme che non i paesi ove l'acqua abbonda. Quindi i paesi marittimi conoscono gli estremi del caldo e del freddo soltanto per eccezione. Ma gli eccessi non sono vantaggiosi e piacevoli né per le piante, né per gli uomini.
Un esteso sistema di canalizzazione, unito con le misure per la coltivazione forestale, si troverebbe senza dubbio molto favorevole, quando fossero aperti grandi bacini che servissero come accumulatori e serbatoi delle grandi masse d’acqua portate dallo straripamento dei fiumi e dei torrenti, cagionato dai disgeli e dalle piogge violente. Simili costruzioni sarebbero necessarie per i fiumi e i ruscelli di montagna. Diverrebbero impossibili le inondazioni e le loro conseguenze devastatrici.
La superficie acquea, una volta ampliata, favorirebbe con la maggiore evaporazione, una più regolare formazione di piogge, e, ove mancassero pompe e macchine adatte, si solleverebbe l’acqua per irrigare la terra quando occorresse.
Con l’irrigazione artificiale si potrebbero convertire estesi tratti di terra, finora rimasti quasi sterili, in contrade fertili.
Dove ora appena le capre trovano scarso nutrimento, e dove nel caso più favorevole pini intisichiti pretendono i loro rami disseccati verso il cielo, potrebbero prosperare abbondanti raccolti e una densa popolazione troverebbe ricco nutrimento.
Così, per esempio, è soltanto quistione di forze lavoratrici convertire il territorio sabbioso della «Marca», «dello sploverino del Sacro Impero Germanico», in un eden di fertilità. A questo accennò anche un conferenziere trattando dell’esposizione agricola di Berlino nella primavera del 1894. [12]
Mai proprietari della Marca non sono in grado d’intraprendere i necessari lavori di canalizzazione e di irrigazione e le mescolanze delle terre, e cosi rimangono proprio alle porte della capitale dell’impero vaste estensioni di terre in uno stato di coltivazione, da dover sembrare inconcepibile alle future generazioni. Per mezzo della canalizzazione potrebbero poi essere prosciugati e resi coltivabili lunghi tratti di paludi e maremme, così come al sud della Germania. I corsi d’acqua si potrebbero anche utilizzare per la piscicoltura e fornire una sorgente abbondante di alimenti. Essi darebbero inoltre la possibilità ai comuni che non hanno fiumi di fondare stabilimenti balneari.
Citiamo alcuni esempi per dimostrare in quale misura influisca l’irrigazione. (segue)

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[1] . N.d.R. . Dobbiamo ricordare ai lettori che tutti i titoli tra parentesi quadre non sono dell’Autore ma inserite in sede redazionale allo scopo di facilitare la lettura e favorire una visione generale della molteplicità degli argomenti affrontati.

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2] . « La grande massa degli operai ha in Inghilterra, come nella maggior parte degli altri paesi, così poca libertà, di scelta di occupazione e di dimora, ed è in pratica così ostacolata da leggi severe e dalla altrui volontà, come non si può immaginare sotto alcun sistema, eccettuata la schiavitù ». (JOHN STURT MILL, Politische Okonomie, Amburgo, 1864).

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3] . Un operaio francese, tornando da S Francisco, scrive: « Non avrei mai creduto di essere capace di eseguire tutti quei mestieri che ho esercitati in California Ero fermamente convinto che, ad eccezione dello stampatore, non fossi buono ad altro… Una volta entrato in mezzo a questo mondo di avventurieri, che cambiano mestiere più facilmente della camicia, in fede mia feci come gli altri . Siccome il lavoro delle miniere non si dimostrava abbastanza proficuo, l’abbandonai e mi trasferii in città, dove divenni successivamente tipografo, conciatetti, fonditore, ecc. In seguito all'esperienza fatta di riuscire abile in tutti i lavori, mi sento meno mollusco, e più uomo ». (CARLO MARX, Das Kapital, vol I.)

[4] . Ciò che possono diventare gli uomini in condizioni favorevoli lo vediamo in Leonardo da Vinci, che era pittore insigne, celebre scultore, esimio architetto e ingegnere, eccellente maestro di strategia militare, musicista e improvvisatore. Benvenuto Cellini, celebre cesellatore, distinto modellatore, ottimo scultore, maestro di architettura militare, eccellente soldato e abile musicista. Abramo Lincoln fu falegname, agricoltore, mastro di vascello, commesso di negozio e avvocato e finì col diventare presidente degli Stati Uniti. Si può dire senza esagerazione che la maggior parte degl uomini esercita una carriera che male corrisponde alla propria attitudine, perché non la libera volontà, ma la forza delle circostanze ne indirizzò la vita. Qualche cattivo professore riescirebbe un buon calzolaio e qualche provetto calzolaio potrebbe riuscire valente professore.

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5] . Facciamo osservare di nuovo che tutta la produzione dev'essere organizzata tecnicamente nel modo più perfetto, e che tutti debbono essere attivi di modo che tre ore di lavoro sono forse anche troppo. Owen, che era un gran fabbricante, e ha quindi competenza in materia, riteneva al principio del secolo XIX che fossero sufficienti due ore di lavoro.

[6] . La quantità. di lavoro sociale contenuta in un prodotto non ha bisogno di essere stabilita con tanti discorsi. L’esperienza giornaliera dimostra direttamente quanta ne è necessario. La società è al caso di calcolare quante ore di lavoro si contengano in una macchina a vapore, in un ettolitro di grano dell’ultimo raccolto, in 100 metri quadrati di panno di una data qualità. Dunque non le può venire in mente di esprimere la quantità di lavoro contenuta nei prodotti (quantità a lei nota in via diretta ed assoluta) in una misura soltanto relativa, incerta e insufficiente che era necessaria prima, come ripiego, in un terzo prodotto [moneta]; non può venirle in mente, dico, di esprimerlo in questo modo piuttosto che nella sua misura adeguata, naturale, assoluta, quella del tempo.... Essa dovrà istituire il piano di produzione secondo i mezzi di produzione, dei quali fanno specialmente parte anche le forze lavoratrici. Gli effetti utili dei diversi oggetti di uso, bilanciati fra loro e rispetto alla necessaria quantità di lavoro per la sua fabbricazione, determineranno finalmente questo piano. La gente disporrà tutto semplicemente e senza intervento del tanto rinomato «valore». (FR. ENGELS, Herrn Eugen Dührings Unvãlzung dar Wissenschaft [La scoperta della scienza da parte del signor Eugen Dühring], J. H. W. Dietz, Stoccarda).

[
7] . Eugenio Richter è talmente sorpreso dell’eliminazione del danaro dal mondo sociale – abolito non viene, esso sparisce da sé col togliere ai prodotti del lavoro il carattere di merci – che egli dedica a questo avvenimento un capitolo speciale nel suo «lrrlehren». Egli non vuole persuadersi soprattutto che sia indifferente che il certificato sulla prestazione del lavoro sia un pezzo di carta stampato, oro o latta. Egli dice: «Con l’oro il demonio dell’ordine attuale rientrerebbe nel mondo socialistico–democratico››. Ma siccome il Richter si ostina a non vedere che esisterebbe soltanto una società socialistica e non uno «stato» sociale democratico, così una buona parte della sua polemica perde il fondamento. «Poichè», egli continua, «l’oro ha un valore metallico indipendente, può essere facilmente conservato, e quindi il possesso di monete d’oro accorderebbe la possibilità di accumulare valori per sottrarsi al dovere del lavoro ed anche per fare imprestiti contro interesse.»
Richter deve ritenere i suoi lettori grandi ignoranti se espone loro tali concetti sull’oro. Egli non può liberarsi dal concetto capitalistico, non può nemmeno concepire che dove non vi è capitale né merci, non vi possa essere nemmeno «danaro», e dove non vi è né «capitale» né «danaro», non vi possono essere interessi. -
Richter è talmente infatuato dall’idea del capitale, che non può immaginare un mondo «senza di esso».
Noi vorremmo sapere come il membro di una società socialista possa conservare il suo certificato di lavoro sotto forma d’oro, o cederlo ad altri e trarne un «interesse» quando, tutti gli altri possiedono ugualmente ciò che uno offre e di cui vive.
[8] . Tutti gli uomini bene organizzati nascono con un’intelligenza quasi eguale ma l’educazione, le leggi e le circostanze li rende differenti fra loro. L’interesse individuale bene inteso si fonde con l’interesse collettivo o pubblico. (HELVETIUS, Ueber den Menschen und dessen Erziehung).
Riguardo alla grande maggioranza degli uomini Helvetius ha ragione, ma la diversità sta nelle disposizioni individuali per le diverse carriere.

[9] . «Se si dovesse scegliere fra il comunismo e tutte le sue gradazioni e la presente condizione della società con tutte le sue sofferenze el e sue ingiustizie; se l’istituzioine della proprietà privata portasse con sé per conseguenza necessaria che il prodotto del lavoro si distribuisse, cosi come lo vediamo ora, quasi in proporzione inversa al lavoro, che la più gran parte toccasse a coloro che non hanno mai lavorato, e l’altra a coloro il cui lavoro è quasi soltanto nominale, e così via sempre discendendo, mentre il compenso si restringe nell`uguale proporzione che il lavoro diventa difficile e spiacevole, finché finalmente il più faticoso ed esauriente non può sperare con certezza di guadagnare tanto che basti per il più necessario della vita; se dunque l‘alternativa o questo o il comunismo; allora tutte le difficoltà del comunismo, grandi e piccole, sarebbero come un filo di paglia sulla bilancia.» (JOHN STUART MILL, Politische Oekonomie).
Mill si è dato onestamente la pena di riformare la società borghese e ricondurla alla ragione, ma naturalmente invano. E così egli, come ogni uomo intelligente che riconosce il vero stato delle cose, è diventato socialista. Non osò pertanto confessarlo in vita, ma lasciò che dopo la sua morte fosse pubblicata L’autobiografia, che contiene la sua professione di fede socialistica. Gli accadde come e Darwin, che durante la vita non volle essere riconosciuto ateo. È questa una commedia alla quale la società borghese costringe migliaia di persone. La borghesia simula legalità, religione e fede nelle autorità, perché sul riconoscimento da parte della massa di queste virtù si basa il suo dominio, ma internamente ride.

[
10] . «La scienza serve spesso tanto all’ignoranza quanto al progresso.» (BUCKLE, Storia della civiltà inglese).

[11] . Anche i padri della chiesa, i papi e i vescovi, nei secoli nei quali erano ancora vive le tradizioni del comunismo, ma in cui assumeva sempre maggiore estensione l’espoliazione della proprietà, non hanno potuto astenersi dal riscaldarsi in senso comunistico. Certamente il Sillabo e le encicliche del secolo XIX non suonano più così. Anche i pontefici romani sono soggetti alla società borghese, che difendono dichiarandosi avversari del socialismo. Così papa Clemente I (morto nel 102 della nostra èra) disse: « L’uso delle cose di questo mondo dev’essere comune a tutti ed è ingiusto dire: Questo mi appartiene, quest’altra cosa è di un altro. Di qui è nata la discordia fra gli uomini ››. S. Ambrogio vescovo di Milano, che visse circa nel 374, esclamò: « La natura dà agli uomini tutti i beni in comune, poiché Dio ha creato tutte le cose affinché il godimento sia comune per tutti e la terra divenga possesso comune. La natura dunque ha creato il diritto della comunione dei beni ed è soltanto un’usurpazione ingiusta che crea il diritto di proprietà››. S. Giovanni Grisostomo (morto nel 407) dichiarò nelle sue omelie dirette contro la scostumatezza e la corruzione della popolazione di Costantinopoli: « Nessuno chiami alcuna cosa sua proprietà. Abbiamo ricevuto ogni cosa per godimento comune, e mio e tuo sono parole menzognere››. – S. Agostino (morto nel 430) si esprimeva così: « La proprietà individuale è stata causa di processi, di inimicizie, di discordie, di guerre, di rivolte, di peccati, d’ingiustizie, di delitti. Donde provengono tutti questi flagelli? Unicamente dalla proprietà. Asteniamoci dunque, fratelli miei, dal possedere una casa di proprietà, o almeno asteniamoci dall’amarla ››. – Papa Gregorio Magno dichiarò nel 600: «Dovete sapere che la terra da cui siete provenuti e di cui siete fatti è comune a tutti gli uomini, e che i frutti che produce debbono appartenere a tutti, senza distinzione ». – Bossuet, il celebre vescovo di Meaux, morto nel 1704, dice nella sua Politica della sacra scrittura: «Senza i governi la terra con i suoi beni apparterrebbe in comune agli uomini come l’aria e la luce. Secondo il diritto primitivo di natura nessuno ha particolare diritto su cosa alcuna. Tutto appartiene a tutti; dal governo borghese nasce la proprietà.››
La proposizione finale espressa più chiaramente dovrebbe dire: Perché la proprietà comune è diventata proprietà privata, noi abbiamo governi borghesi per proteggerla. Ed uno dei moderni, Zaccaria, dice nei suoi «quaranta libri sullo Stato››: « Tutti i mali contro i quali devono lottare i popoli inciviliti, hanno origine dalla proprietà privata del suolo.
I soprannominati hanno tutti più o meno giustamente riconosciuta la natura della proprietà privata la quale, da che esiste, come correttamente dice S. Agostino, ha introdotto nel mondo i processi, le inimicizie, le discordie, le guerre, le rivolte, le ingiustizie, i delitti, mali tutti che spariranno con la sua abolizione.

[
12] . Anche il rapporto ufficiale dell’esposizione mondiale di Chicago dice: L’applicazione dell’acqua si dimostra ogni giorno più utile per la coltivazione dei frutti e degli erbaggi; e le società idrauliche potrebbero anche da noi convertire deserti in paradisi.

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