Verbale Della Riunione 27 Novembre 2020
(carta intestata) OMISSIS
ADELE [3] — Ho letto entrambe le parti della bozza compilata da Antonio. Il testo ha una coerenza di fondo ed evidenzia bene la tesi che si vuole sostenere. Tuttavia lo trovo in alcune parti retorico, e mi chiedo da dove sono state riprese le parti relative alla violenza della natura. Io avrei inserito qualche informazione ripresa dagli studi antropologici per smorzare la retorica e poggiarsi su dei risultati scientifici acquisiti. Probabilmente, però, tutto lo scritto prenderebbe un altro taglio ma essendo stato concepito in un certo modo ormai non abbiamo tempo per modificarlo. Comunque ho trovato sbagliata l'affermazione secondo cui l'uomo è un essere superiore. Riporto la frase: "Essa può benissimo cominciare con la formazione delle sostanze chimiche semplici che miliardi di anni fa si unirono a formare modelli molecolari complessi, generando prima le cellule, poi gli animali, i mammiferi, i primati, le grandi scimmie, lungo un processo filogenetico nel quale la materia ha trasformato continuamente se stessa per formare infine, con gli ominidi, un materiale da modellare per trasformare ulteriormente se stessa ad un livello “superiore”. A mio avviso, sarebbe più corretto dire che la materia si organizza a vari livelli di complessità. Nell'affermazione non c'è un giudizio, solo la constatazione di una diversa organizzazione della materia. MARIO [4] — Come già ho avuto occasione di dire, io ritengo la traccia adeguatamente strutturata. Mi sembra importante l'individuazione della dualità "pelosa" rispetto alla "natura umana" tra "homo homini lupus" e il mito del buon selvaggio entrambe espressioni rispondenti alle "necessità" della borghesia nella sua fase ascendente., ed anche il carattere propulsivo che comunque si esprime storicamente attraverso la violenza, che stronca tutte le litanie laico-beota, psicolabili non-violente, e infine la messa a punto di alcuni caratteri fondanti del comunismo originario al di fuori da visioni poco o per nulla attinenti alla realtà. È evidente poi che sull'argomento del comunismo originario ci si dovrà tornare… ma tutto ciò che in questa fase stiamo facendo – per quanto riusciamo – non sono altro che dei semilavorati. MARISA [5] — Se il compito era solo quello di sollevare all’attenzione l’argomento, la bozza preparata può andar bene anche così. Sono certo che relatori e correlatori troveranno il modo di rendere tutto più fluido e spiegare meglio lì per lì certi passaggi. D’altronde, come si è appena detto, a questo punto non servono ripensamenti. CAMILLO [6] — Tuttavia, se permettete, giusto a questo punto, io qualche considerazione generale la farei… così, solo per dare un ultimo sguardo complessivo al lavoro svolto. È probabile, e anche previsto da parte nostra, che questa relazione possa risultare insoddisfacente oltre che a noi stessi anche agli altri, se da una relazione ci si aspettasse sempre dei risultati, più o meno definitivi, raggiunti nel corso dello studio di un qualsiasi argomento. Così anche sulla “violenza” che, come sostantivo e come aggettivo, è sempre più ricorrente quanto più sottaciuta nelle svariate considerazioni che svolgiamo osservando l’attuale transizione di fase da un modo di produzione (in disfacimento e in rotta) ad un nuovo modo di produzione, di cui noi già conosciamo i lineamenti e che vediamo marcatamente sempre meglio delinearsi nel corrente marasma sociale. E’ superfluo riproporre una carrellata di immagini per vedere l’attuale manifestarsi della “violenza” in ogni parte del mondo in forme, modalità e graduazioni di intensità tra le più svariate. L’impossibilità dell’attuale sistema sociale a reagire alle aggressività, della miseria crescente o dei virus, lo abbiamo commentato in tutte le salse e in ogni occasione, e anche valutato. Si profila sempre più nettamente un intero periodo di scontri violenti tanto globali che locali, tanto sociali quanto privati, tutti inevitabili, anzi: necessari (secondo il nostro criterio di “violenza” come levatrice, ecc.), e tutti ugualmente condannati dall’etica democraticissima che vorrebbe mantenere gli atomi sociali in una soluzione indistinta per ostacolarne la polarizzazione. Noi naturalmente sorridiamo a ogni pretesa di svolgimento non “violento” degli sviluppi storici (per non dire poi dei trapassi) da parte di una classe che nasce unicamente sull’esercizio della violenza più brutale e fonda il proprio ordine sociale nel mantenimento millenario della “violenza” con ogni mezzo.... eppure incapace di concepire – per non dire di accettare – lo svolgersi dialettico delle sue stesse premesse, ossia: di una violenza che nega se stessa, cioè di una violenza rivoluzionaria che capovolge con la prassi lo stato attuale delle cose. La nostra letteratura ha già` affrontato molte questioni attorno all’argomento delle “violenza”. Basti citare Forza, violenza, dittatura nella lotta di classe, o l’intero capitolo XXIV del primo libro del Capitale, e così via. Abbiamo anche tre capitoli dell’Antiduhring dedicati addirittura alla teoria della violenza, nei quali possiamo leggere: « Per il signor Duhring la violenza è il male assoluto, il primo atto di violenza è per lui – e, aggiungiamo, per tutti i reazionari travestiti – il peccato originale, tutta la sua esposizione (della violenza] è una geremiade sul fatto che la violenza, questa potenza diabolica, ha infettato tutta la storia fino ad ora con la tabe del peccato originale, ed ha vergognosamente falsificato tutte le leggi naturali e sociali. Ma che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione, una funzione rivoluzionaria, che essa, secondo le parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società` gravida di una nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte, di tutto questo nel signor Duhring – e nei travestimenti del pensiero reazionario – non si trova neanche una parola...» eccetera, eccetera... Ecco, allora, a cosa avrebbe dovuto servire il nostro lavoro: dire proprio queste parole che mancano, per togliere, alla cosiddetta “violenza” delle forze sociali rimesse in movimento, ogni fiacchezza, e senza esitazioni disporla ad applicarsi potentemente quando sarà necessaria. LORENZO — Se si voleva affrontare l’argomento della “violenza” con la scorta della nostra letteratura, sappiamo tutti che il materiale non ci sarebbe mancato, e poteva forse risultare di maggiore interesse per tutti svolgere un lavoro preliminare in questo preciso senso. Ci dovremmo chiedere perché non lo abbiamo affrontato subito da questa classica angolatura, e magari solo dopo avventurarci in una narrazione complessiva. Invece, anche ricordando occasionalmente qualche risultato offerto dalla nostra letteratura ed elaborato dalla nostra corrente, abbiamo preferito avviare un lavoro sulla “violenza” fingendoci ingenui e domandarci se l'uomo sia violento per natura o per civiltà… Una domanda, magari anche errata e grossolana come un luogo comune, ma che, appunto per questo, aveva necessità di molti chiarimenti, tanto sul soggetto “uomo” quanto sull’oggetto “violenza” e a quanti fenomeni con essi variamente connessi. L’abbiamo, cioè`, lasciata troppo aperta ad ogni possibilità di interpretazione più o meno scientifica, forse con la speranza di sciogliere così la vaga nozione di “violenza” dalle interdizioni ideologiche della società` di classe affinché potesse svolgere il suo naturale lavoro di “forza” levatrice del mondo nuovo e di becchina del vecchio. Mi dispiace dirlo, ma il risultato di questa disponibilità mi sembra averci dato un quadro generico e confuso di congetture e ragionevolezze, più o meno correnti, più o meno accettabili. Ad esempio, non vi lascia interdetti leggere che “l’uso della forza da parte del proletariato” debba essere “legittimato”? Nel nostro elaborato circolano questo tipo di formulazioni. Io parlo per me, ma anche dopo la profusione di certi scientismi non mi sento affatto più fortificato nei miei convincimenti… piuttosto mi hanno fatto vacillare… CAMILLO — Il ricorso a contribuzioni di diverse discipline scientifiche non è estraneo al lavoro di Marx e di Engels, di Lenin o della Sinistra; anzi l’intera ossatura del loro lavoro è sostenuta dallo studio delle scienze naturali: fisica, matematica, astronomia, chimica o antropologia... – e qui ricordiamo solo i taccuini degli studi antropologici di Marx, sulla base dei quali Engel compilerà L’origine della famiglia, della proprietà` privata e dello Stato. Ma di questi ricorsi a prestiti analogici da particolari discipline – determinate, in ultima analisi dalla divisione sociale del lavoro alienato – non dovremmo abusarne e maneggiarle con cura, altrimenti si corre il rischio che la loro specificità faccia impallidire l’universalità del nostro orizzonte. Non a caso definiamo “potente” il pensiero del comunismo. La nostra relazione ha certamente dei limiti, che poi sono la somma dei limiti proprio di ognuno di noialtri. Tuttavia ci siamo concessi la bontà di ritenere che bastasse sollevare l’attenzione sul tema della “violenza” per avviare una analisi che, altrimenti svolta, avrebbe potuto contribuire a dare consistenza ad una “nostra” teoria della violenza. Così, dato che Engels aveva già sottoposto alla sua critica spietata la teoria controrivoluzionaria di Duhring, noi abbiamo preferito tralasciare il contributo di Engels e di altri, ed orientarci per così dire antropologicamente, biologicamente, storicamente, partendo dalle origini. E dell’interrogarsi sulle origini, Marx avrebbe avuto pure lui qualcosa da dirci. E lasciamo perdere che non lo abbiamo consultato. > |
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Il lavoro degli Uffici Unificati nel 1999 e delle Forniture Critiche nel 2009
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La difficoltà nell’affrontare questo compito – oltre la molteplicità e l’eterogeneità spesso controversa dei dati che provengono da epoche infinitamente remote – consisteva anzitutto nel districare la parola e la comune nozione di “violenza” da tutte le altre parole e nozioni che tradizionalmente l’accompagnano e la evocano: forza, energia, azione, volontà, intenzionalità, eccetera.
Più che di una parola, si tratta, cioè, di una nebulosa di significati connessa inestricabilmente al linguaggio e ai suoi, e nostri, limiti temporali. Non si dimentichi mai che noi stessi trattiamo con il linguaggio di un’epoca per noi “preistorica”, che tuttavia è la lingua con cui dobbiamo ancora esprimerci per comunicare; e questo ci espone continuamente al pericolo di proiettare parole, categorie o concetti moderni in ogni altra epoca della storia dell’uomo. Sappiamo che è facile pertanto cadere sotto la considerazione per cui l'uomo moderno dice corbellerie giganti tutte le volte che tenta di decifrare la sua infanzia … Ma possiamo dire di aver almeno avuto presente questo compito di chiarificazione sia pure solo lessicale? Non credo proprio. LORENZO — Già nel titolo di un nostro vecchio testo – per altro più volte citato in questa sede – appare la distinzione tra forza e violenza … ma poi sembra che nella nostra esposizione le forze della natura si manifestano senz’altro come manifestazioni di violenza… Che la natura possa essere violenta riporta tutto nelle vecchie locuzioni confusionarie di cui ci si voleva e doveva liberare. L’uso della violenza proletaria non aveva bisogno di una legittimità ma di un chiarimento, solo che a me sembra di non esser stati capaci di farlo, o di farlo bene. E il modo disinvolto nell’uso di certe parole nell’ultima traccia della relazione che abbiamo letto, le ha lasciate tutte nel solito pasticcio del modo di dire… CAMILLO — Marx dice esplicitamente – abbiamo ricordato più volte – che l'anatomia dell'uomo serve a spiegarci l'anatomia della scimmia; la conoscenza della forma più` sviluppata permette di conoscere anche le forme meno sviluppate che l’hanno preceduta nel tempo, e non il contrario. Sembrerebbe però che noi invece abbiamo iniziato a procedere in un modo precisamente rovesciato rispetto a questo intendimento – ricordo di averlo già inutilmente fatto notare. Tuttavia la nostra relazione poteva anche iniziare da questa finzione espositiva, dato che in realtà il nostro procedere è sempre retto da un futuro in cui la “violenza” si è dissolta assieme alle classi e alla proprietà`, e così il diritto e il giudizio, la pena e l’afflizione. Il nostro lavoro dunque avrebbe dovuto addirittura provenire dal futuro. Un futuro che troviamo del tutto concretato nelle parole di Marx che trovo qui nella Sacra Famiglia: « Quando vigeranno rapporti umani, la pena non sarà realmente altro che il giudizio di chi sbaglia su se stesso. Non si pretenderà di persuadere costui che una violenza esterna, esercitata da altri su di lui, sia una violenza che egli ha esercitato su se stesso. Egli troverà invece negli altri uomini i naturali redentori della pena che egli ha inflitto a se stesso, cioè il rapporto addirittura si rovescerà.». Anche se queste sono parole che mancano nella relazione, tuttavia la portata del loro significato si rintraccia spesse volte anche qui. Peccato solo che si esplicita in forme troppo sbrigative per affermare semplicemente che la violenza sparirà. Non siamo andati troppo per le spicce lasciando da parte anche cose che riguardano da vicino l’uomo, e addirittura anche tutti noi? cose e parole che ci riguardano ora e qui, come il “giudizio” e la “pena” ad esempio? Sia chiaro, io so benissimo che ognuno di noi si è impegnato seriamente e mi auguro che il lavoro definitivo del gruppo possa ricevere i migliori apprezzamenti, dato che gli abbiamo riconosciuto tutti un indubbio valore quantomeno informativo. Ma dubito che questo sia sufficiente a sentirci soddisfatti. Così come nella psicoanalisi freudiana ci sono gli atti mancati, non di meno esistono pure parole mancate, e anche temi mancati. Credo proprio che di cose mancate in questo lavoro ce ne siano diverse, e dopo l’evento pubblico dovremmo trovare l’animo di riprenderlo in mano per non lasciarlo alle ortiche delle occasioni mancate. LORENZO — Me lo auguro anch’io, ché già di occasioni mancate ne abbiamo diverse. E tra queste, soprattutto quella di non aver trovato, nonostante i molti gli argomenti che abbiamo trattato in questi due anni, neppure un metodo di lavoro veramente comune che possa dirsi adeguato ai compiti che ci eravamo prefissi. Sembrerebbe che l’impegno di rispettare certe scadenze ci abbia costretto a sbrigarsi e chiudere la faccenda alla bell’e meglio, a volte tralasciando materiali critici e problemi che si presentavano da soli. Temo però che ci sia ben altro, e anche poca voglia di intendersi. A volte mi chiedo se più che altro abbiamo soltanto fatto a capirsi… invece di capirci sul serio. MARISA — Abbiamo fatto ognuno quanto ci era possibile fare nelle nostre condizioni reali. Confesso di aver spesso provato fatica ad incontrarci, e col tempo ho notato crescere la stanchezza in tutti. Ma sono convinta che alla fine ci è andata sempre meglio di quelli che si sono occupati degli affari artistici del signor Giulio Cesare. CAMILLO — Magari invece era meglio dedicarci proprio al teatro, o al giardinaggio. Comunque ci siamo dovuti rileggere delle cose con maggiore attenzione e parlandone assieme credo di aver capito, o cercato di capire, qualcosa di più. E tanto mi basta, per il momento. ANTONIO — In ogni caso, per il momento, la chiudiamo qui, con la sinossi della relazione che ci è stata chiesta per informare i detenuti interessati a partecipare alle prossime manifestazioni promosse dai gruppi. Ora ve la leggo per poter decidere se togliere, aggiungere, rifare, o semplicemente lasciarla così com’è. (inizia a leggere)
La riunione si conclude alle ore 18.30 di venerdì 27.11 |
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