DOCUMENTO a | una lettera circolare non firmata, a seguito dell’incontro del 28.5.2018 Carissimi. Voglio provare – se avete la pazienza di ascoltare – a fare alcune considerazioni, sulla relazione stessa, o meglio, sulle sue motivazioni iniziali e i dissensi che ha sollevato. Inizio col dire che una prima considerazione che mi sento di fare sorge dalla stessa lettura del brano Sul finalismo materialista – che Adele ha voluto leggerci durante il nostro ultimo incontro –, e precisamente là dove dice: “Esistono al mondo oggetti talmente complicati che se non si conoscesse in anticipo per quale fine sono stati costruiti, resterebbero quasi completamente oscuri. Il fatto di conoscere la funzione, lo scopo, il fine della loro esistenza, ci permette di spiegare attraverso una ingegneria inversa, la funzione delle loro parti costituenti.” È difatti fuor di dubbio che l’argomento affrontato – ossia il rovesciamento della prassi e la sua dialettica – è un argomento “talmente complicato” da maneggiare e svolgere, e lo è ancor di più se non comprendessimo inoltre lo scopo “attuale” di svolgerlo nuovamente, ossia di ri-prenderlo “oggi” sul filo delle nostre posizioni storiche già raggiunte, e anche ben definite. Così, ad esempio, non so quanto sia sufficiente dire che tali posizioni si vogliono “ribadire”; con il che si lascerebbe intendere che qualcuno di noi ha negato (o intende farlo) il rovesciamento (violento) della prassi nella successione delle forme di produzione eccetera., eccetera ... e quindi si procederebbe appunto con il tono di “ribadire” tutta una serie di punti e respingere l’ipotesi di una via pacifica, eccetera. Certamente, anche se fosse solo questa la nostra motivazione attuale per affrontare il tema del capovolgimento della prassi, i contenuti certamente non cambierebbero ma, qualora si prendessero in considerazione le vere circostanze contingenti che hanno sollevato questo argomento “talmente complicato”, lo scopo cambierebbe, e il tono (forse lo stile) verrebbe commisurato e orientato a tale scopo. Ricordo invece che la controversia (di cui conosciamo i termini e che ha portato a proporre una relazione sul rovesciamento della prassi) è sorta piuttosto da un rilievo che riguardava una certa forma espositiva che, in nostre ricorrenti descrizioni e analisi di svariati fenomeni tra i più attuali e “innovativi”, è sembrata sottacere la funzione del partito e della violenza – certamente tra noi data spesso per implicita. Pertanto si è voluto far notare che ciò poteva anche lasciar supporre, nel passaggio alla forma comunistica, la possibilità (riformista) di un procedere gradualistico (sinusoidale) invece che catastrofico: una possibilità non solo incompatibile con la nostra linea teorica ma soprattutto sconfitta dalla storia. Ecco l’unica ragione sostanziale per cui avremmo ripreso il tema del capovolgimento della prassi – ed ecco come il nostro topolino ha generato la montagna delle complicazioni e delle difficoltà. Poco male se, dato che ormai siamo ai suoi piedi, si decide di scalarla: l’esercizio rafforzerà comunque i muscoli; ma nel farlo credo sia però sempre utile tener presente come siamo arrivati lì sotto, così da evitarci deviazioni inutilmente ardue in quanto già praticate e tracciate nei nostri testi di riferimento. Noi di solito, in determinate circostanze, non parliamo solo per noi stessi, ma per tutti. Così la nostra letteratura ci ha “abituato” – e non senza una ragione strategica – a riassumere in ogni occasione determinati capisaldi dottrinali che ci differenziano; e trovarne scarsi cenni in qualche relazione su particolari argomenti ha fatto risentire qualcuno della loro mancanza: lo si è notato e lo si è fatto notare. Citare certi punti fermi, rilanciare certi concetti fondamentali con frasi succinte, che magari possono anche oltrepassare i limiti della particolare questione affrontata, spesso non è affatto un mero esercizio inutilmente filologico e trombonista, quando si tratta di affondi necessari a perimetrare le condizioni di contorno o ad allargare l’orizzonte ben oltre la particolarità dell’argomento affrontato momentaneamente. Il rilievo, tuttavia, era comunque inteso a richiamare l’attenzione su ciò che manca, non su ciò che c’è – siano questi i bitcon o l’autorganizzazione diffusa, la robotizzazione o le nuove forme della guerra, e così via. Forme economiche, sociali o tecnologiche certamente modificate ed evolute rispetto quelle che le hanno precedute, ma nelle quali il partito e la dottrina con la sua storia ci permette di scorgerne l’invarianza che le situa tuttora all’interno del modo di produzione capitalistico, e che pertanto, per quanto estreme o anticipatrici della successiva forma di produzione, le fa ricadere sotto la nostra critica, che se le deve sottomettere anche se qualcuno, come singolo, non ce la fa. Prima o poi ce la farà anche lui, se continua a viaggiare sui binari del partito storico. E la nostra critica non dimentica neppure che l’arma della critica non può, in verità, sostituire la critica delle armi … la potenza materiale dev’essere abbattuta da potenza materiale; però anche la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse. Ma quando le masse si sottraggono alla sua presa, è necessario chiedersene la ragione – senza che ciò venga inteso come un prurito immediatista, che freme di passare senz’altro dall’arma della critica alla critica delle armi… o giù di lì, col ricorso alla propaganda sentimentale, al proselitismo numerico e a menate del genere, non escluso l’educazionismo con il suo richiamo alla conoscenza e alla coscienza. Ritengo che tutti noialtri siamo da sempre immuni da tali affaccendamenti. Capirete che sto cercando di comprendere la spiacevole vicenda delle controversie che si sono manifestate tra noi in seguito all’ultima riunione, per rimettere ogni cosa nei suoi giusti binari e fare in modo che il convoglio proceda comunque. Sono patetico e non riesco a spiegarmi? Abbiate comprensione e pazienza. Nel cercare di capire i possibili motivi di certe “prudenze” possiamo anche arrivare a immaginare che sono magari dovute alla medesima cautela con la quale a volte si cerca di argomentare con alcuni termini completamente svalutati e screditati dall’abuso che ne ha fatto per troppo tempo il luogocomunismo dilagante. Ma questo tipo di scrupoli potrebbe al massimo riguardare gli elaborati e i pronunciamenti ufficiali, non certo il rapporto diretto tra compagni, che non dovrebbe aver peli segreti su nessun aspetto della visione e dello scopo del partito – tanto più che fin dal Manifesto i comunisti disdegnano certe reticenze. |
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Il lavoro dellla Frazione Clandestina nel 1983
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Detto ciò, ritorno all’inizio per dire che, anche se l’abbozzo di relazione proposto e la discussione non meritano un rilievo per l’insufficiente rifarsi esplicitamente alla nostra letteratura è tuttavia un richiamo da tenere come una modalità della forma espositiva, cui ricorrere sempre, specialmente quando la sensibilità avverte l’equivocità possibile – cui è soggetto ogni tipo di comunicazione – qualora si tralasciasse di puntualizzare o riassumere. E per far questo, lo sappiamo bene, spesso bastano due o tre parole in più – per altro già pronunciate: basta richiamarle al momento opportuno nell’esporre l’argomento.
Per quanto mi riguarda, ritengo che sia stato espresso solo questo tipo di rilievo; e cioè, che tutta la faccenda non andasse più in là di un suggerimento “formale”, avendo avvertito certe particolari mancanze nell’andamento dell’esposizione, non certo nel pensiero che la guidava – che riteniamo invariato fintanto non si manifesti apertamente, in modi espliciti ed esplicativi, come si conviene tra comunisti e come ci si aspetta da compagni che vivono in un medesimo ambiente che si desidera mantenere salubre per tutti e per ognuno.
Dopo di che, si può anche affrontare e svolgere il nostro “complicato argomento” non tanto per “ribadire” ai compagni ciò che già conoscono anche non avendone coscienza, ma per l’utilità di informare e riassumere a tutti e a noi stessi alcune parti e punti essenziali che da un secolo contraddistinguono la nostra corrente. Detto questo – e lo aggiungo solo per non escludere la paranoia –, non vorrei che invece il rilievo fatto avesse inavvertitamente toccato proprio qualche pensiero controverso che fatica a farsi strada nel venire allo scoperto. Ma anche si trattasse di ciò, spesso basta solo un chiarimento per dissolverlo. Le occasioni per far questo ci sono e ci saranno ancora per qualche tempo. Qui dentro di tempo ne abbiamo più che a sufficienza, e le nostre riunioni dovrebbero servire anche a chiarire gli equivoci e i fraintendimenti, a diradare certe nebbie teoriche e quant’altro. Carissimi. Rileggendo quanto ho appena scritto, temo che di non essere riuscito a spiegare quello che era chiaro solo nella mia testa. Volendo essere sintetico temo di aver dato per conosciuti dei fatti di cui non tutti erano al corrente e ciò rende sfuggente il senso di questa mia lettera. Tuttavia la invio ugualmente, quantomeno per confermare la convinzione dell’utilità pratica delle nostre riunioni di lavoro. Inoltre, per rimediare con un po’ di concretezza al mio accenno a “ciò che manca” (o che mancherebbe) ho preparato uno specchietto di riferimenti bibliografici che vi darò alla prima occasione.[1] Non voglio aggiungere altro, e neppure il mio inutile nome. |
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Verbali e materiali relazionali 2018 . bis.1 | ||