IL BUND E IL DISCO DI LENIN

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Massimo Massara . 1972
arteideologia raccolta supplementi
made n.21 Dicembre 2023
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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13 . Ber Borochov e il sionismo socialista
Accanto al Bund, di gran lunga il più importante partito socialista ebraico dell'impero zarista, nei primi anni del secolo furono attivi in Russia alcuni altri partiti «socialisti»: i «sionisti socialisti», il Partito socialista ebraico, il movimento di «Zeire-Zion» (la Gioventù di Sion), il partito « Poaleé Zion.» (Operai di Sion), i cui aderenti, a differenza dei bundisti, non « avevano paura del mal di mare », e sostenevano la necessita per gli ebrei di emigrare in Palestina per crearvi uno Stato « socialista » ebraico. In genere si trattava di partiti e movimenti piccolo-borghesi che non hanno  avuto nessuna sostanziale influenza in Russia anche se alcuni loro esponenti hanno poi avuto un ruolo nei partiti « socialisti » israeliani e nella potente centrale sindacale Histadruth, prima nella Palestina ottomana e sottoposta al mandato britannico, e successivamente nello Stato di Israele.
Di questi movimenti, quello che a parte il Bund ha avuto maggiore importanza, soprattutto per il tentativo del suo fondatore e maggior teorico Dov Ber Borochov (1881-1917) di conciliare il sionismo e il marxismo, è stato il Poaleé Zion [1].
L'opera di Borochov è servita a dare una giustificazione « marxista » al sionismo e in questi ultimi anni [1960-1970] ha conosciuto una certa riviviscenza tra i giovani della sinistra israeliana, che in essa hanno cercato un punto di riferimento ideale nel panorama desolante della vita politica del loro paese. Per il resto anche le idee di Borochov sono state utilizzate dagli israeliani « per la propaganda all'estero che esse servono molto bene, per dare patenti di nobiltà marxista al sionismo: cosa necessaria, almeno in certi ambienti di sinistra; cosi come patenti di nobiltà capitalista sono necessarie in altri ambienti »[2].
Nella sua opera Borochov si propone di analizzare la storia degli ebrei e la loro posizione nella società da un punto di vista «marxista». In realtà, però, il suo sforzo si limita al tentativo di applicare meccanicamente, in astratto, alcune tesi marxiste alla questione ebraica. Egli non considera gli ebrei all'interno della società, ma li isola prendendoli come una entità a sé stante, e di questa entità analizza la struttura sociale che gli appare anormale, come una piramide rovesciata la cui ristrettissima base è costituita da un insignificante numero di operai e contadini, e che, a mano a mano che si precede verso l'alto, presenta strati sempre più larghi di commercianti, di intermediari, di imprenditori e di finanzieri. In altri termini, per Borochov, la struttura della «società » ebrea è caratterizzata da una massiccia prevalenza numerica della borghesia sul proletariato.
Dato che, però, secondo Marx. l'avvento del socialismo è possibile solo a partire da un diffuso proletariato che costituisca la schiacciante maggioranza della popolazione, per realizzare il socialismo tra gli ebrei Borochov sostiene la necessità di provvedere ad una ristrutturazione della società ebraica che sia in grado di rimettere sulla sua base naturale la piramide, restituendo agli ebrei un assetto economico-sociale più conforme alla normalità. Ma la ristrutturazione della società ebraica può ottenersi per Borochov solo mediante la concentrazione territoriale degli ebrei, da realizzarsi in Palestina.
« La liberazione del popolo ebraico – scriveva nel 1906 – avverrà per mezzo del movimento operaio o non avverrà affatto.Però al movimento operaio non rimane che una strada: quella della lotta di classe; e la lotta di classe non è di nessun beneficio e non conduce ad un miglior avvenire altro che quando rivesta un carattere politico. II territorialismo può costituire per il popolo ebraico un intenso bisogno, che esige imperiosamente di essere soddisfatto, e con tutto ciò non sarà che un'utopia, se il proletariato ebraico organizzato, rivoluzionario non si unirà al movimento territorialistico e non lo realizzerà col metodo proprio a lui solo: cioè mediante la lotta di classe. Non c'è posto nella vita per il sionismo proletario altro che quando il sionismo sia realizzabile per mezzo della lotta di classe; non c'è posto nella vita per il sionismo se non quando esista un sionismo proletario. Ma se il proletariato ebraico non ha una sua strada, tutta sua, per attuare il sionismo, tutto quanto il sionismo non è che un sogno vacuo e nient'altro»[3].
Cosi, anche Borochov, sia pure con motivazioni diverse da quelle tradizionali di ordine storico e religioso, finisce coll'indicare la Palestina come sede dell'insediamento nazionale ebraico.
«II bisogno che hanno gli ebrei di emigrare – scriveva ancora – non può essere soddisfatto né avviandosi a paesi di grande capitalismo, come hanno fatto nella precedente emigrazione, né dirigendosi verso paesi a vasta ruralità. L'emigrazione ebraica deve rivolgersi verso un paese a carattere semi-rurale, verso la Palestina. La Palestina e l'unico paese in cui gli ebrei non hanno da temere né d'incontrare un'opposizione organizzata né di essere respinti. In tutti gli altri paesi le inferiorità civili e il divieto di immigrazione non sono che espressioni della miseria della popolazione locale che non vuole concorrenti stranieri »[4].
Anche da questi brevi accenni è facile vedere come nella costruzione teorica di Borochov (al di là della sincerità e della coscienza che ne aveva l'autore) il marxismo rappresenta solo un mascheramento, un pretesto, mentre la sostanza, la realtà è rappresentata da un sionismo spinto all'estremo.
Particolarmente significativo, a questo proposito, appare quanto egli scrive sui rapporti, di aperto carattere coloniale, da instaurare in Palestina tra gli ebrei e gli arabi che vi risiedevano: «Gli abitanti della Palestina non sono un tipo economico autonomo. Sono sparsi e senza legame, non solo a causa della costituzione geografica del paese e per la molteplice varietà delle religioni, ma anche perché il paese è come un ospizio internazionale. Gli abitanti della Palestina non sono una nazione e non lo saranno per molto tempo. Facilmente e presto ricevono qualunque tipo culturale più alto, che sia importato di fuori. Non posseggono forza sufficiente per unirsi allo scopo di fare opposizione organizzata alle influenze straniere. Non sono capaci di una concorrenza nazionale; la loro emulazione è individuale, parziale. Una parte degli abitanti della Galilea si è russificata nel corso di alcune diecine d'anni per influsso di qualche diecina di scuole e seminari russi. I Fellah vicini alle colonie ebraiche mandano volentieri i loro bambini alle scuole ebraiche. Gli abitanti della Palestina riceveranno qualsiasi tipo economico e culturale che conservi la posizione economica predominante nel paese. Gli abitanti della Palestina si assimileranno economicamente e culturalmente a quelli che porteranno ordine nel paese e che assumeranno il compito di sviluppare le energie produttive della Palestina, e gli abitanti del luogo si assimileranno in corso di tempo, economicamente e culturalmente, agli ebrei»[5].
In definitiva, come si vede, l'opera di Borochov, che pure è stato il teorico più profondo del sionismo socialista, dimostra in modo esemplare l'impossibilità di una sintesi tra l'ideologia sionista e il marxismo, tra il movimento sionista e la rivoluzione socialista. Non è quindi certo per caso che essa ha avuto maggior successo tra i sionisti che tra i marxisti, anche tra quelli ebrei, come non è per caso che Lenin, pur così attento a tutte le correnti di pensiero che si manifestavano nel movimento operaio, non abbia mai preso in considerazione il borochovismo.
A Lenin interessavano, per sostenerle o per combatterle, le forze reali e le idee capaci di influire sulla realtà, non le astratte esercitazioni teoriche staccate dalle situazioni concrete.
II Bund rappresentava una forza reale capace di esercitare un'influenza sulle masse lavoratrici ebraiche, e Lenin lo tenne nella dovuta considerazione, combattendolo anche aspramente.
Al contrario, il Poalé Zion e il borochovismo non erano altro che varianti del sionismo borghese e non meritavano una specifica attenzione. Perciò Lenin non se ne occupo mai.
Del resto, il nazionalismo sionista di Borochov, sia pure presentato in chiave marxista, e l'internazionalismo socialista di Lenin erano due concezioni assolutamente inconciliabili.
Borochov partiva dal fatto di essere ebreo e il suo socialismo risultava condizionato in modo determinante da questa sua presa di coscienza. Lenin, al contrario, era completamente estraneo a qualsiasi considerazione personale di ordine nazionale. Interrogato dopo la Rivoluzione d'Ottobre sulle sue origini rispose con indifferenza di non saperne niente.
Evidentemente il problema non lo interessava per nulla. Eppure, forse nessuno poteva vantare origini altrettanto multinazionali e se si vuole multirazziali delle sue.

14 . Lenin e la soluzione socialista della questione ebraica
Vladimir Ilic Uljanov (Lenin) era il terzo dei sette figli di Ilia Nikolaevic Uljanov, direttore delle scuole pubbliche per la provincia di Simbirsk, e di Marija Aleksandrovna Blank. Ilja Nikolaevic era il quarto e ultimo figlio di Nikolaj Vasilevic Uljanov, un povero sarto russo di Astrakhan che in passato era stato molto probabilmente un servo della gleba, e di Anna Alekseevna Smimova, figlia analfabeta di un calmucco. La madre di Lenin, Marija Aleksandrovna Blank era figlia di Sender Dmitrevic Blank, un commerciante e medico ebreo originario dell'Ucraina che si era convertito al cristianesimo prendendo il nome di Aleksandr, e di una tedesca del Volga.
Quindi, per riassumere, i nonni patemi di Lenin erano un russo e una calmucca, e quelli materni un ebreo e una tedesca [6]. Ma mai egli si è lasciato tentare da considerazioni di ordine nazionale o razziale. Per lui era assolutamente inconcepibile che gli uomini si sentissero diversi gli uni dagli altri per il fatto di appartenere ad un popolo o ad una razza piuttosto che ad un altro. Le uniche differenze che per lui avevano valore erano quelle di classe.
Certo, egli non sottovalutava il fattore nazionale, al contrario.
Ma anche questo fattore egli lo considerava come un elemento delta universale lotta di classe, come un elemento in definitiva transitorio, che storicamente sarebbe stato destinato a scomparire con il trionfo del socialismo e con il superamento dell'antagonismo tra classi sociali irriducibilmente contrapposte.
«II marxismo – scriveva nelle "Note critiche sulla questione nazionale" – è inconciliabile con il nazionalismo, foss'anche il più "giusto", il più "puro", il più raffinato e il più civile. Al posto del nazionalismo, il marxismo pone l'internazionalismo, la fusione di tutte le nazioni in una suprema unità [...]. II proletariato non può offrire alcun sostegno al consolidamento del nazionalismo; al contrario, esso sostiene tutto ciò che aiuta a cancellare le distinzioni nazionali e a far cadere le barriere nazionali, tutto ciò che rende più stretto il legame tra le nazioni, tutto ciò che conduce alla fusione delle nazioni »[7].
Questa è per Lenin la linea di tendenza storica fondamentale che va favorita in tutti i modi, perché coincide con gli interessi più profondi del proletariato e con i suoi obiettivi storici finali. Certo, il fatto nazionale rappresenta una realtà che non va assolutamente negata o trascurata dal proletariato rivoluzionario. «In quanto democratici, siamo ostili senza riserve a ogni oppressione, per quanto minima sia, esercitata contro qualsivoglia nazionalità, a ogni privilegio accordato a questa o a quella nazionalità. In quanto democratici noi proclamiamo il diritto all'autodeterminazione delle nazioni nel senso politico del termine [...], cioè la libertà di separazione [da un determinato Stato per costituirne uno nuovo]. Reclamiamo una assoluta eguaglianza giuridica per tutte le nazioni all'interno dello Stato e una assoluta salvaguardia dei diritti di ogni minoranza nazionale. Reclamiamo larghi poteri amministrativi e l'autonomia per le regioni, i cui limiti devono essere definiti tenendo conto soprattutto del criterio nazionale. Tutte queste rivendicazioni sono vincolanti per ogni democratico conseguente e, a maggior ragione, per un socialista.
« Ma – aggiunge Lenin – i socialisti non si limitano alle rivendicazioni democratiche generali. I socialisti combattono le manifestazioni di ogni specie, grossolane e raffinate, del nazionalismo borghese [...]. L'unità degli operai di tutte le nazionalità, sviluppantesi di pari passo con la più completa eguaglianza delle nazionalità e con la più conseguente democrazia dello Stato: questa è la nostra parola d'ordine come è anche la parola d'ordine di tutta la socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale. Questa parola d'ordine, autenticamente proletaria, non genera i miraggi e l'illusione di una unita "nazionale" del proletariato e della borghesia » («La questione nazionale»).
II proletariato deve quindi appoggiare le rivendicazioni nazionali, ma questo appoggio va sempre subordinato agli interessi della lotta di classe del proletariato.
Infatti, scrive Lenin, «il riconoscimento incondizionato della lotta per la libertà di autodeterminazione non ci costringe assolutamente a sostenere qualsiasi rivendicazione di autodeterminazione nazionale. La socialdemocrazia, in quanto partito del proletariato, si assegna come compito positivo e principale quello di cooperare alla libera determinazione non dei popoli e delle nazioni, ma del proletariato di ciascuna "nazionalità". Dobbiamo sempre e incondizionatamente tendere all'unione più stretta del proletariato di tutte le nazionalità, e solo in casi particolari, eccezionali, possiamo avanzare e sostenere attivamente rivendicazioni tendenti alla creazione di un nuovo Stato di classe o alla sostituzione della unita politica totale dello Stato con una unione federale più debole» («La questione nazionale nel nostro programma»).
Del resto, dice Lenin, «in tutte le questioni politiche veramente serie e profonde, il raggruppamento si fa per classi e non per nazioni ». Quindi, «noi diciamo: i compiti proletari prima di tutto, perché essi rispondono non solo agli interessi permanenti e vitali del lavoro e dell'umanità, ma anche a quelli della democrazia» («Note critiche sulla questione nazionale»).
Queste nelle grandi linee le posizioni di Lenin sulla questione nazionale: lotta contro ogni forma di oppressione nazionale, riconoscimento del diritto di autodeterminazione nazionale fino alla separazione da un determinato Stato per costituirne uno nuovo, ma, al di sopra di tutto, lotta per l'unione del proletariato di tutti i paesi al di là e al di sopra di ogni distinzione nazionale o di altro genere.
Per quanto si riferisce in particolare agli ebrei, Lenin esclude che essi costituiscano una nazione. L'idea di «un particolare popolo ebraico» è «assolutamente inconsistente dal punto di vista scientifico» e, «per il suo significato politico, reazionaria». «L'idea di una "nazionalità" ebraica ha un carattere nettamente reazionario non solo presso i suoi seguaci conseguenti (i sionisti) ma anche presso quelli che si sforzano di conciliarla con le idee della socialdemocrazia (i bundisti). L'idea di una nazionalità ebraica contraddice gli interessi del proletariato ebraico, creando in esso, apertamente o implicitamente, uno stato d'animo ostile all'assimilazione, lo stato d'animo del "ghetto"».
Gli ebrei non sono una nazione, quindi, e nemmeno una razza.
Essi sono, e qui Lenin si richiama a Kautsky, una «casta» che si è perpetuata nelle condizioni del particolarismo e delle restrizioni feudali e che, una volta liberata da tutte le interdizioni giuridiche e politiche, si assimila rapidamente al resto della popolazione.
«La questione ebraica — scrive Lenin — non si pone diversamente: assimilazione o particolarismo?» («La posizione del Bund nel partito»).
Per lui la soluzione della questione ebraica sta nell'assimilazione, cioè nella perdita delle particolarità nazionali (nel caso degli ebrei, di casta) e nel passaggio in un'altra nazione.
L'assimilazione che non sia basata sulla costrizione, sull'ineguaglianza e sui privilegi, «la tendenza storica universale del capitalismo alla distruzione delle barriere nazionali, alla scomparsa delle distinzioni nazionali, all’assimilazione delle nazioni», è un fenomeno che si impone sempre più fortemente e che «costituisce uno dei fattori più importanti della trasformazione del capitalismo in socialismo».
Questa assimilazione, ben lungi dal rappresentare un fenomeno negativo, è un fenomeno che ha carattere estremamente progressivo. «Chiunque non sia impantanati nei pregiudizi nazionalisti non può non vedere in questo processo di assimilazione delle nazioni per opera del capitalismo un immenso progresso storico, la distruzione dell'arretratezza nazionale dei diversi angoli sperduti, soprattutto nei paesi arretrati come la Russia».
Del resto, nota Lenin, «l'assimilazione non e mai stata vituperata dagli ebrei migliori che, iscrivendo i loro nomi gloriosi nella storia, hanno dato al mondo alcuni dirigenti avanzati della democrazia e del socialismo. Solo gli ammiratori del passato ebraico strepitano contro l'assimilazione» («Note critiche sulla questione nazionale»). >

L'avversione di Lenin per ogni forma di nazionalismo non discende però solo da una posizione di principio generale, ma da una precisa esigenza unitaria di tutte le forze proletarie e rivoluzionarie che nell'impero zarista veniva messa in pericolo dalla politica separatista e nazionalistica del Bund, l'Unione generale degli operai ebrei di Lituania, Polonia e Russia, che, dopo aver aderito nel 1898 al Partito operaio socialdemocratico di Russia, se ne era staccato in occasione del secondo congresso nel 1903, benché l’autonomia degli statuti del partito del 1898 gli avesse garantito «la propaganda e l'agitazione in yiddish, pubblicazioni e congressi, la presentazione di rivendicazioni particolari nello sviluppo del programma socialdemocratico unico comune e la soddisfazione dei bisogni locali e delle rivendicazioni locali che discendono dalle particolarità del modo di vita israelitico» («II proletariato ebraico ha bisogno di un "partito politico distinto"?»).
L'unita del proletariato, indipendentemente da ogni distinzione di razza, di nazionalità, di religione, rappresenta un imperativo non solo perché corrisponde ai bisogni e agli interessi più profondi delle masse lavoratrici ma anche perché corrisponde agli specifici bisogni e interessi del proletariato ebraico. Infatti, «gli operai ebrei soffrono ad un tempo di una oppressione economica e politica, particolarmente pesante per essi in quanto nazionalità priva di tutti i diritti, e di una oppressione che li spoglia dei diritti civili elementari. Piu questo asservimento è pesante, e maggiore è la necessita dell'unione più stretta tra i proletari delle diverse nazionalità mancando la quale sarebbe impossibile una lotta vittoriosa contro l'oppressione. Quanto più l'autocrazia spogliatrice si impegna a seminare la discordia, la diffidenza e l'odio tra le nazionalità che essa opprime, quanto più la sua politica che spinge le masse incoscienti ai pogrom è infame, tanto più noi socialdemocratici dobbiamo lavorare per fondere in un solo Partito operaio socialdemocratico di Russia, tutti i partiti socialdemocratici isolati, appartenenti a diverse nazionalità». («Agli operai ebrei»).
«.L'unità più stretta e totale del proletariato combattente è assolutamente necessaria, sia perché esso raggiunga il più rapidamente possibile il suo scopo finale, sia nell'interesse di una lotta politica ed economica incessante nel quadro della società esistente [...]. In particolare, l'unita completa del proletariato ebraico e del proletariato non ebraico è assolutamente necessaria, oltre che per il fine citato sopra, per una lotta efficace contro l'antisemitismo, questo odioso sfruttamento da parte del governo e delle classi sfruttatrici dei particolarismi razziali e degli antagonismi nazionali.» («Progetto di risoluzione sul posto del Bund nel partito»).
Tanto più, del resto, è necessaria questa unità proletaria, in quanto «.i capitalisti e i grandi proprietari vogliono dividere ad ogni costo gli operai delle diverse nazioni, mentre dal canto loro i grandi di questo mondo vivono in perfetta armonia, come azionisti in "affari" che "fruttano" milioni [...]; siano essi ortodossi o ebrei, russi o tedeschi, polacchi o ucraini i possessori di capitale sfruttano come meglio possono gli operai di tutte le nazioni.». («La classe operaia e la questione nazionale»). Perciò, «.l'operaio che pone l'unità politica con la borghesia della "propria" nazione al di sopra dell'unita completa con i proletari di tutte le nazioni agisce contro il proprio interesse, contro l'interesse del socialismo e contro l'interesse della democrazia.». («Tesi sulla questione nazionale»).
II Bund si è reso responsabile di questa rottura: «.Idee nazionaliste in netto contrasto con l'ideologia della socialdemocrazia si sono sparse tra i militanti del Bund. Invece di cercare di ravvicinare gli operai ebrei e non ebrei, il Bund si e impegnato sulla via dell'isolamento degli operai ebrei, facendo emergere nei suoi congressi il particolarismo degli ebrei in quanto nazione.». («Agli operai ebrei»). L'errore fondamentale del Bund è quello di ritenere che «.il proletariato ebraico non è solo una parte della grande famiglia mondiale dei proletari, [ma che] esso è anche una parte del popolo ebraico che occupa una posizione particolare fra gli altri popoli.». («La posizione del Bund nel partito»). Da questo errore di principio, di netto carattere nazionalistico, discende la «pretesa ingiustificata al monopolio della rappresentanza del proletariato ebraico.» e la «.politica di isolamento e di particolarismo che il Bund ha portato avanti per anni nei confronti del partito» («Agli operai ebrei»).
Il carattere nazionalistico della posizione del Bund risulta non solo dalla pretesa di essere l'esclusivo rappresentante del proletariato ebraico e perciò il solo autorizzato a operare in mezzo ad esso, ma anche dall'accettazione della parola d'ordine dell'«autonomia nazionale-culturale», principale parola d'ordine del nazionalismo borghese ebraico, che la classe operaia ha combattuto e continuerà a combattere in quanto «reazionaria, nociva, piccolo-borghese e nazionalista.» («L'autonomia nazionale culturale»).
«.La cultura nazionale ebraica – dice Lenin –, è la parola d'ordine dei rabbini e del borghesi, la parola d'ordine del nostri nemici. Ma vi sono altri elementi nella cultura ebraica e in tutta la storia ebraica. Sui 10 milioni e mezzo di ebrei che vivono nel mondo intero, poco più della meta abitano in Galizia e in Russia, paesi arretrati, semibarbari, che mantengono con la violenza gli ebrei nella situazione di una casta. L'altra metà vive in un mondo civilizzato, dove non esistono particolarismi di casta per gli ebrei e dove si sono chiaramente manifestati i nobili tratti universalmente progressisti della cultura ebraica: il suo internazionalismo, la sua adesione ai movimenti progressisti dell'epoca (la proporzione degli ebrei nei movimenti democratici e proletari è dovunque superiore a quella degli ebrei nella popolazione in generate).
«.Chiunque lancia, direttamente o indirettamente, la parola d'ordine della "cultura nazionale" ebraica è (per quanto buone possano essere le sue intenzioni) un nemico del proletariato, un partigiano degli elementi vecchi e caratterizzati da uno spirito di casta dell'ebraismo, un complice dei rabbini e dei borghesi. Al contrario, gli ebrei marxisti che si fondono nelle organizzazioni marxiste internazionali con gli operai russi, lituani, ucraini, ecc. portando il loro contributo (in russo e in ebraico) alla creazione della cultura internazionale del movimento operaio, questi ebrei, che si oppongono al separatismo del Bund, perpetuano le migliori tradizioni ebraiche combattendo la parola d'ordine della "cultura nazionale".». («Note critiche sulla questione nazionale»).
Come ha notato il Poliakov, Lenin era «visceralmente ostile all'antisemitismo quanto alle ideologie nazionali»[8]. La sua lotta ininterrotta e implacabile contro ogni forma di oppressione e di discriminazione razziale, contro ogni manifestazione di antisemitismo, rappresenta non solo una luminosa testimonianza del suo spirito internazionalistico, rivoluzionario, comunista, ma la conferma dell'impossibilita di essere ad un tempo comunista, marxista e antisemita o comunque portatore di pregiudizi razziali.
Lenin respinge «la favola dei sionisti sul carattere eterno dell'antisemitismo». II carattere sociale dell'antisemitismo contemporaneo è facilmente identificabile ove si tenga conto «dell’indubbio legame che esiste tra l'antisemitismo e gli interessi degli strati borghesi, e non degli strati operai della popolazione.». Il carattere esclusivamente borghese dell'antisemitismo «.non è modificato dalla partecipazione a questo o a quel pogrom non solo di decine, ma addirittura di centinaia di operai disorganizzati e per nove decimi ancora completamente ignoranti.» («II proletariato ebraico ha bisogno di un "partito politico distinto"?»).
L'antisemitismo non è altro che l'«odioso sfruttamento da parte del governo e delle classi sfruttatrici dei particolarismi razziali e degli antagonismi nazionali.». («Progetto di risoluzione sul posto del Bund nel partito»).
L'antisemitismo non è un sentimento istintivo delle masse, anche se esso è reso possibile dallo spirito chiuso e sospettoso degli strati più arretrati della popolazione. Esso è suscitato ad arte per i loro fini reazionari dalla classe capitalista e dalla casta governativa. «.Le istigazioni infami, la corruzione e l'utilizzazione dell’alcool per far scatenare i bassifondi della nostra maledetta "civiltà" capitalista, le violenze selvagge esercitate da uomini armati contro uomini privi di armi, la commedia delle denunzie e dei giudizi fatti e pronunziati dagli stessi colpevoli.», questo è lo scenario che precede, accompagna e segue i pogrom antisemiti. («La reazione scatena la repressione armata»). Ma dietro a tutto questo vi è una precisa scelta politica, un piano consapevole: «.La scuola, la stampa, la tribuna parlamentare, tutto è utilizzato per seminare un odio cieco, selvaggio, imbecille contro gli ebrei. A questo compito infame non si dedicano solo i rifiuti della reazione, ma anche gli intellettuali, i professori, gli scienziati, i giornalisti, i deputati reazionari. Miliardi di rubli vengono sperperati per avvelenare la coscienza del popolo.». («L'uguaglianza nazionale»).
Nel marzo del 1914, Lenin prese l'iniziativa di elaborare e di far presentare dalla frazione bolscevica alla Duma di Stato, un progetto di legge sull'eguaglianza giuridica delle nazioni. «.Questo progetto di legge – scriveva Lenin nella presentazione che ne faceva sulla stampa – è consacrato all'abrogazione di tutte le restrizioni di carattere nazionale che colpiscono tutte le nazioni: ebrei, polacchi, ecc. Ma esso si sofferma in particolare sulle restrizioni imposte agli ebrei. Ciò è giustificato dal fatto che nessuna nazionalità della Russia è oppressa e perseguitata quanto la nazione ebraica. L'antisemitismo affonda radici sempre più profonde tra gli strati possidenti della popolazione. Gli operai ebrei gemono sotto il peso di un duplice giogo che li colpisce in quanto operai e in quanto ebrei. Le persecuzioni contro gli ebrei hanno assunto, negli ultimi anni, proporzioni assolutamente incredibili.» («Progetto di legge sull'eguaglianza giuridica delle nazioni»).
Questa avversione profonda per l’antisemitismo rappresenta una costante nel pensiero e nell'azione politica di Lenin, anche dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Come ha notato il Weinryb, «.questa ostilità nei confronti dell'antisemitismo crebbe ancora dopo la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 e nel corso della guerra civile, quando le differenti forze antisovietiche vi fecero ricorso per combattere il comunismo. Assimilando quest'ultimo al "regno degli ebrei", queste forze si sforzarono sia di screditare il comunismo sia di incoraggiare dei grandi pogrom nelle citta e nei villaggi. II governo comunista non poté mancare di constatare il rapporto esistente tra l'antisemitismo e la controrivoluzione e riservò loro lo stesso trattamento.»[9].
II 25 luglio 1918, Lenin presiedette una seduta del Consiglio dei Commissari del Popolo nel corso della quale fece un rapporto sul progetto di dichiarazione del Consiglio dei Commissari del Popolo contro i pogrom di ebrei e per prescrivere a tutti i Soviet di adottare misure decisive per estirpare le radici del movimento antisemitico [10]. La dichiarazione venne approvata all'unanimità e pubblicata sulle «Izvestia» del 27 luglio 1918.
«.Secondo le informazioni raccolte dal Consiglio dei Commissari del Popolo – vi si legge –, i controrivoluzionari conducono in numerose città e particolarmente nella zona del fronte, una enorme agitazione che ha provocato degli eccessi sul piano locale contro la popolazione lavoratrice ebraica. La borghesia controrivoluzionaria raccoglie nelle sue mani l'arma che è caduta dalle mani dello zar [cioè l'antisemitismo].
«[...] Nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica di Russia (R.S.F.S.R.), dove è stato proclamato il principio della autodeterminazione delle masse lavoratrici di tutti i popoli, non c'è posto per l'oppressione nazionale. II borghese ebreo non è nostro nemico in quanto ebreo ma in quanto borghese. L'operaio ebreo è nostro fratello. Ogni incitamento all'odio contro una qualsiasi nazione e inammissibile, criminale e vergognoso. II Consiglio dei Commissari del Popolo considera che il movimento antisemita e i pogrom antiebraici rappresentano un pericolo mortale per la causa della rivoluzione degli operai e dei contadini e fa appello al popolo lavoratore della Russia socialista perché lotti con tutte le sue forze contro questo morbo.
«.II Consiglio dei Commissari del Popolo ordina a tutti i sovdep [soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati] di prendere tutte le misure necessarie per distruggere il movimento antisemita dalle radici. Con la presente [dichiarazione] si ordina che i pogromscik [partecipanti ai pogrom] e gli istigatori di pogrom siano messi fuori legge.».
Nel marzo del 1919, Lenin incise un disco, che venne diffuso in tutto il paese, nel quale riprendeva con eccezionale vigore i motivi della riportata dichiarazione del Consiglio dei Commissari del Popolo.
«.L'odio contro gli ebrei – diceva Lenin – si mantiene saldamente solo là dove il giogo dei proprietari terrieri e dei capitalisti ha sprofondato gli operai e i contadini nelle tenebre dell'ignoranza [...]. I nemici dei lavoratori non sono gli ebrei. I nemici dei lavoratori sono i capitalisti di tutti i paesi. Tra gli ebrei vi sono degli operai, dei lavoratori: essi costituiscono la maggioranza. Sono nostri fratelli oppressi dal capitale, nostri compagni nella lotta per il socialismo [...]. Vergogna allo zarismo maledetto che torturava e perseguitava gli ebrei. Infamia e disonore su coloro che seminano l'odio contro gli ebrei, che seminano l'odio contro le altre nazioni. Viva la fiducia fraterna e l'alleanza militante tra gli operai di tutte le nazioni nella lotta per l'abbattimento del capitale» («I pogrom contro gli ebrei»).
E questa di Lenin non era solo una posizione di principio, una posizione politica. Egli nutriva una sincera ammirazione per gli elementi progressivi della cultura ebraica e per quegli ebrei che insieme a lui (e qualche volta contro di lui) avevano lottato per l'emancipazione del popolo lavoratore della Russia.
A questo proposito esiste una testimonianza di Maksim Gorki: «
.Personalmente [negli anni successivi alla conquista del potere] udii da lui un solo rimpianto: "E’ un peccato che Martov [il leader menscevico] non sia con noi. Un vero peccato! Che compagno meraviglioso e che uomo onesto!".».[11]
Martov, con il quale Lenin aveva duramente polemizzato per tanti anni, era ebreo.

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[1] . Fondato nel 1903, il Paolé Zion (Operai di Sion) operò inizialmente in Russia, Polonia e Galizia (in Polonia fondatore del Poalé Zion fu David Ben Gurion). Successivamente, per la sua capacità di presa su certi gruppi di intellettuali, il partito si diffuse in altri paesi costituendosi in una Unione mondiale che aderì alla Seconda Internazionale. II Poalé Zion si divise ben presto in due correnti, una di destra, l'altra di sinistra. Dalla scissione delle due ali del partito nacque, nel 1920, il Partito comunista ebraico dell'Unione Sovietica che sopravvisse fino al 1929 quando venne sciolto in quanto la maggior parte dei suoi membri erano entrati nel Partito comunista russo (b). Negli altri paesi, gli elementi di sinistra entrarono a far parte dei partiti comunisti locali. In Palestina dal Paolé Zion è nato nel 1930 il Mapaï, il partito di Ben Gurion, Golda Meïr e Moshe Dayan.

[2] . MAXIME RODINSON, «Communication au Colloque sur la conception matérialiste de la question juive », Paris, mai 1970, in  ISRAC n. 5, janvier-mars 1971, pag. 22.

[3] . DOV BER BOROCHOV, Basi del sionismo proletario. La nostra piattaforma (1906), cap. IV: «II nazionalismo della piccola borghesia ebraica e le plebi proletarizzate», in DANTE LATTES, Letture del Risorgimento ebraico, Firenze, Casa Editrice Israel, 1948, pag. 146.

[4] . BOROCHOV, Op. cit., cap. IX: «Ideologia nazionale-proletaria », in LATTES, Op. cit., pag. 149.

[5] . BOROCHOV, Op. cit., in LATTES, Op. cit., pagg. 148-149. Estremamente significativo a questo proposito appare quanto scriveva nel 1921 Achad Haam (Ashér Ginzberg) uno dei più originali pensatori del primo sionismo: « Già ventinove anni or sono [quindi nel 1892] tornando dal mio primo viaggio in Erez Israel, io ebbi a notare l'errore grossolano che aveva preso radice tra noi, riguardo agli arabi abitanti in Palestina, che noi consideravamo "selvaggi nel deserto, i quali né vedono né capiscono ciò che accade intorno a loro", mentre in realtà "gli arabi, e specialmente quelli che abitano le citta", vedono e capiscono ciò che facciamo e ciò che vogliamo in Palestina, ma tacciono e fanno conto di non sapere, perché per ora non vedono in quello che facciamo nessun pericolo per il loro avvenire [...]; però se verrà il giorno in cui la vita ebraica in Erez Israel si svilupperà talmente da far perdere terreno, poco o molto, alla popolazione indigena, allora questa non abbandonerà tanto facilmente le sue posizioni». ACHAD HAAM (ASHÉR GINZBERG), Prefazione alla nuova edizione di Al parashàt derahim (Al bivio), Berlin, 1921, in LATTES, Op. cit., pag. 167 nota.

[6] . Cfr. Louis FISCHER, Vita di Lenin, Milano, II Saggiatore, 1967, vol. I, pagg. 10-14; ISAAC DEUTSCHER, Lenin. Frammento di una vita. BaRI, Laterza, 1970, pagg. 23-29. In particolare, per le origini ebraiche di Aleksandr Blank, nonno materno di Lenin, dr. FISCHER, Op. cit., pagg. 13-14; GUSTAVO HERLING, «Lenin era russo per meta», in «II Corriere della Sera», 14 luglio 1970, pag. 5;  VICTOR FAY, «Les origines de Lenine», in «Le Monde», 27 agosto 1970, pag. 5. Nell'«edizione del centenario, rivista e aumentata» della sua opera su Lenin, Gerard Walter, sembra voler escludere la validità di questi dati sugli antenati di Lenin. >
> Parlando, infatti, nella bibliografia ragionata, della Vita di Lenin di Fischer egli scrive: «Rifrittura senile di un giornalista che aveva fatto apparire, una cinquantina di anni fa, una buona opera sulla politica estera dei Soviet. Eccolo scoprire ora che il nonno materno di Lenin potrebbe anche essere un ebreo, e la sua nonna materna una calmucca [...]. II resto è in proporzione ». GÉRARD WALTER, Lénine, Paris, Albin Michel, 1971, pag. 723.

[7] . Questa e le citazioni che seguono sono tratte dagli scritti di Lenin pubblicati nella presente raccolta. Per facilitarne il reperimento indichiamo tra parentesi gli scritti dai quali sono state tratte.

[8] . POLIAKOV, De I'antisionisme à l’antisémitisme, cit., pag. 25.

[9] . Bernard D. WEINRYB, « L’antisémitisme en Russie soviétique.», in Lionel KOCHAN (sous la direction de), Le Juifs en Union soviétique depuis 1917, Paris, Calmann-Lévy, 1971, pagg. 394-395. Alle pagine 390-393 B. D. Weinryb, professore di storia al Dropsie College di Philadelphia, elenca ben 30 diverse definizioni di antisemitismo: 1. Pregiudizio classico; 2. Pregiudizio antiebraico, sentimento di sospetto, di disprezzo e di odio nei confronti degli ebrei; 3. Ostilità collettiva; 4. Discriminazione e aggressione etnica; 5. Forma di intolleranza sociale; 6. Ogni manifestazione di ostilità, a parole o con atti, benigna o violenta, nei confronti degli ebrei in quanto gruppo, o nei confronti di un ebreo particolare, perché appartiene a questo gruppo; 7. Manifestazione di ostilità nei confronti degli ebrei da parte del governo o dei sudditi di uno Stato; 8. Conseguenza inevitabile dell’esistenza degli ebrei nella diaspora (punto di vista sionista e, in parte, ebreo ortodosso); 9. Prima di tutto una tecnica politica; 10. Fanatismo religioso; 11. Essenzialmente un “cristofobia”; 12. Sintomo di xenofobia; 13. Manifestazione di xenofobia generalizzata; 14. Sintomo di disgregazione sociale; 15. Nevrosi individuale e collettiva; 16. Aberrazione psichica, forma di demonopatia; 17. Sintomo di un male sociale molto diffuso; 18. Ricerca di un capro espiatorio; 19. Disordine affettivo provocato da ostilità incoscienti; 20. Forma tipica di irritazione socio-psicologica; 21. Sintomo risultante da un conflitto (parte di una sindrome di etnocentrismo); 22. Mezzo di difesa psicologica contro i pericoli provenienti sia dalla persona, sia dal mondo esterno; 23. Tumore maligno del corpo della civiltà; 24. Forma di regressione … psicosi di massa; 25. Malattia atavica, ritorno ai modi pensare e di agire primitivi e affettivi; 26. Diversione permettente a un piccolo gruppo di conservare il potere sulla massa del popolo; 27. Mezzo per distogliere la collera delle classi povere dai loro veri nemici; 28. Opinione secondo la quale gli ebrei eserciterebbero un’influenza perniciosa … nella vita moderna e dovrebbero quindi essere eliminato; 29. Forma estrema di sciovinismo razziale … la più pericolosa sopravvivenza del cannibalismo (Stalin); 30. Tentativo di distogliere contro gli ebrei l’odio degli operai e dei contadini per i loro sfruttatori (Lenin).   

[10] . Cfr. V.I. LENIN, Polnoe Sobranie Socinenii (quinta edizione), Tom 36, Moskva, Isdatelstvo Politiceskoi Literaturi, 1969, pag. 729.

[11] . MAKSIM GORKI, Lenin, Roma, Editor! RiunitI, 1961, pag. 63.

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