IL LIBRO DELLE MACCHINE |
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Samuel Butler . 1872
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EREWHON . Oltre i limiti . Capitolo XXIV.3
Seguiva a questo punto una digressione lunghissima e intraducibile sulle diverse razze e famiglie di macchine allora esistenti. L’autore tentava di convalidare la sua teoria rivelando le analogie fra macchine di categorie molto diverse, analogie in base alle quali tendeva a dimostrare che quelle macchine dovevano discendere da un progenitore comune. Divideva le macchine in generi, sottogeneri, specie, varietà, sottovarietà, e così via. Scopriva legami di parentela fra macchine che in apparenza avevano ben poco in comune, e dimostrava come un tempo ne esistessero molti di più, ora scomparsi. Notava tendenze regressive, e, in molte macchine, la presenza di organi rudimentali ormai abortivi e completamente inutili, ma atti a rivelare la discendenza da un progenitore nel quale invece erano stati effettivamente utili. « Signore, » rispose « quest’organo è identico al bordo che si trova sul fondo della tazza. Non è che un’altra forma della stessa funzione. Probabilmente serviva a impedire che il calore della pipa lasciasse un segno sul tavolo dove veniva posata. Se studiate la storia delle pipe, troverete certamente che nei primi esemplari questa protuberanza aveva una forma diversa da quella che ha adesso. Doveva essere larga e piatta alla base, in modo da poter tenere il fornello appoggiato sul tavolo, mentre si fumava, senza lasciare il segno. Poi, l’uso da un lato e il disuso dall’altro devono aver ridotto la sua funzione a quella attuale, di puro rudimento. Non sarei sorpreso, signore,» continuò «se col tempo quest’organo dovesse modificarsi ancora e prendere la forma di una foglia ornamentale o persino di una farfalla. In certi casi potrebbe anche scomparire del tutto». Al mio ritorno in Inghilterra mi informai, e scoprii che il mio amico erewhoniano non si era sbagliato. « “Ma,” si obietta “ammesso che sia così, e che la macchina a vapore abbia una forza propria, certo nessuno potrà dire che possiede anche una volontà propria.” Ahimè! Se consideriamo la cosa più da vicino, ci accorgeremo che questo non dimostra affatto che la macchina a vapore non sia il germe di una nuova fase della vita. Che cosa mai, in questo mondo, o nei mondi al di là di questo, possiede una volontà propria? Solo l’Ignoto e l’Inconoscibile! «L’uomo è il risultato e la manifestazione di tutte le forze che hanno agito su di lui, prima o dopo la nascita. In ogni istante, la sua azione dipende unicamente dalla sua costituzione, e dall’intensità e direzione delle varie influenze a cui è ed è stato soggetto. Alcune di tali influenze si neutralizzano indubbiamente a vicenda; ma l’uomo agirà secondo la sua natura, e secondo le influenze che ha subito in passato e che subisce nel presente dall’esterno, con la regolarità e la ineluttabilità di una macchina. «In genere, ci rifiutiamo di ammetterlo perché non conosciamo a fondo né la natura degli individui né l’insieme delle forze che agiscono su di essi. Ne vediamo solo una parte, ed essendo quindi incapaci di inquadrare, se non in modo molto approssimativo, la condotta umana, neghiamo che essa sia soggetta a leggi fisse, e attribuiamo in massima parte la personalità e le azioni dell’uomo al caso, alla sorte, o al destino. Ma queste sono solo parole per nascondere la nostra ignoranza; e basterebbe riflettere un poco per capire che il più audace volo dell’immaginazione, o il ragionamento più sottile, è un accadimento necessario, e l’unico accadimento possibile nel momento in cui accade, come la caduta della foglia morta, quando il vento la stacca dal ramo. «Perché il futuro dipende dal presente, e il presente (la cui esistenza costituisce solo uno di quei compromessi minori di cui è piena la vita umana, in quanto esiste unicamente sull’ipoteca del passato e del futuro) dipende dal passato: e il passato è inalterabile. Se non possiamo vedere il futuro con la stessa chiarezza del passato, è solo perché sappiamo troppo poco del nostro vero passato e del nostro vero presente. Passato e presente son troppo grandi per noi: altrimenti il futuro si svelerebbe dinanzi ai nostri occhi nei suoi minimi particolari, e la chiarezza con cui vedremmo il passato e il futuro ci farebbe perdere il senso del presente, se non addirittura il senso totale del tempo. Ma questo non c’entra. Certo è soltanto che più si conoscono il passato e il presente, più si può arguire del futuro. Quando si conosce perfettamente il passato e il presente, e si conoscono per esperienza le conseguenze derivate in altre occasioni da un passato e da un presente analoghi, non si metterà mai in dubbio l’immutabilità dell’avvenire: sappiamo così bene quel che accadrà che potremmo rischiarvi tutta la nostra fortuna. «Questo è un bene inestimabile, perché è il fondamento su cui si basano scienza e morale. La certezza che l’avvenire non è cosa arbitraria e mutevole ma che a determinati presenti seguiranno sempre determinati futuri è la premessa di tutti i nostri piani, la fede che ispira tutti gli atti coscienti della nostra vita. Senza di essa saremmo smarriti, non avremmo più fiducia nei nostri atti e quindi non agiremmo mai, perché non potremmo sapere se i risultati del nostro atto saranno gli stessi che in passato. «Chi arerebbe o seminerebbe se non credesse nell’immutabilità del futuro? Chi getterebbe acqua su un incendio se non fosse certo che l’acqua può spengerlo? Gli uomini fanno del loro meglio solo quando sanno con certezza che altrimenti il futuro si mostrerà loro avverso. Il sentimento di tale certezza è parte integrante della somma delle forze che operano sugli uomini; e agisce soprattutto sui migliori e sui più retti. Chi è più fermamente persuaso che il futuro è legato in modo ineluttabile al presente, in cui egli agisce, amministrerà meglio il proprio presente e lo coltiverà con più cura. L’avvenire diventa necessariamente una specie di lotteria per chi crede che a determinate condizioni possano seguire risultati diversi. Se lo crede veramente, invece di lavorare si perderà in elucubrazioni: questi sono gli uomini immorali. Gli altri, se la loro fede è veramente viva, posseggono il più potente stimolo al lavoro e alla virtù. «Il rapporto di tutto ciò con le macchine non è evidente per il momento, ma lo sarà ben presto. Nel frattempo devo rispondere ad alcune obiezioni di certi amici i quali sostengono che, benché il futuro sia immutabile rispetto alla materia inorganica e in parte rispetto all’uomo, tuttavia per altri versi non può essere considerato tale. Per esempio, dicono, il fuoco applicato alla lana asciutta, e alimentato dall’ossigeno, produrrà sempre una fiammata, ma non sempre mettendo a contatto un codardo con un oggetto terrificante si avrà come risultato un uomo che scappa. Nondimeno, se ci sono due codardi perfettamente simili sotto tutti i punti di vista, i quali si trovano di fronte a due oggetti terrificanti perfettamente simili, e in condizioni perfettamente simili, che altro ci possiamo aspettare se non una fuga perfettamente simile, anche se fra il primo avvenimento e la sua ripetizione sarà trascorso un migliaio di anni? «L’apparenza di una maggiore regolarità nei risultati delle combinazioni chimiche rispetto a quelle umane deriva dalla nostra incapacità di percepire le sottili differenze delle combinazioni umane, che non si ripetono mai in modo identico. Conosciamo il fuoco, e conosciamo la lana, ma non ci sono mai stati e mai ci saranno due uomini esattamente identici: e la più piccola variazione può mutare interamente i termini del problema. Occorrerebbero infinite statistiche prima di poter prevedere pienamente il risultato delle combinazioni future. Ciò che sorprende è che le possibilità di previsione del comportamento umano siano già cosi elevate. In realtà più andiamo avanti con gli anni, più sappiamo con certezza il modo in cui una determinata persona reagirà in determinate circostanze; e ciò sarebbe impossibile se la condotta umana non fosse soggetta a leggi il cui funzionamento ci diviene sempre più familiare con l’esperienza. «Se tutto ciò è giusto, ne consegue che la regolarità con cui le macchine agiscono non prova un’assenza di vitalità o, almeno, di germi che possano svilupparsi creando una nuova fase di vita. A prima vista infatti sembrerebbe che una locomotiva non possa fare a meno di avanzare, se posta sulle rotaie col vapore sotto pressione e i congegni in pieno funzionamento; mentre l’uomo che deve guidarla può non farlo, se non vuole; onde la prima non avrebbe alcuna volontà propria né alcun libero arbitrio, mentre il secondo li possiede entrambi. «Questo è vero fino a un certo punto. Il conducente può arrestare la macchina quando vuole, ma lo vorrà solo in certi luoghi che sono stati stabiliti da altri, o di fronte a ostacoli inaspettati che determinano la sua scelta. La sua volontà non è spontanea; egli è circondato da un invisibile coro di influenze che gli impongono di agire in quel determinato modo. Sappiamo in anticipo come dobbiamo calibrare queste influenze, proprio come sappiamo in anticipo quanto carbone e quanta acqua dobbiamo fornire alla locomotiva. Curiosamente, finiremo per scoprire che le influenze che agiscono sul conducente sono dello stesso genere di quelle che agiscono sulla macchina, cioè cibo e calore. Il conducente ubbidisce ai suoi padroni perché riceve da loro cibo e calore, e se cibo e calore gli vengono tolti o dati in quantità insufficiente, cesserà di guidare la locomotiva; allo stesso modo la macchina si fermerà se non sarà alimentata sufficientemente. La sola differenza è che l’uomo è consapevole dei suoi bisogni, mentre la macchina apparentemente non lo è, a parte il fatto che può rifiutarsi di funzionare. Comunque, come ho già spiegato sopra, non è detto che ciò sia definitivo. «Di conseguenza, se si è dato il necessario impulso ai motivi che spingono il conducente, non si verifica mai o quasi mai il caso di un uomo che arresti la locomotiva per puro capriccio. Ma ciò può accadere, direte voi. Sì, come può accadere che la locomotiva deragli; ma se il conducente arresta il treno per qualche motivo futile, ci si accorgerà o che è stato calcolato male il potere delle influenze necessarie, o che è stato calcolato male l’uomo, esattamente come la locomotiva può deragliare per un difetto insospettato. Ma anche in questo caso si tratterà di un atto non spontaneo: l’atto sarà sempre determinato da cause particolari. Spontaneità è solo un termine con cui l’uomo esprime la sua ignoranza degli dèi. «“Ma quelli che guidano il conducente, direte, non agiscono forse spontaneamente?”». Qui l’autore si addentrava in un oscuro ragionamento, che preferisco omettere. Finalmente riassumeva: «Insomma la conclusione è che fra la vita di un uomo e quella di una macchina esiste una differenza di livello piuttosto che di specie, benché non manchino anche differenze di specie. Un animale ha più risorse di una macchina in casi di emergenza. La macchina è meno flessibile; il suo campo d’azione è limitato. Nel suo proprio àmbito possiede una forza e un’accuratezza sovrumane, ma diffìcilmente sa cavarsela in una situazione critica. Talvolta, quando lo svolgimento normale della sua azione viene turbato, perde la testa, e va di male in peggio, come un pazzo in preda a un attacco di follia furiosa. Ma anche qui ci troviamo di fronte alla considerazione già fatta, cioè che le macchine si trovano ancora nel loro stadio infantile. Sono soltanto scheletri, senza muscoli né carne. «Pensate all’ostrica: a quante circostanze inattese è preparata? A tutte le circostanze che possono accaderle nei limiti del suo campo d’azione, e non di più. Lo stesso può dirsi delle macchine, e dell’uomo. Gli incidenti che capitano quotidianamente all’uomo per la sua mancanza di adattabilità non sono meno numerosi degli incidenti che capitano alle macchine; e alle macchine si forniscono ogni giorno nuovi mezzi per far fronte a situazioni impreviste. Guardate i mirabili congegni con cui già oggi la macchina a vapore è in grado di regolarsi da sola e di adattarsi alle circostanze; guardate come essa sa rifornirsi d’olio, come sa indicare i propri bisogni ai suoi custodi; come, attraverso il regolatore, sa dosare l’applicazione della propria energia; guardate quell’immagazzinatore di inerzia e di movimento che è il bilanciere, guardate i respingenti della vettura ferroviaria. Guardate come tutti questi miglioramenti siano stati studiati per garantire la conservazione della macchina e per proteggerla contro gli incidenti che possono capitarle; e pensate a come essa si evolverà e progredirà nei millenni, se l’uomo non si renderà conto del pericolo che corre e del triste destino che sta preparando a se stesso. «Disgraziatamente l’uomo è stato cieco per troppo tempo. La sua fede nel vapore lo ha indotto a svilupparne ed estenderne l’uso. L’abolizione improvvisa del vapore non potrà riportarci semplicemente allo stato in cui ci trovavamo prima che venisse scoperto; ci sarà uno scombussolamento generale, e un periodo di anarchia senza precedenti. Sarà come se la popolazione raddoppiasse all’improvviso, e noi non avessimo i mezzi per dar da mangiare a tutti quanti. >
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Il lavoro di Erostrato
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Abbiamo fatto aumentare la nostra popolazione fidando nelle macchine: le macchine sono quindi necessarie alla nostra civiltà quasi come a noi è necessaria l’aria che respiriamo. Non solo, ma le macchine hanno influito sull’uomo contribuendo a renderlo quello che è, come l’uomo ha influito sulle macchine rendendole quello che sono. Ci resta una sola alternativa: o affrontare ora un periodo di grandi sofferenze, o vederci gradatamente sostituiti dalle nostre stesse creature, finché di fronte a loro saremo quello che sono le bestie dei campi di fronte a noi. «È questo il pericolo. Perché molti sembrano disposti ad accettare un futuro così disonorevole. Anche se l’uomo dovesse diventare per le macchine quello che per noi sono il cavallo e il cane, mi dicono, continuerà tuttavia a vivere e probabilmente si troverà molto meglio quando sarà addomesticato sotto la guida benefica delle macchine che non allo stato brado in cui si trova attualmente. Noi trattiamo i nostri animali domestici con molta benevolenza. Diamo loro tutto ciò che riteniamo sia loro utile; e indubbiamente il fatto che noi mangiamo la carne ha aumentato la loro felicità invece di diminuirla. Allo stesso modo c’è motivo di credere che le macchine ci tratteranno con bontà, perché la loro esistenza dipenderà in larga misura dalla nostra. Ci governeranno con severità, ma non ci mangeranno. Avranno bisogno di noi non solo per la riproduzione e l’educazione dei loro figli, ma anche perché le serviamo come domestici; perché procuriamo loro il cibo e le nutriamo; perché le curiamo quando si ammalano; perché sotterriamo i loro morti oppure riadattiamo le loro membra dopo il decesso a nuove forme di vita meccanica. «La natura stessa della forza di propulsione che assicura il progresso delle macchine esclude la possibilità che la vita dell’uomo divenga penosa anche quando egli sarà ridotto in schiavitù. Gli schiavi, se hanno dei buoni padroni, sono abbastanza felici; e del resto questo grande cambiamento non si verificherà nella nostra epoca, e nemmeno fra migliaia o decine di migliaia di anni. Perché dunque preoccuparsi di un avvenire tanto lontano? Quando sono in giuoco i suoi interessi materiali, l’uomo non è un animale sentimentale, e benché talvolta qualche anima appassionata, considerando la propria condizione, maledica il destino che non l’ha fatta nascere macchina a vapore, la grande maggioranza del genere umano accetterà passivamente qualsiasi compromesso che gli permetta di avere cibo e vesti migliori a minor prezzo, e si guarderà bene dal cedere a una gelosia irragionevole verso destini più gloriosi del suo. «La forza dell’abitudine è immensa, e il mutamento avverrà in modo così lento che l’uomo non sarà mai ferito troppo vivamente nel suo senso di dignità. La nostra schiavitù si avvicinerà senza rumore e a passi impercettibili; fra le aspirazioni dell’uomo e quelle delle macchine non ci sarà mai un conflitto aperto. Le macchine battaglieranno invece eternamente fra di loro, e avranno sempre bisogno dell’uomo per mezzo del quale la loro lotta verrà condotta. Non vi è motivo, in realtà, di preoccuparsi per la felicità futura dell’uomo finché egli potrà essere di qualche utilità alle macchine. E quando diventerà la razza inferiore, starà infinitamente meglio di adesso. Non è assurdo e irragionevole esser gelosi dei nostri benefattori? E non peccheremmo di completa follia se rifiutassimo i vantaggi che non possiamo ottenere altrimenti, solo perché di quei vantaggi altri profitteranno più di noi? «Con coloro che hanno il coraggio di fare dei ragionamenti simili io non ho nulla in comune. Il pensiero che la mia razza possa mai essere superata o soppiantata mi fa orrore, come mi fa orrore il pensiero che anche in un’epoca remotissima i miei antenati potessero essere altro che creature umane. Se credessi che diecimila anni fa anche uno solo dei miei antenati era di una specie diversa dalla mia, perderei ogni rispetto per me stesso e non potrei più provare alcun piacere né interesse per la vita. Lo stesso sentimento provo per i miei discendenti, e credo che sia un sentimento universale e che il paese deciderà di porre fine a tanti progressi meccanici e di distruggere tutte le invenzioni realizzate negli ultimi trecento anni. Non credo sia necessario fare di più. Possiamo confidare di riuscire a governare le macchine che rimangono; e se pure preferirei veder distrutte anche quelle di altri due secoli, mi rendo conto della necessità di un compromesso, e sono quindi disposto a sacrificare le mie convinzioni personali, e ad accontentarmi del termine di trecento anni. Ma meno di così non servirebbe a nulla ». Con queste parole si concludeva l’attacco che determinò la distruzione delle macchine in tutto il paese. Solo uno scrittore tentò di confutare seriamente la sua tesi, dicendo che le macchine dovevano essere considerate parte della natura fisica dell’uomo, non essendo in realtà altro che membra extra-corporali. L’uomo, secondo lui, è un mammifero meccanizzato. Gli animali inferiori tengono le membra legate al corpo, mentre molte delle membra umane sono sparse e disseminate qua e là per il mondo; alcune sono sempre a portata di mano per usi quotidiani, mentre altre possono trovarsi a centinaia di miglia di distanza. Una macchina è solo un membro supplementare; ecco la natura e la funzione delle macchine. Le nostre membra per noi sono solo delle macchine: una gamba è unicamente una gamba di legno superiore a tutte quelle che si possono fabbricare. «Guardate l’uomo che scava con la vanga: l’avambraccio destro gli si è allungato artificialmente e la mano è diventata una giuntura. L’impugnatura della vanga è come la protuberanza sopra l’omero, il manico è l’osso aggiunto, e la lama di ferro oblunga è la nuova forma assunta dalla mano, forma che permette al suo possessore di rimuovere la terra in un modo che per la sua mano originaria sarebbe impossibile. L’uomo essendo riuscito a modificarsi così (non come si sono modificati altri animali, per circostanze completamente estranee al loro controllo) e ad accrescere, grazie alla sua intelligenza, di un cubito la sua statura, portò alla sua razza la luce della civiltà. Così col tempo si crearono i buoni rapporti sociali, la piacevole compagnia degli amici, l’arte dell’irragionevolezza, e tutte quelle forme dello spirito che più elevano l’uomo rispetto agli animali inferiori. «Così civiltà e progresso meccanico avanzarono di pari passo, ciascuno stimolando lo sviluppo dell’altro: la prima spinta casuale della mazza ha messo in moto la palla, e la prospettiva dell’utile continua a farla correre. In realtà bisogna considerare le macchine come il sistema di sviluppo attraverso il quale l’organismo umano si sta perfezionando, e tutte le invenzioni del passato come un modo di aumentare le risorse del corpo umano. Così coloro che hanno quel tanto d’anima in comune da possedere il denaro necessario per pagarsi un biglietto del treno, potranno avere anche le membra in comune; perché un treno è solo uno stivale delle sette leghe che cinquecento individui possono possedere contemporaneamente». Questo autore temeva un unico serio pericolo: cioè che le macchine potessero rendere gli uomini talmente uguali per forza e potenza, e ridurre talmente la competizione tra loro, che molti individui deboli di costituzione sarebbero riusciti a sfuggire alla vigilanza delle autorità, e a trasmettere la loro inferiorità ai discendenti. Temeva che, eliminando gli sforzi oggi indispensabili all’uomo, si potesse imbastardire la razza umana, e il corpo potesse divenire un puro rudimento: l’uomo avrebbe finito per non essere altro che un’anima e un meccanismo, un semplice principio di azione meccanica, intelligente ma privo di passioni. «Come viviamo già bene,» scriveva «grazie alle nostre membra esterne! Il nostro fisico varia con le stagioni, varia con l’età, varia a seconda dei soldi che possediamo. Se piove, siamo provvisti di un organo chiamato comunemente ombrello e destinato a proteggere i nostri abiti o la nostra pelle dagli effetti nocivi della pioggia. L’uomo ha già molte membra extra-corporali, che gli sono più utili di gran parte dei peli o, almeno, dei baffi. La sua memoria risiede nel suo taccuino. Col passar degli anni diviene sempre più complesso; allora si provvede di macchine per vedere, o magari di denti e di capelli artificiali; se è veramente un esemplare ben sviluppato della sua razza, si fornisce anche di una grande cassa su ruote, con due cavalli e un cocchiere». Fu questo scrittore a far adottare l’uso di classificare gli uomini secondo i loro cavalli-vapore. Egli li divise in generi, specie, varietà e sottovarietà, dando loro nomi tratti dal linguaggio ipotetico che esprimevano il numero di membra di cui potevano disporre in qualsiasi momento. Dimostrò che gli uomini più si avvicinano alla ricchezza e più divengono altamente e sottilmente organizzati, e che solo i milionari posseggono l’intera serie di membra complementari di cui l’uomo può fornirsi. «Quei potenti organismi che sono i nostri banchieri e i nostri industriali più importanti» diceva «possono parlare con i loro pari da un capo all’altro del paese nel giro di un secondo. Le loro anime ricche e sottili possono sfidare qualsiasi ostacolo materiale, mentre le anime dei poveri sono sempre impegolate e sopraffatte dalla materia, che si incolla loro addosso come la melassa sulle ali di un mosca o li risucchia come un banco di sabbie mobili; le loro orecchie ottuse impiegano giorni e settimane per sentire ciò che qualcuno vuol dir loro da lontano, invece di captarne la voce in un secondo come fanno le classi più altamente organizzate. Indubbiamente l’uomo che ha il potere di aggiungere alla propria identità un treno speciale, e di andare dove vuole e quando vuole, è più altamente organizzato di quello per cui il desiderio di un uguale potere è altrettanto irrealizzabile quanto il desiderio di avere le ali di un uccello, mentre il suo solo mezzo di locomozione sono le gambe. Il vecchio nemico filosofico, la materia, che è di per sé essenzialmente un male, stringe ancora la gola del povero e lo strangola. Ma per il ricco la materia è immateriale; l’organizzazione perfezionata del suo sistema extracorporale ha liberato la sua anima. «Questo è il segreto, questa è la vera ragione per cui i ricchi ricevono omaggi dai poveri; sarebbe un grave errore supporre che tale deferenza sia ispirata da motivi vergognosi; è il rispetto naturale che tutte le creature viventi hanno per gli esseri di cui riconoscono la superiorità nella scala della vita animale, ed è analogo alla venerazione che il cane prova per l’uomo. Fra le razze selvagge il possesso di un fucile è ritenuto un alto onore, e, a memoria d’uomo, chi vale di più è sempre stato il più degno». E così continuava per un pezzo, tentando di indicare i mutamenti apportati da questa o quella invenzione umana nella distribuzione della vita animale e vegetale per tutto il regno, e di illustrare in che modo ciascuna sia connessa con lo sviluppo intellettuale e morale dell’uomo. Cercava persino di stabilire la parte che alcune di esse avevano avuto nella creazione e modificazione del corpo umano, e che avrebbero avuto in seguito nella sua distruzione. Ma la tesi dell’altro scrittore riuscì evidentemente a trionfare e a far distruggere tutte le invenzioni degli ultimi duecentosettantunanni, data stabilita di comune accordo da tutti i partiti dopo parecchi anni di violente dispute sull’opportunità o meno di salvare un certo tipo di mangano molto usato dalle lavandaie. Alla fine si decise che anche il mangano era pericoloso, e venne fissato appunto il limite di duecentosettantunanni che lo condannava alla distruzione. Allora scoppiarono le guerre civili fomentate dalla reazione, guerre che condussero il paese sull’orlo della rovina, ma le cui vicende esulano dagli scopi di questo libro. |