IL LIBRO DELLE MACCHINE |
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Samuel Butler . 1872
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EREWHON . Oltre i limiti . Capitolo XXIV.2
«Ma ci troviamo di fronte altri interrogativi. Che cos’è l’occhio dell’uomo, se non una macchina attraverso cui la piccola creatura che vi siede dietro, nel cervello, può guardare? L’occhio morto, per qualche tempo dopo la morte, è ancora quasi come l’occhio vivo: non è l’occhio, quindi, che non può più vedere, ma è la creatura senza pace che non può più guardare attraverso di esso. Chi ci ha svelato l’esistenza di un’infinità di mondi, l’occhio dell’uomo o la grande macchina ottica? Che cosa ci ha permesso di contemplare i paesaggi lunari, le macchie del sole, la geografia dei pianeti? La macchina. Tutte queste cose l’uomo le vede soltanto grazie alla grande macchina ottica. E se non divenisse tutt’uno con la macchina, se non rendesse la macchina parte e frammento di sé, non potrebbe vederle. E ancora, chi ci ha mostrato l’esistenza di organismi infinitamente minuscoli, che pullulano insospettati intorno a noi? L’occhio o la piccola macchina ottica? A questo punto l’autore ridiventava così disperatamente oscuro che fui costretto a tralasciare parecchie pagine. Poi riprendeva: « Tutto ciò non farebbe una grinza: ma in realtà, pian piano, attraverso impercettibili mutamenti, il servo finisce per diventare padrone; e già siamo arrivati al punto in cui l’uomo, se fosse costretto a fare a meno della macchina, soffrirebbe terribilmente. Se tutte le macchine venissero distrutte nello stesso istante, e all’uomo non restasse né un coltello, né una leva, né uno straccio di vestito, nulla di nulla, tranne il corpo nudo e crudo con cui è venuto al mondo; se ogni nozione delle leggi meccaniche gli venisse tolta, ed egli non fosse più capace di fabbricare macchine; se tutto il cibo prodotto dalle macchine venisse distrutto, e la razza umana si trovasse spogliata di ogni cosa come su un’isola deserta, nel giro di sei settimane scompariremmo dalla faccia della terra. Pochi infelici, forse, sopravviverebbero, ma anch’essi, in un paio d’anni, diventerebbero peggio di scimmie. L’anima stessa dell’uomo è dovuta alla macchina, è un prodotto della macchina; perché l’uomo pensa come pensa, prova le sensazioni che prova per l’influsso e l’azione delle macchine su di lui, e la loro esistenza è la condizione sine qua non della sua, come la sua della loro. Questo ci impedisce di chiedere la distruzione totale delle macchine, ma allo stesso tempo ci dimostra che è necessario distruggere tutte quelle che non ci sono indispensabili, per non diventare ancora più schiavi della loro tirannia. «Da un punto di vista bassamente materialistico si direbbe che abbia vita più prospera chi adopera le macchine quando gli fa comodo e gli conviene. Ma è proprio questa l’astuzia delle macchine: servono per poter comandare. Se l’uomo distrugge per intero una loro razza, non gli serbano alcun rancore, purché ne crei un’altra più perfetta; e anzi lo ricompensano generosamente per aver così accelerato il loro sviluppo. È quando le trascura che egli si espone alla loro collera, o quando non fa sforzi sufficienti per inventarne di nuove, o quando le distrugge senza sostituirle con altre. Eppure è proprio questo che dobbiamo fare, e al più presto; perché anche se la nostra ribellione contro il loro potere nascente provocherà infinite sofferenze, dove andremo a finire se aspetteremo ancora a ribellarci? «Esse hanno approfittato dell’ignobile preferenza dell’uomo per i suoi interessi materiali di fronte a quelli spirituali, e lo hanno vilmente indotto a prestar loro quell’elemento di lotta e di competizione senza cui nessuna specie può progredire. Gli ammali inferiori progrediscono perché lottano fra di loro: il più debole soccombe, mentre il più forte si riproduce e trasmette la propria forza. Le macchine, incapaci di lottare esse stesse, hanno spinto l’uomo a lottare in loro vece: finché egli compie il proprio dovere regolarmente, tutto va bene per lui (almeno così crede); ma appena cessa di combattere per favorire il progresso delle macchine, incoraggiando le buone e distruggendo le cattive, egli resta indietro nella corsa per il potere; e ciò significa che si troverà a soffrire mille disagi e forse perirà. «Quindi, già adesso le macchine servono l’uomo solo a patto di essere servite, e pongono loro stesse le condizioni di questo mutuo accordo. Non appena l’uomo viene meno ai patti esse insorgono e si autodistruggono, distruggendo contemporaneamente tutto quello che possono, oppure si imbizzarriscono e si rifiutano di lavorare. Quanti uomini vivono oggi in stato di schiavitù rispetto alle macchine? Quanti trascorrono l’intera vita, dalla culla alla tomba, a curare giorno e notte le macchine? Pensate al numero sempre crescente di uomini che esse hanno reso schiavi, o che si dedicano anima e corpo al progresso del regno meccanico: non è evidente che le macchine stanno prendendo il sopravvento su di noi? «La macchina a vapore assorbe il cibo e lo consuma col fuoco, esattamente come l’uomo. Alimenta la combustione con l’aria, esattamente come l’uomo. Ha un polso e una circolazione, come l’uomo. Per ora, lo ammetto, il corpo dell’uomo è ancora il più versatile, ma è anche più antico. Date alla macchina a vapore solo metà del tempo di cui l’uomo ha potuto disporre, fate che essa approfitti ancora del nostro cieco amore per lei, e a quali vette non giungerà tra breve? «Indubbiamente, determinate funzioni della macchina a vapore resteranno immutate per miriadi di anni: forse sopravviveranno persino quando l’uso del vapore sarà superato. Il pistone, il cilindro, la ruota motrice, il bilanciere e altre partì della macchina probabilmente ci saranno sempre, proprio come certi modi di mangiare, di bere e di dormire, che l’uomo ha ancora in comune con molti animali inferiori. Ci sono animali che hanno un cuore che batte come il nostro, e vene e arterie e occhi e orecchie e naso; che sospirano nel sonno e piangono e sbadigliano, come noi; che amano i loro figli; che provano piacere e dolore, speranza, paura, ira, vergogna; che hanno memoria e prescienza; che sanno che se accadono certe cose, moriranno; che temono la morte quanto noi; che si comunicano i loro pensieri e in certi casi sanno agire in accordo tra di loro. La serie delle somiglianze è infinita: vi ho accennato solo perché si potrebbe obiettare che, siccome difficilmente la macchina a vapore verrà migliorata nei suoi elementi principali, ormai, con tutta probabilità, non si modificherà gran che. Questo è troppo bello per essere vero. Si modificherà e si adatterà a un’infinita varietà di scopi, proprio come l’uomo si è modificato fino a conquistare capacità negate ai bruti. «Per ora il fuochista è, per la sua macchina, più o meno quello che è il cuoco per noi. Pensate agli uomini che lavorano nelle miniere e nei pozzi di carbone, pensate ai mercanti che vendono il carbone e ai treni che lo trasportano, ai macchinisti, alle navi da carico: che esercito di servitori impiegano le macchine! Non ci sono forse più uomini impegnati a curare le macchine che a curare i propri simili? Le macchine non mangiano forse perché servite dall’uomo? Non stiamo noi stessi creando gli esseri che devono prendere il nostro posto nel dominio della terra? Non stiamo perfezionando giorno per giorno la bellezza e la precisione del loro organismo, accrescendo quotidianamente la loro potenza e fornendo loro anche quella capacità di autoregolamento e di autonomia che varrà più di qualsiasi intelligenza? «Non è una novità che la macchina si nutra! L’aratro, la vanga e il carro si nutrono attraverso lo stomaco dell’uomo; il combustibile che li mette in moto deve bruciare nella fornace di un uomo o di un cavallo. Per poter scavare, l’uomo deve consumare pane e carne; il pane e la carne sono il combustibile che fa funzionare la vanga. Se un aratro è tirato da un cavallo, la sua forza motrice è rappresentata dall’erba, dalle fave o dall’avena, che bruciano nel ventre dell’animale, dandogli la forza per lavorare; senza di esse il lavoro cesserebbe proprio come una macchina a vapore si fermerebbe se il fornello che l’alimenta si spegnesse. >
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Il lavoro di Erostrato
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« Uno scienziato ha dimostrato che “nessun animale ha il potere di produrre energia meccanica, ma tutto il lavoro da lui fatto finché era vivo, tutto il calore emesso dal suo corpo, nonché il calore che si otterrebbe bruciando le materie combustibili che il suo corpo ha perduto durante la sua intera esistenza, sommati insieme, rappresentano l’esatto equivalente del calore che si otterrebbe bruciando tutto il cibo da lui mangiato durante la sua vita, più una quantità di combustibile capace di sviluppare lo stesso calore sviluppato dal suo corpo che venisse bruciato immediatamente dopo la morte”. Non so come abbia scoperto tutto ciò, ma è un uomo di scienza. Come si può allora negare la vitalità futura delle macchine basandosi sul fatto che attualmente, cioè nel loro stadio infantile, sono sottoposte a esseri di per sé incapaci di originare energia meccanica?
«Ciò che preoccupa di più, tuttavia, è il constatare che, mentre un tempo gli animali erano il solo stomaco di cui le macchine potevano disporre, oggi ve ne sono molte con uno stomaco loro proprio, e che consumano il loro cibo da sole. Ciò rappresenta un grosso passo avanti nell’evoluzione che le renderà, se non animate, almeno talmente affini agli esseri animati da non essere molto più diverse da noi di quanto gli animali siano diversi dai vegetali. E ciò, benché l’uomo sia destinato a rimanere, sotto certi aspetti, un essere superiore, non è forse in accordo con i comuni artifizi della natura, che lascia alcune forme di superiorità ad animali nel complesso superati da tempo? Non ha permesso alla formica e all’ape di restare superiori all’uomo per l’organizzazione della loro comunità e dei loro sistemi sociali? O all’uccello per il volo? O al pesce per il nuoto? O al cavallo per la forza e la velocità? 0 al cane per l’abnegazione? «Alcune persone con le quali ho avuto occasione di parlare di questo argomento sostengono che le macchine non potranno mai avere un’esistenza animata o quasi animata, in quanto non posseggono sistema riproduttivo e probabilmente non lo possiederanno mai. Se con ciò si vuol dire che non possono sposarsi, e che non ci sarà mai dato di vedere una fertile unione tra due locomotive, con i piccoli che giocano davanti alla porta del deposito (anche se la cosa ci piacerebbe tanto) lo ammetto senz’altro. Ma è un’obiezione molto superficiale. Nessuno pensa che tutti i caratteri degli organismi attualmente esistenti possano esattamente ripetersi in una forma di vita del tutto nuova. Il sistema riproduttivo degli animali è molto diverso da quello delle piante, ma è pur sempre un sistema riproduttivo. Perché la natura dovrebbe avere esaurito le forme di questo sistema? «È indubbio che, se una macchina è capace di riprodurne sistematicamente un’altra, si può dire che essa possiede un sistema riproduttivo. Che cos’è infatti un sistema riproduttivo, se non un sistema per la riproduzione? E quante sono le macchine che non vengono riprodotte sistematicamente da altre macchine? Ma, direte, è l’uomo che le fa riprodurre. Lo ammetto; ma non sono forse gli insetti che permettono a molte piante di riprodursi, e intere famiglie di vegetali non sarebbero forse destinate a sparire se agenti interamente estranei ad esse non le fertilizzassero? Chi può affermare che il trifoglio dei prati non possiede sistema riproduttivo solo perché per riprodursi deve avere come paraninfo il calabrone (e solo il calabrone)? Nessuno. Il calabrone fa parte del sistema riproduttivo del trifoglio. Tutti noi deriviamo da animaletti microscopici, la cui identità era interamente distinta dalla nostra, e che agivano secondo le leggi della loro specie, senza curarsi affatto della nostra opinione in proposito. Quelle piccole creature fanno parte del nostro sistema riproduttivo; perché allora noi non potremmo far parte del sistema riproduttivo delle macchine? «Ma le macchine che producono macchine non producono macchine della loro stessa specie. Un ditale è fatto da una macchina, ma non è, né sarà mai, fatto da un ditale. Anche qui, se interroghiamo la natura, troveremo innumerevoli analogie, e ci accorgeremo che un sistema riproduttivo può funzionare perfettamente senza che la cosa riprodotta sia della stessa specie di quella che la produce. Le creature che riproducono la loro stessa specie sono molto rare; esse riproducono sempre qualcosa che ha il potere latente di assumere la forma di chi le ha generate. Così la farfalla depone un uovo, il quale uovo diverrà bruco, il quale bruco diverrà crisalide, la quale crisalide diverrà farfalla. E benché per ora, non ho difficoltà ad ammetterlo, non si possa dire che le macchine posseggano qualcosa di più del semplice germe di un autentico sistema riproduttivo, non abbiamo forse appena visto che solo di recente esse hanno acquistato i rudimenti di una bocca o di uno stomaco? Perché non potrebbero progredire nel campo della riproduzione vera e propria come hanno progredito ultimamente in quello della nutrizione? «Può darsi che, una volta sviluppatosi, il sistema rimanga in molti casi un sistema di riproduzione indiretta. Solo alcuni tipi di macchine, forse, potranno essere fecondi, mentre gli altri avranno funzioni diverse nel mondo meccanico, proprio come la maggioranza delle formiche e delle api non partecipa alla continuazione della specie, ma si limita a procurare e a immagazzinare il cibo, senza occuparsi della riproduzione. Non si può pretendere che il parallelismo sia perfetto o quasi perfetto; certo non adesso, e probabilmente mai. Ma non vediamo già analogie sufficienti a destare in noi serie preoccupazioni per il futuro, e a farci ritenere doveroso l’arrestare il male finché siamo in tempo? Le macchine possono, entro certi limiti, produrre macchine di qualsiasi tipo, per quanto diverse da esse. Ogni specie di macchina avrà probabilmente i suoi riproduttori meccanici speciali, e quelle più complesse dovranno la loro esistenza a molti genitori invece che a un solo padre e a una sola madre. «Ci inganniamo quando consideriamo ogni macchina complicata come una cosa unica; in realtà è piuttosto come una città, o addirittura una società, dove ciascun membro viene generato secondo la sua specie. Noi vediamo la macchina come un tutto, e le diamo un nome e un’individualità; pensiamo alle membra del nostro corpo, che tutte insieme formano un individuo nato da un unico centro di azione riproduttiva, e ne deduciamo che non può esistere azione riproduttiva che non scaturisca da un centro unico. Ma questa conclusione non è scientifica: il fatto che una macchina a vapore non sia mai stata prodotta interamente da un’altra macchina a vapore, o da altre due, non ci autorizza affatto a dire che le macchine a vapore non posseggono sistema riproduttivo. In realtà, ogni parte della macchina a vapore viene prodotta dai suoi genitori particolari, che hanno la funzione di creare quella parte specifica, e quella sola, mentre la combinazione delle parti in un tutto unico forma un altro settore del sistema riproduttivo meccanico, oggi incredibilmente complesso e diffìcile da abbracciare nella sua interezza. «Complesso per ora, ma quanto più semplice e più comprensibile nella sua organizzazione può diventare in altri centomila anni! O anche solo in ventimila! Perché l’uomo oggi, credendo di fare il proprio tornaconto, spende un’incalcolabile quantità di lavoro, di tempo e di intelligenza per perfezionare sempre più la creazione delle macchine. È già riuscito a fare cose che sembravano irrealizzabili, e apparentemente non vi sono limiti ai risultati che si possono ottenere con tanti e tanti miglioramenti, purché tali miglioramenti vengano trasmessi di generazione in generazione e le macchine si modifichino di conseguenza. Non bisogna mai dimenticare che il corpo umano ha raggiunto la sua forma attuale grazie alle infinite modificazioni verificatesi in molti milioni di anni; eppure il suo organismo non si è mai perfezionato ed evoluto con la millesima parte della rapidità con cui si stanno perfezionando ed evolvendo le macchine. È questo il punto più preoccupante della situazione e mi si deve perdonare se ci batto e ci ribatto tanto spesso». |
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