IL LIBRO DELLE MACCHINE |
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Samuel Butler . 1872
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EREWHON . Oltre i limiti . Capitolo XXIV.1
[...] Il signor Thims mi condusse in casa di un signore noto per la sua grande cultura, ma, a sentire il signor Thims, anche piuttosto pericoloso, in quanto aveva cercato di introdurre un nuovo avverbio nel linguaggio ipotetico. Costui, che godeva fama di essere il più dotto specialista di Erewhon nel campo dell’antica meccanica, aveva sentito parlare del mio orologio e voleva assolutamente conoscermi. Il discorso cadde sul suo argomento preferito, e quando mi congedai mi regalò una ristampa dell’opera che aveva provocato la rivoluzione. CAPITOLO XXIII L’autore comincia così: Dopo aver dissertato per diverse pagine su questo argomento, l’autore passa a chiedersi se oggi si possano scorgere segni precursori di questa nuova fase di vita; se si notino circostanze ambientali che potranno, in un lontano futuro, favorirne lo sviluppo: se, in pratica, oggi, sulla terra, si possa rintracciare la cellula primordiale che la produrrà. Nel suo trattato egli risponde a questo interrogativo affermativamente, e indica come corrispondenti di quella cellula le macchine più perfezionate. « Il fatto che attualmente le macchine posseggano ben poca coscienza, non ci autorizza affatto » cito le sue parole « a ritenere che la coscienza meccanica non raggiungerà col tempo il massimo sviluppo. Un mollusco non possiede gran che di coscienza. Pensate alla straordinaria evoluzione delle macchine in questi ultimi secoli, e osservate con quale lentezza progrediscono il regno vegetale e quello animale. Le macchine più altamente organizzate sono creature non di ieri, ma addirittura degli ultimi cinque minuti, oserei dire, di fronte alla storia dell’universo. Supponiamo che gli esseri coscienti esistano da venti, venticinque milioni di anni: guardate quali passi da gigante hanno fatto le macchine nell’ultimo millennio! Il mondo non può forse durare altri venti milioni di anni? Ma se dura altri venti milioni di anni, che cosa finiranno per diventare le macchine? Non è più prudente distruggere il male all’inizio e impedire loro di progredire ulteriormente?
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Il lavoro di Erostrato
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« Persino una patata in una cantina buia possiede una sua bassa astuzia che sfrutta a dovere. Conosce perfettamente il suo scopo, e come realizzarlo. Sente la luce entrare dalla finestra e protende verso di lei i suoi germogli; eccoli strisciare raso terra, arrampicarsi su, lungo il muro, fino al davanzale, e fuori della finestra. Se da qualche parte, lungo il percorso, c’è un po’ di terra, la pianta riesce a rintracciarla e ad adoprarla per i suoi fini. Quali attente riflessioni essa faccia una volta piantata nella terra per dirigere le sue radici, lo ignoriamo, ma possiamo immaginarla tutta intenta a ragionare più o meno così: “Metterò un tubero in questo punto e un altro un poco più in là, in modo da assorbire ciò che mi serve fra quanto mi circonda. Questa pianta vicina la soffocherò con la mia ombra, e quest’altra la scalzerò alle radici; e ciò che potrò fare sarà il limite di ciò che farò. Chi è più forte di me ed è meglio situato mi vincerà, mentre chi è più debole io lo vincerò”.
« La patata esprime tutto ciò nel farlo. Non è forse questo il migliore dei linguaggi? Che cos’è la coscienza se questa non è coscienza? Non ci riesce facile simpatizzare con le emozioni di una patata o con quelle di un’ostrica, perché la patata non fa chiasso quando la lessano, come non fa chiasso l’ostrica quando viene aperta: mentre nulla per noi è più eloquente del chiasso; ne facciamo tanto sulle nostre sofferenze! E siccome ostriche e patate non ci infastidiscono con manifestazioni di dolore, pretendiamo che non sentano nulla. Ed effettivamente non sentono nulla dal punto di vista del genere umano: ma il genere umano non è tutto. « Se poi qualcuno obietta che l’azione della patata è soltanto chimica e meccanica, e dovuta agli effetti chimici e meccanici della luce e del calore, bisognerebbe chiedere, per tutta risposta, se ogni sensazione non è forse un processo chimico e meccanico; se le cose che noi riteniamo puramente spirituali non sono forse mutamenti di equilibrio in una serie infinita di leve, a partire da quelle troppo piccole per essere visibili al microscopio fino ad arrivare al braccio dell’uomo e agli strumenti di cui si serve. Chi ci dice che non esista un movimento molecolare del pensiero da cui si può dedurre una teoria dinamica delle passioni? In altre parole, non dovremmo chiederci di quali specie di leve è composto un uomo invece di domandarci quale sia il suo carattere? In quale equilibrio sono quelle leve? Quanto di questo e di quello ci vorrà per farle funzionare e spingerle a fare così e così?.». L’autore proseguiva dicendo che verrà un tempo in cui, esaminando con un potente microscopio anche un solo capello, sarà possibile accertarsi se colui a cui quel capello apparteneva può venire insultato impunemente. Poi il testo diveniva sempre più oscuro, al punto che rinunciai a tentare di tradurlo, perché non riuscivo a seguire il filo dei suoi ragionamenti. Quando, proseguendo la lettura, trovai nuovamente un passaggio intelligibile, mi accorsi che aveva cambiato tattica:
« O si deve riconoscere» continuava «che molti atti finora considerati puramente meccanici e inconsci contengono più elementi di coscienza di quanto si ammetta (e in tal caso germi di coscienza si riscontreranno anche in molte operazioni delle macchine superiori) oppure (accettando la teoria dell’evoluzione ma negando contemporaneamente la coscienza all’azione dei vegetali e dei cristalli) la razza umana discende da esseri assolutamente privi di coscienza. Nel secondo caso non è da escludere a priori che dalle macchine attualmente esistenti discenderanno in avvenire macchine coscienti (e più che coscienti), anche se l’apparente assenza di un sistema riproduttivo nel regno meccanico fa sembrare la cosa improbabile. Quest’assenza, comunque, è solo apparente, e lo dimostrerò.
« Non vorrei che si pensasse, tuttavia, che io abbia paura delle macchine attualmente esistenti. Probabilmente tutte le macchine conosciute sono solo prototipi della vita meccanica futura. Rispetto alle macchine dell’avvenire quelle di oggi sono come i primi dinosauri rispetto all’uomo. Le più grandi, con tutta probabilità, si rimpiccioliranno molto. Alcuni dei primi vertebrati avevano proporzioni molto maggiori di quelle ereditate dai loro discendenti, dotati di organismi più perfetti; allo stesso modo che le macchine, a mano a mano che si sviluppano e progrediscono, si riducono di dimensioni. « Prendete ad esempio l’orologio; osservate il suo meccanismo perfetto, il giuoco intelligente delle minuscole parti che lo compongono; eppure questa piccola creatura è solo un perfezionamento delle ingombranti pendole che l’hanno preceduta, non una degenerazione. Verrà un giorno in cui le pendole, che certo finora non si sono rimpicciolite, verranno soppiantate dall’uso universale dell’orologio: la loro diverrà quindi una specie estinta, come quella degli ittiosauri, mentre l’orologio, che da qualche anno tende a rimpicciolirsi piuttosto che a fare il contrario, rimarrà l’unico tipo sopravvissuto di una razza estinta. « Ma, per tornare al nostro argomento, nessuna delle macchine attuali, ripeto, mi spaventa. Ciò che mi spaventa è la straordinaria rapidità con cui esse si stanno trasformando in qualcosa di ben diverso da quello che sono oggi. Nessuna specie animale o vegetale ha mai fatto, in passato, simili passi da gigante. Non dobbiamo dunque sorvegliare gelosamente il loro progresso, e arrestarlo finché siamo ancora in tempo? E per far ciò non è forse necessario distruggere le macchine più progredite oggi in uso, anche se si ammette che di per sé esse non costituiscono un pericolo? « Per ora le macchine ricevono le impressioni attraverso il veicolo dei sensi dell’uomo. Una locomotiva in moto lancia un "grido acuto di allarme per avvertirne un’altra, e costei immediatamente si ritira: ma è attraverso le orecchie del conducente che la voce dell’una ha avvertito l’altra. Senza il conducente la macchina avvertita sarebbe stata sorda al grido di richiamo. Un tempo, certo, sembrò molto improbabile che le macchine apprendessero a manifestare i loro bisogni coi suoni, sia pure attraverso l’orecchio dell’uomo. Non possiamo, dunque, immaginare che verrà un giorno in cui quell’orecchio non sarà più necessario, e le macchine saranno capaci di cogliere il suono grazie alla loro stessa delicata struttura, un giorno in cui il loro linguaggio si sarà evoluto fino a diventare, da strillo animalesco, un discorso complesso come quello umano? « È possibile che a quell’epoca i bambini imparino il calcolo differenziale (come ora imparano a parlare) dalla madre o dalla nutrice; o che conoscano il linguaggio ipotetico o la regola del tre; ma non è probabile. Non possiamo sperare in un progresso delle capacità intellettuali o fisiche dell’uomo che regga il confronto col molto maggiore sviluppo cui sembrano destinate le macchine. Alcuni potranno dire che l’influenza morale dell’uomo basterà a dominarle: ma non mi sembra prudente contare molto sul senso morale di qualsiasi macchina. « Fra l’altro, la maggiore gloria delle macchine non potrebbe consistere proprio nella mancanza del tanto vantato dono della parola? “Il silenzio,” ha detto uno scrittore “è una virtù che ci rende graditi ai nostri simili”.». |
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