ALTRE BUGIE

4
Acta Eruditorum . 1712
arteideologia raccolta supplementi
made n.15 Maggio 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
1
pagina
Dedalo . Δαίδαλος . Dáidalos

Tutti conoscono il mito di Dedalo e Icaro;  meno conosciuta  è la sua variante,  quella narrata nel mito di Dedalo e Caro.
Dedalo venne accusato di aver ucciso il  nipote Caro (o Calo, Talo, Circino o anche Tantalo), che era un suo discepolo, facendolo precipitare dal tetto di un tempio situato sull’Acropoli di Atene, perché temeva di venire dal nipote superato nell’arte. Dopo avere recuperato il corpo ai piedi dell’Acropoli, lo nascose in un sacco per seppellirlo in un posto isolato; ma fu scoperto e l’Areopago lo condannò all’esilio.
Altri dissero che Dedalo fuggì prima che avesse luogo il processo per rifugiarsi a Creta dove costruì il labirinto nel quale Minosse (che gli aveva dato in moglie Naucrate - una sua schiava) lo fece rinchiudere assieme al proprio figlio Icaro (ma a Creta è presente anche un Talo, uomo meccanico di bronzo e sentinella feroce degli approdi clandestini all’isola)...
Ad alcuni la gelosia professionale è parsa eccessiva come movente per un simile delitto, e preferirono riportare una versione per la quale Dedalo uccise il nipote Caro per aver avuto rapporti incestuosi con la madre, Perdice o Policasta, sorella di Dedalo.
Si dice anche che Pallade, amica di chi possiede ingegno, raccolse l’anima di Caro mentre precipitava, e cosparsala di piume la tramutò in una pernice.
A tale proposito il Servagis ha recentemente avanzato la tesi per la quale l’intero mito di Icaro sarebbe nato da una errata interpretazione di alcuni bassorilievi attici che rappresentavano proprio il momento della metamorfosi di Caro in uccello durante la caduta.
Ovidio riferisce che mentre Dedalo seppelliva il corpo di Icaro, una pernice irriverente lo disturbò durante le esequie.

LA CADUTA DI ICARO RACCONTATA DAL PADRE DEDALO

Mentre seppelliva l’affogato, una pernice appollaiata tra le radici di un vecchio frassino, squittiva e sbatteva le ali come per un applauso.

— Povero timoroso uccello dai corti voli,
frequentatore appena delle soglie dell’aria, per cosa stai esultando ?
Certamente ben diverso da te era costui che ora qui sotto giace; tuttavia è pur sempre ad un uccello che ho scavata la fossa !

Ma vedo che siamo i soli attorno a questa sepoltura.
Allora dammi retta e sgambettatene via.
Se rapida non ti allontani — tu che a malapena raggiungi le cime degli alberi più bassi — dovrai proprio ascoltare il compianto per colui che volle slanciarsi tanto in alto da toccare la spalla stessa del sole ed esserne abbruciato.
Ancora non ti smuove la minaccia ?
Anzi, diventi attenta, e sembri interessata.
Vuoi forse conoscere come  avvenne l’apprendistato del volo e magari carpire i segreti di quella temerarietà di cui tu sei priva ? Io caldamente non te lo consiglio.
Ma se qui ti fermi ad ascoltarmi, ingozzati pure con le amare bacche del mirto, e piangi, se puoi !

Di questo mio figlio Icaro si disse che Naucrate, schiava di Minosse, fosse la madre.
Nessuno invece si chiese mai nulla circa lo sconosciuto padre di Caro, figlio di mia sorella Perdice Policasta, e a me dunque nipote.

Eppure sarebbe bastato interrogare i nomi per indovinare lo scandalo.
Come potrebbe mai una naucratica potenza di mare attuarsi senza disporre del molto stagno policasto necessario a fondere in bronzo i cavicchi delle navi e le armi marinare ?
Come si poteva - cioè - concepire l'esistenza di una Naucrate che non fosse una Policasta ? [1]

Ma Atene non osò spingere il proprio naso tra le lenzuola familiari dei nobili discendenti di Eretteo.

Tu invece, o pernice, mettici pure il becco, e tieni stretto il bandolo delle genealogie.
Perché fin dall’inizio, come un caprone gonfio di desiderio, un Dedalo in cerca della vertigine e dell’anelito si era smarrito nei corridoi parentali della sua stessa casa e aveva infine incontrato la bestia.

Non vedi infatti come inizio a balbettare appena il mio narrare s'avvicina alla sua scena madre ?
Eppure non esitai in tal modo davanti la porta chiusa della mia pallida sorella.

Così quando Perdice depose infine il nostro pallido uovo, già s’era consumato il precipizio e il volo. [2]

E quando poi Caro si fece giovinetto, l’intera Atene e Policasta stessa me lo affidarono quale discepolo della mia fucina.

E un Caro paziente sopportava il dispotismo della mia disciplina, e raccoglieva i segreti delle cotture e dell'arte di nutrirli col suo intelletto, che in tutto m’inseguiva ed eguagliava.
Come quando — appena dodicenne — inventò il compasso e la doppia seghetta pel cesello.

Potresti adesso credere, o pernice, a quegli stolti che dissero, davanti l’Areopago riunito per l’inchiesta, d’aver spesso veduto il volto di Dedalo contrarsi nell’invidia per quel discepolo che già lo superava ?

Ma come avrebbero potuto, i miei concittadini, indovinare nei pubblici trasalimenti dello zio il malcelato orgoglio di un padre occulto ?
Eppure più volte avrei voluto gridare nell’agorà, in faccia a quegli sbigottiti per il precoce ingegno: siete dunque talmente sciocchi da non riconoscere in Caro il figlio di Dedalo ?
Ma subito l’orrore di una folla sempre propensa alla lapidazione consigliava al mio cuore: taci !

Solo qualche sagace avvertì la puzza del promiscuo — ma non seppe farci altro che abbandonarla alle digiune comari che imputridivano al sole assieme alle mammelle flaccide.

In cerca di domande e ardito nelle soluzioni, non certo meno rapido che nelle decisioni, quando Icaro scoprì — numi del cielo: per una inezia appena ! — l'infame segreto dei fratelli, da sopra la scoscesa dell’Acropoli gridò verso di me che tendevo le braccia supplici:
« Ecco, padre ! Ora misurerò con quanto spavento un grumo di colpa precipita da questa oscura rupe di salnitro. »

E subito con un balzo volle liberarsi da quell’intrigo delle genealogie.—
pagina


[1] - Il nome Naucrate, moglie di Dedalo e madre di Icaro, significa "potenza di mare". Il secondo nome di Perdice, sorella di Dedalo e madre di Caro, è Polycasta (policassitere) ossia "molto stagno". Per cui, questo ragionar di Dedalo circa l'evidenza di un'unica identità per le due donne è dovuto al fatto che la supremazia marinara cretese dipendeva principalmente dal rifornimento di stagno da mescolare e fondere col rame per ottenere il bronzo; l'una, cioè la potenza di mare, non poteva essere senza l'altra, ossia il molto stagno. L'una e l'altra, moglie e sorella, sarebbero praticamente un'unica persona - così come pure Icaro e Caro.
Dedalo, Efesto, Vulcano, Icaro, Caro o Talo, Perdice ecc. sarebbero figure e controfigure di singoli attributi variamente connessi con i misteri dell'antica arte cretese della fusione del bronzo secondo il metodo della cera persa - per la quale la statua di bronzo così ottenuta aveva la medesima forma di quella di cera che era servita alla sua preparazione (Icaro e Caro come forme corporee per stampi d'una medesima cera persa).
Inoltre il Graves riferisce che " i Cretesi portarono in Sardegna questo metodo della cera perduta assieme al culto di Dedalo. Poiché Dedalo aveva imparato l'arte dalla dea Atena, nota come Medea a Corinto, la leggenda della morte di Talo (o Caro) nacque forse dall'errata interpretazione di una raffigurazione in cui si vedeva Atena che spiegava il metodo della cera perduta. La leggenda che vuole la morte di Icaro provocata dalla fusione della cera pare dunque appartenere, piuttosto, al mito di suo cugino Talo (o Caro), poiché Talo, l'uomo di bronzo, è strettamente connesso con il suo omonimo, l'artefice del bronzo e supposto inventore del compasso."
Il corrispettivo biblico di queste metalliche figure dedaliche potrebbe ravvisarsi in Tubal-cain, discendente di Caino: "... Tubalcain, costruttore di ogni specie di arnesi di rame e di ferro" (Genesi 4.22). In epoca medievale il più autorevole commentatore della Bibbia, il rabino Rashi, ha interpretato il suo nome con significato di
"colui che spezia (aromatizza) il mestiere di Caino". Egli, cioè, avrebbe "aromatizzato e ridefinito il mestiere di Caino facendo armi per assassini".
E nel suo Antichità Giudaiche, Giuseppe Flavio dice che "Tubal superò la forza di tutti gli uomini ed era molto esperto e famoso in esibizioni marziali, [...] e prima di tutto aveva inventato l'arte di lavorare l'ottone". Tubalcain, inventore di armi evolute, è stato inoltre descritto come il primo chimico.

[
2] - Considerate le sorti di Dedalo (in perenne esilio) e della sorella Perdice (che s'impicca), a conclusione della nota precedente si può aggiungere che il balzo tecnico dovuto alla cottura in un unico crogiolo di due diversi minerali - per ottenere una nuova lega metallica dai caratteri differenti da quelli dei relativi componenti (evidentemente affini per legami familiari) è probabile che in un primissimo tempo venne intesa dalla comunità come una pratica che contravveniva ad una atavica proibizione.
A qualcosa simile a un interdetto alla promiscuità; per cui la proibizione dell'incesto familiare veniva estesa universalmente anche sui mondi vegetale e geologlco, così da riverberarsi nella manipolazione pratica di tutti i materiali della più remota industria umana.
Nelle metamorfosi mitologiche dell'epoca classica si conservano forse le tracce fossili di un tale più remoto sentimento avversativo, che riaffiora quando si presentarono innovazioni tecniche come l'innesto delle piante o la mescolanza di sostanze organiche o inorganiche per la cottura o la fusione ecc.?.
Distribuendo alle diverse figure del mito metallurgico di Dedalo la colpa d'incesto, lo scoliasta dell'Eruditorum sembra voler portare alla luce appunto il sentimento da noi intravisto - inabissato nella narrazione simbolica e anch’esso liquefatto e perduto come la cera delle fusioni.