43.0 - Se le opere
dei pittori indicati in 40.0 si dispongono variamente attorno al punto limite
della "mera superficie" per rendercela visibile sotto le specie di "ospite"
o di "supporto" (ma se non è chiaro telefonatemi pure a casa, o scrivetemi),
resta ancora da dimostrare che quanto accennato sulla "schermo" abbia trovato
realiter una sua specifica forma pittorica, tale che tutto questo ragionare
non cada fuori delle concrete pratiche artistiche?
Allora diciamo subito che è
merito di alcune opere di Fabio Mauri averci infine offerto la possibilità
di rendere tangibile la categoria dello "schermo" in pittura; ma anche -
a riprova dei passaggi bronzei previsti da questo specifico cammino - di
avere svolto poi, del tutto conseguenzialmente, le prove ulteriori che lo
"schermo" si riserva e implica.
Adesso possiamo dare a Fabio quello
che è di Fabio e allo schermo quello che è dello "schermo",
raccogliendo diversi appunti scritti attorno al 1975 - una parte dei quali
è stata nel frattempo pubblicata nella citata monografia di Mauri
del 1994.Nella versione che segue i brani pubblicati in quella redazione,
sono segnalati con la sigla fm. seguita da un numero, racchiusa
tra parentesi quadre; es. [fm.21], dove il numero rappresenta l'ordine dei
brani nella pubblicazione citata.
43 - Quando ciò che lo
schermo rinvia è indovinato come puramente casuale, si introduce un
dato che prende a far vacillare ogni certezza che non sia lo schermo stesso,
e con ciò lo si fonda come unica realtà oggettiva, immutabile,
nel tempo essendo sempre uguale a sé stesso; posta l'antinomia la
negazione di un termine non può che confermare l'altro. [fm17]
44 - Data l'immagine
filmica e lo schermo, l'esplorazione combinatoria delle loro possibilità
casuali non può che giungere presto all'unico altro caso che rimane:
quando lo schermo si sottrae al flusso numinoso delle immagini e lascia che
il fascio luminoso sospinga l'immagine verso l'infinito e la consunzione.
[fm16]
Questo sottrarsi sancisce un divorzio
che si è reso possibile soltanto se fin dall'inizio lo schermo e l'immagine
sono due entità autonome. Solo quando il divorzio si fa definitivo
lo schermo inizia a giocare un proprio ruolo esclusivo, pur senza ostentare
la sua preminenza; e i nuovi incontri con le immagini cadranno sotto le leggi
ostili dell'ospitalità. (rimane da chiedersi cosa fa l'immagine quando
non incontra lo schermo?)
45 -
La rappresentabilità della fantasmagoria vorticosa delle immagini
si rende possibile solo per mezzo di un candido schermo, che nella immacolatezza
del suo porsi tutte le immagini inferisce e provoca [fm14]; non certo come
il futurismo, che prende sul serio l'illusione di rappresentare appena, con
una convenzione grafica, la dinamica della impressioni retiniche (
ved.scoli Fut.)
46 - Lo schermo, sciolti
i legami con l'apparecchiatura, non è più un piano di proiezione
cinematografica. Il compito che si rivela non è più quello -
che in un primo tempo lo aveva abbacinato - di rappresentare il fenomeno del
cinema nelle sue determinazioni particolari e altamente accidentali, ma quello
di porsi come categoria spaziale del pensiero fuori da ogni tempo. Di imporsi
quale condizione essenziale per attualizzare il pensato e il pensabile. E'
un'opacità del tempo che solo può dare forma alla memoria,
rivelarla ai sensi, sia pure nella confessa incapacità di prolungarne
l'attimo, il momento involontario, decisivo a volte, se non tramite la riconversione
cleptomane della fotografia che inverte il movimento dissolutore, l'andamento
inarrestabile del flusso dei segni.[fm18]
Lo schermo diviene la base materiale
sulla quale l'immagine e la luce trovano, finalmente, riposo: il loro determinato
riposo.
47 - Andandosene liberamente
tra gli uomini, lo schermo è una provocazione in atto: cioè,
reclama ogni e qualche risposta; ed è un atto di provocazione:
cioè, rifiuta ogni risposta.
Egli è categorico nella
sua estrema illimitata disponibilità e indisponibilità. È
talmente sottile che ha escogitato un metodo sicuro per porsi al riparo e
prevenire le indagini sul suo conto. Pone delle domande alle quali egli solo
può rispondere; ma risponde con enigmi per sottrarsi così ad
ogni inchiesta che sa perniciosa alla sua salute - offre gli enigmi per indaffarare
gli uomini, mentre il suo pensiero intossica la stanza.
Non scende a patti con altri segni.
Ma paradossalmente - e forse neppure tanto - questo suo porsi contro i segni
è la sua condizione per sottomettersi illimitatamente a tutti i segni
illimitati.
La sua voglia nascosta (e tanto
ha il pudore di mostrarla che a sé stesso persino la nasconde) è
d'essere posseduto interamente e perpetuamente da tutti i segni e da tutti
i capricci ideologici senza concedersi interamente a qualcuno.
La sua ambizione, che lo divora,
è la polisemia.
Le sue prestazioni vanno sotto
il segno della sregolatezza: egli non può possedere nessuna regola,
è però dominato dalla legge dell'ospitalità - ma non
la possiede: ne è posseduto (cfr. 35.e).
O forse può possedere solo
la regola dell'azzardo; la stessa del giocatore - per il quale non vi è
regola rispondente, e per questo, sempre con rinnovato ardore, pretende farsene
- per il quale ogni atto è sempre svincolato dai precedenti e dai
futuri. (la regola dell'azzurdo)
E se tutti questo sono i preliminari
per la morte, lo sono pure per una esistenza liberata dall'esistenza, sottratta
al caso e sottomessa alla necessità dell'istante - e l'istante sconfigge
il caso, poiché non consente (concede) opzioni (sostituzioni), ma solo
altri istanti che non lo riguardano già più.
Lo schermo, invero, è anche
una minaccia: è sempre pronto a rendere tangibile ai sensi il nostro
pensiero - è la cattiva coscienza (di chi si sa corruttibile).
Desiderando concedersi a tutti,
lo schermo non può che privarsi di ogni prerogativa selettiva; non
predilige nessuno e non condanna nessuno - neppure lui osa scagliare la prima
pietra: geme di essere posseduto.
Così la sua depravazione
sostanziale rende necessaria la sua castità virginale - da qui la sua
forma enigmatica.
48 - Sia lo schermo
che l'ospite hanno un doppio senso.
L'ospite è colui che accoglie
(che riceve - concavo) ed è al tempo stesso colui che viene accolto
(che si offre - convesso). L'ospite è lo straniero amico e l'amico
ostile.
Anche lo schermo designa tanto
un piano di proiezione (che riceve - concavo) una realtà antistante,
ma indica anche un piano opaco per una realtà retrostante, sottratta
all'occhio (convessità scivolosa allo sguardo). È al tempo stesso
un rivelatore di immagini e un offuscatore di immagini, un impedimento alla
visione profonda (cfr. scolo 39.f.3).
Così nelle loro medesime
parole si esprimono le unità specchianti, gli antagonisti si conciliano
mentre i concilianti si antagonizzano.
49 - Lo schermo è
l'ospite, e l'ospite è il visitatore: è lo schermo.
(La mera superficie come ospite,
ossia lo schermo)
L'ospite è sicuro della
propria esistenza e consistenza: egli si sa. Ma sapendosi in quanto ospite
si sa incernierato come la porta di Duchamp (che chiudendosi apre e aprendosi
chiude) sul proprio asse di simmetria; egli si racchiude tutto lì,
in questo luogo della consapevolezza che è una valvola cardiaca dell'andare
e del venire, dei flussi palpitanti del suo segreto cuore (cfr. 39.e).
L'ospite è tale solo se
il visitatore l'attualizza penetrando nella sua aura ospitale; altrimenti
non è più tale, ma neppure il visitatore sarà visitatore,
ossia: l'ospite non è più l'ospite.
L'ospite non sarà ospite
se il visitatore non sarà visitatore.
Reciprocità - il celibe
si fa pretendente si sé stesso. Sebbene analiticamente (nei ruoli)
si presentano uno all'altro come due unità contrapposte e distinte
(dunque: op-stili) la loro esistenza è complementare una all'altra,
l'una dall'altra dipendente, l'una dall'altra e l'una nell'altra risolventesi
e dissolventesi.
Impassibile l'ospite deve subire
il visitatore, se ospite vuol rimanere: e viceversa. Entrambi non possono
evitare l'incontro verso cui si mobilita tutta la loro esistenza - sebbene
il loro reciproco odio diviene di giorno in giorno tremendo e palese; la loro
condanna è nella perenne riconciliazione: e questo li ammorba.
Lo schermo, come l'ospite, è
disposto a tutto e invoca l'incontro senz'altro, comunque: pena la sparizione.
Allora non è un campo potenziale
ma attuazionale di tutte le voglie; è il pervertimento del pensiero
- è la zona di pervertimento del pensiero e dell'azione [fm24,25].
È un vuoto infettato; portatore
sano d'ogni immagine; autoimmunizzato contro le sue stesse seduzioni: perciò
più infido [fm23].
Come un bordello estremamente
sguarnito è però sempre pronto a ospitare tutti quelli che
casualmente e causalmente passano nel vicolo [fm26].
Insomma: è il deserto tebaidico
di sant'Antonio.
50 - Lo schermo,
oramai ospite incontinente, si rifiuta, per costituzione o istituzione, di
trattenere più a lungo il visitatore oltre l'attimo fuggente dell'incontro
(ossia: oltre l'attimo in cui si è incontrato con sé stesso,
rivelato a sé stesso come ospite e visitatore.
Il suo desiderio di assolutezza
lo condanna all'estrema solitudine dello scialacquatore che consuma sé
stesso in questi lampi accecanti.
Amministra la propria abbacinante
nudità con l'oculatezza dei parsimoniosi e prende a vivere interamente
la sua condizione (convinzione?) di insostituibilità in tutte vicende
che le contingenze gli intrecciano attorno: da loro, lui, finalmente libero.
Nella sua originaria passività
ha con insistenza e silenziosamente perseguito un proprio intimo progetto
di redenzione: il "The End" già si palesava proponimento di mai più
concedersi , e al contempo premonizione sicura al raggiungimento della libertà
- quando la pellicola è tutta passata, tutta avvolta nella spirale
della durata.
. L'unica condizione per compierla
era riposta nello scivolare via repentinamente dal flusso luminoso di immagini:
farsi negare come ospite di visite inquietanti ("Buon angelo, Maria non c'è.
Passi un'altra volta; vedremo di redimerci per nostro conto").[fm19]
Ma la sua verginità finalmente
conquistata è provocazione continua. Il suo bianco vestito attira irresistibilmente,
come una finestra illuminata nella notte, miriadi di falene accecate e impudiche
che vi si precipitano per schiacciarsi sul vetro e morire in quella trappola
mortale.
Il suo candore - forse morale?
Calvinista, allora meglio: giansenista - si va svelando come la forma
più sottile del peccato reso enorme dal mascheramento dell'immacolatezza.
Questo candore esposto a tutti
geme di concedersi.[fm20]
Non è un segno perché
li è tutti; oppure è il segno di tutti i segni possibili, il
loro centro di gravità, l'occhio del tifone e il cuore vuoto del polifemo.
Il che equivale a dire che è l'ultimo segno o li precede; che intanto
è il loro fondamento materiale in quanto, pur essendo materiato,
è negazione d'ogni determinata loro materialità.[fm21]
Non ha un'ideologia perché
le ha tutte. La quale è pur sempre un'ideologia, ma la più laida.[fm22]
51 - La pittura come
schermo, e viceversa, non è il risultato di una rinuncia (di una sospensione
o di una interruzione dei rituali), ma precisamente il contrario: è
proprio la soluzione pittorica di una incapacità di rinunciare ad alcunché;
è la forma di un eccesso, di una dismisura, la voracità di
rappresentare immediatamente il mondo intero nella sua propria voracità
di rappresentazione; è il vuoto bulimico del ventre del mondo (cfr.
9).
52 - La pittura, adesso,
può anche accadere: però non è detto.
Come ogni diritto non si porta
appresso l'oggetto cui dà diritto (altrimenti che diritto sarebbe?),
così il diritto dello schermo all'immagine non si porta appresso l'immagine.
Allora lo schermo, proclamando il proprio diritto all'immagine ne confessa
la penuria,
Lo schermo deve rimanerne sguarnito
proprio per consentire sempre questa sua propria possibilità, per continuare
ad averne sempre diritto, per essere questo diritto incarnato (cfr. 24, 25).
La mera superficie rimane l'opera
irriducibile; è l'opera e il prius. L'opera non è più
la rappresentazione del mondo: e il mondo stesso della rappresentabilità
(cfr. 36.a).
Le condizioni affinché
tutto questo si manifestasse palesemente, affinchè si rendesse anche
materialmente possibile, potevano essere offerte alla pittura solo in una
fase storica nella quale anche i rapporti tra gli uomini e le cose si oggettivassero,
si staccassero dagli oggetti; e se il rapporto si oggettivizza, gli oggetti
si rapportizzano.
53 - Non è qui
il caso di esaminare quale potrebbe essere il paradigma sociale interiorizzato
che è alla base della "mera superficie" e dello schermo come ospite
nella sfera della produzione pittorica attuale. [A tale proposito, per le
parti riguardanti le omologie tra superficie e forme economiche cfr. "L'azzardo
omologetico" negli estratti pubblicati nell'Imprinting
del settembre 1976]
È invece da aggiungere
che lo schermo, emancipato da una sudditanza che lo voleva ospite per forza,
è andato emancipando termini ormai non più interdipendenti della
macchina da proiezione o apparecchiatura, del fascio luminoso, del film:
memoria e tesoro d'immagini, conchiuso universo linguistico di cui la fine
è nota (sicura).[fm.27]
E questi altri termini diventano
di fatto i protagonisti di altre vicende della medesima storia; e nel loro
sviluppo rendono probante quanto fin qui detto. Ossia: le vicende successive
sono strettamente conseguenziali e tirano dentro Fabio Mauri.
54 - E i fatti successivi
disvelano e provano, sopra ogni legittimo dubbio, che gli schermi di Mauri
possedevano ab ovo una vocazione ospitale, di contro all'altra vocazione
della "mera superficie" di essere un supporto o tornare ad essere un
motivo.
A conclusione
di questa parte, possiamo anche aggiungere che
gli schermi di Mauri sono i prototipi incarnati e sviluppati della vocazione
stessa all'ospitalità della "mera superficie", nella quale si risolve
una linea della pittura contemporanea.
...continua
|