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Archivio (comunque indiziario) dell'Ufficio Tecnico (per l'Immaginazione preventiva)

Carmelo Romeo L. - La Superficie In Pittura [ Brani da 38.a a 39.g] - La seconda parte della quarta apparizione - Brani sparsi, editi e inediti, appunti, diagrammi e iconografie di un lavoro iniziato nel 1972 attorno alla mera superficie, il supporto, lo schermo e...altro.
LA SUPERFICIE IN PITTURA

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LA MERA SUPERFICIE
COME SUPPORTO O COME OSPITE


                  Angosce del passato necessarie
                  aggrappate come con artigli
                  al sepolcro di sconfessione.
Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”


38.a - Il limite dell'invisibile segnato dalla "mera superficie", è il cuore svuotato della pittura; che geme di essere raggiunto pur proclamando il NOLI ME TANGERE. Perché fin lì la pittura si attua, ma proprio lì la pittura prende fine.
Praticando  la disciplina dell'avvicinamento al limite, la pittura vi giunge estenuata; ma quando ormai è del tutto prossima all'invisibile e si scorge come pittura definitiva, il pittore annusa il pericolo del congedo e - in un estremo riguardo verso sé stessi- si fanno - pittore e pittura- irriducibili. [cfr. 15, 21, 28]
È in questo intorno più prossimo al silenzio della Pittura che la pittura può ancora continuare ad apparire, evitando di venire ingoiata dalla vertigine perpendicolare che esce dal piano, verso il mondo della totalità esteriore e della non-pittura. [cfr. 01, 24]
Frequentare questa soglia incerta consente al pittore di acquisire quella familiarità che gli permette di imporre il silenzio al silenzio della pittura. [cfr. 20, 35.a]

38.b - Sul limitare del congedo la "mera superficie" in quanto tale rimarrebbe una semplice definizione, se non fosse che, nella immobilità dello stallo tra la perplessità tragica e la perplessità patetica, il Pittore, sciogliendosi dalla malinconia dei numeri, non la afferrasse per la coda nella sua duplice forma epifanica dell'”ospite” e del “supporto”, che a loro volta manifestano una propria duplice natura con la quale adesso possono inscenare le nuove sensibilità della pittura. 

38.c (ospite) - Per la "mera superficie" come “ospite” si possono indicare tutte quelle opere nelle quali predomina la calma dello stimolo retinico; ed è come un richiamo al riposo - proprio per l'invarianza della superficie pittorica - che si spinge fino ai limiti della  impercettibilità degli accadimenti pittorici sul piano. [cfr. 01] 
Qui è la pittura che accenna al nulla.
Qui è la pittura che accenna al vuoto nel quale ancora risuona appena il NOLI ME VIDERE del suo stesso limite.
Qui l'”ospite” si deve spoliare per mantenere sotto seduzione il visitatore. [cfr. 35.g] 

38.d(supporto) - Per la "mera superficie" come “supporto” si possono indicare quasi tutte quelle opere nelle quali - ora, dopo il passaggio al limite - predomina una sia pur limitata varietà di stimoli retinici, esaltati proprio dalla estrema discrezione.
Spesso nel “supporto” vengono evocate, ed invocate, le iconografie e iconologie, pur anche elementari, attraverso le quali la raffigurazione presto si aprirà un varco per ingombrare lo sguardo - non solo la vista. [cfr. 35.e]
Allora segna l'imbocco di una via di ibridazioni anche letterarie, che magari possono apportare contributi originali benché difficilmente apprezzabili senza le pasticciature dell'erudizione.
La sua direzione è determinata da una declinazione del passato; successiva, succedanea, anche ulteriore, comunque reattiva e spesso retroattiva rispetto al luogo di morte, disparizione e dunque di ricominciamento dell'arte della pittura - ed è propriamente da intendere come l'avvio della risalita di Orfeo oltre un punto (limite) che pur si era lasciato alle spalle; ma ora, dopo aver visto il volto del definitivo, ritorna sopra i propri passi, ma coi bruscoli del sepolcro dentro gli occhi. [cfr. 35.c, 36.c] 

38.e - L'”ospite” è sempre in perenne attesa. [cfr. 35.l] 
È continuamente visitato, abbandonato e tradito dalle incursioni delle figure che non gli concedono nulla, e mai gli si concedono; e questo ne forgia il cinismo del quale abbisogna. [cfr. 39.b]
Il “supporto” reclama ed espone le incrostazioni, le tracce, il sussistere e il permanere dei segni tangibili delle visitazioni e dei passaggi dell'angelo. In questo suo mostrare le impronte e le peste il “supporto” potrebbe anche apparire come una fase superiore dell'”ospite”, ossia come un “ospite” finalmente appagato e soddisfatto, ripagato dell'attesa. Se non fosse che troppo facilmente queste visite si trasformano in "motivo", e così svelandolo nell'ingordigia sconveniente del miserabile dominato da sensi di gratitudine nei confronti della (storia della) pittura. Allora il “supporto” troppo spesso mantiene un "ospite” che dopo tre giorni (è confermato anche dai Vangeli) inizia a puzzare come un pesce marcio. [cfr. 35.b, 35.e, 39.a]

38.f - Dunque: la “mera superficie” vuole eliminare la speranza stessa di ricostituire la Pittura. [cfr. 35.g]

38.g - Come “supporto” la “mera superficie” compie la riduzione dei piaceri: allora rimangono solo i desideri. Da qui la spinta verso il ripristino delle "scene madri' [cfr.35.e] della pittura, con le quali vuole darsi da fare per presentarsi come un testo su cui imbandire un desco privato, prêt-à-porter , apparecchiato per le mosche sarcofaghe che presto sciameranno dal (nel) motivo [cfr.39.a]; perché il compimento della riduzione dei piaceri lascia un solo unico piacere, continuamente raggiunto e continuamente dismesso, ossia venduto, eventualmente (stile?).

38.h - Come “ospite” la “mera superficie” compie la riduzione dei desideri stessi; dunque rimangono solo i piaceri. Da qui la sua propensione verso il soddisfacimento immediato, il godimento e la  quiete; e con ciò la capacità di portare sempre con sé la possibilità della pittura, non più per lasciarla deposta nell'opera, ma ne rimane sempre gravida senza mancare d'essere (e rimanere) la vagina pulita, non raschiata, della Pittura.
Con il passaggio al limite il pittore giunge al cospetto della pittura. Ma chi si pone a fronte della “mera superficie” non può servirsi d'essa - poiché si trova di fronte ad una negazione; allora può solo servirla (appunto come "supporto” o “ospite”).
Le opere e i giorni della pittura tendono a risolversi tutti nel pittore, nel quale si innervano e somatizzano senza lacerazioni per farne un corpo stellato.
Il “supporto” ha la presunzione del testo, dove per l'”ospite” il testo si costituisce nel contesto dell'accogliente.
Nell'”ospite” la riduzione dei desideri ha lasciato un solo, unico desiderio, sempre teso, perennemente eretto verso il mondo.
L'”ospite” muove dalla rinunzia e dall'indigenza per comporre un unico testo; e ancora una volta, quando non si ha nulla da perdere si ha un mondo da guadagnare. E la pittura come “ospite” persegue una strategia disperata per rimanere comunque seduta alla destra (del mondo) della Pittura.

(Ritorno alla realta' fisica) - Come nella raffigurazione in generale gli oggetti perdono il loro valore d'uso, così nella raffigurazione della pittura (quale doppia negazione d'uso) si volatilizza l'uso stesso della pittura; in tal modo si arriva ad una riconferma - però in una forma superiore- del valore d'uso degli oggetti del mondo. Ossia: l'annullamento della stessa nominazione pittorica (raffigurazione) sposta l'attenzione e l'uso dal segno alla realtà, che diviene possente.
Dunque: la “mera superficie” come “ospite” è giusto lì, come un presidio, per salvaguardare la realtà e la pittura, e ancora: la realtà della pittura. 

38.i - La “mera superficie”, in quanto forma baluginante della pittura che ha raggiunto il suo proprio limite, la rende sfuggente anche alle descrizioni; e uno ci si deve arrampicare come su di uno specchio. [cfr.39.f-6]

38.l - La pittura ora attinge dal fondo come da un pozzo senza pareti. E tu dici: eccola! senza vedere il pozzo, senza vedere la bellezza estrema del suo ozio  che si ristora ai bordi. Al suo diritto all'ozio tu concedi solo di cambiare fianco: dalle battaglie di Paolo Uccello alla sfida a scacchi di Duchamp - che sorride senza baffi perché ti sa debole all'astinenza dell'immagine.

39.a - È sufficiente applicare al “supporto” la mossa patetica (che comunque reclama e invoca, essendogli congeniale) per ritrovare la pittura come lavoro e come motivo operoso (motivo, anche nel senso di cercarsi una motivazione fuori dalla pittura medesima. [cfr. 35.c, 37.d]
Col motivo la pittura, dopo essersi avvicinata alla “mera superficie”, inverte la marcia; ossia procede non per un'altra nuova via ma persiste nella medesima, ritorna sui suoi passi e confonde le peste (nel modello del passaggio al limite, la tangente prosegue come secante percorrendo il settore della curva opposto al precedente.
Si può sempre tornare indietro senza rinnegare nulla; ma uno dopo il sacrificio [cfr. 35.f, 35.g] ritrova soltanto i rituali; e non sono per nulla indifferenti né i modi con i quali sono stati svolti i passaggi al limite, né quelli con i quali si tenta la risalita; su queste differenze riposano adesso le particolarità espressive della pittura. [cfr.03] 

39.b - Parimenti, è sufficiente applicare all'”ospite” la sua più conseguente mossa cinica [cfr. 38.e], per ritrovare la pittura come inoperosità irrinunciabile della pittura; ossia la risoluzione dell'opera come "schermo" (senza motivo). 

39.c - Mentre la perplessità patetica, posta di-fronte al NOLI ME VIDERE della pittura, conduce la “mera superficie” a risolversi in “supporto” e la spinge fino al motivo (che troppo facilmente si abbandona e sottomette alla voglia del ripristino delle scene madri della pittura - cfr. 04, 35.e), la perplessità tragica imprime alla “mera superficie” una propensione che, passando attraverso l'”ospite” si risolve nello “schermo” - il quale è il paradigma sgomento più prossimo al rivelarsi della pittura; il suo corpo di attualizzazione pittorica più conseguente che, accettando la sfida del NOLI ME VIDERE se ne rimane immobile e pago: imperturbabile (la pittura acquisisce una partitura dell'indeterminatezza e diviene spettacolo - giusto allora che l'opera diventi anche “schermo”, se la società è divenuta quella dello spettacolo).

39.d - La “mera superficie” è (ha raggiunto) il punto irrinunciabile della pittura; e il passo cinico dello “schermo” getta la pittura in balia del Mondo. [cfr.05]
È però lo “schermo” che, avendo travalicato l'uso stesso della pittura, mette in uso il mondo, che lo ripaga della sua rinuncia gettando su tutta la pittura  una luce che ne rivela  l'intera linea genealogica. 

39.e - La “mera superficie” può esprimersi solo con un passato o con un futuro, mai con un presente, che è inabissato sulla soglia, ficcato nella “mera superficie” come un fulcro o una cerniera immobile attorno cui la pittura continua a oscillare. Il “supporto” (passato) e l'”ospite” (futuro) sono le visibili oscillazioni pendolari che scandiscono la sparizione della Pittura.

39.f (scoli da leggere senza batter ciglio)

.1 – La morte dell’arte è una sua propria estrema possibilità. Questa morte che non ha voluto essere un “decesso”, rende ancora possibile qualcosa da fare; è produttrice di un vuoto che consente il movimento, che dà aria, respiro.
.2 – La figura si lascia vedere solo nascondendone altre. Invece: guardare ed essere nella cosa stessa, guardare lo sguardo vuoto della Pittura, non le rappresentazioni delle cose e della Pittura stessa come cosa. La trasparenza dissolve la figura e non nasconde più nulla, perché non vi è più nulla da nascondere, ossia più nulla da vedere.
.3 – Dopo la morte dell’arte non si può più venire distolti dalle immagini, distratti da esse, ma rivolti nella cosa e intimi con essa – rivolti nella Pittura e intimi con essa – senza impazienza, non più indaffarati - specialmente poi se la cosa di cui si tratta è, per l’appunto, un cadavere. (il van Gogh di Artaud?)
.4 – La “mera superficie” ha offerto alla Pittura non soltanto la possibilità di morire, ma anche la bara per accoglierla. E alla Pittura non è bastato morire, ha voluto che la “mera superficie” rimanesse quale cauzione a poter morire.
.5 – Dopo la morte dell’arte, della Pittura, si possono trovare soltanto i rituali delle condoglianze; ma per le condoglianze spesso non si trovano mai le parole adatte.
.6 – Solo la morte dell’arte poteva trasformare l’arte in una merce; separarne l’anima dal corpo. Come l’umanità operosa è stata separata in “lavoro morto” e “lavoro vivo”, ossia in Capitale e Lavoro salariato. [cfr. 35.d]
.7 – Alla fine tutti sono disposti a concederti la libertà di (religione, opinione, espressione, ecc.), non certo la libertà dalla (religione, opinione, espressione, ecc.); si consente la libertà di pittura, non la libertà dalla pittura (Duchamp, forse, si è concesso la libertà dalla pittura…o si è preso delle liberà con la pittura?).
.8 – Dopo la morte dell’arte, il suicidio dell’artista, intimo con tale morte, affermerebbe pur sempre il presente, e la vita; sarebbe la richiesta di un senso che non si ritiene esaudito. Una vera morte invece è quando non si desidera nessun desiderio, neppure quello di poter morire; contrariamente non sarebbe una vera morte, soltanto un appagamento. E la “mera superficie” è la rinuncia alla speranza stessa di avere ancora desideri. [cfr. 35.c e 35.g]
.9 – Rimanere quieti, non darsi da fare neppure con il suicidio. 
Dopotutto possiamo dire che uno può aver dimenticato i modi e le procedure della pittura; può anche non riconoscere più i luoghi nei quali la pittura è solita apparire; e magari aver dimenticato lo scopo e le ragioni stesse della pittura. Però uno può anche parlare di tutte queste dimenticanze e rimanere pur sempre nel cuore trafitto della Pittura.
.10 - Questo 9 è il mio caso? Sembrerebbe, alla luce di [32], dove: “il quadro ha senso quando lo si vende”.
Considera Tiziano, che si vantava di non aver mai neppure iniziato un quadro che non fosse già pagato, e di non averne mai dipinto alcuno semplicemente per proprio diletto (quindi mai vanamente, ossia con vanitas?). 
Interessante è anche il caso di Gerhard Richter, i cui monocromi del ’75 sono il risultato di un periodo nel quale non sapeva più cosa dipingere. Considera ancora [32], dove: “la pittura ha senso quando la si fa”; nel caso di G.R.  si manifesterebbe un carattere coattivo della pittura - o è la pittura a subire il carattere coattivo del pittore? Agisce una coazione a produrre in assenza di ogni altro bisogno che non sia il bisogno stesso di produrre – che poi è un produrre la pittura in quanto pittura; ossia un produrre, dunque, nella e sulla, e a partire dalla Vanitas
A cosa far risalire e su cosa poggiare materialmente tale coazione se non, in ultima istanza, al modo capitalistico di produrre nella limitatezza e nell’isolamento?
.11 – Che “la messa in vendita dell’opera d’arte è messa a morte dell’estetica precapitalistica1 e che “il mercato dell’estetica presuppone l’estetica del mercato2 , comporta che: lo sguardo non sia più sottomesso alla sensibilità retinica ma, emancipato dalla pesantezza della piramide  come lo è l’occhio divino stampato sul dollaro, acquista delle nuove prerogative per illuminare  con una sua propria luce tutti gli oggetti del mondo 3. [cfr. 35.d, 7 e 27]

1- C fr.  “Abaco delle esortazioni (critiche) ” in Aut.Trib 17139 n.1, Roma 1978; 2- Cfr.Aut.Trib n.1, cit ; 3- La ragione viene sconfitta dall’azzardo e Duchamp ripone gli scacchi per giocare in Borsa. 


39.g - [ Condizioni per il ritorno alla realta' fisica] [cfr. 38.h]


Indice del testo
 Forniture Ufficio Tecnico
capitolo 5 

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