Angosce del passato necessarie
aggrappate come con artigli
al sepolcro di sconfessione.
Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”
38.a - Il limite dell'invisibile
segnato dalla "mera superficie", è il cuore svuotato della pittura;
che geme di essere raggiunto pur proclamando il NOLI ME TANGERE. Perché
fin lì la pittura si attua, ma proprio lì la pittura prende
fine.
Praticando la disciplina
dell'avvicinamento al limite, la pittura vi giunge estenuata; ma quando ormai
è del tutto prossima all'invisibile e si scorge come pittura definitiva,
il pittore annusa il pericolo del congedo e - in un estremo riguardo verso
sé stessi- si fanno - pittore e pittura- irriducibili. [cfr. 15, 21,
28]
È in questo intorno più
prossimo al silenzio della Pittura che la pittura può ancora continuare
ad apparire, evitando di venire ingoiata dalla vertigine perpendicolare che
esce dal piano, verso il mondo della totalità esteriore e della non-pittura.
[cfr. 01, 24]
Frequentare questa soglia incerta
consente al pittore di acquisire quella familiarità che gli permette
di imporre il silenzio al silenzio della pittura. [cfr. 20, 35.a]
38.b - Sul limitare
del congedo la "mera superficie" in quanto tale rimarrebbe una semplice definizione,
se non fosse che, nella immobilità dello stallo tra la perplessità
tragica e la perplessità patetica, il Pittore, sciogliendosi dalla
malinconia dei numeri, non la afferrasse per la coda nella sua duplice forma
epifanica dell'”ospite” e del “supporto”, che a loro
volta manifestano una propria duplice natura con la quale adesso possono
inscenare le nuove sensibilità della pittura.
38.c – (ospite)
- Per la "mera superficie" come “ospite” si possono indicare
tutte quelle opere nelle quali predomina la calma dello stimolo retinico;
ed è come un richiamo al riposo - proprio per l'invarianza della superficie
pittorica - che si spinge fino ai limiti della impercettibilità
degli accadimenti pittorici sul piano. [cfr. 01]
Qui è la pittura che accenna
al nulla.
Qui è la pittura che accenna
al vuoto nel quale ancora risuona appena il NOLI ME VIDERE del suo stesso
limite.
Qui l'”ospite” si
deve spoliare per mantenere sotto seduzione il visitatore. [cfr. 35.g]
38.d –(supporto)
- Per la "mera superficie" come “supporto” si possono indicare
quasi tutte quelle opere nelle quali - ora, dopo il passaggio al limite -
predomina una sia pur limitata varietà di stimoli retinici, esaltati
proprio dalla estrema discrezione.
Spesso nel “supporto”
vengono evocate, ed invocate, le iconografie e iconologie, pur anche elementari,
attraverso le quali la raffigurazione presto si aprirà un varco per
ingombrare lo sguardo - non solo la vista. [cfr. 35.e]
Allora segna l'imbocco di una
via di ibridazioni anche letterarie, che magari possono apportare contributi
originali benché difficilmente apprezzabili senza le pasticciature
dell'erudizione.
La sua direzione è determinata
da una declinazione del passato; successiva, succedanea, anche ulteriore,
comunque reattiva e spesso retroattiva rispetto al luogo di morte, disparizione
e dunque di ricominciamento dell'arte della pittura - ed è propriamente
da intendere come l'avvio della risalita di Orfeo oltre un punto (limite)
che pur si era lasciato alle spalle; ma ora, dopo aver visto il volto del
definitivo, ritorna sopra i propri passi, ma coi bruscoli del sepolcro dentro
gli occhi. [cfr. 35.c, 36.c]
38.e - L'”ospite”
è sempre in perenne attesa. [cfr. 35.l]
È continuamente visitato,
abbandonato e tradito dalle incursioni delle figure che non gli concedono
nulla, e mai gli si concedono; e questo ne forgia il cinismo del quale abbisogna.
[cfr. 39.b]
Il “supporto” reclama
ed espone le incrostazioni, le tracce, il sussistere e il permanere dei segni
tangibili delle visitazioni e dei passaggi dell'angelo. In questo suo mostrare
le impronte e le peste il “supporto” potrebbe anche apparire
come una fase superiore dell'”ospite”, ossia come un “ospite”
finalmente appagato e soddisfatto, ripagato dell'attesa. Se non fosse che
troppo facilmente queste visite si trasformano in "motivo", e così
svelandolo nell'ingordigia sconveniente del miserabile dominato da sensi
di gratitudine nei confronti della (storia della) pittura. Allora il “supporto”
troppo spesso mantiene un "ospite” che dopo tre giorni (è confermato
anche dai Vangeli) inizia a puzzare come un pesce marcio. [cfr. 35.b, 35.e,
39.a]
38.f - Dunque: la “mera
superficie” vuole eliminare la speranza stessa di ricostituire la Pittura.
[cfr. 35.g]
38.g - Come “supporto”
la “mera superficie” compie la riduzione dei piaceri: allora
rimangono solo i desideri. Da qui la spinta verso il ripristino delle "scene
madri' [cfr.35.e] della pittura, con le quali vuole darsi da fare per presentarsi
come un testo su cui imbandire un desco privato, prêt-à-porter
, apparecchiato per le mosche sarcofaghe che presto sciameranno dal (nel)
motivo [cfr.39.a]; perché il compimento della riduzione dei piaceri
lascia un solo unico piacere, continuamente raggiunto e continuamente dismesso,
ossia venduto, eventualmente (stile?).
38.h - Come “ospite”
la “mera superficie” compie la riduzione dei desideri stessi;
dunque rimangono solo i piaceri. Da qui la sua propensione verso il soddisfacimento
immediato, il godimento e la quiete; e con ciò la capacità
di portare sempre con sé la possibilità della pittura, non
più per lasciarla deposta nell'opera, ma ne rimane sempre gravida
senza mancare d'essere (e rimanere) la vagina pulita, non raschiata, della
Pittura.
Con il passaggio al limite il
pittore giunge al cospetto della pittura. Ma chi si pone a fronte della “mera
superficie” non può servirsi d'essa - poiché si trova
di fronte ad una negazione; allora può solo servirla (appunto come
"supporto” o “ospite”).
Le opere e i giorni della pittura
tendono a risolversi tutti nel pittore, nel quale si innervano e somatizzano
senza lacerazioni per farne un corpo stellato.
Il “supporto” ha la
presunzione del testo, dove per l'”ospite” il testo si costituisce
nel contesto dell'accogliente.
Nell'”ospite” la riduzione
dei desideri ha lasciato un solo, unico desiderio, sempre teso, perennemente
eretto verso il mondo.
L'”ospite” muove dalla
rinunzia e dall'indigenza per comporre un unico testo; e ancora una volta,
quando non si ha nulla da perdere si ha un mondo da guadagnare. E la pittura
come “ospite” persegue una strategia disperata per rimanere comunque
seduta alla destra (del mondo) della Pittura.
(Ritorno alla
realta' fisica) - Come nella raffigurazione in generale gli oggetti perdono
il loro valore d'uso, così nella raffigurazione della pittura (quale
doppia negazione d'uso) si volatilizza l'uso stesso della pittura; in tal
modo si arriva ad una riconferma - però in una forma superiore- del
valore d'uso degli oggetti del mondo. Ossia: l'annullamento della stessa nominazione
pittorica (raffigurazione) sposta l'attenzione e l'uso dal segno alla realtà,
che diviene possente.
Dunque: la “mera superficie”
come “ospite” è giusto lì, come un presidio, per
salvaguardare la realtà e la pittura, e ancora: la realtà della
pittura.
38.i - La “mera
superficie”, in quanto forma baluginante della pittura che ha raggiunto
il suo proprio limite, la rende sfuggente anche alle descrizioni; e uno ci
si deve arrampicare come su di uno specchio. [cfr.39.f-6]
38.l - La pittura ora
attinge dal fondo come da un pozzo senza pareti. E tu dici: eccola! senza
vedere il pozzo, senza vedere la bellezza estrema del suo ozio che
si ristora ai bordi. Al suo diritto all'ozio tu concedi solo di cambiare
fianco: dalle battaglie di Paolo Uccello alla sfida a scacchi di Duchamp
- che sorride senza baffi perché ti sa debole all'astinenza dell'immagine.
39.a - È sufficiente
applicare al “supporto” la mossa patetica (che comunque
reclama e invoca, essendogli congeniale) per ritrovare la pittura come lavoro
e come motivo operoso (motivo, anche nel senso di cercarsi una motivazione
fuori dalla pittura medesima. [cfr. 35.c, 37.d]
Col motivo la pittura, dopo essersi
avvicinata alla “mera superficie”, inverte la marcia; ossia procede
non per un'altra nuova via ma persiste nella medesima, ritorna sui suoi passi
e confonde le peste (nel modello del passaggio al limite, la tangente prosegue
come secante percorrendo il settore della curva opposto al precedente.
Si può sempre tornare indietro
senza rinnegare nulla; ma uno dopo il sacrificio [cfr. 35.f, 35.g] ritrova
soltanto i rituali; e non sono per nulla indifferenti né i modi con
i quali sono stati svolti i passaggi al limite, né quelli con i quali
si tenta la risalita; su queste differenze riposano adesso le particolarità
espressive della pittura. [cfr.03]
39.b - Parimenti, è
sufficiente applicare all'”ospite” la sua più conseguente
mossa cinica [cfr. 38.e], per ritrovare la pittura come inoperosità
irrinunciabile della pittura; ossia la risoluzione dell'opera come "schermo"
(senza motivo).
39.c - Mentre la
perplessità patetica, posta di-fronte al NOLI ME VIDERE della
pittura, conduce la “mera superficie” a risolversi in “supporto”
e la spinge fino al motivo (che troppo facilmente si abbandona e sottomette
alla voglia del ripristino delle scene madri della pittura - cfr. 04, 35.e),
la perplessità tragica imprime alla “mera superficie”
una propensione che, passando attraverso l'”ospite” si risolve
nello “schermo” - il quale è il paradigma sgomento
più prossimo al rivelarsi della pittura; il suo corpo di attualizzazione
pittorica più conseguente che, accettando la sfida del NOLI ME VIDERE
se ne rimane immobile e pago: imperturbabile (la pittura acquisisce una partitura
dell'indeterminatezza e diviene spettacolo - giusto allora che l'opera diventi
anche “schermo”, se la società è divenuta quella
dello spettacolo).
39.d - La “mera
superficie” è (ha raggiunto) il punto irrinunciabile della pittura;
e il passo cinico dello “schermo” getta la pittura in balia del
Mondo. [cfr.05]
È però lo “schermo”
che, avendo travalicato l'uso stesso della pittura, mette in uso il mondo,
che lo ripaga della sua rinuncia gettando su tutta la pittura una luce
che ne rivela l'intera linea genealogica.
39.e - La “mera
superficie” può esprimersi solo con un passato o con un futuro,
mai con un presente, che è inabissato sulla soglia, ficcato nella
“mera superficie” come un fulcro o una cerniera immobile attorno
cui la pittura continua a oscillare. Il “supporto” (passato)
e l'”ospite” (futuro) sono le visibili oscillazioni pendolari
che scandiscono la sparizione della Pittura.
39.f –
(scoli da leggere senza batter ciglio)
.1 – La morte
dell’arte è una sua propria estrema possibilità. Questa
morte che non ha voluto essere un “decesso”, rende ancora possibile
qualcosa da fare; è produttrice di un vuoto che consente il movimento,
che dà aria, respiro.
.2 – La figura si lascia
vedere solo nascondendone altre. Invece: guardare ed essere nella cosa stessa,
guardare lo sguardo vuoto della Pittura, non le rappresentazioni delle cose
e della Pittura stessa come cosa. La trasparenza dissolve la figura e non
nasconde più nulla, perché non vi è più nulla
da nascondere, ossia più nulla da vedere.
.3 – Dopo la morte dell’arte
non si può più venire distolti dalle immagini, distratti da
esse, ma rivolti nella cosa e intimi con essa – rivolti nella Pittura
e intimi con essa – senza impazienza, non più indaffarati -
specialmente poi se la cosa di cui si tratta è, per l’appunto,
un cadavere. (il van Gogh di Artaud?)
.4 – La “mera superficie”
ha offerto alla Pittura non soltanto la possibilità di morire, ma
anche la bara per accoglierla. E alla Pittura non è bastato morire,
ha voluto che la “mera superficie” rimanesse quale cauzione a
poter morire.
.5 – Dopo la morte dell’arte,
della Pittura, si possono trovare soltanto i rituali delle condoglianze;
ma per le condoglianze spesso non si trovano mai le parole adatte.
.6 – Solo la morte dell’arte
poteva trasformare l’arte in una merce; separarne l’anima dal
corpo. Come l’umanità operosa è stata separata in “lavoro
morto” e “lavoro vivo”, ossia in Capitale e Lavoro salariato.
[cfr. 35.d]
.7 – Alla fine tutti sono
disposti a concederti la libertà di (religione, opinione, espressione,
ecc.), non certo la libertà dalla (religione, opinione, espressione,
ecc.); si consente la libertà di pittura, non la libertà dalla
pittura (Duchamp, forse, si è concesso la libertà dalla pittura…o
si è preso delle liberà con la pittura?).
.8 – Dopo la morte dell’arte,
il suicidio dell’artista, intimo con tale morte, affermerebbe pur sempre
il presente, e la vita; sarebbe la richiesta di un senso che non si ritiene
esaudito. Una vera morte invece è quando non si desidera nessun desiderio,
neppure quello di poter morire; contrariamente non sarebbe una vera morte,
soltanto un appagamento. E la “mera superficie” è la rinuncia
alla speranza stessa di avere ancora desideri. [cfr. 35.c e 35.g]
.9 – Rimanere quieti,
non darsi da fare neppure con il suicidio.
Dopotutto possiamo dire che
uno può aver dimenticato i modi e le procedure della pittura; può
anche non riconoscere più i luoghi nei quali la pittura è solita
apparire; e magari aver dimenticato lo scopo e le ragioni stesse della pittura.
Però uno può anche parlare di tutte queste dimenticanze e rimanere
pur sempre nel cuore trafitto della Pittura.
.10 - Questo 9 è il mio
caso? Sembrerebbe, alla luce di [32], dove: “il quadro ha senso
quando lo si vende”.
Considera Tiziano, che si vantava
di non aver mai neppure iniziato un quadro che non fosse già pagato,
e di non averne mai dipinto alcuno semplicemente per proprio diletto (quindi
mai vanamente, ossia con vanitas?).
Interessante è anche
il caso di Gerhard Richter, i cui monocromi del ’75 sono il risultato
di un periodo nel quale non sapeva più cosa dipingere. Considera ancora
[32], dove: “la pittura ha senso quando la si fa”; nel caso di
G.R. si manifesterebbe un carattere coattivo della pittura - o è
la pittura a subire il carattere coattivo del pittore? Agisce una coazione
a produrre in assenza di ogni altro bisogno che non sia il bisogno stesso
di produrre – che poi è un produrre la pittura in quanto pittura;
ossia un produrre, dunque, nella e sulla, e a partire dalla Vanitas
.
A cosa far risalire e su cosa
poggiare materialmente tale coazione se non, in ultima istanza, al modo capitalistico
di produrre nella limitatezza e nell’isolamento?
.11 – Che “la
messa in vendita dell’opera d’arte è messa a morte dell’estetica
precapitalistica”1 e che
“il mercato dell’estetica presuppone l’estetica del
mercato”2 , comporta che:
lo sguardo non sia più sottomesso alla sensibilità retinica
ma, emancipato dalla pesantezza della piramide come lo è l’occhio
divino stampato sul dollaro, acquista delle nuove prerogative per illuminare
con una sua propria luce tutti gli oggetti del mondo
3. [cfr. 35.d, 7 e 27]
1- C
fr. “Abaco delle esortazioni (critiche)
” in Aut.Trib 17139 n.1, Roma 1978; 2-
Cfr.Aut.Trib n.1, cit ; 3- La ragione viene
sconfitta dall’azzardo e Duchamp ripone gli scacchi per giocare in
Borsa.
39.g - [
Condizioni per il ritorno alla realta' fisica] [cfr.
38.h]
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