35.a - Lo specchio offerto
dai Titani a Dioniso per distrarlo dalla propria unità corporea, è
stato la trappola per il Dio; la fascinazione della molteplicità variopinta
delle raffigurazioni del mondo ve lo inchiodano per consegnarlo alla
sofferenza dello smembramento e alla pena della morte.
Ora la Pittura riposa (smembrata
- cfr.03) in un sepolcro (imbiancato)
sulla cui superficie tombale le ombre della vacuità paiono scrivere
in epitaffio la sua ultima preghiera:
“Per carità, non
affliggetemi con l’iconografia!” [cfr.20]
35.b - L’artista
raggiunge la Pittura nel luogo segnato dalla soglia fluida che la separa
dalla sua stessa negazione [cfr.34]
e se la trova di fronte come “mera superficie”.
Se la tragedia consiste nel dare
forma all’informe, allora è in questa zona che si attua il tragico
come incontro con l’indefinito [cfr.31 e 35.g]
.
Ma Orfeo non può stare
più di tre giorni negli Inferi (neppure Malevic vi è riuscito)
e cerca la via (orfica?) per fare risalire la Pittura nuovamente verso la
luce e (ritrovare) le sue proprie apparenze figurali.
35.c - Tuttavia Orfeo
non ha saputo morire lui stesso per seguire realmente l’oggetto del
suo amore nella caverna senza luce.
L’unica sua preoccupazione
è stata quella di andarselo a riprendere, ma per uscirne poi ben vivo
– e pasciuto magari anche da un estremo motivo pittorico (tableau
vivent - happening? cfr.26
).
L’esortazione a non soffermarsi
in questo luogo di morte è accompagnata dalla interdizione di
non voltarsi indietro per non guardare alle risoluzioni del (tempo) passato.
Erano quasi giunti fuori dall’ombra
dell’Ade, quando la prima luce dell’aurora illuminò appena
il suo pallido amore; e Orfeo si volta (movimento patetico) e lo perde
per sempre. Si voleva solo accertare con i propri occhi che a seguirlo
nella risalita era pur sempre la Pittura, ma questa non gli perdona la debolezza
della consolatio [cfr.37.d]
.
35.d - In altre versioni
si salvano entrambi guardandosi sotto bagliori non solari, bensì sotto
quelli aurei di una lampada tascabile come la moneta.
[cfr.23, 35.e, 39.f.10]
Se Orfeo non ha saputo morire
per il suo amore, allora non può neppure vivere per esso.
Per questo verrà infine
anche lui straziato e dilaniato dalle donne trace; fatto a pezzi e venduto
al mercato [cfr. 39.f.7]
.
Soltanto la sua testa, inchiodata
alla Lira - appunto -, galleggerà sulle acque dell’Ebro per
approdare infine nell’isola di Lesbo, dove si darà da fare come
oracolo (l’arte come idea dell’arte? – dal minimalismo
al concettualismo?).
Morta l’arte rimane l’artista,
sopravvissuto come Orfeo ad Euridice.
Allora, dissolta la qualità
visibile delle cose, rimangono i loro ultimi lamenti; rimangono le loro qualità
sonore; rimangono soltanto i giochi di parole (di Narciso rimane Eco, di
Duchamp rimane Rrose).
35.e - L’ambito
della Pittura diviene, breviter, l’abiezione del pittore che la configura
come ambizione della Pittura a recuperare l’origine stessa dei suoi
oramai sbiaditi ricordi per abitare confortevolmente le impronte fossili
dei propri passi trascorsi.
Allora il movimento patetico del
voltarsi risolve la “mera superficie” come “Supporto”.
[cfr.38.d]
Il “supporto” è
dunque la forma di un momento e di un memento nel quale la “mera superficie”
si coglie e si offre per l’intero del tempo e dello spazio nella tensione
della sua propria storia naturale: ossia della storia dell’arte. Ovvero:
è la forma stessa della propria Enciclopedia attraverso la quale pretende
di ripristinare anche le scene madri dei propri cominciamenti.
[cfr.38.g]
35.f - Sulla inaccessibile
montagna, sottratto allo sguardo acuto del suo popolo eppure vicino al Dio,
Abramo non porta a compimento il sacrificio espiatorio dell’empietà
dei simulacri, ma arrischia il trompe-Dieu.
Così, la sostituzione della
vittima prediletta dal Padre con un provvidenziale caprone sfigato, comporta
la dannazione alla metafora che spalanca l’accesso alla caverna interiore
delle apparenze figurali e delle rappresentazioni cerimoniali.
Spostata la simulazione dall’Idolo
all’Azione, tanto si scarica il primo termine di possibilità
raffigurale quanto se ne carica il secondo. In tal modo da una parte si perviene
alla Unità irrappresentabile, mentre sull’altra, l’incetta
delle figure sottratte al primo termine non trovano più spazio, e
allora si danno i turni di riposo scandendo un gioco di sostituzioni che
istituisce la spirale incessante della metafora, la fatica dell’iconologia.
35.g - Poiché
Giasone è in cerca di altre nozze [cfr.46?]
, nello spazio segreto della casa –sottratta all’occhio dello
sposo infedele- Medea uccide i suoi figli diletti e li semina ai quattro
angoli della tragica dimora familiare; vuole eliminare la speranza stessa
di ricostituire la coppia mendace. [cfr. 38.f]
Già con l’offerta
della tunica alla figlia di Creonte, Medea riconosce la nuova sposa di Giasone
come simile e come ostile, ossia: come "ospite". Ma questa mariée
si spinge ad indossare quel segno d’omaggio, senza avvedersi che nella
medesima modalità dell'offerta era dispiegata l’intera iconografia
di una Deposizione capovolta; dove si vedeva un Sudario sostenuto e celebrato
da corpi già destinati al macello.
La messa in uso di un simbolo
lo scioglie dalle riserve metaforiche per scatenarlo, realiter, contro
chi ha preteso prenderlo in parola: e il conflitto è sempre mortale.
Allora la tunica inviata da Medea
si svela, quando indossata, come un sudario assoluto che infine trionfa sulle
figure segnate a morte: figli o spose che siano spariranno senza un gemito
sotto la bianca veste dell’estrema Ospitalità.
35.h - Se Abramo è
il padre delle metafore , è Medea che chiude in cerchio la spirale
viziosa delle metafore eseguendo col crudo sangue la saldatura metonimica,
e concedendo l’ozio. [cfr. 38.l, 39.c]
Ma ancora verrà un altro
Padre che sacrificherà il suo proprio unico Figlio prediletto per aprire
un nuovo ciclo di devozioni e dannazioni metaforiche, se ancora non si potrà
dire pane al pane e vino al vino.
35.i - Lo svuotamento
del quadro, come un buco bianco, ha fatto collassare la realtà all’esterno;
qui tutto è più leggero della luce, e nessuna cosa vi precipita
o entra.
La “mera superficie”
è (anche) l’iconografia del Nulla, che mostrandosi afferma,
conferma, conforta e rafforza l’essere della materia fuori dalla rappresentazione.
Tenere la posizione tragica vuol
dire mantenersi nel punto di riposo delle perplessità; indifferenti
alle soluzioni: finalmente irresoluti.
Qui la Pittura comprende che è
il vuoto a creare l’uso [cfr.38.h]
, la condizione per riprendere a muoversi, pur senza andare, pur senza restare.
[cfr.28, 39.f-1]
35.l - Per altro, o
similmente, la Pittura può apparire in quanto tale quando ha smarrito
ogni utilità, così come l’utensile “appare”
quando perde il suo uso.
Allora l’immagine è
una Spoglia e il Guasto è la sua condizione. Ecco perché soltanto
dopo la morte dell’arte può finalmente mostrarsi l’immagine
dell’arte stessa. [cfr. 39.f.4]
E ancora: perché dopo la
perdita del valore d’uso (sociale) vi è una messa in valore
di scambio.
Nel mercato, come corpo del valore
di scambio, l’opera d’arte trova il suo attuale valore d’uso,
l’unico che ormai gli è rimasto, l’unico ancora concesso.
Ecco diventare importante la quota d’asta: bisogna pur adottare un
qualche criterio per distinguere un’opera dall’altra.
[cfr. 37.b]
35.m - Nella “mera
superficie” si specchia l’Ananke della Pittura.
Solo dopo aver celebrato tutti
i misteri della Superficie, dopo aver congiunto il Tempo della memoria con
la Necessità dell’attuale, la Pittura può avviare le
nuove cerimonie degli immutabili (poiché ogni smembramento è
premessa e promessa di una rinascita nell’unità) alle quali
adesso può essere iniziato non più il singolo eccellente, ma
ogni e tutti i singoli – con buona pace dei misteri del Privilegio.
[cfr.33]
TENTATIVI
DI RICOSTRUZIONE PER LA GENEALOGIA DELLA MERA SUPERFICIE
Introdursi nella tua storia
è da eroe impaurito
se ha col tallone nudo toccato
qualche lembo del territorio.
Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”
36.a - La pittura diventa
possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore, “
non lasciando sussistere questa tale e quale” (Hegel); vale a dire
a partire dalla limitazione delle tre dimensioni alla superficie piana –
senza però negligere la profondità spaziale che, invece, proprio
per tale riduzione si problematizza (il fondo oro delle immagini medioevali
la trasforma in icona, la prospettiva rinascimentale la trasforma in simbolo,
l’impressionismo la trasforma in un quesito sul colore, ecc.).
In questa prima mossa di reductio
che segna l’atto di nascita della pittura , è già contenuta
tutta la partita che essa intende giocare con la totalità esteriore
– forse vi è anche l’esito finale (determinismo), se non
gli svolgimenti ed esiti puntuali (meccanicismo).
Allora la pittura non può
voler dire e consistere nell’estendere e perfezionare i modi della
raffigurazione o il linguaggio stesso della pittura; e neppure nel renderla
più rigorosa – quasi fosse l’espiazione di quella colpevole
originaria reductio da riscattare integrandola con una operosità
delle contraffazioni ottiche.
Piuttosto dobbiamo dire che la
pittura consiste proprio nel perfezionare un’assenza.
36.b – Resa
possibile a partire da una limitazione, la pittura può sussistere
soltanto rinnovando ogni volta tale fondante limitazione, e anche procedere,
in questo limitare della totalità esteriore, attraverso la reductio
delle qualità visive del mondo e delle cose. Verso dove procede? Ossia:
qual è il limite di tali continue limitazioni, l’intero suo proprio
limite?
Se conveniamo con Hugo che "la
forma è il fondo che torna alla superficie", quando forma e fondo
–in un abbraccio mortale- si identificano per sparire alla vista, solo
la superficie rimane a preservare la certezza della pittura; solo la superficie
è il termine che non si confonde e rimane immutabile a sé stesso
nella mischia che conduce la figura e lo sfondo verso l’invisibile.
Se il limite della pittura è
l’invisibile, allora pitturare vuol dire avvicinarsi ogni volta all’invisibile
–e questo procedere sembra confermato dall’abbrivio che proprio
in tal senso ha preso uno dei rami più conseguenti della pittura moderna
(dal monocromo all’achrome). Ma anche: se il limite della pittura è
l’invisibile, la superficie è la forma tangibile di tale limite
–la figura testimoniale, ossia storica, del procedere della pittura
verso questa (dis)soluzione ancora e purtuttavia sempre pittorica.
[cfr. 20, 35,a]
36.c -
Passaggi al limite - Nel calcolo matematico il passaggio al limite,
con cui data una funzione se ne ottiene un’altra, si dice “derivazione”.
Per la tangente ad una curva piana qualsiasi, il valore della derivata in
un punto dato è il limite cui tende il rapporto fra l’incremento
della funzione di una retta secante e l’incremento della variabile
indipendente – quando quest’ultimo incremento tende a zero, senza
tuttavia raggiungere mai il valore nullo. È inteso che si parla sempre
di casi in cui il limite in questione esiste effettivamente; se questo limite
non esistesse dovremmo dire che nel punto dato la funzione non ha derivata.
Se ora noi – con un azzardo analogico
e modellizzante – prendessimo la Pittura come fosse la funzione continua
di una retta secante una curva piana (della totalità esteriore?), e
assumiamo uno dei due punti di intersezione come punto limite dato per collocarvi
la “mera superficie” quale limite proprio della Pittura, possiamo
dire che questo sia un limite effettivo della Pittura?
Come “conditio sine qua
non” della Pittura [cfr.13]
la “mera superficie” si presenta realiter quale condizione
minima e sussistente fin dal momento originario della pittura; è quindi
un punto di partenza che permane. Inoltre, i monocromi di molti pittori contemporanei
hanno offerto alla “mera superficie” una occasione pratica per
assumere una esistenza effettiva nella storia della pittura; è
quindi anche un punto di arrivo. In definitiva abbiamo a che fare con un
elemento irriducibile e irrinunciabile all’esistenza primaria della
pittura stessa, ossia, giusto, col suo punto limite.
Superare questo limite, come per
la tangente significherebbe tornare ad essere secante di un settore della
curva opposto, per la Pittura significherebbe tornare ad insistere nella raffigurazione
in un settore della totalità esteriore opposto al precedente; il cambiamento
di stato che si provocherebbe nell’oltrepassare il punto dato di tangenza
dimostra che il limite esiste anche storicamente (e concettualmente
e praticamente) e che dunque la funzione ipotizzata può avere una
derivata.
Prima di procedere oltre, resterebbe
da dimostrare la validità di un tale modello, seppure d’azzardo?
Rileggo 36.a: "la Pittura
diventa possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore".
Se ora esprimo tale totalità con una curva piana, una retta che la
intersecasse in due punti qualsiasi opererebbe immediatamente una limitazione
– ad esempio rispetto all’intero settore concavo racchiuso dalla
curva, o ad es. rispetto a tutti i punti della curva medesima, ecc.
Ora abbiamo quanto ci occorre per poter dire che nel calcolo funzionale del
pittore (nella sua
prâksis) la “mera superficie” si pone come punto
limite e perno attorno al quale la pittura prende a ruotare (mossa dagli
incrementi tendenti al valore nullo della variabile indipendente, ossia verso
l’invisibile), e col passo di differenziati infinitesimali pittorici,
che gli fanno percorrere tutti i punti della curva, si dispone infine in
guisa di tangente alla curva stessa, con la quale avrà in comune quell’unico
punto, avendo abbandonato ogni altro punto della curva (o della funzione)
totalità-esteriore.
Dinamizzato in tal modo quello
“a partire dalle limitazioni”, siamo arrivati a rappresentarci
anche la estrema reductio della Pittura, oramai del tutto affidata alla tangenza,
e quasi raccolta interamente nella “mera superficie”, nella quale
la Pittura vorrebbe trovar riposo, ma che, per definizione, mai potrà
raggiungere. E questa è la sua condanna per aver avuto dei riguardi
solo verso sé stessa.
E` del tutto ovvio che, procedendo
nel modo descritto, la Pittura ha dovuto rinunciare sempre di più alla
rappresentazione della realtà; e anche il pittore si ritrae dal mondo,
dalla comprensione dei rapporti materiali, fino a trovarsi solo con una pittura
esangue quanto lui. Allora questo movimento è stato anche il movimento
di tale ritirarsi (e “ritrarsi”) fino a ridursi ad un rapporto
esclusivo con la Pittura. Nell’incapacità di comprenderla, la
realtà esteriore si è ridotta ad una sensazione individuale.
Entrambi, il pittore e la pittura, sono ancora aggrappati al mondo per questo
punto limite, ma pencolano pericolosamente verso la non-pittura, e intanto
ripetono a sé stessi – senza convinzione: dopotutto si può
anche morire. [cfr. 14, 35.b, 39.f-9]
Un merletto si abolisce
nel dubbio del Gioco supremo
a non svelare atto blasfemo
ma assenza eterna di letto.
Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”
37.a – Non potendo essere
raggiunta integralmente e in quanto tale, la “mera superficie”
forse non può essere altro che una definizione; epperò una
definizione del tutto concreta e necessaria. [cfr.
20]
Una Pittura priva di un suo proprio
punto limite non sarebbe potuta andare; sarebbe rimasta attonita davanti alla
molteplicità fluente delle qualità visibili del mondo (come
Dioniso davanti lo specchio - cfr.35.a); sarebbe rimasta confusa dall’inizio,
così come rimane confusa alla fine; ma intanto ha fatto il suo determinato
corso (come un glorioso Achille che ce la mette tutta per prendere la tartaruga
– e ci riuscirebbe infine se applicasse il calcolo integrale;
cfr. 40.0: dunque la “critica”?).
Gli incrementi infinitesimali
attraversati per il passaggio al limite, sono stati i passi discreti della
sua propria storia; ne hanno scandito il ritmo impresso dal cammino dei rapporti
materiali (rapporti che la Pittura tanto più nega quanto più
se la sottomettono) , fino, anche, al capovolgimento del passaggio al limite
– che allora è un guado .
Superato questo limite la Pittura
inizia a ritrovare la non limitatezza della totalità esteriore; ma
adesso intende lasciarla sussistere tale e quale per darsi da fare con le
cose del mondo e invischiarsi con le sue faccende.
[cfr. 29, 33]
37.b – Per avvicinarsi sempre più a sé stessa e raccogliersi,
infine, nel suo proprio limite, la Pittura ha dovuto ridurre progressivamente
il mondo esterno per consegnarlo alla pura sensazione.
Ancora poco e il mondo si dissolverà nell’immaginazione
E, sorto dalla curva e dal
balzo, il Pittore viene convocato quale limite estremo consentito della funzione
sociale. [cfr.33]
Allora, giusto, quel ritirarsi dal mondo diviene un “ritrarsi”,
poiché è sempre qui che la Pittura prende a coincidere con
il Pittore; e da adesso in poi le sorti di entrambi saranno indissolubilmente
legate in un intreccio inestricabile
(e il pittore sarà
condannato all’autoritratto). |
K. Malevic, 1915, Autoritratto in quattro dimensioni, Stedelijk Museum, Amsterdam
|
La volontà di rappresentazione
della pittura ora trova solo oggetti che gli appartengono, e da adesso in
poi le sue teorie non
conosceranno e riconosceranno altro che sé stessa e i suoi propri
oggetti.
Ma se la pittura si è
dimenticata del mondo il mondo non ha fatto altrettanto, e la lascia in balia
delle strutture che hanno preso a dominarlo. Ora Pittura e Pittore trovano
il "mercato" che se li sottomette materialmente.
E adesso si possono stilare
anche le norme di fabbricazione e le modalità d’uso per la Pittura;
mentre la sua funzione è verificabile dall’esito dell’azzardo
supremo che tenta la trasformazione dell’opera in moneta sonante –
con la qual cosa la pittura riprende anche a parlare.
[cfr. 26, 35.d] |
K. Malevic, 1933, Autoritratto,
Museo
di Stato, Pietroburgo
|
37.c – Come la
derivata della secante è la tangente, così la derivata della
Pittura è l’Estetica (della pittura).
Quando la “funzione”
pittura (di primo grado) passa per il suo limite, segnato dalla “mera
superficie”, è con questo segno che ora la Pittura si concede
al mondo, vi si espone ed abbandona.
Ed è certo che se qualcuno
vuole ancora trarre godimento da questo suo ultimo mostrarsi, deve provvedersi
di un contegno estetico (e di un congegno ottico-cerebrale), e da questo attingere
ogni allettamento.
Per altro l’Estetica non
è molto più vecchia della superficie in pittura; ne ha solo
anticipato il destino prima di vederne la forma risolutiva. E l’Estetica
stessa ha potuto trovare uno svolgimento adeguato solo a partire dalla
morte dell’arte; cioè, come ogni altra scienza, ha dovuto attendere
che l’oggetto della sua analisi fosse sufficientemente sviluppato da
risultare trafitto e immobile sul tavolo da dissezione.
37.d – La
Pittura, dopo aver ricongiunto il momento in cui è stata possibile
con il momento in cui è ancora appena possibile, non può che
svolgersi e trovare il momento ulteriore in cui non è più possibile.
È solo la convocazione del Pittore, tenuto in pugno dal Mercato, che
la trae dall’impaccio offrendogli nuove possibilità?
[cfr. 35.d].
|