Cari,
vi scriviamo prendendo le mosse dagli ormai numerosi articoli che state insistentemente facendo sui giornali sulle riviste d’informazione e specialistiche.
Quanto abbiamo finora letto ci impone di ricordare ai critici, ove ce ne fosse bisogno, che non è possibile continuare a divulgare e scrivere notizie sull'arte comportandosi da semplici "complici e/o fiancheggiatori" della cultura gradita alla classe dominante. Essa, ed i critici dovrebbero saperlo, invita a non avere alcuna attenzione storica sugli avvenimenti, impone di non parlare mai di quel mondo sommerso che è la ricerca artistica degli "altri", dei "diversi", degli "estranei al Palazzo".
Essa si è inoltre sempre riconosciuta nella "cultura ortodossa" (gradita perché servile al potere) e ha rifiutato di sviluppare quella "eterodossa", che rivendica il ruolo dell'intellettuale/artista come elaboratore, produttore ed organizzatore di pensiero in proprio e nella collegialità, per questo autonomo e conflittuale rispetto al potere dominante.
Ed è per questo che, nonostante (ma è raro) i vostri sforzi di "correttezza storica" e di "allargamento di interessi", la terra bruciata fatta intorno ai più si allarga a vista d'occhio giungendo, anche e soprattutto, grazie al vostro contributo, a far del tutto scomparire quella storia artistica recente (almeno successiva al 1968) di cui noi e molti altri, essendo stati protagonisti, siamo responsabili e testimoni.
Non sappiamo fino a che punto debba essere ritenuto colpevole il vostro silenzio in proposito (d'altra parte non vi sono da noi mai stati negati gli strumenti per conoscere). Certo è pero che troppo spesso la vostra produzione saggistica e/o critica dell’ultimo decennio ha preferito sorvolare sulla storia reale delle proposte culturali ed artistiche che da più parti vi giungevano.
Tutto ciò che abbiamo letto in questi ultimi anni ci riguarda da vicino, per questo ci è insopportabileaccorgerci che, ancor oggi, un sottile comune denominatore riporta la riflessione critica ad un supino rispetto - in certi casi ad un amore teppistico - delle sole regole imposte dalla cultura dominante. E’ certo inesatto pensare che ogni critico sia responsabile di tutto ciò, ma appare almeno certo che proprie le sviste, le disattenzioni "critiche" ed i silenzi sono i primi complici di un mercato del tutto autonomo e distante dalla cultura storica del tempo. E, ricordate bene, la cultura del tempo non è soltanto quella espressa dal Palazzo. Che dire poi dei critici "sinistri" i quali, dopo anni di disinformazione e di silenzio, tornando allo scoperto, hanno solo attinto a man bassa in quelle correnti di pensiero e fra quegli artisti che sono i loro naturali avversari.
E tutto questo in nome della libertà d'informazione e del pluralismo? O forse per nascondere una propria larga disinformazione che, se smascherata, li avrebbe esclusi dalla fetta di quel potere che in ogni caso essi avrebbero voluto gestire: niente di meglio e niente altro da fare a quel punto che abbracciare le culture dominanti, quali che esse siano, condannando, con la critica più reazionaria, tutte le altre culture emergenti e diverse, non garantite, estranee al Potere.
Così, per un motivo o per l'altro, ma sempre comunque a causa della vostra soggezione ai potenti ed al loro mercato, leggiamo su carta patinata che qualcosa di nuovo gli artisti stanno facendo o dicendo. Ma quali artisti? Certamente soltanto quelli graditi al Palazzo, quelli che per questo faranno mercato, e alla malora se quanto dicono è storicamente gia datato! I più non lo sanno, e non lo potranno facilmente sapere, perché non se ne parlerà mai! Questa e la vostra logica? Non credo.
Ognuno di voi è, infatti, degno di ben altro apprezzamento, ma è certamente questa la logica dei vostri mandanti di sempre: il Mercato e le sue leggi, fissate dal Potere Dominante. E meno male che ogni tanto si legge che novità ce ne sono. Ma da dove vengono queste novità?
Sono nate come i funghi dopo un acquazzone? O forse, più spesso, sono orecchiate da tanta "cultura sommersa"?
Se è cosi sarebbe bene rimettere a posto le cose secondo la loro giusta collocazione storica prima di gridare al miracolo per arricchire il mercato dei babbei. Non sono comunque gli artisti, se non indirettamente, i responsabili di tanto, ma lo sono piuttosto i critici i quali, con un silenzio colpevole e pavido, hanno a tutt'oggi contribuito a non far mai chiarezza storica intorno alle cose dell'arte.
E' troppo comodo per voi (e scomodo per noi) leggere oggi fra le vostre righe l'occasionale riconoscimento per le lotte culturali ed ideali che si sono intrecciate, per poi vedere invece la vostra completa soggezione e subalternità alle sole regole imposte dalla civiltà della restaurazione di vecchi principi ed abitudini.
Ci sembra, ma vi preghiamo di riflettere su questo, che invece sia dovere storico di ognuno di voi, critici affidabili e/o intransigenti, distratti divulgatori di regole di mercato, laboriosi etichettatori di correnti artistiche, quello di rappresentare le diverse forme di pensiero, anche con le proprie contraddizioni, così come sono state e non così come piace alla sola cultura dei padroni i quali preferiscono sommergere tutte le tensioni che in questi anni li hanno contrastati con determinazione. Non potete annullare la storia recente, tanto complessa ma così poco subaltema, coprendo col silenzio la così detta cultura dei "non garantiti". Il fatto che poi oggi talvolta diate spazio, in nome della democrazia e della partecipazione, occasionalmente, a forme di linguaggio eterodirette, vi rende ancora forse più colpevoli perché questa è la prova che l'informazione in proposito a tutt'oggi non vi è mancata. E perché allora rimuoverla? Forse per un'inconsapevole vocazione servile? O forse, e più probabilmente, perché estranea anche al vostro patrimonio culturale?
Abbiamo in questi anni assistito al "silenzio rumoroso" (ci si perdoni il bisticcio di parole!) di tanta critica affaccendata da non farci assolutamente pensare che voleste affrontare il problema con questa angolazione.
Ma in fondo il vostro atteggiamento non ci preoccupava più che tanto. Pensavamo che foste vittime inconsapevoli di quello stesso potere che stavate servendo. E d'altra parte a noi non toccava niente altro che informarvi di quanto stava avvenendo, anche quando eravamo noi stessi a determinarlo. I vostri cenni d'assenso, o di ricezione del messaggio, anche se frettolosi, fatti spesso all'angolo della strada dove più spesso ci incontravamo, ci facevano pensare che da parte vostra fosse in atto lo sforzo "politico" di introdurre finalmente la "correttezza dell'informazione" in quella pratica clientelare che da anni presentavano il mercato e le gallerie. Ma col tempo, entrando a gestire anche gli spazi pubblici, non solo nulla è cambiato ma piuttosto è sempre più diventato aderente il vostro linguaggio alle sollecitazioni imposte dalla cultura dominante.
Che forse ancora oggi fra di voi si preferisca la politica della "distrazione clientelare"? Non lo crediamo veramente per ciascuno di voi, ma francamente temendo che alcune abitudini servili e di gregariato si stiano diffondendo nel panorama della critica, ci è parso opportuno puntualizzare con una lettera aperta la nostra identità all'intemo di siffatti problemi. Un'identità differenziata, anche se spesso taciuta, rispetto a quella di certi altri artisti, più nostri amici di strada che compagni di lavoro, da voi seguiti con insospettata "diligenza" ed "affetto".
Riteniamo che quanto abbiamo scritto sia di vostra stessa competenza e che possiate e vogliate divulgarlo nel modo più opportuno, magari, perché no!, attraverso quella stessa carta stampata che tanto disinvoltamente usate.
O è forse il mercato dell'arte una forma di potere tanto "occhiuto e reazionario" da non permettervi mai la correttezza dell'informazione storica a proposito delle vicissitudini artistiche? Può darsi sia anche così per qualcuno di voi, ma non può essere assolutamente cosi per ciascuno di voi.
Cari critici ci sembra, ma vi preghiamo di riflettere su questo, che invece sia dovere storico di ognuno di voi, uomini affabili ed intransigenti, distratti divulgatori di regole di mercato, laboriosi affabulatori di correnti artistiche, quello di rappresentare le diverse forme di pensiero, anche con le proprie contraddizioni, così come sono state e non così come piace alla sola cultura dei padroni i quali preferiscono sommergere tutte le tensioni, che in questi anni li hanno contrastati, con determinazione. Non potete annullare la storia recente, tanto complessa ma così poco subalterna, coprendo col silenzio la così detta cultura dei non garantiti.
Dichiarandoci disponibili per ulteriori chiarimenti, vi porgiamo i nostri saluti.
Carlo Maurizio Benveduti, Roma 1980
CRITICA/AUTOCRITICA . (Benveduti, Frammenti, in op.cit. pag. 95)
L'autocritica segue l'azione, non la precede. Non bisogna attendere il proprio turno per esprimersi.
Date la parola a chi la chiede, prenda la parola chi la vuole.
In tal modo l'autocritica sarà non più a priori ma a posteriori. Baserà se stessa non su pensieri morti, perché mai nati, ma su pensieri esistenti e su azioni reali. Non subirà più freni ed inibizioni. D'altra parte non esistono turni per pensare ed agire. Non esistono delle regole a priori che distinguano ciò che è reazionario da ciò che non lo è. Libero è colui che sceglie la monogamia, colui che sceglie di accoppiarsi per strada, di lavorare per mangiare, di non accontentarsi delle riforme, di esprimere pubblicamente i propri pensieri, di credere o non credere nei dieci comandamenti, di non amare la proprietà, di fare i versamenti per la pensione, almeno il pane della vecchiaia è assicurato; è un profittatore invece chi finge di voler perseguire tutte queste cose per pura convenienza estetica: costui, in tal caso, è un idealista da quattro soldi, e proprio chi ha bisogno di mangiare e di vivere concretamente dovrebbe affrontarlo con durezza e senza manierismo.
L'autocritica segue l'azione, non la precede. Non bisogna attendere il proprio turno per esprimersi.
Date la parola a chi la chiede, prenda la parola chi la vuole.
UNA RISPOSTA MORALE . (Ibidem, pag. 97)
E' immorale vivere nello stretto spazio che l'ufficialità concede. Visto che l'uomo crede per necessità, bisogna cercare di impegnarlo in pensieri fra loro non contraddittori, con la consapevolezza che non potrà mai ricercare soluzioni di "massima sicurezza".
Proposte credibili come unica attività morale: tre poesie, in italiano, in inglese, in francese, l'una deve sembrare traduzione dell'altra e viceversa, ma i contenuti devono essere differenti. Ancora degli esempi: due scatole uguali, una è pesante, l'altra è leggera; risulta evidente l'uguaglianza esteriore che è subito contraddetta dalla differenza di peso. In tal caso vediamo che la forma, come "sommo contenuto", non è altro che uno specchietto per le allodole, siccome porta a valutazioni concrete del tutto erronee. Ma d'altra parte è anche vero che questa semplice osservazione "estetica" di uguaglianza, oltre ad incidere fortemente sul convincimento personale, muta anche irrimediabilmente il valore storico della cosa (scatola).
Se dai credito a ciò che è falso dunque agisci moralmente. Potrebbe infatti anche non esserlo, specie se dovesse risultare ancora falso.
Bisogna credere in ciò che è falso. Potrebbe anche non esserlo, specie se dovesse restare falso. Prova a credere nel falso. Perché no? Conosci la differenza tra falso e vero? Sei dunque un immorale: scegli infatti senza conoscere.