Archivio (comunque indiziario) di Erostrato poi Frazione Clandestina
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TESTI E PRETESTI DEL 1971 da un quaderno inedito per Germinale
Il Profitto, dispensatore di vita e di morte di Mammona-il-Capitale, lega le nostre azioni al suo giogo inclemente. Scrollarcelo di dosso è muovere guerra al cielo. Ma ogni Dio-Sistema, vecchio o nuovo che sia, cova il proprio Lucifero sotto forma di classe sociale. Così il feudalesimo generò dal suo stesso corpo la borghesia ribelle e vittoriosa, e la borghesia ha generato il proletariato, il cui istinto materiale lo fa successore di ben più grandi rivoluzioni perché poranno un termine alla barbarica storia delle lotte di classe. L'inevitabile cozzo storico mortale tra queste due classi ci trova già dalla parte della soluzione scientifica della storia: con il proletariato, per il comunismo, per la società senza classi. ll selvaggio del paleolitico, nonostante applicasse la propria forza materiale alla clava per violentare l'animale, credeva essere il suo artista-mago a procurargli non solo la preda ma anche la forza necessaria per abbatterla. Così lo stregone, sottratto ai doveri dell’approvvigionamento poté coltivare la conoscenza della natura e sfamarsi: uno dei primi fenomeni della divisione sociale del lavoro. Noi, suoi epigoni smaliziati dell'età della macchina sappiamo bene come le nostre arti e artifizi non hanno alcun potere sulla realtà materiale se manca la forza pronta a violentarla piegandola ai bisogni dell'uomo sociale. La storia della specie umana e delle sue organizzazioni ci insegna continuamente come furono schiacciate l'intelligenza, la ragione, la conoscenza, le carte, le parole, dall'esigenza di quelle leggi infinitamente più importanti per la società, quali quelle della produzione, della distribuzione e del consumo dei prodotti materiali del lavoro. La volgare materia, come il potere politico, hanno sempre deriso coloro che pretendevano piegarli con le parole o con l’immaginazione. L'esigenza della produzione del profitto sposta le montagne, e Cristo o Maometto sono i suoi profeti. Ma il nostro committente storico vogliamo sia l'altro, il Lucifero, l'affossatore del Dio-capitale.
Per questo le nostre sintesi formali ce le lasciamo suggerire dalla sua storia e teoria. Storia e teoria che stanno nel tempo borghese, ma solo come eventi storici, mentre in realtà già lo superano e ci indicano il futuro.
Sappiamo bene che la prassi politica non conosce forme estetiche; ma sono le forme estetiche a non poter ignorare la prassi politica. Non possiamo rischiare di dimenticare un dato di questo tipo senza commettere l'errore di lasciare capacità d'azione a questi medium penetranti di ideologie politiche avversarie.
Le forme estetiche nei sistemi sociali assolvono al ruolo di battitori liberi, sono fenomeni che sotto la loro esteriore forma di ambiguità (anche quando vorrebbero presentarsi come pure affermazioni formali) e a dispetto del loro diretto produttore, smerciano il pensiero della classe al potere suffragando alla difficoltà del sistema di condurre azioni capillari di accaparramento di coscienze e di acquiescenza d'istinti. 
Le forme estetiche prestano la loro opera divulgando, attraverso il piacere offerto dai loro linguaggi particolari, l'ideologia della classe al potere, la sua struttura concettuale, i suoi miti, le illusioni su se stessa, i suoi propri scopi e vocazioni. Dall'accettazione in teoria di scuole filosofiche estraneo o antagoniste al materialismo scientifico all'accettazione in pratica del sistema sociale borghese, il passo non solo è breve ma, conseguenziale; proprio perché il pensiero di queste scuole altro non può essere che il parto diretto o indiretto di tale sistema, rappresentando, in maniera  più o meno soddisfacente, il riflesso mentale dei rapporti reali che tale società genera nel cervello dei suoi professori, che se ne fanno fiaccolai portatori e smoccolatori meticolosi dandosi la pena di trovare, a questi riflessi, un posto adeguato in mezzo al loro ciarpame filosofico. Così, dall'accettazione di forme estetiche e tendenze culturali di ispirazione populista, all’accettazione in politica di teorie economiciste, operaiste, gradualiste, immediatiste, culturaliste, volontariste, e chi più ne ha ne metta, il passo è breve. E ne è testimone la gran parte della cultura italiana del dopoguerra, che, attraverso l’acritica estetizzazione di un fenomeno nazionale, tanto meno rispondente a caratteristiche di lotta di classe quanto più popolare, come la Resistenza, ha facilitato il passaggio, nelle coscienze delle nuove generazioni proletarie, da una visione classista della società (ancora radicata nel proletariato d’anteguerra) ad una interclassista, rinsaldando con questo il legame tra potere borghese e sua propria cultura; perché ancora alla borghesia appartiene il mito del popolo come tutti i miti che, generati da approssimazioni storiche e sociali, sembrano andare ad illuminare le menti di intellettuali e svelare la via attraverso la quale passa la salvezza dell’Uomo nonché del mestiere. Non si vuole assolutamente sostenere che i fenomeni estetici siano di per se stessi capaci di agire sulla realtà modificandola, ma semplicemente che essi, fin dove e per quanto penetrano, possono aiutare la divulgazione e/o predispongono il proletariato alla accettazione di teorie che gli sono estranee e nemiche. 
E' dalla consapevolezza prima che la nostra è una società divisa in classi antagoniste e inconciliabili che dobbiamo far discendere ogni intenzionalità estetica, pena la caduta in formulazioni impeciate d'idealismo.Non si tratta più di orientarsi verso facili modelli che l'orizzonte immediato chiude in una dimensione di sterile provincialismo nel quale dominano sentimento e speranza, eredità piccolo borghesi, ma di "individuare" "oggetti" tipici in condizioni tipiche, particolari determinati da totalità determinate. 
E' sempre tenendo presente il fatto di doversi porre dal punto di vista della totalità, non aprioristicamente intesa ma conosciuta per via puramente empirica sulla scorta di presupposti reali, che possiamo individuare i tratti non accidentali, probabilistici, casuali o statistici del fenomeno estetico. Tratti questi che controllati nella loro posizione e quantità rispetto all'asse tracciato dall'ideologia dominante (cioè dall'ideologia concorrente alla perpetuazione del modo produttivo attuale) possono convergere su di esso o divergerne, se il polo verso il quale tendono è un modo economico e sociale liquidatorio di quello dal quale tali tratti (vettori?) hanno avuto origine materiale, e che superano, seppur solo in teoria. Il campo sul quale tali divergenze possono avvenire non è un terreno di raffronto d'opinioni ma di scontro di ideologie avversarie, di lotta teorica nel quale i fenomeni estetici possono, se ne hanno la forza, concorrere a comprimere le forze reali verso il polo preconizzato ma non a deteminarle (cioè a condizione che queste forze esistano materialmente e storicamente), essendo anzi queste forze a determinare, in ultima istanza, i fenomeni estetici. Su questo territorio domina l'affermazione marxista per la quale nessuna arma della critica può sostituire la critica delle armi
La valutazione del fenomeno estetico tendenziale non si baserà più dunque su categorie qualitative, le quali offrono un largo margine d’errore che gli deriva da una sorta di intuizionismo interpretativo, ma sulla quantità di informazione eversiva che tale fenomeno riesce a trasmettere. Si deve escludere ogni prassi culturale che ami il consenso sentimentale del pubblico come equivoca; perché nella misura in cui coinvolge la sua emotività tende a privarlo di quel distacco che gli necessita per una valutazione non soggettiva ma oggettiva di ciò che gli si presenta. Una prassi orientata verso i più, senza distinzioni sociali e ideologiche, deve servirsi necessariamente di linguaggi e soggetti determinati non già da una visione totale ma da quella parziale in cui la costringe un pubblico eteroclito di volta in volta; così tale prassi non riesce a recepire altro che le istanze dell'ideologia dominante mediate però attraverso l'immagine gratificante del popolo, e non può che perpetuare con questo, la più grossolana corbelleria del pensiero borghese a cui tanta sedicente cultura di sinistra ha dato un credito entusiasta.
Sembra che il compito degli intellettuali oggi, non sia più quello di cercare e trovare il "nuovo", ma di rinverdire le primitive baggianate dell'ormai liso bagaglio teorico borghese. Le operazioni estetiche previste per ottenere una ovazione o un esito immediato non denunciano altro che la dimensione occasionale di chi le propone, svelano insicurezza teorica, sono indici di squallide autogiustificazioni che pretenderebbero risolvere in maniera spiccia un presunto, annoso e affannoso problema: il binomio teoria prassi, mediando il passaggio dall'uno all’altro dei termini con l'uso indiscriminato di soluzioni formali tanto banali quanto più cercano una adesione al cuore del pubblico, e non alla sua intelligenza o al suo stomaco. Presunto problema perché presunto binomio, essendo i termini che lo compongono niente altro che gli aspetti di una unica azione nella quale si fondono, in maniera dialettica conseguenziale, nella reale data situazione storica. 
Lenin diceva che non può esserci azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria; per altro, interrompe la lotta teorica intrapresa in "Stato e rivoluzione" perché giudica meglio fare la rivoluzione che parlare su di essa. E la rivoluzione d'Ottobre è condotta sulle basi teoriche che tale scritto sintetizza. La lotta teorica, quando l'azione materiale è impossibile è essa stessa prassi rivoluzionaria, sebbene la più forte volontà rivoluzionaria e fermezza teorica non possa sostituire in alcun modo le forze materiali che sole possono imporre tale volontà trasformandola in realtà storica. 
E queste forze materiali non passano necessariamente, anzi il più delle volte non passano affatto, attraverso fenomeni culturali, ma li scavalcano di gran lunga nella loro fuga in avanti, arricchendo con la loro azione rivoluzionaria anche il mondo delle forme e potenziando tutti i campi dell'attività creativa, perché non possono che liberare sempre più la conoscenza dal regno della necessità nel quale il tipo di produzione capitalistico ancora la costringe. 
Abbiamo cercato di esporre in maniera semplice, ma non per questo semplicistica, alcune nostre posizioni,perché un bilancio globale delle esperienze culturali di tendenza ha fatto emergere il largo (il troppo largo) margine di approssimazione che impedisce di approdare ad un risultato che non si sveli opportunista.
Pensiamo ciò avvenire in parte per la seduzione che esercitano i consensi immediati, in parte nel credere alle capacità demiurgiche dei fenomeni estetici. Il tutto si risolve in una sorta di impaziente vaniloquio adolescenziale, a mezza strada tra il comunismo primitivo e il socialismo utopico. 
L'unica seria alternativa, crediamo risieda nel coraggio di affondare la nostra intelligenza nel più profondo del corpo teorico del comunismo scientifico e trattarlo come tale: scientificamente. Cosa questa che inevitabilmente comporta l'impopolarità, essendo la gran massa degli individui corrotta fino alle ossa dalla propaganda borghese esercitata con uno sfoggio di mezzi contro i quali si può fare ben poco se non si è aiutati da momenti storici favorevoli. I modelli formali a cui pensiamo poterci riferire devono essere desunti dalla prassi politica, e, in maniera diretta ispirarsi a quelle che potremmo definire come sue "forme" particolari: propaganda, divulgazione, disfattismo ecc. E' questo l'unico  terreno possibile sul quale i fenomeni estetici possono essere assimilati, per quanto gli è concesso dalla loro natura, alla prassi politica e rivoluzionaria. Vogliamo ribadire che questa assimilazione si può giudicare dalla quantità di informazioni marxisticamente conseguenti e non dalla quantità di cuori infranti cui siamo stati abituati da tanta cultura piagnona. E, non ultimo, ricordare che ciò che in una organizzazione comunistica della società verrà liquidata, è questa spartizione diseguale, "la concentrazione del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa", da noi considerata non privilegio, ma condanna.


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