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SULLA MERCIFICAZIONE DELL'OPERA D'ARTE
Lettera aperta ad un critico d'arte dal nome (oramai) dimenticato, compilata e spedita all'interessata in seguito ad una conversazione avvenuta durante l’inaugurazione della mostra Germinale.
Spesso alcuni ricorrono al concetto di "mercificazione dell’arte" per rinfacciare una contraddizione nel comportamento di chi tenta, in un sistema sociale capitalistico, la politicizzazione dell'arte in senso "antiformista". Mentre, per questi difensori della coerenza, quanti usano le strutture estetiche già determinate e accettano le indicazioni ideologiche più diffuse, senza nessuna "intenzione politica”, non sarebbero incoerenti e gli si riconosce il diritto di vivere, in generale di arricchirsi.
l - il modo di produzione capitalistico trasforma tutti i prodotti del lavoro in merce; 2- tale trasformazione è direttamente connessa alla divisione del lavoro in tale modo di produzione; 3- la circolazione delle merci e del denaro non sono di per se stesse causa dell'accumulazione del capitale. Appare chiaro come utilizzare superficialmente l'accusa di "mercificazione dell'arte" in una società che rende merce anche la forza-lavoro, non si riduca a niente altro che ad una affermazione tautologica. D'altra parte la critica che questa "condanna" a produrre merci provoca si accompagna con l'illusione che tale mercificazione possa non avvenire, anzi non deve avvenire affatto per i prodotti del lavoro artistico, a dispetto della generalizzazione che tale fenomeno assume nella società capitalistica. Da questa illusione - perché di ciò si tratta - se ne dedurrebbe che: l) il fenomeno estetico può rimanere intoccato dai rapporti di produzione, nonché dalle forze produttive che ha sviluppato la società nel quale “accade"; 2) per cui la serie di tali fenomeni può venire storicizza; 3) potendo rimanere la produzione di tali fenomeni estetici intoccata da una determinata articolazione sociale e dai suoi conseguenti rapporti materiali, il processo di trasformazione dei prodotti del lavoro intellettuale in merce avviene per la volontà del suoi singoli produttori. Quest'altra faccia della medaglia a cui ci conduce una utilizzazione non corretta della critica del concetto di "mercificazione dell'arte", si rivela intrisa del più marcio idealismo piccolo borghese, e non importuneremo il materialismo per dimostrare una cosa che si dimostra abbastanza bene da sé. A questo punto possiamo provare a spostare l'accusa, in questa ricerca dell'imputato (ossia di chi trasformerebbe in merce l'opera d'arte), dalla merce a quella forma nella quale essa si trasforma: il denaro. Sarebbe forse lui la testa di ponte con la quale i rapporti materiali irrompono nell'universo estetico corrompendo il produttore e i suoi prodotti? A questo denaro che impietosamente riduce alla sua forma tutti i prodotti del lavoro indistintamente, a questo unico possibile mezzo di scambio nella società capitalistica gli "artisti" (specialmente quelle con pretese “critiche”), con un atto della loro libera e individuale volontà, potrebbero opporsi. Così quello che un secolo di lotte di classe ancora non hanno risolto lo si vorrebbe far risolvere al singolo artista, essere soprannaturale, e per la propria salvezza personale! Lasciamo tali vagheggiamenti agli illusi. > |
Per altri versi deprecare il verificarsi del processo che modifica i prodotti del lavoro artistico in merci e quindi in denaro, è deprecare quella auspicata perdita dell’aura che rapporti economici e tecnologia tendono a liquidare una volta per tutte. Cosa, quest'ultima, che non può che compiacerci.
La teoria benjaminiana della perdita dell'aura ad opera della riproducibilità tecnologica dell'opera d'arte, trova nel denaro uno spietato concorrente, il quale non solo priva l'opera d'arte dalla sua aura sacrale, ma nullifica persino la sua oggettività disperdendola nella sua propria forma. In ogni caso è impensabile la riproducibilità tecnologica senza il passaggio storico dal lavoro artigianale a quello industriale, dai mezzi di produzione individuali a quelli sociali, cioè il passaggio dal modo di produzione feudale a quello capitalistico. Così, anche se l'accusato è il denaro, l'utilizzo di questo altro taglio che possiamo dare alla sentenza della mercificazione, svela la sua natura non solo moralista ma anche reazionaria nella misura in cui "sogna" il ritorno a modi di produzione preborghesi. Fin qui abbiamo voluto individuare i possibili riflessi che l'uso superficiale e approssimativo del termine mercificazione implica conseguentemente. Ma il senso corretto della "mercificazione dell’opera d'arte" va cercato nel fatto che
Così Marx nel Capitale a proposito del rapporto tra merce e suo produttore.
Questi sono i termini reali in cui va individuato il fenomeno della mercificazione dell'arte come fenomeno particolare conseguente i rapporti di produzione capitalistici che, generalizzati per la gran massa della produzione, tendono ad imporsi nel lavoro di tipo intellettuale.
Chi pensa che le contraddizioni che il modo di produzione capitalistico si porta con se e riversa tanto nella produzione materiale che immateriale, possano essere risolte per via volontaristica dai produttori in quanto singoli e persistendo tale modo di produzione, merita la nostra commiserazione critica. |
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Vedi inoltre comunicato 73 e, qui sotto, una tavola di Erostratologie con alcuni fogli del quaderno Disegni Preliminari - 1969/1976 . Cfr. anche, a partire da nømade n.14,2017, i più recenti elaborati de L'arte raccontata ai compagni .
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