DALLA PITTURA MODERNA AL CINEMA MODERNO

Hans Richter
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 8 maggio 2014
IL PROBLEMA CON HARRY
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Il cinema come forma d'arte - II problema del film astratto non è tanto il problema del cinema come forma d'arte in se, ma dell'arte moderna in generale.
II fatto che i pittori e gli scultori d'oggi si siano liberati dalla necessita di imitare la natura sotto qualsiasi forma è stato di somma importanza nello sviluppo dell'arte contemporanea. Per il cinema, invece, ha solo una importanza limitata, poiché la forma astratta è soltanto una delle sue
molte possibilità, una forma di espressione insieme con tante altre.
Tuttavia sussiste il fatto che il cosiddetto movimento d'avanguardia del cinema, che oggidì viene chiamato sperimentale, ebbe inizio con forme astratte nel campo di battaglia della pittura e dell'arte moderna. Ciò è significativo: dimostra che il cinema sperimentale si è sviluppato come un ampliamento dell'arte moderna, e si è servito del film soltanto come strumento per i problemi incontrati nel campo tradizionale delle antiche arti (e non per la capacità del cinema di raccontare storie, di riprodurre opere teatrali, di documentare avvenimenti).
Lo so per esperienza personale, poiché io stesso feci questo passo, e da 44 anni a questa parte parlo come pittore che si servì e si serve del cinema soltanto perché esso offre nuovi mezzi all'espressione creativa in un campo che ha rapporti con l'arte moderna.
Le osservazioni seguenti daranno una rapida sintesi delle mie esperienze, presentando esempi che potranno illustrare questa tesi.
Per uno strano paradosso, il principale problema estetico del cinema, che è stato inventato per la riproduzione (del movimento), è proprio quello di 'superare' la riproduzione. In altre parole, l'interrogativo è questo: sino a qual punto la macchina da presa (il film, il colore, il suono, ecc.) viene perfezionata e usata per 'riprodurre' (qualsiasi oggetto che appare davanti alla lente) oppure per 'produrre' (sensazioni che non si possono suscitare con qualsiasi altro mezzo artistico)?
Questa non è affatto una domanda puramente tecnica o meccanica. La libertà tecnica raggiunta dalla macchina da presa è intimamente legata a problemi psicologici, sociali, economici ed estetici, che hanno tutti una funzione nel decidere a quale uso tecnico sia destinata e sino a qual punto sia «emancipata».
Prima che venga chiarita sufficientemente questa questione fondamentale, con i molteplici problemi impliciti, è impossibile parlare del cinema come di una forma d'arte indipendente, anzi addirittura come di una forma d'arte, per quante siano le sue promesse. Secondo le parole di Pudovkin: «Tutto ciò che è una forma d'arte 'prima' di trovarsi di fronte alla macchina da presa, come la recitazione, la messa in scena o il romanzo, non è piu un'opera d'arte 'sullo schermo'.»
Questa unione della macchina e dello spirito umano è un fenomeno nuovo nelle arti, e ha causato contrasti che creano problemi abbastanza diversi da quelli che si presentano nelle altre arti. Come forma d'arte, il cinema ha la tendenza alla libertà, all'individualismo e alla divulgazione di idee. Come tecnica le sue creazioni tendono alla produzione in serie, all'anonimato, all'utile commerciale. Soggetto a entrambe, il cinema è destinato a riflettere Ie caratteristiche contraddittorie di tutt'e due: lo spirito, la forma e la filosofia tanto dell'arte quanto della tecnica.
Persino a quelli, che apprezzano sinceramente il cinema nella sua forma attuale, deve sembrare che esso venga usato un po' troppo per conservare 'documenti' di grandi creazioni: lavori teatrali, attori, romanzi o soltanto la semplice natura; e molto meno, in proporzione, per produrre originali sensazioni cinematografiche. E' vero che il film commerciale divertente usa molti degli elementi 'liberatori' scoperti sin dal 1895 da Melies, Griffith, Eisenstein e altri, e che portarono a una forma cinematografica originale. Ma la tendenza generale dell'industria del cinema, come istituzione economica, è quella di distribuire ogni film al maggior numero possibile di spettatori. Questa organizzazione deve evitare di allontanarsi dalle forme 'tradizionali' di racconto, a cui la maggior parte degli spettatori è abituata: il teatro, con la supremazia dell'attore, e il romanzo o l'opera teatrale in cui emerge lo scrittore.
Entrambe queste tradizioni gravano sul film e gli impediscono di avere una propria originalità.
Parecchie volte, nella storia del cinema, una ribellione ha annientato temporaneamente l'influsso delle due arti tradizionali sul cinema inteso come divertimento. Per specificare le due ribellioni più importanti, basterà citare il film muto della Russia post-rivoluzionaria "La corazzata Potemkin", e dopo la liberazione dell'ltalia dal fascismo, il film italiano del dopo-guerra "Paisà". In entrambi i casi il film narrativo è passato dalla novellistica alla storia, e dallo stile teatrale a quello documentario, usando ambienti veri, attori non professionisti e avvenimenti reali.
Per mezzo del documentario, il film ritorna alle sue origini.
In questa forma ha una solida base estetica: usando liberamente la natura, compreso l'uomo, come materiale grezzo.
Con l'eliminazione selettiva e la coordinazione di elementi naturali, si sviluppa quella forma di cinema che è originale e non tarpata da una tradizione teatrale o letteraria.
L'influsso del documentario va crescendo, ma il suo apporto all'arte cinematografica è limitato per natura. E' limitato proprio perché ha superato l'influsso della letteratura e del teatro. Dal momento in cui i suoi elementi sono dei fatti, può essere un'arte originale soltanto nei limiti di questa aderenza alla realtà. Qualsiasi libero uso di elementi magici, poetici, irrazionali, a cui potrebbe prestarsi il mezzo del cinema, dovrà essere limitato a priori (come non aderente alla realtà).
Ma proprio queste caratteristiche sono essenzialmente cinematografiche, tipiche del film, ed esteticamente sono quelle che promettono un futuro sviluppo. Ecco il punto in cui trova posto la seconda delle forme cinematografiche originali: il film sperimentale.
Nella storia del cinema c'e un breve capitolo, che tratta particolarmente di questo settore della cinematografia. E' stato scritto da individui che si interessavano essenzialmente del film come mezzo di una nuova forma di arte. Essi non si lasciarono imporre dei modelli stereotipati dalla produzione, né dalla necessità di una interpretazione razionale, né da impegni finanziari. La storia di questi singoli artisti, all'inizio degli anni venti, sotto il nome di avanguardia, può essere giustamente interpretata come la storia di un tentativo consapevole di superare la riproduzione e di arrivare al libero uso del mezzo espressivo cinematografico. Questo movimento si diffuse in Europa e anche negli Stati Uniti, e venne appoggiato per lo più da pittori moderni, che nel loro campo avevano rotto i ponti con ogni convenzione. Questo dà una idea della direzione in cui venne cercata la « liberazione » del cinema.
In Francia, già verso il 1910, Canudo e Delluc parlarono della "fotogenia” come della nuova qualità “plastica” del mezzo cinematografico. René Clair andò più in là e dichiarò che il cinema era intrinsecamente un mezzo visivo: « Un cieco in un teatro e un sordomuto in un cinema dovrebbero cogliere l'essenza dello spettacolo »: la parola per il teatro e l'immagine muta per il film, ecco gli elementi!
Gli artisti scoprirono che il cinema come mezzo visivo aderiva alla tradizione dell'arte senza violare le sue origini. Proprio così poteva svilupparsi liberamente.
I problemi dell'arte moderna conducono direttamente al cinema. La disposizione e l'orchestrazione della forma, del colore, il dinamismo del movimento, la simultaneità furono problemi che Cézanne, i cubisti e i futuristi dovettero trattare.
I legami con il teatro e con la letteratura vennero definitivamente spezzati. Il Cubismo, l'Espressionismo, il Dadaismo, l'arte astratta, il Surrealismo non solo trovarono la loro espressione nel cinema, ma necessariamente un completamento a nuovo livello.

L'arte moderna e il cinema moderno - II primo film che vidi in vita mia (fu nel 1905) veniva proiettato nel baraccone di una fiera, a Berlino. Durava soltanto un minuto: si vedeva una donna a letto che dormiva.
Per non so quale ragione, un fantasma cercava di strapparle la coperta, ma lei vi si ravvolgeva. Questa scena si ripeteva sei o sette volte; alla fine il fantasma rinunciava e la donna rimaneva ben coperta.
Ma lo spirito non ha desistito! Sembra che persino ora, dopo 60 anni, il fascino della bellezza dormiente sia ancora velato.
Tuttavia è doveroso dire che non sono mancati gli sforzi per cercar di svegliare il cinema dal suo sonno. Negli ultimi trentacinque anni, per impulso della tendenza e delle idee dell'epoca, nonché dell'arte, si è ripetutamente tentato di scoprire la bellezza di questo mezzo di espressione, di svegliare la dormiente o, per lo meno, di disturbare i suoi sogni spesso infantili.
E' difficile dire sino a qual punto io sia stato indotto, dal mio primo contatto con questo mezzo espressivo caratteristico del Novecento, ad allontanarmi dalla via che mi era destinata come pittore e a cedere a questa 'donna fatale'.
Ma, mentre io le dedico tutti i miei pensieri, potrei giustamente definire questo - il primo incontro con la cinematografia - un suggerimento datomi dal fato per indurmi a lasciarla in pace.
Anche piu tardi, quando mi divertivo ad assistere alla proiezione di films di migliore qualità, non avevo la minima tentazione di rimanere invischiato nel cinema.
Attratto dal Cubismo e dalle sue ricerche di una struttura, ma non soddisfatto di quanto esso offriva, fra il 1913 e il 1918 mi trovai sempre più affascinato dal problema di raggiungere una comprensione oggettiva di un principio fondamentale, con cui si potesse controllare il « mucchio di frammenti» ereditati dai Cubisti. Così perdetti gradatamente l'interesse per il soggetto - qualsiasi soggetto - e, invece, misi a fuoco il contrasto positivo-negativo (bianco-nero), che per lo meno mi dava una ipotesi accettabile, con la quale potevo coordinare i rapporti di una parte di un dipinto con l'altra. Così facendo, la 'forma' come tale diventò un impedimento, e venne sostituita da sezioni diritte o curve della tela, che in se stessa diventò una superficie, sulla quale dovevano essere disposti elementi contrastanti. La ripetizione su parti diverse della tela dello stesso elemento, e le ripetizioni con varianti minori o maggiori, permettevano un certo controllo.
Un giorno, all'inizio del 1918, mentre ero impegnato in questa lotta, Tristan Tzara busso sulla parete divisoria delle nostre stanze in un alberghetto di Zurigo e mi presentò al pittore Viking Eggeling. Si supponeva che egli fosse impegnato in 'ricerche estetiche dello stesso genere'. Dieci minuti dopo Eggeling mi mostrò qualcuna delle sue opere. Il nostro perfetto accordo sui problemi estetici e filosofici, una specie di 'entusiastica identità' ci spinse spontaneamente a una intensa collaborazione, e a una amicizia che – tranne una breve interruzione - durò sino alla sua morte, nel 1925.
Mentre io ero appena agli inizi, Eggeling aveva già elaborate una teoria completa e un sistema che funzionava. Egli lo chiamava « Generalbase der Malerei ». Unendo (equilibrando) intimamente elementi in forte contrasto coi loro opposti, mediante affinità, che egli definisce 'analogie', poteva così determinare una illimitata molteplicità di rapporti. Gli elementi contrastanti venivano usati per accentuare due o più complessi formali; le 'analogie' erano usate entro i medesimi complessi di forme per metterle di nuovo in rapporto l'una con l'altra.
La collaborazione fra Eggeling e me, dal 1919 al 1922, ebbe innumerevoli conseguenze.

1. Le nostre ricerche ci indussero a fare moltissimi disegni come trasformazioni di questo o quell'elemento formale, tanto una linea come una superficie. Erano questi i nostri 'temi o strumenti', come li chiamavamo per analogia con la musica, la forma d'arte che ci ispirava in modo particolare.
Sentivamo 'la musica della forma orchestrata'.
2. Questo metodico contrasto-analogia, l'orchestrazione' di uno 'strumento' attraverso differenti stadi, ci impose l'idea della continuità.
3. Poi, nel 1919, stabilimmo infine una precisa linea di continuità su lunghi rotoli. Arrivammo a percepire un multiple e dinamico genere di rapporto, che invitava l'occhio a 'meditare'. Eggeling creò 'Horizontal: vertical Mass', io 'Preludium': il procedimento di contrasto-analogia aveva prodotto una energia che cresceva a mano a mano che si moltiplicavano i rapporti.

Si puo presumere che gli Egiziani e i Cinesi sentissero il fascino di questa forma particolare di espressione, il rotolo, e che si divertissero a fermare il tempo in tal modo. Altrimenti questa forma non si sarebbe sviluppata né si sarebbe conservata sino a oggi, come è avvenuto in Cina.
Nella pittura su rotolo, l'orchestrazione di tutti gli stadi di sviluppo della forma è visto e sentito simultaneamente, ma anche avanti e indietro. E' questa una delle sue caratteristiche principali e uno dei motivi della sua bellezza.
« Ogni forma occupa non soltanto lo spazio ma il tempo. Essere e divenire sono una cosa sola... Bisognerebbe poter afferrare e dar forma alle cose che fluiscono » (Eggeling).
Il passo che logicamente avevamo fatto per arrivare al rotolo ci aveva già spinti, per così dire, fuori del mondo della pittura di cavalletto, ma ci lanciò ancora più avanti di un passo. Incominciammo a capire di aver raggiunto più di quanto ci proponessimo: la necessità di sprigionare in un vero movimento questa 'energia' accumulata. E nel movimento era implicito il cinema.
Poche persone sono mai arrivate a questo mezzo espressivo così inaspettatamente e con tanta resistenza interiore. Non avevamo altra esperienza delle macchine da presa e delle pellicole, che non fosse quella di averle viste nelle vetrine dei negozi.
Nel 1921 Eggeling finì la prima versione della sua "Diagonal Symphony", e io terminai il mio film "Rhythm 21". Eravamo immersi in un mezzo espressivo completamente nuovo. Nel cinema affrontavamo non soltanto l'orchestrazione della forma, ma anche il rapporto del tempo. L'immagine singola spariva in un fluire di immagini, che avevano un senso soltanto se aiutavano ad articolare un nuovo elemento: il Tempo.
Questi due films erano del tutto differenti, cosa che potrà dimostrare come anche due persone, le quali lavorano strettamente unite per tre anni, arrivano a risultati completamente diversi, tanto dal lato pratico come da quello teorico. Nel 1922 Walter Ruttmann, anche lui un pittore moderno, che aveva subito l'influsso di Kandinsky più che dei Cubisti, presentò a Berlino il suo primo film astratto di un genere diverso.
Il pittore moderno come cineasta - Era meno geometrico e riuniva forme più ondeggianti. simili a pesci e uccelli. Però negli altri suoi films si valse di quando in quando anche di movimenti geometrici. Alcuni dei suoi 'Opus', come egli li definiva, erano dipinti a mano. Per questa produzione, Ruttmann usava una combinazione di tecnica animata insieme con elementi naturali scattati con la macchina da presa. Su una piccola rastrelliera Ruttmann teneva delle sagome irregolari modellate in plastilina; voltandole o facendole rigirare, egli poteva scattare forme astratte in vero movimento.
Mentre Eggeling e io continuavamo ancora a essere dei pittori, che si servivano della macchina da presa solo di quando in quando, Ruttmann si immerse anima e corpo in questo mezzo espressivo, lasciando definitivamente la pittura per darsi in modo esclusivo alla scoperta del cinema.
Nei films di Ruttmann, come pure nei nostri, dopo aver sottolineato l'articolazione della forma, eravamo passati all'articolazione del tempo. Il battito, il ritmo, la melodia visiva diventarono il centro dell'interesse della nostra cinematografia. Quindi, come definizione, tutti quei films che s'interessavano a 'questi' problemi potrebbero o dovrebbero essere chiamati films 'astratti', astratti nei senso che essi sono unità di tempo articolate, sia che questa articolazione venga esercitata su forme astratte oppure su oggetti. Proprio in questo la prima avanguardia del XX secolo si distingue radicalmente dalla seconda parte di questo movimento, incominciando dal surrealismo.
Non l'orchestrazione del tempo, ma elementi letterari e talvolta morali, dettavano la forma e il contenuto del film nel surrealismo. Già nei 1923, alla grande Mostra dadaista, nella Salle Gaveau di Parigi, fu presentato un altro pittore moderno. Il programma di questa memorabile dimostrazione scandalistica delle caratteristiche dadaiste, oltre alle principali attrattive letterarie, offriva « Film di Sheeler, Richter e Man Ray ». Il "Chateau Dée" di Man Ray, pur essendo una specie di divagazione dadaista, fu seguito nel 1926 da "Emak Bakia", che, pur usando oggetti, fu la dimostrazione di un artista moderno, il quale snaturava gli oggetti nel ritmo di una danza, rivelandone la plastica bellezza "astratta".
Sheeler era anche lui un pittore, ma non esattamente un artista moderno, e il suo "Fumée de New York", proiettato alla Salle Gaveau, era piuttosto in uno stile poetico-documentario. Man Ray, essendo fotografo e anche pittore, sapeva combinare con disinvoltura professionale questi due mezzi espressivi, e continuò a farlo in un altro film, "Etoile de mer", che, tuttavia, appartiene più al regno del surrealismo che dell'arte astratta.
"Emak-Bakia" è un bel poema, creato da una serie di oggetti, simboli astratti che danzano fra puri, semplici colori, rigirandosi lentamente, movendosi e misurando il tempo di un universo rinchiuso in un teatro di posa cinematografico. Il mio poema presurrealista "Filmstudy" (anche questo del 1926) si vale di teste e di occhi ondeggianti come analogie di cerchi luminosi, simili a lune, sorgenti dalla superficie dello schermo in delicate increspature, e che esplodono in onde, spirali e triangoli astratti. Il muro che separa il mondo degli oggetti da quello delle cosiddette forme astratte è abolito. Le forme e gli oggetti astratti, liberati dalla loro funzione spiegabile e utile, parlano il proprio comune linguaggio, sensibile ma irrazionale. Benché in quel tempo tali films fossero già chiamati surrealisti (secondo la moda) erano, e sono ancor più, nello spirito del dadaismo, e riguardano i problemi del linguaggio visivo.
Sempre nel 1926, un altro artista moderno, Marcel Duchamp, presentò a Parigi il suo primo film, "Anemic-Cinema". Si trattava di una serie di cerchi bidimensionali fuori centro. Quando erano messi in movimento, questi cerchi davano l'impressione di corpi o spirali a tre dimensioni. Erano accompagnati da giuochi di parole, versi composti da Duchamp. Le parole ripetevano letterariamente il moto a spirale di questi cerchi come pure il movimento. Le parole giravano insieme con le spirali: "Esquivons les ecchymoses des Esquimaux aux mots exquis." (Schiviamo le ecchimosi degli Esquimesi dalle squisite espressioni).
Duchamp arrivava all'arte cinematografica da un campo diverso da quello prima menzionato. Il problema del movimento (dinamismo e simultaneità) come lo avevano studiato e trattato i Futuristi sin dal 1909, era il tema del celebre dipinto di Duchamp: "Nude descending a Staircase (1912) e di altre sue opere.
Spirito scettico e scientifico, Duchamp aveva lasciato l'arte gia nel 1913, presentando i suoi "Ready-mades" come oggetti artistici, in opposizione all'arte convenzionale, "questa intossicazione alla trementina", come egli la definiva. Ma l'esperimento artistico scientifico di "Anemic-Cinema" continuava ad affascinarlo. Nel 1936 fece un altro passo avanti e trattò lo stesso problema: una serie di circoli fuori centro (che egli chiamo allora "Roto-reliefs"). Egli li faceva roteare sulla piattaforma girevole di un grammofono, e, in seguito al movimento, essi non soltanto si trasformavano da figure bidimensionali in tridimensionali, ma anche in oggetti di uso quotidiano come bicchieri, vasche per pesci, lampade, palloni, ecc. Anche in questo caso vennero aboliti i confini fra il mondo delle cosiddette forme astratte e quello degli oggetti rappresentativi.
Ma prima di questi due ultimi films, ne vennero presentati altri di avanguardia, sin dal 1924. Erano astratti come ritmo e come contesto, pur valendosi entrambi di oggetti reali, oltre che di forme astratte, e uno aveva persino un intreccio. La forma pura (astratta) è il risultato di una lunga tradizione nelle arti antiche. E' il risultato di problemi che nascono dalla pittura e dalla scultura. In tal modo la forma astratta diventò una necessità nell'arte antica.
Nel cinema, che ha circa settant'anni di vita, non essendoci nessuna tradizione da considerare, il problema della forma astratta non ha quindi la stessa funzione che nella pittura.
In realtà negli anni Venti tutti noi — Leger, Picabia, Duchamp, Man Ray, Ruttmann, io stesso — finché facevamo films, ci occupavamo soprattutto di scoprire le massime possibilità di questo nuovo mezzo; e quindi, a tale scopo, usavamo la massima libertà nel servircene. In tali condizioni la pura forma astratta aveva soltanto la funzione di una possibilità fra tante altre.
Nel 1924 il pjttore Francis Picabia creò per il Balletto Svedese e per il suo direttore Rolf de Marées un film intitolato "Entr'acte". Era in parte recitato dai due dadaisti Man Ray e Marcel Duchamp e diretto dallo scrittore Rene Clair. Questo film dadaista, il canto del cigno del periodo dadaista di Picabia, trattava un soggetto letterario: un grottesco corteo funebre diretto da un cammello. La struttura di questo film, pur essendo soprattutto un esercizio di ritmo, ora lento e ora veloce, in contrasto l'uno con l'altro (usati come elementi grotteschi), alternati con la precisione di una danza, non è lontana dalla pura composizione astratta e ritmica dei miei films astratti.
Nel suo "Ballet mecanique" Fernand Leger, il pittore cubista, andò ancora più in là: oggetti danzanti, un balletto di arnesi di cucina, la cui plastica bellezza in primo piano era molto ammirata da Leger. Un ritmo di parti del corpo umano, oggetti e forme astratte, legate insieme dall'intensità dei loro movimenti, dalla possibilità di cambiare un O in una perla, il finimento di un cavallo in oggetto e forme astratte. Talora gli oggetti stessi non si muovono, ma sono uniti da una composizione ritmica in modo da creare il movimento.
Quando vide il "Ballet mecanique", Eisenstein rimase sorpreso ed emozionato nel constatare sino a qual punto le sue teorie del montaggio vi apparivano realizzate. La freschezza, la libertà e il linguaggio poetico dell'Avanguardia lo attrassero in quei giorni, mentre si trovava a Parigi.
Il ritmo astratto, l'orchestrazione del tempo furono il contenuto estetico di 'tutti' questi films sino alla fine degli anni venti, finché, con l'avvento del surrealismo, venne di nuovo introdotto l'argomento letterario.
Ma nel 1927 il film dadaista "Vormittagsspuk" (Spiriti prima della colazione) si basava ancora sul puro e semplice ritmo, il movimento delle lancette di un orologio. Cappelli, cravatte e tazze volano in aria, in una ribellione contro la 'routine'. Di nuovo, come le forme astratte in "Rhythm 21", essi sono legati dal ticchettio e dal battito del tempo, dal ritmo.
Gli artisti incominciarono a studiare le possibilità della macchina da presa, la composizione e i cosiddetti « trucchi », che già quarant'anni prima Giorgio Melies aveva tentato. Benché affrontassimo gli stessi problemi come pittori, noi sentivamo ancora i vincoli di famiglia con questo primo artista del cinema. Quando incontrai Melies nel 1937, gli proposi di lavorare insieme per realizzare una satira da me scritta sul famoso barone di Munchhausen, un tema che Melies aveva trattato quarant'anni prima; ma egli morì nel febbraio del 1938, prima che il film potesse essere realizzato.
Nel 1929, con l'avvento del film sonoro, si udì una nuova nota. Oskar Fischinger, un giovane pittore astratto e allievo di Ruttmann, usò la musica classica, rapsodie e danze come filo conduttore per un movimento esattamente sincronizzato di forme (simili a quelle dei pesci e degli uccelli di Ruttmann). Seguendo con grande precisione i movimenti ritmici suggeriti musicalmente, egli otteneva, con il sincronismo del suono e della forma, un risultato assai convincente. Veniva creato un tutto, che riusciva gradito all'orecchio come pure all'occhio. La soddisfazione di questi due sensi, per così dire in ugual misura, era una sensazione mai sperimentata prima, e venne accettata dalla massa di un pubblico, per cui, sino a quel momento, i films astratti, con oggetti reali o senza, erano stati proprio intollerabili. Alla prima visione del mio film Rhythm", a Berlino, avevano picchiato ben bene il suonatore di piano, benché egli non avesse nulla a che fare col film.
Da allora Fischinger ha continuato a creare lungometraggi e cortometraggi con lo stesso sistema. Egli ha collaborato con Disney alla parte astratta, su musica di Bach, di “Fantasia".
Però la sua opera principale venne creata negli anni Cinquanta col concerto brandeburghese di Bach come filo conduttore, o meglio come suo vero contenuto. Sembrava una impresa molto rischiosa, tuttavia egli l'ha risolta in modo eccellente con una orchestrazione di spirali.
Sempre nel 1929 incontrai a Londra un pittore moderno neo zelandese, il quale mi mostrò un film che aveva appena fatto con una tecnica sino allora intentata. Questo artista, un bel giovanotto straordinariamente magro, si chiamava Len Lye. II film era molto strano, persino misterioso, una specie di esperienza prenatale, di cui parla la psicologia moderna, ma non meno sorprendente ne era la tecnica. Queste forme serpentine, simili a budelli, erano dipinte a mano con inchiostro nero direttamente su una celluloide trasparente ossia sulla pellicola. Le forme stesse riflettevano ovviamente, oltre agli elementi individuali impliciti, la tradizione maori della patria di Len Lye. Non riesco a ricordare più il titolo di questo film, ma era derivato anche quello da un linguaggio autoctono dell'Australia.
Da allora Len Lye ha fatto molti films, prima e durante l'ultima guerra, pieni di un umorismo, che si trova di rado nei films astratti. La maggior parte di questi erano a colori, e vennero fatti per il governo inglese. Len Lye usava la tecnica di Fischinger, con una esatta sincronizzazione tra forma e suono, ma invece di musica classica preferiva il jazz, che gli piace molto ancor oggi. Con la sua tecnica, come pure col suo spirito egli aveva fissato una correlazione con la pittura moderna: faceva della pittura moderna in movimento.
Norman McLaren ha ripreso il procedimento di Len Lye di dipingere direttamente sul film, e ha perfezionato questa tecnica al massimo grado. Cosi facendo, ha scoperto il proprio stile. Come Len Lye, Norman McLaren ha creato una specie di umorismo danzante che affascina la mente, l'occhio e l'orecchio. Insieme con un ingegnere della Commissione Nazionale per il Cinema del Canada, egli aveva anche affrontato il problema di incidere il suono direttamente sul film. Per quanto possa sembrare incredibile, io ho sentito una resa perfetta della Sinfonia in si minore, « L'incompiuta », di Schubert, suonata da una intera orchestra... per cui non veniva usato un solo strumento musicale: era tutto inciso direttamente sul film. Essi avevano costruito una macchina, che poteva realizzare qualsiasi trucco nel regno del suono: dallo scricchiolio di una sedia alla voce umana.
Anche durante la guerra, a Hollywood, i due fratelli Whitney, uno dei quali era pittore, elaborarono un piano molto complicate di analogia fra il suono e la forma, ma molto più vicino ai problemi dell'arte moderna stessa o meglio dell'arte astratta, cercando di trovare una sintassi della forma astratta. Partendo da premesse simili a quelle di Eggeling e alle mie, ossia che gli elementi formali possono essere scoperti e sviluppati, variati e orchestrati, essi fondarono il loro concetto formale sul contrasto elementare fra la linea retta e quella curva. Le suddivisero e le combinarono.
In questo modo essi potevano esprimere ogni forma concepibile, vere 'orchestre' di forme, grazie a una combinazione di questi due elementi. Costruirono una macchina molto complessa per animare le variazioni o sviluppi della forma (non più a mano come avevamo fatto noi nel 1920 e nel 1921), ma in un modo meccanico, girando la macchina. (Io avevo sognato di attuare questa idea, quando mi ero trovato di fronte alle innumerevoli difficoltà che, inesperto quale ero come produttore di films, mi si presentavano nei miei primi tentativi). La loro macchina mi parve rivoluzionaria, un nuovo mezzo per giungere alla pittura moderna... sulla pellicola anziché sulla tela.
Questo avvenne poco prima del 1950. Da allora ho avuto ben poche notizie delle loro esperienze. Vorrei che avessero avuto successo, ma a mano a mano che essi si trovarono sempre più invischiati nella 'tecnica' della loro macchina, l'aspetto estetico si sviluppò meno di quanto si sperava. Sino a oggi e stato proprio McLaren quello che ha saputo combinare una tecnica raffinata con una fantasia creatrice.
Utilità del cinema sperimentale - Tutte queste esperienze e questi raggiungimenti hanno origine dall'arte moderna. Si sono sviluppati in modo parallelo a quei progressi che, contemporaneamente, vennero fatti nella pittura moderna. Ma ci voleva il mezzo del cinema per dare a questi progressi la massima estensione e una nuova dimensione.
Nel frattempo una nuova generazione ha seguito la via tracciata dai pionieri degli anni venti.
Negli Stati Uniti tutta una schiera di pittori si era avventurata nel cinema. Lewis Jacobs (insieme con Joseph Schillinger, un matematico) seguì un metodo scientifico, secondo l'indirizzo di Duchamp, quello di Eggeling e il mio. In "Parabola" Mary Ellen Bute e Ted Memeth, insieme con Rutheford Boyd, cercarono anch'essi di combinare dei problemi matematici con una estetica visiva.

Magia da due Soldi


Carmen d'Avino e Robert Breer, entrambi pittori, animarono un rozzo canovaccio, puntine da disegno, fermacarte e altri 'oggetti di scarto', nello stile dei 'collages' di Schwitters. James Davies in "Shadow and Light reflections" e in altri films; Douglas Crockwell in "Phantasmagoria", nonché Francis Lee, tutti pittori, sentirono il fascino del cinema come mezzo poetico visivo. Jean Hugo, insieme con la moglie, la poetessa Anaïs Nin, compose delle sinfonie visive, in cui il flusso delle immagini si trasforma talvolta in poesia parlata.
Sono sicuro che deve esserci stata una evoluzione analoga in Europa, benché io sia meno informato a tale riguardo.
Di quando in quando un pittore mi scrive e viene a trovarmi per discutere il modo di dare espressione visiva alle sue vedute personali sul cinema: con nuovi colori fiammanti, con nuove macchine, che possano produrre vibrazioni e irritazioni tali da ampliare la facoltà percettiva dell'occhio, ecc.
Ma non sembra che in questo momento la corrente principale del cinema sperimentale segua questa direzione. Si interessa maggiormente dei problemi sessuali e sociali e del diffuso senso di angoscia. Tuttavia un nuovo impulso potrebbe sicuramente portare nuove idee e nuove persone, che ancora una volta si spingessero avanti per aprire nuove prospettive al cinema astratto.Negli anni Venti il cinema sperimentale fu chiamato cinema d'avanguardia, un nome riservato non soltanto ai films di eccezione di cui si è parlato prima, ma anche al documentario, che in quel tempo non aveva ancora trovato la propria sfera d'azione.
Non importa quale nome si da a una cosa, purché tutti siano d'accordo sul suo significato, ma sembra che il nuovo nome - 'sperimentale' - dato al cinema d'avanguardia, indichi un tentativo per far sì che questo movimento 'agisca', per dargli un maggior senso di responsabilità, una nuova ragione di essere più materiale. La libertà dell'artista? Sì, ma entro certi limiti! Esperimenti? Sì, ma per uno scopo pratico!
Quale è lo scopo? Inventare nuove tecniche, nuove forme, congegni, trucchi e metodi, che possano diventar utili per favorire l'industria cinematografica? Che cos'altro potrebbe giustificare il cinema 'sperimentale'?
Ci sono tuttavia delle considerazioni che rendono discutibile la saggezza di questa troppo facile razionalizzazione. Certo, fra le altre cose, vi sono tecniche, scherzi formali, e metodi che sono stati scoperti o sviluppati dal cinema di avanguardia. Ma questi elementi concomitanti non ne sono l'essenza, proprio come il complicato processo chimico della crescita di una pianta non è l'essenza del fiore. E' un malinteso credere che i mezzi tecnici usati dall'avanguardia per svilupparsi, ne rivelino il significato. Piuttosto l'uso illimitato delle energie creative, che esistono in ogni essere umano, è quello che dà un significato e una giustificazione all'avanguardia: la libertà dell'artista, una contraddizione ovvia rispetto alle necessita dell'industria cinematografica, con le sue responsabilità sociali, finanziarie nonché altre ancora.
Il fatto che un grande negozio usi lo stile Dalì o persino forme di Dalì stesso, di Mondrian, di Arp o di Picasso nelle sue vetrine non dimostra nulla né a favore né a sfavore del negozio, né pro né contro Dalì, Mondrian, Arp o Picasso. Il rapporto fra gli affari del negozio e Picasso è poco più che accidentale. Questo, secondo me, è proprio il rapporto esistente fra l'industria cinematografica e l'avanguardia. L'industria cinematografica adempie una importante funzione sociale accontentando i desideri di esseri umani, insoddisfatti della vita, offrendo sogni significanti, anche se puerili.
L'avanguardia esprime le visioni, i sogni, le allegrie o i capricci (tutto dipende dal modo di considerarli) dell'artista.
Non sono mai state trovate norme o regole durature per misurare l'utilità dell'arte e dell'artista. Tuttavia il rispetto per loro risale indubbiamente al tempo dei cavernicoli, allorché uno di essi decise di decorare la caverna della sua tribù e di evocare la magia dei gesti abituali della vita. Da quel tempo l'arte e l'artista sono stati considerati con un certo riguardo in ogni società. Picasso, Mondrian e Dalì godono ancora del prestigio di quel bizzarro cavernicolo. Essi approfittano ancora del suo credito (con orrore di alcuni membri delle tribù di oggidì, che vorrebbero veder ritornare i veri cavernicoli).
Nessuno tenterebbe di giudicare l'arte soltanto dal punto di vista dell'allestimento delle vetrine, anche se oggi vi è la tendenza a fare proprio così. Si vorrebbe ancora prendere in considerazione la 'magia' originaria, si vorrebbe ancora concedere agli artisti il diritto di imperare liberamente nel dominio delle loro visioni. Perché non riservare questo diritto anche al cinema sperimentale? Misurarlo con qualsiasi altro metro di valori più pratico è altrettanto ragionevole come misurare la bellezza di una donna con un metro a nastro.
L'origine e lo sviluppo del cinema d'avanguardia danno una speciale importanza alla libertà dell'artista (e possono anche suggerire perché in esso non vi siano vantaggi materiali per i suoi creatori).
L'orchestrazione del movimento, la gioia dinamica del moto, affascinò e ispirò i pittori futuristi, e più tardi, nel 1912, "Nude descending a Staircase" di Duchamp e il "Boxing" di Picabia. Essi tutti scoprirono o espressero il 'dinamismo' e la 'simultaneita'.
Per un periodo di quasi trent'anni il fascino del movimento astratto ha trovato l'appoggio di Ruttmann, Man Ray, Duchamp, Fischinger, Brugiere, Len Lye, Mac Laren, Grant, Crosswell, i fratelli Whitney. Invece, in tutti i films prodotti dall'industria cinematografica il fascino del movimento astratto non ha mai trovato posto, tranne in qualche centinaio di metri di "Fantasia" di Disney, e prima in una ventina di metri di "The Nibelungen" (1929) di Lang.
« Mi sembra che valga la pena di creare il ritmo degli oggetti comuni nello spazio e nel tempo, di presentarli nella loro bellezza plastica » (Fernand Leger). Non la «bellezza plastica» di Brigitte Bardot o della Lollobrigida, ma dei particolari di comuni arnesi da cucina (Leger), una collana che danza (Man Ray), i riflessi senza dimensioni di un cristallo (Chomette-Beaumont). Nel 1912 Delluc parlò della bellezza 'fotogenica'. Comprendeva le arti, la letteratura, la musica, la danza, ma svaniva di fronte agli interessi pratici dell'industria cinematografica. Come raggiungimento tecnico non era abbastanza evidente; come filosofia o estetica dell'arte moderna era troppo lontana dai sogni oleografici cui avrebbe dovuto servire.
Un altro apporto dato dal cinema d'avanguardia fu la 'deformazione' o “scomposizione” di un movimento, di una forma. L'aspirazione dei primi cubisti, che volevano scomporre l'oggetto e poi ricostruirlo in termini di pittura anziché di natura, si rifletteva sullo schermo (che è anche quello una tela). Gli artisti che deformavano e scomponevano gli oggetti familiari, volevano forse dare una specie di distacco alla nostra percezione di tali oggetti e quindi, in generale, un nuovo aspetto a tutte le cose che ci stanno intorno? Man Ray fece delle riprese attraverso un vetro chiazzato; Cavalcanti stampò attraverso un saio monacale; Germaine Dulac si valse di lenti deformate; io voltai lateralmente la macchina da presa, usai positive e negative, esposizioni multiple, ecc.
Nessuno di questi poetici 'mutamenti innaturali' ebbe il brevetto; tuttavia l'industria cinematografica li ha quasi ignorati. Naturalmente in un film normale avrebbero deluso i gusti della massa degli spettatori, che in tutto il mondo sono stati 'condizionati' dall'industria cinematografica. Per sviluppare questi 'gusti', l'industria cinematografica ha speso centinaia di milioni, finché sono diventati importanti fattori sociologici che offrono al pubblico il mezzo più facile per identificarsi con i protagonisti. Ed ecco perché la gente va al cinema: per dimenticare la propria personalità. Non è forse cosi?
Infine vi fu il Surrealismo, che deriva dal Dadaismo più rivoluzionario, pervaso di un fascino che raggiunge persino gli spiriti pratici: il sesso, come è stato visto da Freud, e il subconscio; l'intenzione non di spiegare i fenomeni del subconscio, ma di proiettarli nello stato puro del sogno originario. Esso cerca di ricreare il subconscio, usandone il materiale originario e i suoi stessi metodi.
Importanza sociale e cinema sperimentale
Poiché il cinema d'avanguardia non ha avuto influsso alcuno su quello industriale e non è realmente un 'laboratorio sperimentale', quale può essere dunque il suo valore pratico?
E' difficile rispondere, perché non esiste risposta esatta a domanda sbagliata.
Non si è sempre riscontrato che la più grande capacità creatrice di un individuo abbia un valore pratico per la società nel suo insieme, per lo meno secondo il giudizio dei suoi contemporanei. Dovremmo dunque intimare il bando alle espressioni creative, delle quali non si riesce a scoprire 1'utilita collettiva? I governi e i dittatori hanno periodicamente proibito “l’arte moderna”. Ma l'arte, moderna o no, sopravvive, a dispetto di tutte le opposizioni 'razionali'.
Nessuno sa davvero in modo esauriente attraverso quali vie e quali mezzi, le nuove e persino le vecchie esperienze agiscano sul nostro comportamento generale. E' assai più probabile che noi impariamo mediante osservazioni ed esperienze non incanalate e impreviste, che per mezzo dei programmi scolastici o, per parlare in termini di immagini cinematografiche, mediante una narrazione normale, ovvia e razionalistica. Inoltre nessuno sa che cosa possa diventar utile domani. Si può giustamente supporre che, eliminando esperienze oggi 'incomprensibili', possiamo privarci in avvenire di esperienze assolutamente nuove. Chi, per esempio, può prevedere che importanza avranno, come esperienze emotive, la scoperta dell'atomo o del subconscio, tanto per citarne solo due che sono presenti nello spirito di tutti? Non sarebbe saggio tollerare e persino rispettare “l’esperimento” nel cinema, quale riconoscimento del fatto che tutti siamo soggetti a ingannarci?
Potrebbe essere non soltanto più saggio, ma inevitabile. Il 'lato sperimentale' è una parte della vita, e nessuna nuova generazione va avanti solo a base a cose ragionevoli e utili. Si cerca l'inspiegabile, che non può essere 'fabbricato', ma che deve essere 'trovato', 'creato' da questo o quell'individuo. In qualsiasi società in cui l'individuo sia rispettato, la presentazione dell'altra faccia della società, dell'individuo e dei contrasti fra di essi dovrebbe essere considerata un buon segno anche sullo schermo.
Alla domanda «Quale è la funzione del cinema d'avanguardia?», secondo me la risposta deve essere questa: la stessa che in tutte le altre arti: integrare emotivamente nuove esperienze, o esprimere visioni che la vita ci ha sottratto, o comunque voglia definirla l'analisi della funzione sociale dell'arte.
La produzione del cinema sperimentale e di quello industriale non rappresenta due vie differenti verso una stessa meta. Sono procedimenti diversi per raggiungere mete differenti. Qualunque cosa facciano per avere un influsso reciproco, esso sarà casuale: questa, per lo meno, è la mia opinione personale, rafforzata dall'esperienza di più di quarant'anni di cinema sperimentale.
In certe occasioni la produzione del film non è più standardizzata, viene decentrata, perde il carattere industriale: singoli gruppi potranno produrre films pervasi dell'entusiasmo e dell'esperienza del loro regista. Se uno di questi cineasti ha il potere magico di un artista, può realizzarsi una combinazione piuttosto vasta di esperienze (esperienze individuali) nella produzione di films, come avvenne, per esempio, nel "Night Mail" di Cavalcanti o persino in un western tradizionale come "High Noon". Vi sono anche momenti eccezionali nella storia del cinema, all'inizio di grandi crisi psicologiche o sociali: per esempio il cinema russo subito dopo la rivoluzione, e quello italiano dopo la liberazione da un tiranno.
Cosi furono creati "La corazzata Potemkin" e "Paisà". In tali momenti i desideri e le idee dell'individuo possono praticamente identificarsi con quelli della società: allora tutte le libere energie creative fluiranno insieme con i fini della collettività. Ma eccettuate quelle rare occasioni, le necessità dell'individuo e della società sono identiche e diverse in ugual misura, per quanto si possa desiderare, per il bene dell'umanità, che le cose vadano diversamente.
In quanto al cinema sperimentale, credo che quanto più si accentueranno le sue caratteristiche contraddittorie, con minori possibilità di assimilazione, tanto meglio sarà. Per l'industria cinematografica significherà un salutare disturbo, una spina nella carne; per il produttore di films sperimentali significherà chiudersi in sé stesso, invece di lavorare per la massa del pubblico; per gli spettatori sarà l'occasione per fare una scelta fra il crogiolarsi in una deliziosa indolenza o avviarsi a una collaborazione attiva e intelligente, mentre il critico potrà imparare a non cercar con tanti sforzi di trovare patate dove si offrono fiori.
Alla fine potremo scoprire che lo sviluppo indipendente del cinema sperimentale sarà non solo utile ma essenziale per la società, una salutare ribellione a un eccessivo conformismo. Io non mi preoccuperei troppo di voler sapere “chi ricava qualcosa” dal cinema sperimentale, finché è fatto con amore e con convinzione. La vita penserà a trarne le conseguenze.
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Il testo di Richter è stato pubblicato nella rivista dell’ente autonomo della Biennale di Venezia, “La Biennale” N. 54, anno XIV settembre 1964, pgg. 3-13.