LETTERA DAL CARCERE |
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Mia cara Francesca,
è stato veramente piacevole parlare con te delle cose che più ci stanno a cuore. Ultima viene l'arte. Ma alla fine, viene pure lei. E stavolta è venuta di nuovo a rompere le uova. Colpa mia, lo riconosco. Non è stata la prima volta che ho notato i segni del tuo disappunto nel sentirmi ripetere che fare un quadro o scrivere una pagina, organizzare un evento o disegnare un progetto, alla fin fine è comunque la medesima cosa. Lo dicevamo già negli anni settanta; ma tu questa cosa non l'hai mai digerita, e ancora oggi la riascolti come fosse null’altro che una spavalderia adolescenziale fuori tempo. E non dirmi che non è così; perchè con certi argomenti che non gradisci butti lì una frase di cui diffido: "Lasciamo stare...", "lasciamo perdere..."; anche sabato l’hai detta. E’ un tipo di frase che fa il paio con la falsa domanda: “ti vuoi paragonare a… Tizio?”. A sentire queste locuzioni che non promettono nulla di buono, manca l’animo di insistere per vedere a detrimento di chi si concluderebbe la conversazione avviata - specialmente quando a pronunciarle sono delle donne. Forse farei proprio meglio lasciar perdere, perchè non meriti di venire incalzata in questo modo. Ma stavolta vorrei proprio capire se non mi credi quando ripeto che dipingere un quadro o digitare un testo già pubblicato è la medesima cosa. Non crederai mica che lo dico solo perchè le circostanze personali mi permettono di fare ben poco? Varrebbe a dire che faccio dell'opportunismo in arte, dato che così definisco simili comportamenti, e questo mi punge; o varrebbe a dire che faccio dell’ipocrisia, e questo mi ferisce. Tu sai che ho sempre ritenuto che l'arte consiste essenzialmente nel porsi degli specifici problemi e nel risolverli. Quello che segue - la cosiddetta “produzione” personale dell’artista - investirebbe questioni estetiche, come la stabilità strutturale della risposta artistica raggiunta o la sua propagazione nel campo sociale; ma oggi queste funzioni vengo svolte praticamente nella sfera economica del commercio. Detto questo, occorre considerare che per porre soggettivamente dei reali problemi artistici da risolvere bisogna stare (o credere di trovarsi) alla loro altezza o almeno nelle vicinanze; e io soltanto in rarissime occasioni ho creduto di esserlo per azzardare la risposta con un oggetto artistico, e poi la finivo lì. Se il risultato era un reale passo in avanti, doveva essere anche un passo necessario e trovare autonomamente il modo di propagarsi, altrimenti non era nulla. La direi anch’io una visione scioccamente deterministica e fiduciosa; epperò credo che in un qualche modo abbia iniziato a funzionare nell’attuale società interconnessa, che a mano a mano sta sgretolando ogni singola componente del vecchio armamentario dell’artista e del suo mondo pittoresco e ridondante. Di questo aspetto generale ne abbiamo discusso a sufficienza e sai cosa penso: La pittura ha senso quando la si fa, il quadro quando lo si vende - ho detto in altra occasione, e lo ripeto adesso, anche se non serve per allontanare da te il sospetto che dietro certi propositi artistici io possa continuare a nascondere il fallimento. Invece non abbiamo mai avuto occasione di discutere sul fatto che adesso arrivo a dare un valore artistico alla semplice riscrittura, parola dopo parola, del testo di un libro già esistente. (Non mi dirai mica che è più plausibile riconoscere tale valore ad una cancellazione di parole dalle pagine di un libro stampato, e risolvere tutto nel decorativismo dello stile - e tu sai a chi mi riferisco). Devo confessare che finora nemmeno io ho mai riflettuto sopra quest’idea - che in effetti può avere le sue radici nella temperie del concettualismo degli anni sessanta, che più di altri cercava definizioni ottimali ai problemi artistici – ma che doveva però poggiare anche storicamente (cioè irreversibilmente) su concreti proponimenti artistici e specifiche opere d’arte - che però non saprei indicarti precisamente. Senza voler essere convincente, proverò tuttavia a sottoporti degli elementi indiziari in suo favore. Si potrebbe staccare, ad esempio, un punto iniziale nel 1889 (con van Gogh che si lamenta del fatto che ai pittori viene sempre richiesto di essere solo dei compositori, mentre per la musica non è assolutamente indispensabile che un compositore suoni solo le sue composizioni), per poi andare al 1970 a prendere l’opera di Dennis Oppenheim Reading Position for Second Degree Burn (che qualche tuo collega commenta come una risoluzione della pittura nel corpo dell'artista) e tracciare la linea che li unisce nel verso del tempo... Cara Francesca, avrei voluto fermarmi qui, limitandomi a segnalarti due semplici spunti da cui dedurre; ma occorre anche dell’altro per stimolare la tua e la mia immaginazione - che intanto si chiederebbe se oltre al superamento della pittura ci sia qui anche un superamento dell'immagine. E non mi pare proprio. Ma questo è grosso modo il punto problematico che interessa saggiare; e dovrai scusarmi se, non conoscendo l’eventuale esistenza di letture critiche già svolte attorno ai due esempi artistici indicati, cercherò di procedere a modo mio, confidando solo nella tua pazienza di starmi a leggere fino in fondo. Dunque: se non più nell’ambito ristretto della pittura Reading Position rimane tuttavia in quello dell’immagine, e per di più della figura umana - che oltretutto richiama l’iconografia del Cristo deposto con in mostra le sue piaghe corporali (nel titolo: ustioni di secondo grado).[1] Con procedimento concettuale, in Reading la pittura verrebbe “citata” sia nei suoi elementi (immagine bidimensionale, corpo come supporto e sfondo, colore come calore solare, “testo” come figura e opacità), che nella sua storia (iconografica, iconologia cristiana). Quest’opera può quindi venir sistemata come una particolare risoluzione della pittura o dell’arte contemporanea quando giunge a rappresentare artisticamente i suoi propri processi formativi, morfologici o semiotici, antropologici o storici… ecc.. Ma la natura discorsiva di Reading - costituita da due scene successive di una medesima azione, come nelle predelle con le vite dei santi - favorisce anche una predicazione, una dinamizzazione narrativa delle figure salienti (libro, pelle, energia solare). In breve, essa mostra, in due istantanee fotografiche su carta, come dopo cinque ore di esposizione al sole (nel titolo: posizione di lettura) anche la pelle subisce una variazione tonale (posizione di pittura) - ovvero si è estesamente “piagato” (seppur nel modo risibile della tintarella di sole) tranne che nella zona del torace schermata da un libro rosso… La preminenza visiva di “questo” libro, con le scritte della rilegatura impresse in oro e ben leggibili, gli assegna una centralità troppo pregnante per poterlo trascurare. Potremmo domandarci se la scelta del volume sia stata casuale; o se l’artista voleva limitarsi a mostrarcene solo il titolo; o anche se, tramite il titolo, si voglia riassumere l’intero scritto di quel determinato trattato di tattica militare (tomo della cavalleria e artiglieria)… per difendere la cassa toracica (con dentro il cuore) dall'attacco dell’energia solare sulla spiaggia di Jones Beach nel 1970?... o per imprimere sul costato del corpo (dell’artista) in pietà il suo proprio titulus crucis ?... Il semplice segmento che ti avevo proposto si è rivelato come un campo zeppo di significazioni possibili che oscillano all’unisono. Staccato nei due punti la sua linearità storica si è spezzettata in tante forze singolari, e non so dove potrebbe condurre il particolare vettore religioso che ho intercettato; temo lontano dai miei intenti, che però fin qui hanno stabilizzato l’incontro di pittura, scrittura e corpo dell’artista, non certo nuovo nella storia dell’arte, ponendo però stavolta l’esigenza di risolverli tutti in una unica forma ottimale per lo sviluppo del proprio sistema morfologico e semantico. Che poi la soluzione appropriata sia o no quella che tu compatisci, per me è una faccenda secondaria; l’importante è stare in un ben definibile campo problematico; dopo di che non si tratterà più di dedurne necessariamente un oggetto locale bensì uno immerso nel flusso polimorfico dell’epoca informatica… Forse dovrei spiegarmi meglio, anche se hai già capito a cosa praticamente io riconduco tutto questo, ma devo sbrigarmi e preferisco abbandonarmi a qualche estrapola-zione che non so bene come sistemare. - Quale sarebbe il contenuto del cartiglio crucis della rappresentazione e dell’opera stessa? il loro INRI con le sue estensioni intelligibili, se non la parola Tactics impressa sulla copertina libro, con l’intero testo delle sue pagine e lo schema esplicativo della didascalia posta tra le due stazioni dell’opera? A tutti e tre congiuntamente vediamo assegnarsi una medesima area vuota in cui idealmente collocare le loro rispettive scritture - tuttavia è quella celata del libro a garantire all’opera la sua tensione artistica. - La didascalia centrale che separa le due immagini è una cerniera; nel tempo indicato tra i due scatti fotografici essa le fa ruotare; sovrapponendo le due figure in un solo corpo la didascalia prende il posto del volume rosso per tatuare, dentro il rettangolo di pelle non ustionata, la propria iscrizione. (la didascalia dattiloscritta intende eliminare, dalle forme e dall’opera stessa, ogni fascinazione alienante) - Le conseguenze della lettura (ustioni di secondo grado) sono anche le conseguenze della scrittura che, (come la pittura) si “risolve nel corpo dell’artista”?... o nella sua memoria? (Già; perché nelle cinque ore dell’esposizione al sole non sembra esserci stata lettura del testo, solo contatto della scrittura con il corpo immobile) (non la diresti una cattura topologia: la preda inghiottita dal predatore?) - Qui gli elementi attivi sono il libro e la scrittura; il corpo dell’artista è uno schermo, passivo esecutore del loro dettato sulla sua pelle… (conciata dal sole) - Il dittico di Oppenheim funziona come il libro rosso, ma ruotato in orizzontale; entrambi si mostrano nelle sequenze aperto-[chiuso]-rimosso, che scambiano tra loro: l’opera è il libro, il libro è la didascalia, la didascalia è l’opera… (costituita da due immagini ottenute con il medesimo procedimento fisico-chimico che esse stesse illustrano) (anche l’energia solare è mostrata duale: come luce e come calore) - C’è un rovesciamento dell’ekphrasis letteraria che guadagnerebbe all’arte figurativa lo statuto autonomo di un nuovo genere pittorico-estetico: la scrittura senz’altro. (basta un INRI per fare una crocifissione e il suo vangelo) . La scomparsa arte medioevale della miniatura o la copistica classica, tentano anche così di riaffiorare sull’orizzonte dell’epoca del digitale?… Del mio disordinato guardare attorno ai due fatti artistici proposti ci sarebbe altro ancora da riferirti, ma credo tanto basta a convenire che in esso è possibile trovare elementi e sostanza per una transizione verso la discontinuità morfologica di un terzo fatto artistico basato sull’idea che l’interpretazione (copia di una pittura o ritrascrizione di un testo preesistenti) è una cosa a sé nell’ambito dell’arte figurativa e delle sue invarianze. Già i libri di van Gogh (ad esempio) non sono messi lì tanto per essere semplicemente guardati… Come lui unificherebbe volentieri pittura e musica, autore ed esecutore, così Reading Position (ad esempio) orienterebbe il verso della pittura per un risolversi dell'immagine nella mera riscrittura del libro Tactics e dell’artista in lettore e copista? Ciò non è improbabile. Sarebbe magari una produzione artistica che prepara l’arte di un universo diversamente energetico rispetto al mondo fotonico che ci è familiare, cioè oculistico e misurabile palmo a palmo… Tuttavia, per quanto impegno posso aver messo fin qui, non credere che l’abbia speso per collocare la mera “riscrittura” negli statuti dell’arte e dell’estetica. Che sia arte o un nulla di fatto, non mi interessa minimamente e non è assolutamente importante. Ciò che importa è seguire il verso delle determinazioni e starci dentro per poter intravedere quelle avvisaglie concrete che preparano le attuali forme della conoscenza e i suoi strumenti - e l’arte è certamente fra questi - ad una generale unificazione futura. (Ho preso l’esempio di Reading Position ritenendo che certa arte cosiddetta “concettuale” mostra sintomi concreti di questa esigenza di unificazione) . Ma anche di tutto questo abbiamo discusso a lungo… sempre però fino all’arrivo dei fatidici “lasciamo perdere”… Se, infine, l’insofferenza che manifesti è dovuta soprattutto all’incredulità che da un’attività così piatta e meccanica si possa attinge un qualche piacere estetico… ad averlo chiarito fin dal principio mi sarei limitato a ricorrere ad un’analoga fonte di piacere, come il sesso, per commentare più sbrigativamente che le tattiche del desiderio non escludono nulla pur di appagarsi - e ci saremo così risparmiati entrambi la fatica di questa lettera paranoica e pedante. Perdonami dunque se la chiudo bruscamente; ma è proprio ora di uscire, e farti uscire, dal ginepraio in cui mi sono infilato. Forse dovrei stracciarla, ma sento che qui dentro c’è qualcosa di azzeccato, e te la farò avere. Deciderai tu se buttarla via e lasciar perdere, o dargli un seguito - ossia, una sistemazione degna, che magari sollevi Vincent ed Oppenheim da ogni responsabilità in tutta questa nebulosa faccenda di cui assumo interamente colpa. Sempre tuo - almeno lo spero. |
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[1] N.d.R. - Nel dattiloscritto centrale, incorporato, nell’opera, si legge: “READING POSITION FOR SECOND DEGREE BURN - Stage I, Stage II. Book, skin, solar energy. Exposure time: 5 hours, Jones Beach, 1970”; che possiamo tradurre con: “Posizione di lettura per ustioni di secondo grado - Fase I, Fase II. Libro, pelle, energia solare. Tempo di esposizione: 5 ore. Jones Beach, 1970”.
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