COSTRUZIONE DI UNA VARIABILE INDIPENDENTE |
François Molnar . 1968
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L'esperienza classica in psicologia consiste nel presentare uno stimolo « S » ai soggetti, e nel registrare le loro risposte « R ». La prima condizione di ogni esperimento è quella di poter caratterizzare sia lo stimolo che la risposta per mezzo di indicatori e di associare a questi una scala qualitativa o quantitativa. Spesso poi si misurano gli « errori » dei soggetti. La difficoltà in estetica — osserva Woodworth — è che non ci sono errori da misurare poiché non c'e un campione oggettivo che possa servire per questa misura (Woodworth 1945). L'estetica sperimentale ha risolto questo problema misurando per mezzo di procedimenti statistici sempre più perfetti, non «l'errore», ma lo scarto tra il giudizio di un soggetto, o di un gruppo di soggetti, e quello di un gruppo di esperti come pure la concordanza del giudizio all’interno di un gruppo di soggetti.
Utilizzando uno di questi metodi, o tutti e due insieme, si è riusciti a mettere in evidenza da una parte delle correlazioni tra i giudizi estetici e l'appartenenza a certe categorie socio-culturali, dall'altra delle concordanze di giudizio nei diversi campi dell’estetica, che vanno dalla preferenza dei colori fino a dei fenomeni più complessi, come per esempio classificare riproduzioni di quadri (Frances, 1966). Malgrado questi risultati, resta aperto in estetica il problema della determinazione dello stimolo fisico. Nel tipo di esperimenti che abbiamo citato, poiché l'indicatore dello stimolo è dato essenzialmente dalle risposte dei soggetti, non si sa mai esattamente a quale variabile dello stimolo corrispondano le risposte. Per arrivare a determinare fisicamente uno stimolo, bisognerebbe conoscere la o le proprietà dello stimolo che hanno suggerito la risposta estetica. Di due opere che si rassomigliano fino nei minimi particolari, l'una può essere considerata un capolavoro mentre l’altra un quadro di pessima qualità. In queste condizioni, è naturale che gli sperimentatori abbiano speso una considerevole energia nel costruire stimoli le cui proprietà fisiche ben determinate siano suscettibili di provocare una risposta estetica (Genovese, 1965). Uno dei primi tentativi è stato quello del Fechner agli inizi della psicologia sperimentale. Egli ha utilizzato dei rettangoli come variabili indipendenti, mentre la variabile dipendente era costituita dal grado di « piacere » attribuito dai soggetti ai rettangoli. La sua estetica « dal basso » è fallita, sembra, a causa della mancanza di affinità tra un rettangolo e un'opera d'arte. Bisognerebbe rendere ancora giustizia — secondo me — al suo Vorschule der Aesthetik. Più recentemente si è posta la questione della variabile indipendente nell'estetica così da evocare la complessità di un'opera d'arte. La nozione di complessità, che figurava già nell'estetica speculativa più o meno implicitamente, è stata introdotta dal matematico Birkhoff, che ha pensato di poter formulare la legge della bellezza in termini matematici con il quoziente dell'ordine e della complessità. Questa proposta non e stata presa in considerazione dai teorici, sebbene Birkhoff abbia fatto alcuni esperimenti i cui risultati confermavano abbastanza la sua formula. Più recentemente, Eysenck (1957) ha ripreso e modificato la formula di Birkhoff capovolgendone i termini. Le ricerche sulla complessità in estetica hanno avuto un grande sviluppo con l'avvento della teoria dell’informazione, di cui una delle parole-chiavi è la complessità. Bense (1954) ha modificato la formula di Birkhoff seguendo lavori del Moles (1958) e di Meyer-Eppler, sostituendo la massa «M» della bellezza di Birkhoff con la « I » dell'informazione estetica. E’ all'incirca nello stesso periodo che Berlyne (1960) ha postulato una correlazione tra l'attenzione e la complessità, studiando il comportamento di osservazione. Egli ha dimostrato sperimentalmente che una scarsa complessità è altrettanto dannosa all'attenzione quanto una abbondante. Contemporaneamente, basandosi su alcune considerazioni fisiologiche, ha tentato di mostrare il rapporto tra la complessità e l'estetica. Oggi possiamo dire con una quasi certezza che la complessità — in una forma o in un'altra — giuoca un ruolo importante nell'estetica. Bisogna tuttavia rivolgere la nostra attenzione su alcune difficoltà. 1. La complessità è evidentemente una nozione soggettiva. Una cosa è complessa per alcuni, e semplice per altri. Essa varia anche per uno stesso individuo in seguito a certi processi mentali. Noi definiamo con facilità complessa una cosa che diventa poi semplice una volta che conosciamo di più la sua struttura. Non si può parlare di complessità se non in rapporto a un determinato recettore. 2. Anche in rapporto a un recettore (o a un gruppo di recettori) è difficile misurare la complessità fisica. Birkhoff ha proposto come misura il numero degli angoli dei poligoni. Più recentemente, Attneave (1957), ha dedicato una serie di studi alla costruzione di forme la cui complessità è definita oggettivamente (physical determinants of the judged complexity of shapes). Il suo procedimento, molto ingegnoso, soddisfaceva tutte le esigenze della scienza moderna. Egli ha disegnato dei punti, disposti a caso, di cui alcuni, presi anch'essi a caso, sono uniti da una retta o da una sezione di arco, scelti sempre a caso. Le determinanti fisiche di tali forme sono: la grandezza della matrice associata al grafico, il numero degli angoli, il numero delle curve, il grado degli angoli, il grado degli angoli adiacenti, il numero degli angoli in posizione simmetrica, ecc. E’ chiaro come una tale serie di misure sia difficile da usare. Inoltre, i soggetti non hanno percepito tutte le variabili di Attneave. Il 90% delle varianti sono espresse dal numero degli angoli indipendenti e dalla simmetria. Per quello che riguarda la mia esperienza soggettiva, le forme di Attneave mi sono sembrate più complesse quando non conoscevo ancora il metodo con cui erano state elaborate, benché nella creazione di queste forme il ruolo principale l'avesse giocato il caso. Tutto era imprevedibile data la voluta impossibilità di prevedere la forma rifacendosi a una legge di costruzione. Ma, anche ammettendo che si possa misurare la complessità fisica, anche ammettendo che i soggetti siano capaci di disporla in scala, la complessità non è che una delle variabili importanti che fanno scattare la reazione estetica. Inoltre esistono altre variabili forse più importanti. Una estetica scientifica non può limitarsi solamente all'esame della complessità, scelto tra i numerosi attributi formali di un'opera d'arte. Uno degli elementi formali più importanti per lo più citato, di un'opera d'arte è la sua composizione che si confonde fenomenologicamente, come peraltro abbiamo dimostrato (Molnar, 1965), con l'unità dell'opera. Secondo noi sarebbe logico che lo studio sperimentale dell'opera d'arte cominciasse dalla percezione dell'unità, essendo questa definita come un insieme di elementi percettivi aventi una certa coerenza interna. Questa coerenza potrebbe essere espressa matematicamente con l'autocorrelazione, come aveva già fatto Wiener. Ma in questa formula non si tiene conto della variabile recettore. In effetti, non è accertato che una forma avente un certo grado di auto-correlazione calcolata in base ad elementi arbitrari, sia identificata singolarmente da recettori umani. Tuttavia, è certo che la capacità di percepire l'unita è una proprietà dinamica, sia essa appresa o innata. Questa capacità si ritrova anche in animali di specie inferiore della gerarchia filogenetica. Per prima cosa allora bisogna cercare sperimentalmente quali sono gli attributi fisici di uno stimolo, che permettono la percezione come unità. Questo problema è stato studiato dalla psicologia della gestalt nel capitolo « unum et duo ». Se si proietta una macchia luminosa su uno schermo, questa macchia, questa forma si presenta come «una» macchia. Se si traccia una linea chiusa, la parte delineata dalla linea si presenta generalmente come « una ». Se si guarda la forma B della figura 1, la si percepisce come un rettangolo. Non è la stessa cosa per la forma A che, al contrario, viene percepita come due losanghe giustapposte. La spiegazione di questi fenomeni che ne da la teoria delle gestalt è ben nota. Ora, la maggior parte dei psicologi contemporanei rifiutano le basi teoriche del gestaltisti, senza negare tuttavia i fenomeni da loro scoperti. Ma non è nostra intenzione addentrarci qui adesso in discussioni teoriche. Si noti tuttavia che le qualità « unum » e « duo » della figura non sono molto marcate. La forma A si distingue abbastanza facilmente come « una », e la forma B come « due ». Se si sostituisce la linea chiusa di contorno A con una forma costruita da tanti puntini (vedere A') la qualità « duo » di questa forma si trova notevolmente indebolita, per non dire completamente scomparsa. Per quanto riguarda la forma B, impiegando lo stesso procedimento, si aumenta la differenza di densità dei due lati della forma, ottenendo facilmente la qualità « duo » (vedere B'). |
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2) Un'altra constatazione che si può fare dai risultati di questo esperimento è che gli stimoli visti da maggiore distanza perdono più rapidamente il loro carattere di unità: ci si accorge più prontamente che sono distinti in tre zone.
Nella riga 1 della Tavola II, che abbiamo chiamato « visione da lontano », abbiamo dato i totali delle tre serie di presentazioni. Si vede sulla Tavola che fin dalla prima scala si hanno maggiori risposte di «pluralità ». In tutte le scale si può ritrovare questa differenza largamente significativa rispetto alla visione da vicino.
Per spiegare questi fenomeni, si potrebbero avanzare diverse ipotesi. Ma il prendere in considerazione l'unita a questo livello, oltrepassa i limiti di un'estetica sperimentale. Ci limitiamo a constatare che si può costruire uno stimolo, una variabile indipendente con proprietà fisiche ben definite, misurabili, e associare a questa variabile un'altra, egualmente misurabile, ma dipendente. Questa variabile dipendente è, senza dubbio, una delle più importanti tra le proprietà formali di un'opera d'arte. Abbiamo compiuto, nella stessa serie, un altro esperimento che ci permette di precisare il nostro pensiero (riportandoci direttamente alla nostra ipotesi principale). Abbiamo proceduto a una serie di presentazioni degli stessi stimoli con una leggera modifica. Abbiamo sostituito alcuni circoletti bianchi (2 o 3) con altri colorati nelle regioni centrali delle due zone laterali. Abbiamo chiamato questa serie di presentazioni: presentazioni con rinforzo. Nella Tavola III si trovano i risultati di questo esperimento. Abbiamo constatato che il fatto di presentare alcuni punti d'interesse laterali rafforza la segregazione dello stimolo. In queste condizioni le risposte di pluralità cominciano prima. Si può supporre, e quasi affermare che la segregazione risulta rafforzata in conseguenza dell'esistenza di un punto di focalizzazione assoluta. Vediamo ora il significato estetico dei nostri risultati sperimentali. Se si osserva un quadro come «L'amor sacro e l'amor profano» del Tiziano (fig. 3), lo si percepisce, senza dubbio, come « uno », come unità, poiché si tratta proprio di un quadro, incorniciato, appeso al muro; insomma, è un oggetto. |
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Relazione dell'A agli Incontri di Verrucchio dedicati all'estetica sperimentale, in un volume edito da Cappelli nel gennaio 1969.
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