IL SIGNOR MONOD E LA DIALETTICA |
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Programme Communiste . n.58 . 1973
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Come il signor Monod distruggerebbe la dialettica
1.5 . Caso, Necessità, Probabilità Nella "Dialettica della Natura" il nostro Engels (quello stesso Engels che Monod considera a dir poco ingenuo) ha non solo chiaramente posto, ma definitivamente risolto il problema che Monod così pietosamente ingarbuglia:
Proprio come continua a fare il metafisico Monod, più di un secolo dopo Hegel!
Questo è l’uomo che, in nome della Scienza, ha condannato non solo Engels, ma tutta quanta la dialettica. 1.6 . Engels e il 2° principio della termodinamica Attaccando Engels sul 2° principio della termodinamica Monod ha voluto stabilire la tesi dell’incompatibilità di dialettica e scienza [7].Ma per sua disgrazia, la scienza contemporanea ha dato ragione proprio ad Engels. Vediamo come. Il primo principio della termodinamica non è altro alla fin fine che il principio della conservazione dell’energia. E siccome è un principio di conservazione, non consente di trovare un senso di evoluzione. Ma l’esperienza insegna che i processi fisici hanno luogo sempre in un senso e mai nel senso inverso. Per fare un esempio classico, consideriamo una barra di rame le cui estremità siano a contatto una con un blocco di ghiaccio, l’altra con una fiamma. Viene a stabilirsi allora nella barra un gradiente termico, cioè una temperatura che varia a seconda del settore considerato. Isolando bruscamente la barra dall’ambiente esterno, si constata che essa evolve verso uno stato di equilibrio con temperatura uniforme in ogni sua parte. Supposto che l’energia totale resti costante, non contraddice il primo principio l’apparizione spontanea di un gradiente termico in una barra (o altro sistema) isolata: ma alla luce dell’esperienza questo non avviene mai. «Un sistema isolato che ha subito una evoluzione non ritorna mai al suo stato iniziale»: questa la definizione del 2° principio della termodinamica, che proprio esperimenti di questo genere hanno generalizzato ed innalzato a verità assoluta. È in questi termini «assoluti e definitivi» che la termodinamica enunciava il 2° principio, che diveniva dunque un principio di irreversibilità dei processi naturali, dal momento che «l’entropia» (grandezza il cui senso di variazione esprime l’irreversibilità) di un sistema isolato può solo aumentare o al massimo rimanere costante, con una tendenza verso uno stato di massima entropia. – >
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Il lavoro di Erostrato
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Si trattava insomma di un tentativo di applicare il 2° principio non solo alle macchine a vapore, ma all’intero universo.
Tentativo che nel secolo scorso portò a questo risultato: l’universo è un sistema isolato (sic!); quindi deve tendere verso uno stato di equilibrio finale in cui tutta la materia e tutti i raggi saranno uniformemente distribuiti e in cui nulla potrà più accadere (in altre parole, in cui l’entropia sarà massima). La previsione di questo stato «di equilibrio finale» dell’universo, o, come si diceva, della sua «morte termica», presupponeva d’altronde uno stato «originario» di squilibrio totale, cioè, sotto un’altra forma, l’idea della... creazione del mondo. Contrariamente a quanto insinua Monod, questa concezione era tutt’altro che accettata da tutti gli scienziati, se pure borghesi, del secolo scorso. Non si va per il sottile, visto che si tratta di imputare ad Engels il crimine di «lesa scienza». Infatti, non aveva forse egli osato negare formalmente il 2° principio dicendo, nella "Dialettica della Natura":
Ma allora, notava ancora Engels,
Quegli «scienziati» per noi appartengono già al passato (o al massimo al presente): hanno trasformato il secondo principio in un semplice teorema di meccanica statistica, cioè hanno tolto ogni carattere assoluto a ciò che non era che una estrapolazione e generalizzazione dell’esperienza, per lasciargli solo un significato statistico. Vediamo come, molto schematicamente. Alla base di questa questione c’è il fatto che la materia non è un continuum, ma è costituita di elementi discreti, diciamo di molecole, definizione che qui può bastare. È normale che le «leggi» o principi che reggono il comportamento, per esempio di una massa di gas, devono potersi spiegare sulla base dei teoremi della dinamica dei sistemi materiali. Ma ci si scontra qui con una difficoltà: il numero delle molecole che entrano in gioco negli esperimenti correnti è talmente enorme che è fuori questione studiare il movimento di ciascuna di esse individualmente presa: bisogna ricorrere alla meccanica statistica. Prendiamo il caso limite in cui la quantità di gas tende allo zero, come può essere ad esempio quello in cui un serbatoio A contenente solo dieci molecole di gas viene messo in comunicazione col serbatoio B. Supponendo che non ci sia interazione tra le molecole (se ci fosse il risultato qualitativamente non cambierebbe, ma il tutto sarebbe solo un po’ più complicato), ogni molecola avrebbe le stesse possibilità di trovarsi indifferentemente sia in A che in B, e questo indipendentemente dal posto in cui si trovano le altre. L’eventualità più probabile è quella che corrisponde all’equilibrio: 5 molecole in A e 5 in B. Tuttavia, delle eventualità che si scostano dallo stato d’equilibrio devono per forza realizzarsi, anche se la probabilità che si realizzino è tanto più bassa quanto più lo scarto sarà grande. È un po’ come il gioco a testa o croce fatto con 10 monete. La probabilità che si ottenga 0 (zero) «testa» e 10 «croce» (o viceversa) e di 1/1024, mentre è di 252/1024 per 5 «testa» e 5 «croce». Ciò non toglie che se uno lanciasse le monete 1.024.000 volte, quella bassissima probabilità dovrebbe realizzarsi all’incirca 1.000 volte: vi è dunque una differenza essenziale tra una probabilità piccola quanto si vuole e una probabilità nulla! Grosso modo, il secondo principio quale lo si comprende ora discende da questo aspetto «probabilistico», che non ha niente a che vedere col rigetto del determinismo a profitto di non si sa quale «libero arbitrio», ma è semplicemente un’altra forma del determinismo, come Engels, a differenza di tanti scienziati, aveva perfettamente visto. Praticamente, in tutti gli esperimenti correnti, mettendo in gioco un numero di molecole dell’ordine di 1023 (1 seguito da 23 zeri), e un numero totale di concatenazioni dell’ordine di 10 alla potenza 1023 (1 seguito da 1023 zeri), la probabilità che tutto il gas si concentri spontaneamente in uno dei due serbatoi è così ridicolmente bassa che, in pratica, su spazi e in tempi osservabili per noi, possiamo accettare il secondo principio nella sua forma classica. Ma se si esce dai limiti cui sono soggetti la capacità visiva e la durata della vita umana per osservare le cose alla scala cosmica, la prospettiva cambia completamente: nello spazio e nel tempo infiniti, ogni fenomeno possibile deve realizzarsi. Allora la rappresentazione globale che dobbiamo farci del comportamento dell’universo è completamente differente da quella che discendeva dal secondo principio inteso classicamente: anche supponendo che l’universo sia finito, non si può più dire che esso deve evolvere «a senso unico» verso uno stato di equilibrio di massima entropia: tutto quello che si può dire è che lo stato di equilibrio è il più probabile, ma che necessariamente devono presentarsi (seppure sempre più raramente mano a mano che ci si scosta dall’equilibrio) tutti gli stati possibili. In realtà l’universo è infinito, sicché parlare di «sua entropia» non ha più senso che parlare del suo volume o della sua massa! La sola cosa che si può definire è al massimo una densità locale di entropia, che deve rispondere a due requisiti: 1) variare nello stesso istante da un luogo all’altro e nello stesso luogo nel corso del tempo; 2) essere costante in media, a condizione di prendere questa media su grandi spazi per un tempo breve, e viceversa, laddove «grande» va inteso naturalmente alla scala cosmica. Engels rifiutava di lasciarsi legare le mani dal secondo principio, metteva in guardia dal trarne conclusioni «filosofiche» e prevedeva che si sarebbe dovuto cambiarlo. Ma in nome di cosa? Ma in nome della metafisica naturalmente, assicura Monod, affibbiando al povero Engels l’appellativo di «animista», e mettendo il tutto a carico della... Dialettica! Balle! Quello che Engels opponeva a una delle leggi della fisica era la concezione globale della fisica. Egli metteva in discussione un’affermazione particolare della scienza in nome dell’affermazione generale della scienza. Solo la dialettica è, quindi, scientifica. – > |
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[1] . Da "Dialettica della natura", Casualità e necessità.
[2] . v. "Il caso e la necessità", cap. 6, Invarianza e Perturbazioni. [3] . v. "Il caso e la necessità", cap. 2, Vitalismi e Animismi. [4] . Determinismo metafisico sì, ma valido entro dati limiti, poiché fino alla metafisica materialistica ha avuto storicamente il suo contenuto positivo (Marx: "Contributo alla storia del materialismo francese") e ha fatto scoperte in «scienze che sembravano di sua competenza» dal che si può arguire che nel suo campo di competenza la stessa metafisica conserva un certo valore (Engels: Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca), mentre non serve più a nulla in altri campi. La dialettica serve qui a prevenire l’opposizione assoluta tra positivo e negativo, perfino per la metafisica materialista... e la meccanica classica. [5] . Per esempio, la nozione che una realtà dev’essere una cosa avente dimensione, forma, individualità e suscettibile inoltre di essere misurata. Al contrario, lo sviluppo della conoscenza mostra che esistono realtà che hanno solo «un ordine di grandezza», e non «una geometria», che si presentano come pluralità e non come individui, che sono calcolabili e non misurabili, in breve che sono cose senza essere «cose», «esseri» concepibili solo nel «divenire» (ciò che confuta in pieno la concezione esistenzialista di Sartre secondo cui «il movimento non è che una malattia dell’essere» !!!), scoperte perfettamente intelligibili e niente affatto fuorvianti per un pensiero dialettico, così come la dissoluzione del vecchio dualismo materia-energia che Lenin chiamava, in polemica contro le interpretazioni idealistiche: «Scomparsa della materia». > |
Ciò significa che scompare il limite al quale finora si arrestava la nostra conoscenza della materia, scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali (impenetrabilità, inerzia, massa, ecc.) e che ora si dimostrano relative, esclusivamente inerenti a certi stati della materia, poiché l’unica proprietà della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà oggettiva, di esistere fuori della nostra coscienza (Cf. "Materialismo ed Empiriocriticismo, La materia è scomparsa").
[6] . Per esempio: il quadrato della funzione d’onda che indica la proporzionalità di presenza; la funzione d’onda più semplice per un campo centrale come quello determinato da un nucleo atomico è «una funzione che si traduce mediante una decrescenza esponenziale della probabilità di presenza man mano che la distanza cresce», ecc... |
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