SENZA PROGETTO

Raymond Roussel . 1914
arteideologia raccolta supplementi
made n.17 Giugno 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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COME HO SCRITTO ALCUNI MIEI LIBRI

Mi sono sempre proposto di spiegare in che modo avevo scritto alcuni dei miei libri (Impressions d'Afrique, Locus Solus, L'Etoile an front e La Poussière de Soleils).
Si tratta di un procedimento molto particolare. E, questo procedimento, mi sembra che sia mio dovere rivelarlo, perché ho l'impressione che qualche scrittore in futuro potrebbe forse sfruttarlo con successo.
Giovanissimo scrivevo già racconti di poche pagine impiegando questo procedimento.
Sceglievo due parole quasi simili (sul tipo dei metagrammi). Per esempio billard [biliardo][1] e pillard [predone]. Poi vi aggiungevo parole simili ma prese in due sensi differenti, e ottenevo così due frasi quasi identiche.
Per quanto riguarda billard e pillare  Ie due frasi che ottenni furono queste:

1. Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard...
2. Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard... 

Nella prima, lettres [lettere] era preso nel senso di «segni tipografici», blanc [bianco] nel senso di «gesso » e bandes [bande] nel senso di «sponde»: «le lettere tracciate col gesso bianco sulle sponde del vecchio biliardo».
Nella seconda, lettres era preso nel senso di «missive», blanc, nel senso di «uomo bianco» e bandes nel senso di «orde guerriere»: «le missive inviate dall'uomo bianco a proposito delle orde del vecchio predone».
Trovate Ie due frasi, si trattava di scrivere un racconto che potesse cominciare con la prima e finire con la seconda.
Dalla soluzione di questo problema ricavavo tutti i materiali.
Nel racconto in questione c'era un blanc (un esploratore) che, sotto il titolo Parmi les noirs [Fra i negri], aveva pubblicato in forma di lettres (missive) un libro in cui si parlava delle bandes (orde) di un predone (re negro).
Al principio si vedeva qualcuno scrivere in blanc (gesso) alcune lettres (segni tipografici) sulle bandes (sponde) di un biliardo. Queste lettere, in forma crittografica, componevano la frase finale: «Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard», e tutto il racconto era imperniato su una storia di rebus basata sui resoconti epistolari dell'esploratore.
Dimostrerò fra poco che in questo racconto c'era la genesi completa del mio libro Impressions d'Afrique scritto una decina d'anni dopo.

Si possono trovare tre esempi abbastanza chiari di questo procedimento creativo, basato su due frasi quasi simili ma di significato differente:
1. In Chiquenande, racconto pubblicato presso Alphonse Lemerre intorno al 1900.
2. In Nanon, racconto pubblicato sul «Gaulois du Dimanche» intorno al 1907.
3. In Une page du Folklore breton, racconto pubblicato sul «Gaulois du Dimanche» intorno al 1908.

Per quanto riguarda la genesi di Impressions d'Afrique si tratta dunque di un accostamento tra la parola billard e la parola pillard. II predone, è Talou; Ie bande, sono Ie sue orde guerriere; il bianco, è Carmichael (la parola lettres non è stata conservata).
Ampliando in seguito il procedimento, cercai nuove parole che si riferissero alla parola billard, sempre per considerarle in un senso diverso da quello che si presentava a prima vista, e ciò mi forniva ogni volta una nuova creazione.
Così queue [stecca] di biliardo mi fornì il vestito con lo strascico di Talou. Una stecca da biliardo reca talvolta le cifre (iniziali) del proprietario; di qui la cifra (numero) impressa sul suddetto strascico.
Cercai una parola da aggiungere alla parola bandes e pensai a delle vecchie fasce in cui qualcuno avesse fatto delle reprises [riparazioni] (nel senso di rammendo). E la parola reprises nel senso musicale [ritornelli], mi fornì la Jéroukka, il poema che Ie bandes (orde guerriere) di Talou cantano, e la cui musica consiste nelle reprises continue di un breve motivo.
Cercando una parola da aggiungere alla parola blanc pensai alla colle (colla) che attacca la carta alla base del gesso. E la parola colle presa nel senso (che ha in gergo di collegio) di consegna o di castigo, mi forni le tre ore di consegna inflitte al blanc (Carmichael) da Talou.
Abbandonando quindi il campo della parola billard, continual seguendo lo stesso metodo. Sceglievo una parola poi la legavo ad un'altra mediante la preposizione à : e queste due parole, prese in un senso diverso dal senso originario, mi fornivano una nuova creazione. (Del resto si tratta della stessa preposizione à che mi era servita per ciò di cui ho parlato poco fa: stecca con cifra, fasce con rammendi, gesso con colla). Debbo dire che questo lavoro preliminare era difficile e mi prendeva già parecchio tempo.
Citerò qualche esempio:
Prendevo la parola palmier [palma] e decidevo di considerarla nei due sensi: il senso di gateau [dolce in forma di ventaglio] e il senso di arbre [albero]. Considerandolo nel senso di gateau cercavo di unirlo mediante la preposizione à con un'altra parola suscettibile anch'essa di essere presa in due sensi differenti; ottenevo così (e si trattava, lo ripeto, di un faticoso e lungo lavoro) un palmier [ventaglio] à restauration [da ristorante] (ristorante in cui si servono dei dolci); il che mi dava d'altra parte un palmier (albero) à restauration [da restaurazione] (nel senso di restaurazione di una dinastia su un trono). Da qui la palma della Piazza dei Trofei consacrata alla restaurazione della dinastia dei Talou.

Ecco altri esempi:

1) Roue (nel senso di ruota di vettura) à caoutchouc [di gomma] (materia elastica);
2) roue (nel senso di persona orgogliosa che fa la ruota) à caoutchouc (vicino a un albero di caucciù). Di qui il caucciù della Piazza dei Trofei dove Talou viene a pavoneggiarsi posando il piede sul cadavere del nemico.

1) Maison [edificio] à espagnolettes [con spagnolette] (maniglie di finestra);
2) Maison (nel senso di casa regnante) à espagnolettes (di piccolo spagnole). Di qui le due giovani gemelle spagnole dalle quali discende la razza dei Talou-Yaour.

1) Baleine (mammifero marino) à ilot (da isoletta);
2) baleine (stecca di balena) à ilote [per ilota] (schiavo spartano)[2].

1) duel [duello] (combattimento a due) à accolade [con abbraccio] (due avversari che si riconciliano dopo il duello e si danno l'abbraccio sul terreno);
2) duel [duale] (forma di verbo greco) à accolade [con una parentesi graffa] (segno tipografico);

1) mou [molle] (individuo fiacco) à raille [da burla] (qui pensai ad un collegiale pigro che i compagni deridono per la sua incapacità);
2) mou [polmone di vitello] à rails (per rotaie di ferrovia). Questi tre ultimi accoppiamenti di parole mi hanno dato la statua dell'ilota, fatta di stecche di balena, che scorre su rotaie di polmone di vitello e che reca sul piedistallo una iscrizione relativa al duale di un verbo greco.

1) Revers (risvolto d'abito) à marguerite [con margherita] (fiore che si infila in un'asola, ad un risvolto di abito);
2) Revers [disfatta militare] à Marguerite [di Margherita] (nome di donna); da cui la battaglia del Tez perduta da Yaour travestito da Margherita del Faust.

1) Métier [mestiere] à aubes [da aurore]. Ho pensato ad un mestiere che spinge ad alzarsi di prima mattina;
2) métier [telaio] à aubes (con pale di ruota idraulica); di qui il telaio impiantato sul Tez.

1) Cercle [cerchio] à rayons [con raggi] (linee geometriche);
2) cercle [circolo] (club) à rayons (con raggi di gloria); da cui il Club degli Incomparabili.

1) Veste [vestito] à brandebourgs [con passamanerie];
2) veste [insuccesso] à Brandebourg [da Brandeburgo] (Elettori di Brandeburgo); da cui la conferenza di Juillard (qui ho abbandonato il senso di insuccesso).

1) Parquet [pavimento] à chevilles [per caviglie];
2) parquet (riunione di agenti di cambio) à chevilles (con prolungamenti dei versi); di qui la piccola Borsa presso la quale gli ordini devono essere scritti in versi.

1) Etalon [metro campione] à platine [di platino] si sa che il metro campione è di platino;
2) etalon [stallone] (cavallo) à platine [con parlantina] (lingua, in gergo); da cui il cavallo presentato sulla scena degli Incomparabili.

1) Dominos [domini] (persone che indossano un domino) à révérences [con riverenze] (saluti);
2) dominos (pezzi di un giuoco di domino) à révérences [da reverendi] (preti);
1) cure [cura di acque] à réussite [da guarigione];
2) cure [curia] (abitazione) à réussite [da solitario] (giuoco di carte); da qui il numero eseguito dal clown Whirligig; per quanto riguarda la Torre che costruisce con i soldi, non ricordo la parola che è servita da punto di partenza; la seconda parola doveva essere tourbillon [turbine] (una torre fatta di moneta)[3].

1) Tronc [cassetta di chiesa] à ouverture (con fessura in cui si mette il denaro);
2) tronc [busto di uomo] à ouverture [con sinfonia introduttiva] (di melodramma); da cui l'uomo-orchestra Tancrède Boucharessas.

1) Postilions [cavalieri] à raccourci [da scorciatoia];
2) postilions [gocce di saliva] a raccourci [da decapitato]; da cui il nano Philippo.

1) Paravent [paravento] (mobile) à jour [a giorno] (buco esistente in un paravento);
2) paravent (donna che funge da paravento) à jour (con giorno di ricevimento); di qui Djizmé che serve da paravento e ha dei giorni di ricevimento.

1) Natte (treccia che una donna fa con i propri capelli) à cul [fino al sedere] (ho pensato ad una treccia molto lunga);
2) natte (tessuto di giunco) à culs [con ornamenti] («culs-de-lampe») da cui la stuoia piena di piccoli disegni che Naïr regala a Djizme.

1) Favori [favorito] (ciuffo di barba) à collet (sul bavero);
2) favori [favorito] (amante) à collet (in trappola); da cui Naïr, amante di Djizme, il cui piede rimane impigliato in un laccio.

1) Louche [mestolo] à envie [da voglia] (voglia di un goloso di fronte alla zuppa);
2) Louche (persona che sbircia) à envie (con voglia sulla pelle); da cui Sirdah che sbircia ed ha una voglia sulla fronte.

1) Melon [melone] à pincee [con pizzico] (di sale);
2) melon (bombetta) à pincee (con «pincee»: parola scritta sul cappello); di qui il cappello di Naïr.

1) Suède [Svezia] à capitate [con capitale] (città);
2) suède (guanto di pelle) à capitale (con lettera maiuscola); da cui il guanto di Djizme su cui è disegnata una lettera.

1) Jardinière [giardiniera] (mobile da giardino) à œillets (per garofani);
2) jardinière (donna che fa del giardinaggio) à œillets (con asole); da cui Rul che lavora come schiava nel Béhuliphruen e subisce una tortura in cui figurano delle asole di busto.

1) Mollet (polpaccio) à gras [con grasso] (del muscolo);
2) mollet (uovo bazzotto) à gras (per fucile Gras); da cui l'esercizio di tiro di Balbet.

1) Toupie [trottola] à coup de fouet [con frustata] (colpo che il bambino da alla trottola chiamata palèo);
2) toupie (donna anziana) à coup de fouet [con colpo di frusta] (dolore improvviso); da cui Olga Tcherwonenkoff fulminata sulla scena da una frustata.

1) Dragon [dragone] (animale favoloso) à élan [con slancio] (un dragone che prende lo slancio);
2) dragon [arcigna] (donna d'aspetto poco attraente - del tipo di «toupie») à élan (con alee); da cui l'alce Sladki di Olga Tcherwonenkoff.

1) Pistolet [pistola] à canon [a canna];
2) Pistolet (uomo bizzarro) à canon [da canone] (pezzo di musica); da cui il cantante Ludovic.

1) Sabot [zoccolo] à degrés [a gradini] (di una scala);
2) sabot [ribeca] (strumento musicale) à degrés [a gradi] (di un termometro); da cui lo strumento musicale di Bex.

1) Aiguillettes [fette] à canard [di anatra];
2) aiguillettes (cordicelle, decorazioni militari) à canards (da stonature); da cui le decorazioni musicali di Louise Montalescot.

1) Théorie [teoria] (libro) à renvois [con note] (indicazioni tipografiche);
2 théorie [teoria] (gruppo di persone) à renvois (eruttazioni); da cui la danza - La Luenn' chétuz - eseguita dalle mogli di Talou.

1) Phalange [falange] (di dito) à [con ditale] (per cucire);
2) phalange [falange] (truppa) à (con dado per giocare); da cui il gruppo dei figli di Talou e il loro dado per giocare.                              

1) Marquise [marchesa] à illusions [con illusion!] (una marchesa che abbia conservato delle illusioni);
2) marquise (tettoia) à illusions (da miraggi); da cui la tettoia sotto la quale Seil-Kor vede sfilare ogni sorta di immagini.

1) Loup [lupo] à griffes [con unghie];
2) Loup (maschera) à griffes (con firme); da cui la maschera di Séil-Kor.

1) Fraise [fragola] à nature [di natura] (la bella natura);
2) fraise (gorgiera) à nature (col giornale «La Nature»); da cui la gorgiera di Séil-Kor.

1) Feuille [foglia] à tremble [di tremula] (albero);
2) feuille [foglio] (di carta) à tremble (con «trema»: dal verbo tremare); da cui il copricapo di Séil-Kor ricavato da un foglio di carta.

1) Marine [marina] (forze navali) à torpille [con siluro] (strumento militare);
2) marine [marinara] (vestito blumarino) à torpille [con torpedine] (pesce); da cui la disgrazia capitata a Nina vestita in blu marino.

1) Boléro [bolero] (giubbetto) à remise [con ribasso] (ribasso fatto sul prezzo di un giubbetto); 2) boléro (danza) à remise (in rimessa); da cui il bolero danzato da Séil-Kor e Nina.

1) Tulle (tessuto leggero) à pois [a pallini] (di una veletta);
2) Tulle (la città di Tulle) à pois [con pallino] (punto vistoso); da cui la carta della Corrèze sulla quale Tulle è segnata con un grosso punto.

1) Martingale [martingala] (striscia di stoffa) à tripoli [con tripolo] (sostanza che serve a pulire i bottoni di una martingala);
2) martingale [martingala] (sistema di giuoco) à Tripoli (a Tripoli); da cui il sistema di aumentare progressivamente la posta usato da Séil-Kor al Casino di Tripoli.

1) Mousse [mozzo] à avant [a prua];
2) mousse (muschio) à Avent [in Avvento] (in senso religioso); da cui il letto di muschio sul quale Nina dorme la prima notte dell'Avvento.

1) Quinte [quintal (termine musicale) à resolution [di risoluzione] (termine musicale);
2) quinte (colpo di tosse violenta) à resolution [in risoluzione] (di analisi di catechismo), di qui il colpo violento di tosse che scuote Nina mentre prende una risoluzione.

1) Pratique [cliente] à monnaie [con denaro];
2) pratique [pivetta] (piccolo strumento di latta) à Monnaie (del Théâtre de la Monnaie, di Bruxelles); da cui la pivetta di Cuijper.

1) Guitare [chitarra] (titolo di una poesia di Victor Hugo) à vers [in versi];
2) guitare [chitarra] (strumento, che io ho sostituito con la cetra) à ver [per verme] (di terra); da cui il verme di Skarioffszky.

1) Meule [catasta] (termine agricolo) à bottes [di fastelli] (di fieno);
2) Meule [mola] (d'arrotino) à bottes [a colpi] (scherma); da cui l'apparecchio di La Billaudière-Maisonnial.

1) Portée [rigo] (termine musicale) à barres [con aste] (di misura);
2) portée [figliata] (di gatti) à barres [a «bandiera»] (giuoco); da cui i gatti che giuocano a bandiera.

1) Plante [pianta] (vegetale) à faux [da falce] (di falciatore);
2) plante [pianta] (di piede) à faux (di falsario); da cui il supplizio subito da Mossem.

1) Arlequin [Arlecchino] (personaggio carnevalesco) à salut (saluto);
2) arlequin (sorbetto colorato) à Salut [da Benedizione] (cerimonia religiosa); da cui l'arlecchino servito allo zuavo al momento della Benedizione.

1) Châtelaine [castellana] à morgue [con alterigia];
2) châtelaine [catenella] (da gioielli) à morgue (in camera mortuaria); da cui il cadavere con catenella nell'episodio dello zuavo.

1) Crachat [sputo] à delta [a delta] (formato dallo sputo come da un fiume);
2) crachat (decorazione) à delta (con delta, lettera greca); da cui l'ordine del Delta.
 

Ma non posso citare tutto; mi fermerò qui per quanto concerne la creazione basata sull'accoppiamento di due parole prese in due sensi differenti.
II procedimento ebbe un'evoluzione e fui spinto a prendere una frase qualsiasi, dalla quale traevo immagini scomponendola, un po' come se si trattasse di estrarne disegni da rebus.
Faccio un esempio, quello del racconto Le Poète et la Moresque, in cui mi sono servito della canzone: «J'ai du bon tabac». II primo verso: «J'ai du bon tabac dans ma tabatière» [ho del buon tabacco nella mia tabacchiera] mi ha dato: «J’ade tube onde aubade en mat (objet mat) a basse tierce» [Giada romba onda mattinata, oggetto opaco, ha bassa terza]. Si riconosceranno in quest'ultima frase tutti gli elementi dell'inizio del racconto.
II verso seguente «Tu n'en auras pas» [Tu non ne avrai] mi ha dato: «Dune en or a pas (a des pas)» [duna in oro ha passi]. Di qui il poeta che bacia alcune tracce di passi su una duna. «J'en ai du frais et du tout râpé» [Ne ho di fresco e di polverizzato] mi ha dato: « Jaune aide orfraie édite oracle paie» [Giallo aiuto ossifraga pubblica oracolo paga]. Da qui l'episodio a casa del Cinese – «Mais ce n'est pas pour ton fichu nez » [Ma non è per il tuo brutto naso] mi ha dato: « Mets sonne et bafoue, don riche humé » [piatto suona e beffa, dono ricco odorato]. Da cui il piatto con suoneria che Schahnidjiar annusa.
Continuai il racconto con la canzone Au clair de la lune.

1) « Au clair de la lune mon ami Pierrots » [al chiaro di luna Pierrot amico mio];
2) « Eau glaire de la I'anemone a midi negro » [acqua muco da Iì l'anemone a mezzogiorno negro]. Da cui l'episodio nell'eden rischiarato dal sole di mezzogiorno.

Quanto al modo in cui usai gli altri versi della canzone, la memoria non mi aiuta. Non mi ricordo chiaramente che questo: « Ma chandelle est...» [la mia candela è...] mi dette: « Marchande zelce » [venditrice zelante].

Ecco un altro esempio dell'applicazione del procedimento evoluto.

1) « Napoleon premier empereur » (Napoleone I Imperatore);
2) « Nappe ollé ombre miettes hampe air heure » (tovaglia olé! ombra briciole asta aria ora). Da cui le danzatrici spagnole salite sulla tavola e l'ombra delle briciole visibile sulla tovaglia - poi l'orologio a vento del paese di Cuccagna: asta (della bandiera) aria (vento).
– Quanto all'aneddoto sul principe di Conn, i miei ricordi sono meno precisi; una parola è servita necessariamente da punto di partenza, e questa parola mi manca; solo questo mi resta:
1) «...à jet continue » [a getto continuo];
2) «...à geai Conti nu » [a gazza Conti nudo].

Usavo qualsiasi cosa.
Per esempio si vedeva dappertutto, in quel periodo, una pubblicità per non so quale apparecchio chiamato « Phonotypia »; ne derivai «fausse note tibia» [nota stonata tibia], da cui il bretone Leigoualch.
Mi servii anche del nome e dell'indirizzo del mio calzolaio: «Hellstern, 5 place Vendôme» di cui feci «Hélice tourne zinc plat se rend dôme» [elica gira zinco piatto si rende cupola].
II numero cinque era stato preso a caso; non credo che fosse esatto.
 

Avevo visto in un album di Caran d'Ache una divertente serie di disegni intitolata: « Variazioni sul tema Patientez un peu » [Abbiate un po' di pazienza]. Uno di essi che aveva come titolo Antichambre ministerielle [anticamera ministeriale] mostrava un povero uomo in attesa (da moltissimo tempo, lo si indovinava dall'espressione) seduto non lontano da un usciere. Ne ricavai questo: 1) « Patience [pazienza, in rapporto all'attesa] à antichambre ministerielle » [da anticamera ministeriale], 2) « Patience (arnese per lucidare i bottoni) à entiche ambre mine hystérique » [da attira ambra mina isterica] (mina che si precipita verso... ambra, che si incapriccia di...); da cui l'apparecchio descritto in Nanon.
I quadri viventi sono costruiti su alcuni versi del Napoleon II di Victor Hugo. Ma a questo punto nella mia memoria ci sono molte lacune che mi obbligheranno a mettere dei punti di sospensione. 

1. Oh revers oh lecon quand l'enfant de cet bomme
2. Or effet herse oh Ie son... séton
1. Eut reçu pour hochet la couronne de Rome
2. Ursule brochet lac Huronne drome (hippodrome)
1. Quand on I'eut revêtu d'un nom qui retentit
2. Carton hure œuf fétu...
1. Quand on eut pour sa soif posé devant la France
2. ... pourchasse oie rose aide vent.
1. Un vase tout rempli du vin de I'espérance
2. — sept houx rampe lit... Vesper. 

[1. Oh sventura oh lezione quando il figlio di questo uomo
2. Oro effetto erpice oh il suono... setone
1. Ricevette come ninnolo la corona di Roma
2. Ursula luccio lago Huron imbarcazioni... (ippodromo)
1. Quando lo si rivestì di un nome che risuonò
2. Cartone muso uovo fuscello
1. Quando per la sua sete si posò davanti alla Francia
2. ... insegue oca rosa aiuto vento
1. Un vaso tutto pieno del vino della speranza
2. – sette agrifogli rampa letto... Vespero]. 

Di qui gli Ensorcelés du lac Ontario, e Haendel écrivant sur sa rampe.

Ecco che cosa ritrovo ancora frugando nella memoria:

1) « Rideau cramoisi » [Tenda cremisi] (titolo di una novella di Barbey d'Aurevilly); 2) « Rif d'ocre a mois i» [ride di ocra con muffa],
1) Les Inconséquences de Monsieur Drommel [Le contraddizioni del signor Drommel] (titolo di un libro di Cherbuliez); 2) « Raisiff qu'un Celte hante démon scie Eude Rome elle » [Uva che un Celto assilla demone sega Eude Roma lei].
1) «Charcufier» [salumiere]; 2) « Char qu'ut y est » [carro dove c'è do], 1) « Valet de pied » [servitore]; 2 ) « Va laide pie » [va' brutta gazza]. Queste due parole erano state ricavate, con la preposizione «à», da due parole iniziali che ho dimenticato.
Nell'episodio di Fogar mi ricordo di aver impiegato « Mane Thecel Pharès » di cui ho fatto « manette aisselle phare » [maniglia, ascella, faro]; di qui il faro con maniglia che Fogar accende. Mi ricordo anche che la parola Lupus (lupo) era venuta dalla parola Lupus [ulcera] (malattia). 

Questo procedimento, in fondo, è apparentato alla rima. Nei due casi c'è creazione imprevista dovuta a combinazioni foniche.
E essenzialmente un procedimento poetico.
Ma bisogna saperlo adoperare. E come con Ie rime si possono fare buoni o cattivi versi, con questo procedimento si possono fare buone o cattive opere.
Locus Solus è stato scritto così. Ma in questo caso mi sono servito esclusivamente del procedimento evoluto. Cioè traevo una serie di immagini dalla scomposizione di un testo qualsiasi, come negli esempi di Impressions d'Afrique che ho citati per ultimi. Una volta, il procedimento vi riappare nella sua forma primitiva con la parola demoiselle considerata in due sensi differenti; ma la seconda parola ha subíto una scomposizione che si riallaccia al procedimento evoluto:
1) Demoiselle [fanciulla] à prétendant [pretendente]; demoiselle (mazzeranga) à reître en dents (per raitro [4] in denti).
Mi trovavo dunque di fronte a questo problema: l'esecuzione di un mosaico da parte di una mazzeranga. Di qui l'apparecchio così complicato descritto alle pagine 25 e seguenti. Era del resto la caratteristica del procedimento far sorgere una specie di equazione di fatti (secondo un'espressione usata da Robert de Montesquieu in uno studio sui miei libri) che si trattava di risolvere logicamente. (Si sono fatti molti giochi di parole su Locus Solus: Lou focus Solus, Cocus Solus, Blocus Solus, Lacus Salus (a proposito del Lac Salé di Pierre Benoit), Locus Coolus, Coolus Solus (a proposito di un lavoro teatrale di Remain Coolus) Gugus Solus, Locus Saoulus [5] , ecc. Ce n'è uno che manca e che, mi sembra, meritava di essere fatto, è Logicus Solus). 

So che aggiunsi a prétendant delle parole da cui ricavai tutto ciò che si riferisce al raitro; ricordo solo la prima: prétendant refusé [pretendente rifiutato], di cui feci rêve usé (sogno sfumato); di qui il sogno del raitro.
Ricordo anche che mi sono servito di parecchi versi del mio poema La Source (del volume La Vue). Ma soltanto questo è rimasto chiaro nel mio ricordo:
Elle commence tôt sa tournée asticote
Ailé coma... Saturne Elastique hotte

Avec un parti pris de rudesse ses gens
Ave cote part type rit des rues d'essai sauge. En (type des rues rit d'essai sauge) 

Qui tous seraient
Qui toux sert.

Si troverà nell'episodio del gallo Mopsus (pp. 246 sgg.): ailé [alato] (il gallo che vola) coma [coma] (immobile come nel coma); Saturne (messo in comunicazione con Saturno); poi la hotte élastique [la gerla con le bretelle elastiche], I'ave; e (alia fine della p. 251) la risata provocata in Noël da Mopsus che offre un fiore di sauge [salvia] a Faustine.
II dado ornato dalle iscrizioni « L'ai-je eu, l’ai-je, I'aurai-je » viene dalla parola déluge [diluvio] (dé I'eus-je), [dado l'ebbi], Qui misi « l’ai-je eu » invece di « l'eus-je », temendo che dé l'eus-je lasciasse trasparire il procedimento.
Non ricordo altro a proposito di Locus Solus. 

Come ho già detto, i miei due libri L'Etoile au Front e La Poussière de Soleils sono costruiti secondo lo stesso procedimento. Ricordo specialmente che, nell'Etoile an Front,  Ie parole « singulier » [singolare] e « plurielf » [plurale] mi hanno dato « Saint-]ules » [San Giulio] e « pelure » [buccia] nell'episodio del Papa San Giulio. (Si potrebbero del resto trovare tra le mie carte alcuni fogli con la spiegazione abbastanza chiara del modo in cui io ho scritto L'Etoile au Front e La Poussiére de Soleils. Si potrebbe trovare anche un episodio scritto subito dopo Locus Solus e interrotto dalla mobilitazione del 1914 in cui si paria specialmente di Voltaire e di un posto pieno di lucciole; questo manoscritto meriterebbe forse di essere pubblicato).

E’ ovvio che gli altri miei libri: La Doublure, La Vue, e Nouvelles Impressions d'Afrique sono assolutamente estranei al procedimento.
E’ ugualmente costruito secondo il procedimento un inizio di libro la cui composizione esiste alla tipografia Lemerre – Rue des Bergers n. 6 (si tratta di un episodio che si svolge a Cuba) [6].
Estranee al procedimento sono le poesie L'inconsolable e Têtes de carton du Carnaval de Nice come pure la poesia Mon âme scritta a diciassette anni e pubblicata nel «Gaulois» del 12 luglio 1897.
Non bisogna cercare legami tra il libro La Doublure e il racconto Chiquenaude; non ce n'è nessuno. 

Vorrei segnalare una curiosa crisi che ebbi all'età di diciannove anni, mentre scrivevo La Doublure. Per alcuni mesi provai una sensazione di gloria universale di straordinaria intensità. II dottor Pierre Janet che mi ha curato per lunghi anni, ha descritto tale crisi nel primo volume della sua opera De L'Angoisse à I'Extase (pp. 132 sgg.); mi chiama con il nome di Martial, scelto a causa del Martial Canterel di Locus Solus. 

Vorrei anche, in queste note, rendere omaggio all'uomo di incalcolabile genio che fu Jules Verne.
La mia ammirazione per lui è senza limiti.
In certe pagine del Voyage au centre de la ferre, di Cinq semaines en ballon, di Vingt mille lieues sous les mers, di De la Terre a la Lune e di Autour de la Lune, del VIle mysferieuse, di Hector Servadac, ha toccato le più alte cime che il verbo umano possa raggiungere.
Ebbi la fortuna di essere ricevuto una volta da lui ad Amiens dove facevo il servizio militare e di poter stringere la mano che aveva scritto tante opere immortali.
0 maestro incomparabile, che tu sia benedetto per le ore sublimi che ho trascorso durante tutta la mia vita a leggerti e rileggerti senza sosta. 

Bisogna ancora che parli qui di un fatto abbastanza curioso. Ho viaggiato molto. In particolare nel 1920-21, ho fatto il giro del mondo attraverso le Indie, l'Australia, la Nuova Zelanda, gli arcipelaghi del Pacifico, la Cina, il Giappone, e l'America. (Durante questo viaggio feci una sosta abbastanza lunga a Tahiti, dove trovai ancora alcuni personaggi del magnifico libro di Pierre Loti). Conoscevo già i principali paesi d'Europa, l'Egitto e tutto il Nord Africa; più tardi visitai Costantinopoli, l'Asia Minore e la Persia. Ma, da tutti questi viaggi, non ho mai ricavato nulla per i miei libri. Mi è sembrato che la cosa meritasse di essere segnalata tanto dimostra chiaramente che per me l'immaginazione è tutto.

Alcune brevi note biografiche termineranno questo lavoro.

Fui educato con mia sorella Germaine, più tardi duchessa di Elchingen, poi principessa della Moskowa dal 21 ottobre 1928, giorno in cui morì senza lasciare figli il fratello maggiore di mio cognato, Napoleon Ney, principe della Moskowa, sposato a S.A.I. la principessa Eugenia Bonaparte, discendente diretta del re Giuseppe e di Luciano Bonaparte. Fatto curioso: quasi tutti i nomi dell'Impero si trovavano riuniti nella famiglia di mio cognato: il fratellastro era principe d'Essling e duca di Rivoli; la sorella maggiore aveva sposato S.A. il principe Murat, pretendente al trono di Napoli; le altre sorelle erano: la moglie del principe Eugene Murat, la duchessa di Camastra, la duchessa d'Albuféra e la duchessa di Fezensac. Inoltre, il mio nipote ed unico erede Michel Ney, duca d'Elchingen e futuro principe della Moskowa, sposò, il 26 febbraio 1931, Hélène La Caze, nipote, da parte di madre, di Ferdinand de Lesseps e pronipote di Napoleone III e dell'imperatrice Eugenia. Al suo matrimonio fui testimone con il principe Murat.
Nostro fratello maggiore Georges, morto nel 1901, era ormai un giovanotto quando noi eravamo ancora bambini.
Ho conservato della mia infanzia un ricordo delizioso. Posso dire di aver conosciuto allora anni di perfetta felicità.
Mia madre adorava la musica e, trovandomi dotato per questa arte, mi fece lasciare a tredici anni il liceo per il Conservatorio, dopo aver trionfato su una lieve resistenza di mio padre.
Frequentai il corso di piano di Louis Diemer e ottenni un secondo poi un primo «accessit». Verso i sedici anni provai a comporre melodie di cui io stesso facevo i versi. I versi venivano sempre facilmente, ma la musica rimaneva ribelle. Un giorno, a diciassette anni, scelsi di abbandonare la musica per fare solo versi; la mia vocazione era decisa.
A partire da quel momento fui invaso da una febbre di lavoro. Lavorai, per cosi dire, notte e giorno per lunghi mesi, durante i quali scrissi La Doublure, la cui composizione ha coinciso con la crisi descritta da Pierre Janet.
Quando La Doublure fu pubblicata, il 10 giugno 1897, il suo insuccesso mi causò uno choc di una violenza terribile. Ebbi l'impressione di essere precipitato fino a terra dall'alto di un prodigioso vertice di gloria. La scossa giunse a provocarmi una specie di malattia cutanea che si manifestò con un arrossamento di tutto il corpo e mia madre mi fece visitare dal nostro medico, credendo che avessi la rosolia. Da questo choc derivò soprattutto una terribile malattia nervosa di cui soffrii per parecchio tempo.
Mi rimisi all'opera, ma in modo più saggio che non all'epoca della mia grande crisi provocata dall'eccessivo lavoro. Per alcuni anni fu un lavoro di prospezione. Nessuno dei miei lavori mi soddisfece, tranne Chiquenaude che pubblicai verso il 1900.
A venticinque anni scrissi La Vue. Questo poema fu pubblicato nel «Gaulois du Dimanche» e fu notato da alcuni letterati. Vi si fece una allusione, anche nel Sire de Vergy, un'operetta che era in scena allora al Théâtre des Variétés: uno dei personaggi, non so più quale, guardava dentro una penna recata da Eve La Vallière, una veduta che rappresentava la battaglia di Tolbiac.
Dopo La Vue, scrissi Le Concert e La Source, poi mi dedicai di nuovo alla ricerca per parecchi anni, durante i quali pubblicai solamente (sul «Gaulois du Dimanche») l’Inconsolable e Têtes de Carton du Carnaval de Nice.
Questa ricerca mi dava dei tormenti e mi è capitato di rotolarmi per terra in crisi di rabbia, sentendo di non poter riuscire a procurarmi quelle sensazioni d'arte cui aspiravo.
Finalmente, verso i trent'anni, ebbi l'impressione di aver trovato la mia strada grazie alle combinazioni di parole di cui ho parlato. Scrissi Nanon, Une Page du folklore breton, poi Impressions d'Afrique.
Impressions d'Afrique apparve a puntate sul «Gaulois du Dimanche» e passò del tutto inosservato.
E anche quando apparve in libreria, nessuno vi fece attenzione. Uno solo, Edmond Rostand, a cui avevo inviato una copia, la capì immediatamente, se ne appassionò e ne parlò a tutti, giungendo a leggerne dei frammenti ad alta voce ai familiari. Mi diceva spesso: «Si potrebbe trarre uno straordinario lavoro teatrale dal vostro libro». Queste parole mi impressionarono. Inoltre soffrivo di essere incompreso e pensai che forse attraverso il teatro avrei raggiunto più facilmente il pubblico che non col libro.
Trassi dunque da Impressions d'Afrique una riduzione teatrale che feci rappresentare prima al Théâtre Fémina, poi al Théâtre Antoine.
Fu più di un insuccesso, fu un coro di proteste. Mi si trattava da folle, si «faceva il verso» agli attori, si gettavano monetine sul palcoscenico, lettere di protesta erano inviate al direttore.
Una tournée fatta in Belgio, in Olanda e nel Nord della Francia non ebbe maggiore fortuna.
Durante questo periodo scrivevo Locus Solus.
Come Impressions d'Afrique l'opera apparve a puntate nel «Gaulois du Dimanche» e, come quella, passò del tutto inosservata.
In libreria, risultato zero.
Di nuovo volli ricorrere al teatro e chiesi a Pierre Frondaie di fare una riduzione teatrale di Locus Solus che feci rappresentare con grande fasto al Théâtre Antoine.
Alla prima ci fu un tumulto indescrivibile. Ci fu una battaglia, poiché questa volta, se quasi tutta la sala era contro di me, avevo almeno un gruppo di ferventi sostenitori.
II caso fece molto scalpore e il mio nome fu conosciuto da un giorno all'altro.
Ma, lungi dall'essere un successo, fu uno scandalo. Poiché, a parte il piccolo gruppo di sostenitori di cui ho parlato, tutti si erano coalizzati contro di me.
Secondo l'espressione di un giornalista, si trattò di «una levata di penne». Di nuovo mi trattarono da folle, da mistificatore; tutta la critica lanciò grida di indignazione.
Ma finalmente un risultato era ormai ottenuto, il titolo di una delle mie opere era celebre. In tutte le riviste di varietà, quell'anno, ci fu una scenetta, su Locus Solus, e due riviste vi si ispirarono per il loro titolo: Cocus Solus (che, più fortunata del mio lavoro, suo padrino, superò la centesima replica) e Blocus Solus ou les bâtons dans les Ruhrs.
Pensando che l'incomprensione del pubblico potesse dipendere dal fatto che fino ad allora gli avevo presentato a teatro solo adattamenti di libri, decisi di comporre un testo specificamente per la scena.
Scrissi L'Etoile au Front che feci rappresentare al Vaudeville. Nuovo tumulto, nuova battaglia, nella quale però i miei sostenitori erano questa volta molto più numerosi. Al terzo atto l'agitazione crebbe a tal punto che fu necessario, a metà scena, abbassare il sipario per rialzarlo soltanto dopo un po' di tempo.
Durante il secondo atto ad uno dei miei avversari che aveva gridato a coloro che applaudivano «Hardi la claque» - [forza con la «claque!»] -, Robert Desnos rispose «Nous sommes la claque e vous êtes la joue» - [Noi siamo lo schiaffo e voi siete la guancia]. – La battuta ebbe successo e fu citata da diversi giornali. (Nota divertente, invertendo la l e la j si ottiene «Nous sommes la claque et vous êtes jaloux» - Noi siamo la claque e voi siete gelosi -, frase che senza dubbio non era priva di una certa esattezza).
Anche questa volta la critica si scatenò contro di me e, come sempre, si parlò di follia o di mistificazione. Chiamarono il lavoro L'Araignée sous Ie front [il ragno sotto la fronte] e qualche giornalista intervistò i miei attori per sapere se scrivevo i testi seriamente o se il mio scopo era quello di prendermi gioco della gente. Seppi che alla fine di una rappresentazione un gruppo di studenti per un po' di tempo, aveva atteso la mia uscita per fischiarmi.
Comunque il numero dei miei sostenitori aumentava sempre più.
Dopo L'Etoile au Front scrissi La Poussiére de Soleils che feci rappresentare al Porte-Saint-Martin.
Ci si contese i posti per la prima e l'affluenza fu enorme. Molti venivano solo per il piacere di assistere ad una serata burrascosa e prendervi parte. Comunque lo spettacolo non fu disturbato. Solo una volta, ad un accenno di manifestazione ostile, uno dei miei sostenitori gridò; «Silenzio idioti!»
II lavoro non fu capito; e a parte poche eccezioni la critica fu detestabile.
Una serie di rappresentazioni date un po' più tardi al Renaissance non fu più fortunata. Quando il sipario calava, la gente gridava ironicamente «l'autore... l'autore...»
Tuttavia ad ogni mio spettacolo vedevo gente nuova passare dalla mia parte.
Per scrivere L'Etoile an Front e La Poussière de Soleils avevo interrotto la composizione di un'opera in versi iniziata nel 1915 [7].
In questo periodo ero tomato alla poesia, abbandonata da parecchi anni, e l'opera in questione era Nouvelles Impressions d'Afrique, portata a termine solo nel 1928.
Si stenterebbe a credere, infatti, quanto tempo esiga la composizione di versi simili.
Provo a darne un'idea.
Le Nouvelles Impressions d'Afrique dovevano comprendere una parte descrittiva. Si trattava di un minuscolo binocolo a tracolla, in cui ciascuno del tubi, largo appena due millimetri e fatto per essere applicato contro l'occhio, racchiudeva una fotografia su vetro, uno quella dei bazars del Cairo, l'altro quella di un viale di Luxor.
Io feci la descrizione in versi di queste due fotografie. (Si trattava, in sostanza, di una ripresa esatta del mio poema La Vue).
Terminato questo primo lavoro, ripresi l'opera dal principio per la messa a punto dei versi. Ma dopo un po' di tempo ebbi l'impressione che una vita intera non sarebbe bastata per questa messa a punto e rinunciai a portare a termine il mio compito. Il tutto mi era costato cinque anni di lavoro. Se si ritrova il manoscritto tra le mie carte, forse può interessare, così com'e, qualche mio lettore.
Ora, se, dai tredici anni e mezzo che passarono tra l'inverno del 1915 e l'autunno del 1928, tolgo i cinque anni di cui ho parlato, più il tempo in cui ho scritto L'Etoile au Front e La Poussière de Soleils, mi accorgo che ci sono voluti sette anni per comporre le Nouvelles Impressions d'Afrique, così come le ho presentate al pubblico.
Concludendo questo lavoro ritorno sul sentimento doloroso che provai ogni volta vedendo come le mie opere urtavano contro una incomprensione ostile quasi generale.
(Non ci vollero meno di ventidue anni per esaurire la prima edizione di Impressions d'Afrique).

Posso dire di aver conosciuto veramente la sensazione del successo solamente quando cantavo accompagnandomi al piano e soprattutto grazie alle numerose imitazioni, che facevo di attori o di persone qualsiasi. Ma allora, almeno, il successo era enorme e unanime.
E mi rifugio, in mancanza di meglio, nella speranza che ci sarà forse una postuma fioritura di interesse nei confronti dei miei libri.
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[1] . In parentesi quadre si danno Ie traduzioni letterali dei singoli termini; Ie indicazioni in parentesi tonda figurano nel testo di Roussel.
[2] . C'era talvolta una lieve differenza tra le parole, come qui, per esempio, dove ilot differisce un po' da ilote.
[3] . [tour (torre) + billon (antica moneta di bronzo)]
[4] . [Raitro: nel Cinquecento, soldato tedesco a cavallo. Etimologia: attraverso il fr. reître, che è dal ted. reiter ‘cavaliere’]
[5] . Ho scoperto dopo la pubblicazione del mio libro che esiste sul pianeta Marte un lago chiamato Solis Lacus.
[6] . In seguito, l'autore fece distruggere questo primo pezzo di composizione. I Documents pour servir de canevas sono i primi sei di una serie di trenta «documenti» che dovevano seguire nel testo postumo.
[7] . Poiché mi occupo qui della parte poetica della mia opera, vorrei citare quattro versi che, giovanissimo, mi ero divertito ad aggiungere a quella poesia di Victor Hugo che comincia così: « Comment, disaient-ils, / Avec nos nacelles / Fuir les alguai-ils? /  - Ramez, disaient clles». [- Come, essi dicevano / con le nostre navicelle / Fuggire gli alguazils? / - Remate, esse dicevano -]. Ecco i quattro versi che dovevano seguire gli ultimi della poesia: «- Comment, disaient-ils / Nous sentant des ailes / Quitter nos corps vils? / - Mourez, disaientelles» [- Come, essi dicevano / sentendoci le ali addosso / abbandonare questi corpi abietti? / - Morite, esse dicevano -].