LE FORME DI PRODUZIONE SUCCESSIVE

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NELLA TEORIA MARXISTA . 1960 . 1980
arteideologia raccolta supplementi
made n.16 Ottobre 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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FORMA SECONDARIA . CAPITOLO 3 . 1

Passaggio allo schiavismo della variante antico-classica 

Esaminiamo come muta la condizione di produzione fondamentale – i rapporti di consanguineità – al momento del passaggio dalla forma primaria alla secondaria. Nell'Ideologia tedesca, Marx affronta tale questione da diversa angolatura rispetto ai Grundrisse. Egli parla della "forma schiavista consecutiva al patriarcato" che aveva soppiantato il matriarcato della forma primaria in cui la produzione e la riproduzione dell'uomo, data la bassa crescita demografica e la terra da colonizzare, costituisce la prima forma produttiva, poiché essa accresce il numero di cooperanti di una stessa comunità. Questa formula definisce nello stesso tempo il punto di partenza della società di classe – in questo caso lo schiavismo – sullo slancio del patriarcato che ne prepara la base nella produzione mettendo la famiglia nella gogna dello schiavismo domestico. Consideriamo dapprima nell'evoluzione verso la forma schiavista il processo nel corso del quale i rapporti sociali di consanguineità si trasformano in quelli della proprietà fondiaria, talché l'appropriazione del suolo si subordinò, determinandoli, i legami di consanguineità che si trasformeranno in rapporti di asservimento al proprietario fondiario: schiavo deriva da famulus, dallo schiavismo domestico dell'Asia. Tra i due, formando la transizione, si colloca il patriarcalismo dei popoli pastori che vivono dei loro greggi [1]. La prima appropriazione duratura di un prodotto (Marx dice di una appendice, sottolineando così la sua genesi) della terra, l'armento, si effettua con l'addomesticamento, cioè con la riproduzione, filtrata dal lavoro umano, del bestiame, che stabilisce il legame tra suolo e comunità. Questa attività degli uomini, questo rapporto con un'appendice mobile, particolare, della terra, fa sì che i rapporti fondamentali di consanguineità siano soppiantati da quelli che il gruppo umano possiede ormai con la terra nel lavoro dell'allevamento.
Accedendo a questa nuova attività, il gruppo umano produce una ricchezza maggiore e sviluppa le sue capacità produttive riproducendo gli animali. Non se ne appropria più occasionalmente o stagionalmente come prodotti aleatori – appendici – della Natura.
L'allevamento consentì, inoltre, di colonizzare e di popolare nuovi territori – le ingrate steppe, ad esempio. La terra divenne più grande per l'umanità che si spostò, con forze accresciute, verso nuovi orizzonti e modi di vita, e venne in contatto con gruppi umani tra i quali le forze produttive avevano già attinto un livello assai elevato – il Medio Oriente, poi il bacino ilei Mediterraneo, per ciò che concerne i popoli pastori indoeuropei.
Per di più, l'uomo cominciò a sviluppare l'agricoltura per nutrire il bestiame, sostituendo la riproduzione dei vegetali alla loro semplice raccolta, sempre aleatoria e limitata essendo l'appropriazione immediata dei frutti della Natura [2].
Sono ormai date tutte le condizioni per il sorgere delle società di classe, l'umanità sviluppa la prima divisione del lavoro sociale allorquando le comunità, dedicandosi all'allevamento domestico, si separano da quelle che si appropriano direttamente i prodotti naturali (cacciatori, pescatori, ecc.) e si può ormai produrre più di quanto si consumi. Si accede infatti a nuovi consumi – oltre l'agricoltura che ne deriva, come abbiamo visto –, latte, pelli, filati, tessuti, ecc. [3].
Questi mezzi di sussistenza si conservano poi oltre i raccolti stagionali o occasionali. L'armento è una ricchezza concentrata e mobile: etimologica­mente, ma non economicamente, capitale deriva da testa (caput, capitis) di bestiame: cf. la fine del capitolo dei Grundrisse sulle Forme che precedono. Esso è il prodotto di una nuova attività che si basa sul lavoro spontaneo della Natura o di quello strumento vivente che è l'animale. L'attività si specializza e si delinea il processo di lavoro in senso stretto. Ciò comporta modificazioni anzitutto nella divisione del lavoro in base all'età, al sesso, ecc. che assume un carattere sociale, e non più naturale, facendola evolvere.
Questa attività fondamentale determina tutte le altre attività e contemporaneamente i rapporti sociali, poiché, per sopravvivere, la comunità dipende dall'allevamento. L'essere umano perde la sua preminenza. Non lavora più esclusivamente e direttamente per i suoi mezzi di sussistenza; l'armento diviene il tramite, la mediazione, il mezzo di lavoro, una specie di strumento che fornisce all'uomo alimenti e oggetti di sostentamento – a condizione che egli lo possieda, vi applichi il proprio lavoro e lo riproduca.
Deriva da ciò una contraddizione, base e stimolo allo sviluppo dell'arte greca. Da una parte di fronte alla natura, che produce spontaneamente i frutti dall'uomo raccolti per centinaia di migliaia di anni, di fronte alla Terra Nutrice, il cui solo lavoro basta a soddisfare tutti i bisogni umani, appare il fattore dell'attività umana. L'uomo si stacca dalla natura, di cui rappresenta il prodotto più sublime, e comincia a esercitarvi un'influenza di ritorno, un'arte (teckné nel senso antico del termine) – e il pittore, lo scultore, insomma l'artista in senso stretto, guarda ammirato la bellezza degli uomini di cui fisserà i tratti perfetti.
È tuttavia con lo schiavismo che nasce tale produttore, giacché la "macchina più produttiva" (la terra) nei confronti del derisorio lavoro umano si subordina quest'uomo che non aggiunge più di un utensile, sotto forma di oggetto o di animale, a cui è sminuito di fronte al proprietario della terra possessore dei mezzi di produzione più fecondi, dunque del potere. Il produttore si è distaccato dalla Natura ed ha preso corpo come entità nuova. L'artista mistificato non vede né lo schiavo, né il greco che vive del suo lavoro, ma l'uomo astratto o Dio, poiché con l'uomo ridotto a bestia nascono anche gli Dei e il Cielo. L'artista non avrà dunque soltanto una attività qualsiasi: lo si pretende ispirato. Sarà genio e non uomo. Se schiavo, sarà forse affrancato e si sforzerà di insinuarsi nella gerarchia per mezzo delle "attività" nobili: l'arte nobile sarà alienata come l'arte tecnica, sempre più degradata. L'artista partecipa alla mistificazione esaltando l'opera e l'ideologia delle classi dominanti, di cui sarà l'apologeta. Egli sa abbellire e trasfigurare la realtà – ingannare. Scopre la grandezza dell'uomo proprio quando è degradato. Falsa coscienza, per Marx, significa menzogna.
La civiltà compie, così un balzo in avanti, ma tutto è capovolto: il lavoro sarà screditato e sminuito e il dono esaltato; i ricchi, avendone i mezzi, sono oziosi, come i colti. Il lavoro è fatica. 

Patriarcalismo e proprietà privata 

Poiché l'agricoltura serve a nutrire il bestiame, l'uomo cade al servizio degli strumenti di produzione – che prendono allora la priorità sull'uomo. L'economia è mediata, e la mediazione si drizza di fronte ai produttori per dominarli. L'appropriazione e il lavoro della terra si sviluppano tramite un intermediario che diviene lo scopo, l'armento, che bisogna, ad esempio, innanzitutto nutrire. Decisive e fondamentali sono dunque le necessità economiche specifiche e non i bisogni immediati dell'uomo. L'umanità non progredisce secondo una logica razionale, ma in funzione dello sviluppo delle ricchezze e delle forze produttive, che solo molto più tardi, nella società comunista dello stadio superiore, saranno per l'uomo. Ma fino a quel momento l'uomo è ad esse subordinato nelle società di classe.
A misura che i rapporti di proprietà fondiaria soppiantano così i primitivi legami di consanguineità, si libera lentamente e inesorabilmente la proprietà privata, o meglio l'appropriazione privata, la quale, come attività e supporto, si impone nel modo più netto nell'allevamento del bestiame, che pone un capo fisso – il patriarca – alla testa del gruppo umano che si dedica a un'attività unilaterale. È il padrone dell'intermediario, degli strumenti, e perciò dei "lavoratori".
Dopo aver dissolto i rapporti sociali del comunismo primitivo, il patriarcato prepara il terreno allo schiavismo nella produzione, diffondendolo all'interno del gruppo familiare, dominato nella forma primaria dai legami di consanguineità. Costringendo i suoi a una funzione produttiva unilaterale da cui dipende tutta la comunità, il capo dell'armento si pone alla testa della compatta proprietà privata, determinando uno schiavismo larvato e un diffuso dispotismo sotto la sua autorità preponderante sugli altri membri della famiglia allargata che divengono schiavi domestici [4]. Per Marx, tutti gli ulteriori legami familiari delle società di classe saranno oggettivamente di questa natura.
L'armento è una ricchezza più preziosa delle forze lavorative che lo producono e lo accudiscono. Esso esige una sorveglianza continua, il pastore lo cura come la pupilla dei suoi occhi vegliando giorno e notte, contro le intemperie, la carestia, la sete, le epidemie, gli animali selvatici, i razziatori, i predatori. Egli cerca di migliorare la razza, influisce con incroci, ecc. sulla riproduzione, regola gli spostamenti secondo le forze degli esemplari più giovani o malati che egli non di rado porta a spalla. Il bestiame gli è sacro e costituisce la sua preoccupazione centrale – e al minimo rischio, vero o presunto, egli non esita a buttare tutti giù dal letto o ad interrompere il pasto. Il culto e l'attaccamento fanatico alla proprietà privata derivano da queste fatiche e da questi sforzi, da questa costante sollecitudine del padrone per l'oggetto del suo possesso che gli assicura di ritorno la predominanza sul gruppo, grazie alla monopolizzazione della ricchezza.
Questo valore concentrato, oggettivo e fondamentale, si impone non solo al patriarca, ma ancor più a quanti sono a lui subordinati e dipendono dal bestiame per vivere e lavorare. Le fredde e materialiste analisi di Marx sull'alienazione possono sembrare astratte, ma il loro contenuto è ben reale: lo stesso proprietario è sottomesso alla proprietà. Il bestiame appare fonte di vita, il rapporto è rovesciato, falsificato. Le condizioni sociali sono alienanti, e il progresso si compie contro l'uomo.
Quando in Grecia e a Roma lo schiavismo passerà dalla sfera familiare a quella della produzione nel senso stretto del termine, se ne potrà afferrare natura e portata solo rapportandosi alla sua genesi nella variante asiatica nel seno della famiglia, in cui è divenuto un rapporto sociale che abbassa il produttore a strumento spogliandolo di ogni diritto nella società, essendo questo dominio delle cose, sull'uomo incarnato dal patrizio monopolizzatore delle ricchezze create dai produttori. 

Schiavismo e rapporti di proprietà 

Nei Grundrisse, Marx descrive particolarmente la genesi e il divenire delle strutture sociali della forma antico-classica a partire dall'insediamento dei  Greci  e   Romani  sulle  rive   del Mediterraneo,  accennando alla loro evoluzione in popolo pastore i cui rapporti erano divenuti patriarcali. Poiché la proprietà privata – l'armento – era mobile, in quanto l'attività di appropriazione della terra è nomade tra i popoli pastori, i conquistatori, fissatisi, divisero le terre cui ebbero accesso secondo i loro rapporti di proprietà tradizionale, ossia in modo duplice: da una parte la proprietà collettiva (ager publicus, demanio, foreste, terre da legnatico, da pascolo, ecc.), dall'altra la parcella privata posseduta in origine da ogni membro della comunità [5].
I prigionieri di guerra asserviti sono conquistati come la terra, divenuta netta condizione della produzione fondamentale e di cui gli uomini costituiscono solo l'appendice. Essa li fa proprietari e mediante ciò, in seguito, cittadini, dunque membri della comunità, grazie alla loro parcella, la cui perdita li riduce a schiavi. I grandi possedimenti sono contemporaneamente il risultato e il presupposto di questo processo [6].
Lo schiavismo nella produzione deriva anzitutto dalla concentrazione di terre e di ricchezze nelle mani dei proprietari, i patrizi; poi dalla conquista di terre con i loro occupanti fatti prigionieri e asserviti; infine dall'espropriazione dei piccoli proprietari e concittadini di cui i patrizi si accaparrano le terre – il che introduce una frattura di classe all'interno dell'antica comunità che susciterà le prime guerre civili o rivoluzioni.
Se rimangono liberi cittadini romani non cadono nella schiavitù, ma sotto la tutela di colui che detiene la terra. Nella formazione di grandi proprietà rientra dunque anche l'usurpazione delle terre collettive (ager publicus), il che permette ai patrizi di imporre alla comunità il loro Stato di classe che applica la loro politica e assicura il loro dominio sui concittadini. Guerre, crisi e altre calamità naturali e sociali contro cui la parcella privata non può proteggere il suo proprietario portarono a questo stato di fatto – soprattutto in un mondo divenuto sporadicamente monetario e mercantile, dove tutto si vende e compra e l'espropriazione riveste dunque la forma ipocrita della vendita libera e volontaria.
Durante i primi cinquecento anni, a Roma ogni cittadino era proprietario, e continuava a sussistere grosso modo quella che Marx chiama la forma antico-classica: la parcella romana a fianco dell'aver publicus (dominio o terreno pubblico). I costumi erano semplici e tali si mantennero fino alla vittoria di Roma su Cartagine e la Macedonia: il buon cittadino era buon agricoltore e buon soldato, virtù cardinali dell'antica Roma. Fino a quel momento lo schiavismo era piuttosto marginale; le premesse per il suo sviluppo furono le lotte tra creditori e debitori, patrizi e plebei, che causarono l'espropriazione di gran parte della popolazione e la formazione di grandi possedimenti nelle mani dei patrizi. Questi grossi contadini, divenendo creditori dei loro concittadini in difficoltà durante guerre e altre calamità, finirono con l'accumulare le terre dei loro debitori. Ben presto affiancarono alla terra dei giornalieri, addirittura degli schiavi, e smisero di lavorarla essi stessi. La colonizzazione non poteva ristabilire la situazione di partenza con una uguale ripartizione di parcelle ad ogni romano. La distribuzione del suolo diviso in parcelle ai soldati non avrebbe rimesso in causa l'evoluzione della madrepatria.
Essendo infatti questa distribuzione legata ai rapporti politici di classe ed essendo i patrizi alla testa dell'esercito e dello Stato, la terra conquistata sarà o spezzettata e concessa ai soldati o addirittura alla popolazione locale contro un canone di affitto e questi contadini si troveranno legati in maniera più o meno mascherata alla terra in un sistema che prefigura le condizioni di trapasso al feudalesimo col servaggio, oppure trasformata in dominii schiavisti – sempre in favore dei patrizi. Lo schiavismo non è tanto diverso dal servaggio, che peraltro rappresenta una soluzione più evoluta.
Ad ogni modo, nelle condizioni sociali ed economiche in cui la terra o il lavoro spontaneo della natura si rivela più produttivo del lavoro aggiunto alla terra dalla mano dell'uomo, la predominanza va al proprietario del suolo poiché egli possiede la "macchina" più produttiva, il che gli dà anche la condizione dell'accesso a questa "macchina" – il potere, i mezzi coercitivi giuridici e militari dello Stato. La soluzione sarà dettata dalla potenza MILITARE che comanda hic et nunc plebeo o patrizio; in altri termini: è comunque la forma dominante della proprietà fondiaria – parcelle o grandi possedimenti – che deciderà della soluzione.
Il mercantilismo con i suoi scambi monetari gioca peraltro un ruolo di primo piano nella nascita dello schiavismo, poiché permette ai patrizi, da una parte, di comprare le terre dei loro concittadini, dunque di spogliarli, e, dall'altra parte, di acquistare gli schiavi fatti prigionieri dal loro Stato nel corso delle guerre di razzia. A misura che questi scambi diventano più numerosi, il mercato si apre più largamente ai prodotti dei patrizi che vi realizzano il plusvalore che hanno estorto.
I fisiocratici, che furono i primi teorici del capitale, consideravano ancora il lavoro agricolo come il solo produttivo – con una patata se ne ottengono dieci, dunque un plusvalore tangibile, mentre l'industria non modifica che la forma della materia ed ha bisogno del denaro per quantificare il plusvalore. Non è dunque a caso che capitale deriva da caput, testa di bue, che coniato servì contemporaneamente da simbolo – poi da equivalente – di quel bene e da moneta di scambio, di modo che la ricchezza cominciò a dissociarsi gradatamente dalla proprietà fondiaria per autonomizzarsi, sulla base di scambi mercantili, in una nuova categoria – il denaro, il padre del capitate, che si sostituisce al dominio della proprietà fondiaria. Infatti, esso fa passare la merce forza lavoro che ha comprato dalla sfera della circolazione a quella della produzione con il modo di appropriazione borghese del plusvalore, mentre gli scambi monetari e mercantili (tra equivalenti) erano prima – nella fase preparatoria del capitalismo – sterili e improduttivi perché limitati alla sfera della circolazione. Il denaro subisce, insomma, col capitalismo, una metamorfosi paragonabile a quella degli schiavi domestici del patriarca rispetto agli schiavi tout court dei patrizi. La storia si ripete, ma mai allo stesso modo.
È la fase di decomposizione di una forma di produzione che rivela, allorché se ne sprigionano i rapporti sociali successivi, quale l'intimo e profondo significato della nuova forma o struttura di produzione [7]. L'analisi nasce dalla divisione ed è dissociazione e riduzione al semplice.
Tra le strutture della forma primaria e secondaria, è il patriarcato che esprime la dinamica nel senso negatore di dissoluzione della forma anteriore e contemporaneamente di preparazione della nuova, che introduce le infami società di classe. Il patriarcato non compare in alcuna casella del nostro Schema sinottico; tuttavia la sua spiegazione e il suo motore si trovano nella formazione dapprima diffusa e sporadica dello schiavismo. È funzione del testo delle Forme collegare una verticale (forma) all'altra, e delle aggiunte sottolineare il movimento della loro morte e della loro vita.
Le nostre aggiunte sulla dinamica che rivela genesi e struttura delle forme successive servono ad illustrare lo Schema sinottico, dove figura la definizione, necessariamente statica, come una fotografia, degli elementi costitutivi di ciascuna forma che si mette in moto nei momenti fecondi della storia, e deve invece essere afferrata come un film. 

Il parallelogramma delle forze
costituito dalla forma di produzione
 

Tutte le strutture che costituiscono una data forma di produzione nascono, si sviluppano e muoiono in un movimento che va al di là di una sola e medesima forma di produzione, sì che esse si mutano passando dall'una all'altra. Importa di ben stabilire qual è la dialettica di queste mutazioni per comprendere l'effetto del quadro generale di una forma sulle sue parti integranti, essendo la nostra concezione di una forma non solo quantitativa, ma anche qualitativa.
A titolo di illustrazione, vediamo, ad esempio, quale metamorfosi hanno subito la forma secondaria in generale – dapprima in rapporto a quella primaria, poi nel corso del suo stesso sviluppo – e il rapporto schiavista in particolare, quando esso è passato dall'Oriente in Europa. Nella variante asiatica lo schiavismo era da una parte domestico e sporadico, e larvato e diffuso dall'altra, dato il debole sviluppo della forza produttiva dell'uomo che ne faceva un essere dipendente dalle grandi forze naturali della terra, mentre è divenuto aperto e sistematico passando nella produzione quando si è esteso alla Grecia e a Roma. Questa mutazione di un rapporto particolare implicava previamente un completo capovolgimento dei rapporti di consanguineità in seno alla famiglia allargata del comunismo primitivo, in quanto i rapporti con la terra prendevano ormai nettamente il sopravvento su quelli della comunità di sangue e di razza. Passando dalla forma primaria alla secondaria, da determinanti, i rapporti consanguinei della famiglia saranno ora determinati, e i legami familiari di solidarietà divengono mezzi di oppressione.
Nella forma primaria la specie umana viveva della natura, cui la propria attività non aggiungeva gran che. Si era fermi essenzialmente allo stadio della raccolta o dell'appropriazione immediata dei prodotti della natura. La loro riproduzione (addomesticamento, agricoltura, ecc.) è in fondo compatibile con questa forma solo in un margine molto ristretto. Ora, non appena cresce il numero degli uomini e l'apporto del lavoro diviene più importante, sono i sistemi (forme) del lavoro e della produzione che determinano tutti gli altri rapporti.
Come Engels spiega, lo schiavismo non poteva svilupparsi nella for­ma primaria. Allorché due comunità venivano in urto o c'era da mangiare per tutti i sopravvissuti, vincitori e vinti, e si viveva allora in comunità, o si uccidevano quanti erano in soprannumero per non spezzare i rapporti comunitari e perché le forze produttive erano troppo basse per permettere la sopravvivenza a gruppi troppo numerosi. Quando il lavoro umano è in grado di aggiungere un margine relativamente grande al lavoro della natura che produce spontaneamente frutti di ogni specie, il vincitore può aver interesse a non più sterminare i vinti, bensì a farli produrre per lui, poiché il lavoro umano è ormai un fattore apprezzabile della produzione di ricchezze. Abbiamo fatto ingresso nell'infetta civiltà, nelle società di classe in cui l'uomo sfrutta l'uomo e in cui la produzione dei beni materiali primeggia e condiziona la produzione degli uomini. Col prigioniero che diviene schiavo subentra la prima divisione del lavoro: padrone (nato dal patriarca) e schiavi [8].
La seconda divisione del lavoro (artigianato separato dall'agricoltura) si innesta sulla prima o meglio sviluppa questa prima base in nuovi settori – e si ha la divisione tra ricchi e poveri all'epoca della diffusione del mercantilismo come fondamentale rapporto del metabolismo sociale. L'artigianato non era all'origine che il prodotto dell'agricoltura come attività accessoria, domestica, e con l'agricoltura innocentemente coesisteva, contribuendo persino al suo sviluppo col perfezionamento degli utensili. Finché, ad un certo punto, se ne è distaccato, si è automatizzato, e darà allora vita all'industria in cui l'opposizione tra campagna e città comporterà la predominanza di quest'ultima.
Come sempre, una struttura è annunciata dall'attività in seno alla forma di produzione precedente. Così il mercantilismo è nato dagli scambi, ai margini delle comunità, delle loro eccedenze. Un tale commercio e traffico furono assicurati nel mondo antico da popoli mercanti (Fenici, Cartaginesi, Ebrei, ecc.) che vivevano ai margini delle società arcaiche e ne assicuravano il collegamento. Sotto il feudalesimo, il mercantilismo investe e rosicchia nuove branche, compiendo un enorme progresso: esso si svolge non più al di fuori della comunità ma all'interno: Con l'ordine dei mercanti, la società stessa è diventata mercantile, ha una divisione del lavoro di più. Il mercato le è indispensabile e suscita persino nuove attività.
Col capitalismo, la circolazione diviene parte integrante della produzione, i cui rapporti sono impregnati completamente dal mercantilismo. Il salariato è nato in una sfera particolare, l'esercito antico. Esso non era ancora legato allora alla produzione dei beni materiali (mezzi di sussistenza o di produzione). Quando i rapporti mercantili e monetari si saranno estesi a tutti gli atti e strutture della società, la forza lavoro si venderà sistematicamente – come lo schiavo – sul mercato, divenendo salariata, e nessuna produzione si farà senza previa circolazione monetaria e mercantile. Il mercantilismo, accrescendo in quantità, ha cambiato il modo di società e di produzione: il denaro è diventato capitale [9]. 

Anticipazione e transizione 

Questa dialettica di anticipazione di un elemento – nel nostro esempio, il denaro – sorto in una forma precedente con rapporti determinati da quest'ultima, esige che esso si sviluppi ancora ulteriormente – per divenire capitale in collegamento con i rapporti d'insieme di un'altra forma.
L'adagio degli Antichi: Nullum est iam dictum quod non sit dictum prius (nulla è mai detto che non sia già stato detto) non va inteso nel senso che non vi è mai nulla di nuovo sotto il sole, ma in quello che ogni embrione della futura forma sviluppata contiene già pronte la sua matrice o le sue strutture. Così la borghesia è stato e ordine feudale prima di esistere come classe capitalistica moderna. D'altronde, il servo integra le caratteristiche dello schiavo, e il proletario (lavoratore o disoccupato) quelle di entrambi, oltre alle sue nuove caratteristiche sviluppatesi sulla base delle precedenti e dei nuovi rapporti sociali. Così il proletario è libero di vendere se stesso (in ciò la novità rispetto allo schiavo) o di ... crepare di fame – il che mostra la sua subordinazione ai mezzi e agli strumenti di produzione, di cui lo schiavo era l'eguale e a cui il servo era legato. La "dégringolade" continua dunque sulla via dell'alienazione.
Insomma, come vedremo, la favola del salariato inizia con lo schiavismo.
Ma applichiamo l'adagio latino per seguire lo sviluppo del germe dello schiavismo dalla variante asiatica a quella greca e romana.
Nella forma secondaria, diviene determinante l'economia nel senso stretto del termine, e ben presto lo strumento, divenendo più importante della forza lavoro individuale, prevarrà sull'uomo per determinare le sue condizioni di vita e di produzione. Zeus trasformerà allora la donna in vacca, mentre lo schiavo sarà in tutto e per tutto uno strumento produttivo, divenendo il primo produttore sfruttato.
Ciascun fattore, sia esso lo scambio, lo strumento o persino la forza lavoro, muta allora di rapporti, essendo diversamente combinato con la base e con le altre strutture e collocandosi più o meno lontano dalle fondamentali condizioni di produzione che gli infondono forza e vigore [10].
Una preziosa indicazione di Marx nei Grundrisse ci permette di definire qual è la strutturazione di una forma di produzione, concepita come un parallelogramma di forze, non sclerotizzato, ma in duplice movimento:

1. anzitutto nel senso che una stessa struttura – ad esempio il salario – cambia di significato se la si confronta a ciò che essa era nella forma precedente o a ciò che sarà nella seguente, allorché la sua posizione nella base economica., le sue ramificazioni con altre strutture così come la sua portata ed efficacia sono totalmente diverse. Per esempio, il salariato nell'esercito antico non si colloca nella sfera angusta della produzione, non crea quindi plusvalore e non è collegata al capitale, ma è nondimeno l'anticipazione del salariato moderno che ha tutte queste caratteristiche e rappresenta l'altro polo del rapporto capitalista  stesso  nella  base  economica:  ciò che è comune è la forma mercantile e monetaria rivestita dalla merce forza lavoro umana. In questo senso, è un'anticipazione fondamentale dell'attuale salariato.

Un esempio dello spostamento della forma salario è il modo di remunerazione stipendiato dei   funzionari   del   capitale   che   assolvono   i   compiti   di  quest'ultimo: comandare gli operai, far circolare il capitale sotto la sua forma monetaria, realizzare il prodotto sul mercato, ecc., tutte funzioni che non si effettuano nella sfera del processo di lavoro produttivo (di plusvalore).
Come si vede, il salariato si trova qui in un rapporto di mera forma, poiché non è del capitale variabile che esso esprime, ma del profitto nella veste formale del salario: lo stesso presidente della Repubblica può essere così salariato, senza che ciò implichi la vendita della sua forza lavoro per produrre nel rapporto capitalistico di produzione di plusvalore. Trattasi di una forma affatto vuota, non essendo il salario che un involucro mistificante del contenuto reale. Esso non ha evidentemente un senso pieno – e non parziale quando è in via di transizione o  di degenerazione –  che quando è legato al capitale in un rapporto produttivo, ossia nella base economica della produzione borghese della forza lavoro operaia;

2. in seguito nel senso che il confronto di una forma con la seguente o la precedente mostra la portata della progressione storica in quanto si ha una migrazione di rapporti il cui spostamento ne muta le connessioni,   dunque la natura,  al punto  che  un rapporto può essere determinato, subordinato e quindi secondario, anziché decisivo.
Occorre insomma determinare continuamente l'orientamento della dinamica in senso ascendente o discendente di una forma o di una struttura, sottolineando non la definizione, ma il trapasso da una forma all'altra. È quanto esprime in maniera incomparabile la definizione generale di una forma di produzione con l'analisi delle sue strutture e rapporti, il movimento essendovi formulato nel rapporto dal generale, o determinante, al particolare: "In tutte le forme di società è una produzione determinata [nella forma primaria la consanguineità o comunità di sangue; nella secondaria, il lavoro della terra o la proprietà fondiaria; nella terziaria, l'agricoltura e l'artigianato; nella quaternaria, l'industria che domina l'agricoltura, ecc.] che assegna rango e influenza a tutte le altre: i rapporti essenziali condizionano il ruolo delle altre attività e strutture. È una luce generale che illumina tutti gli altri colori e ne modifica la tonalità particolare. È un etere particolare che determina il peso specifico di tutto quanto esso avvolge" [11].
Così, nella forma secondaria, condizione e risultato della produzione non sarà più la riproduzione (allargata in tutti i sensi) degli esseri umani, quella sessuale essendo saldata all'"economica", ma sarà bensì la produzione più "importante" e il modo dominante di lavoro (la terra, in questo caso) a determinare i rapporti sociali nei quali si riprodurranno gli uomini: la società reale entrerà in opposizione con quella ufficiale, la base economica con le sovrastrutture o rapporti sociali, la distribuzione nella produzione con quella nella società.

Il morto afferra il vivo 

Dopo aver decifrato nel passato la genesi delle condizioni attuali, e dunque anche la chiave per comprenderle, gettiamo uno sguardo sui rapporti dell'Italia borghese che, secondo l'espressione di Engels, non soffre solo delle infamie capitalistiche, ma altresì di tutte le vestigia del passato che la mancanza di radicalismo della debole borghesia italiana ha lasciato sussistere per trovare un sostegno nelle condizioni e nei ceti ultraconservatori. Questo esempio ci permetterà di illustrare in quale maniera multiforme sopravvive il passato nella forma più sviluppata del capitalismo – quella del fascismo, di cui tutte le leggi sono mantenute e che fiorisce oggi ovunque sotto la sferza yankee di un capitalismo ultraconcentrato e totalitario in putrefazione nelle metropoli sviluppate.
L'Italia che non si è mai distinta per lo sviluppo delle forze produttive con la gestione dell'uso nella sfera economica, si è al contrario messa in luce poiché le sue classi dirigenti hanno saputo – meglio che in tutti gli altri paesi – dare le forme più taglienti, nette e feroci al dominio degli sfruttatori sui produttori, ed è un modello per tutti gli altri paesi del mondo per quel che concerne l'instaurazione di rapporti sociali nella loro economia. È quanto spiegherà ancora la nostra monografia italiana che seguirà alla pubblicazione del presente testo delle Forme.
Proprio quando scaturisce una forma nuova all'alba della storia – in Italia quanto alle più odiose, lo schiavismo nella produzione e il mercantilismo e il monetarismo capitalistici dei tempi moderni – troviamo la spiegazione più piena di una struttura o forma sociale, benché possa sembrare più esplicita e più comprensibile allorché è più sviluppata storicamente. Infatti, nelle società di classe, lo sviluppo porta con sé una reificazione e una mistificazione crescenti che suggeriscono irresistibilmente una spiegazione feticista di una realtà sempre più alienata. In breve, i rapporti fanno apparire un carattere sempre più mercantile, oggettivato, da cui i legami con l'uomo sono lontani e alterati a misura che si sviluppa una struttura o una forma. Per capire il nostro presente che è la somma di tutto il passato, dobbiamo dunque cercare la spiegazione nella sua origine, l'una illuminando l'altro. Di qui il nostro metodo del Filo del Tempo, con Ieri, Oggi e Domani.
Così vediamo che in Italia sussistono ancora delle forme e dei rapporti nati all'apogeo della sua storia, nel momento privilegiato che modella costumi e temperamenti nazionali — lo schiavismo della Roma antica. Le forme larvate di schiavismo che sussistono massicciamente oggi nell'Italia borghese si caratterizzano per il fatto che le classi dominanti si arrogano la direzione piena e intera delle masse, che sono trattate come bestiame senza volontà, coscienza, né interessi propri autonomi, ossia senza alcuna iniziativa, essendo il loro corpo e la loro anima appropriati dal loro padrone, Soggetto della Proprietà.
Troveremo nel passato italiano le spiegazioni per le condizioni più feroci della forma più sviluppata del capitalismo moderno – ad esempio dei fatti che seguono, nei quali l'Italia è oggi all'avanguardia dell'infame sistema borghese. Circa 270.000 fanciulli da 8 a 12 anni – veri e propri schiavi domestici supersfruttati dall'affarismo borghese di quest'Italia in concorrenza col Terzo Mondo sottosviluppato in cui sussistono massicciamente condizioni divenute soltanto recentemente borghesi da rapporti precapitalistici arcaici – lavorano nell'industria, mentre la famiglia resta la più dispotica, poiché il 70% dei fanciulli vengono regolarmente picchiati dai loro miserabili genitori che conoscono più il diritto di abuso che di uso. Proprio in Italia la stampella dello Stato sostiene più della metà delle imprese, superando la percentuale di nazionalizzazioni aperte o mascherate di tutti i paesi avanzati dell'Occidente e dimostrando che i capitalisti di questo paese che pur vantano uno sbrigliato individualismo e laissez-faire hanno anch'essi il meno di capacità possibile di gestione, di uso nella produzione. È quanto conferma anche l'incapacità della borghesia nazionale ad industrializzare il paese e la cessione del potere prima a Mussolini, poi alla centrale di Washington, sotto la cui ala tutelare essa ha, alla fine del ciclo capitalista quando la produzione è ormai degenerata, moltiplicato per otto gli indici di crescita, raggiungendo in alcune branche il livello dei paesi che avevano fatto la rivoluzione alla stessa epoca. Ciò spiega pure il fatto del perché il capitalismo italiano non si sia veramente sviluppato che al momento in cui le organizzazioni operaie, specie comuniste, sono letteralmente­te servite a reprimere gruppi e tendenze rivoluzionarie di espressione originale della classe operaia regnando incontestabilmente con l'aiuto dello Stato complice. Così i pretesi comunisti hanno ripreso pari pari metodi da carcerieri legando – con la degenerazione gramscista – gli operai non al loro programma politico e sociale proprio, ma alla loro azienda dove si concentra il capitale, ossia alla forma fascista del capitalismo. Di qui la loro attuale campagna in seno alla classe operaia per farla marciare con la frusta in vista di aumentare i ritmi di lavoro, allorché essi raccomandano di promuovere la produttività che accresce oggi più che mai la disoccupazione operaia e lo sforzo di lavoro così come il dominio borghese sui corpi e sugli spiriti estenuati ed esauriti. Proprio in Italia il riformismo ha contribuito al massimo grado a legare l'operaio allo Stato e al capitale, come attesta il fatto che il salario non è neppure versato per la più gran parte – più della metà, ancora un record battuto – all'operaio: il 55% va alle opere sociali, cassa mutua, pensione, assegni familiari, ecc. gestito dallo Stato e dal Capitale che, come lo schiavista, trattano l'operaio come una bestia senza indipendenza, né volontà, né potere di decisione proprio, in breve ne fanno uno strumento di produzione reificato. Sulla parte minima di salario intascato, l'operaio opera preliminarmente delle deduzioni a proprie spese: debiti per un credito che lo legano alle banche e all'azienda come uno schiavo, affitto per il proprietario della sua topaia, elettricità, acqua, gas, riscaldamento, trasporti gestiti dallo Stato che ne fissa dispoticamente i prezzi, le condizioni d'uso e di vendita così come la cattiva qualità, dimostrando ancora una volta le tradizioni di abuso di origine schiavista di un passato nazionale infame. L'italiano medio, ossia il borghese, il piccolo borghese e l'operaio degenerato o aristocratizzato, elevato alle altezze scatologiche delle sue classi dominanti, è il più grande individualista del mondo, preoccupato solo della sua pancia e dei suoi interessi e impulsi immediati, che sono poi quelli del sistema capitalista che lo spingono le-cul-le-premier. – il più sprovvisto di pensiero, di attività e d'iniziativa personale, il che conferma che l'individualismo è la dissoluzione completa dei rapporti sociali, poiché tutto è ridotto all'atomo dell'individuo isolato, in concorrenza e in lotta nella giungla borghese. Egli è incapace di oltrepassare l'immediatismo del momento, di controllarsi, di dominarsi, di disciplinarsi, di imporsi la minima regola che gli permetta di organizzare e di prevedere, di associare e di trovare un punto comune di solidarietà per un'azione con un altro. È come una bestia, spinto dal guardiano capitalista e mosso o meglio saccheggiato e sfruttato dal capitale onnipotente. Con la briciola di salario che gli resta, egli compra tutta la cianfrusaglia che gli suggerisce la pubblicità, il conformismo sociale e la vanità individuale, ignorando qualsiasi regola di gestione elementare della sua salute fisica e morale. Egli pensa con le idee della sua stampa venale e affarista, della televisione e della radio borghese e sottoborghese e non marcia che sotto la sferza dei suoi aguzzini oppure solo, la moglie avanti o alla sua sinistra e i figli a rimorchio.
Di queste strutture, istituzioni e comportamenti noi troviamo la chiave nella prima forma di dominio di classe. Quando lo schiavismo è nato, si è visto più chiaramente la natura dello sfruttamento che non nella forma più evoluta, sottile e "civilizzata" del salariato. Un esempio: nel rapporto salariale, il produttore non vende che la sua forza lavoro, nello schiavismo tutto l'individuo, poiché il padrone ha il diritto di proprietà (e dunque d'abuso) su corpo e anima, l'uomo non essendo più che una bestia o uno strumento di produzione per la ricchezza e il godimento dello schiavista. Nella forma salariale, questo rapporto non sembra esistere che nelle otto ore durante le quali l'operaio si trova nell'impresa, libero di circolare, di parlare, di pensare, di comprare, di consumare e di agire per le rimanenti 16 ore nella società.
Ora, il dispotismo di fabbrica durante il processo lavorativo partecipa grandemente dei metodi schiavisti, con i guardiani armati, il filo spinato che spesso circonda la fabbrica, il controllo serrato sull'orario, i ritmi di lavoro, gli spostamenti fisici e addirittura le comunicazioni di pensiero tra operai. E il totalitarismo borghese ha instaurato la stessa dittatura sociale fuori della fabbrica robottizzando i cervelli con i mass media, la pubblicità e la propaganda dei partiti operai nazionali.
Non solo le forme del passato sussistono ancora largamente, ma sono spessissimo aggravate, esasperate, dall'industria e dalla vita borghese, specie nella loro età senile. Si deve dunque avere in mente la forma schiavista per comprendere a fondo la forma salariale attuale, non foss'altro  che per non dimenticare il seguente precetto materialista: chi ha comprato la forza lavoro o il corpo del produttore si arroga con ciò stesso la pretesa di dominare anche la sua anima, la sua volontà, il suo spirito, e dispone dei mezzi materiali per farlo, e particolarmente delle sovrastrutture di violenza politiche, giuridiche, artistiche, ideologiche dello Stato, ecc. Il cristianesimo, che ha il suo centro mondiale in Italia, a Roma, accanto allo Stato borghese nazionale, è appunto la religione degli schiavi: esso fu dapprima rivoluzionario, quando i primi cristiani hanno urlato con Spartaco e la sua grandiosa rivolta: noi abbiamo non soltanto un corpo, ma anche un'anima che appartiene a Dio e non a voialtri padroni; poi è divenuto conservatore con la pretesa di controllare e gestire gli spiriti e le volontà delle masse sfruttate dalle classi dominanti mettendosi al loro servizio, predicando la rassegnazione alle masse, dunque negando loro il diritto di determinare esse stesse i loro interessi, i loro scopi e i mezzi per raggiungerli, al di fuori dell'Ordine stabilito dalle classi dominanti. Ed è proprio lo schiavismo della vecchia Roma che spiega, da una parte, che il cristianesimo ha il suo centro universale nel mondo e che l'Italia è impregnata delle tradizioni cattoliche.
Ad esempio, Berlinguer è un gesuita quando pretende di mettersi sotto l'ombrello americano per difendere gli operai e la pace, come se l'imperialismo più sviluppato non fosse anche il più aggressivo.
L'immediatismo di una realpolitik che non fa che riflettere i movimenti contraddittori della società borghese, giustificandoli ogni volta ipocritamente per ingannare gli spiriti, non è da nessuna parte così opportunista e priva di principi, di colonna vertebrale, come in Italia, che è all'avanguardia della degenerazione del movimento operaio e fornisce i suoi putridi "programmi" a tutti gli altri.
Ciò facendo, essa annulla ogni progresso storico, registrato sotto il feudalesimo e all'inizio del capitalismo, nella fase di decomposizione di quest'ultimo. Marx spiega che, grosso modo, la forza lavoro è passata per tre fasi di evoluzione dopo l'instaurazione delle società di classe:

1. Lo schiavismo ha il più chiaramente assoggettato il produttore, dando al padrone il potere di abusare senza dargli le qualità di usare, dato che lo schiavista è rappresentato sul lavoro dalla frusta e nella società dal patriarca protettore e benevolo che mantiene il produttore – panem et circenses – spogliato preliminarmente del prodotto del suo lavoro. Privato della disponibilità del suo corpo, lo schiavo diviene un essere completamente dipendente: egli non sa lavorare, né mangiare, né vivere senza il suo padrone. Senza la frusta, egli non fa niente e non sa fare niente. Il produttore è frustrato di ogni umanità, degradato al livello di bestia.

2. Nella   seconda   fase  medievale,   sotto  l'influenza  della variante germanica, il produttore fa un patto di accomandazione col proprietario fondiario che come contropartita fornisce un lavoro: difenderlo militarmente contro gli invasori. L'esistenza del lavoratore è riconosciuta, trova un terreno d'azione e ha una base materiale nella parcella autonoma del servo o dell'artigiano e bottegaio. Il lavoratore parcellare è padrone a casa sua: egli decide del proprio tempo di lavoro sul suo appezzamento, della tecnica che usa nel processo di produzione, e tenta in modo rivoluzionario di determinare la forma (borghese) della città, armandosi e dibattendo nelle assemblee popolari. Il contadino parcellare ne costituisce la figura più saliente, per la sua credenza nell'emancipazione dell'individuo. Al contempo, il progresso è spettacolare: l'industria si stacca dalla morsa della proprietà fondiaria, il produttore ottiene un posto e un potere di decisione nella società, sul mercato – dopo aver fatto il suo tempo di sopralavoro per il padrone e signore, che sussiste ormai imborghesendosi.

3. Con il proletario salariato nasce una forza di trasformazione sociale che è capace non solo di produrre e di sovraprodurre, ma anche di instaurare una società in cui gli uomini non saranno più passivamente sottomessi alle determinazioni del capitale, ma usciranno dalla preistoria dello schiavismo del produttore. Anziché essere individuale, cioè senza forza e illusoria, l'emancipazione sarà sociale e universale. Secondo la formula di Marx nel VI capitolo inedito del Capitale, "il salariato agisce come un libero agente, deve però anche mantenersi; è lui stesso responsabile del modo in cui spende la sua paga. Egli impara dunque ad autogovernarsi rispetto allo schiavo che ha bisogno del padrone e non può farne a meno neppure per un istante"'. (cf. capitolo Ulteriori osservazioni sulla sottomissione formale del lavoro al capitale).

Nello schiavo si è riconosciuto il moderno individualista italiano, che si fa fottere e menare per il naso secondo le esigenze contradditorie di Sua Maestà il Capitale. Il proletario nella sua ricerca di mezzi di sussistenza (alimenti, vestiti, abitazioni, giornali, ecc.) si scontra con l'avidità del bottegaio, con il proprietario fondiario che sovraccarica i prezzi di produzione con la sua rendita sui mezzi di trasporto e le case, con il suo capitalista che traffica e altera la qualità dei prodotti, con le sovrastrutture che vogliono spingerlo nella via della soddisfazione borghese dei suoi bisogni, imbottendogli la testa ad ogni angolo di strada e persino in casa sua. Se cede, egli diventa una bestia senza volontà né senso dei propri interessi – uno schiavo salariato, un italiano. Diventa incapace di superare gli impulsi immediati, di organizzarsi da sé, di essere un punto fisso su cui si possa contare per agire insieme, per prevedere ed organizzare l'azione in comune, in breve di avere un proprio scopo. Egli non ha più una colonna vertebrale in grado di dargli una esistenza separata, in opposizione alle potenze dominanti che lo schiacciano, specie gli USA che hanno "liberato la nazione" incapace di determinarsi da sé, di produrre per la sua popolazione e di dargli un "ideale". La mercantile borghesia italiana non sa infatti che abusare, ma non gestire, essendo esperta solamente nella direzione della res publica, della violenza dello Stato dispotico che reprime i produttori.
Lasciando così completamente libero corso allo sviluppo del capitale, la borghesia italiana ha spinto a fondo la dialettica di decomposizione capitalista. È il non-governo della borghesia nazionale; gli stessi borghesi sono ridotti in schiavitù, avendo perso il controllo della società, ed essendo sballottati dal capitale in crisi storica di dissoluzione fisica e intellettuale, in breve essendo persino incapaci di maneggiare le sovrastrutture dello Stato che hanno permesso alla giovane borghesia rivoluzionaria di intervenire di ritorno sulla base economica. L'impotenza umana nei confronti delle cieche determinazioni borghesi appare in modo lampante, nell'Italia della fine dei tempi capitalisti, nel fallimento dell'economia, che non suscita la ribellione delle forze produttive, del proletariato, tanto questo è incancrenito dal virus borghese e privato di ogni senso di classe proprio ad immagine della stessa borghesia italiana –, è cioè sterilizzato come lo schiavo che è puro oggetto e strumento.
L'affarista e mercantilista borghesia italiana riesce ancora a fare degli affari quando la sua produzione è in fallimento, visto che un capitalista strappa un lembo di plusvalore all'altro, sviando le ricchezze tramite i partiti politici, le istanze locali e centrali dello Stato, non pagando le sue imposte, né le assicurazioni sociali obbligatorie, provocando l'inflazione, ecc. Essa utilizza cioè tutti i mezzi dell'abuso legato al suo titolo di proprietà. Con la subdola complicità delle organizzazioni operaie, che hanno respinto ogni principio per darsi all'immediatismo opportunista che volge le spalle agli interessi propri dei proletari, la borghesia disarma gli operai utilizzando movimenti di rivendicazione sbagliati: scioperare per delle bazzecole e non scioperare per esigenze comuni essenziali; fuorviare un movimento, ma solo quando è debole, contro un nemico forte, disarmare una forza operaia potente non conducendo la lotta dove è necessario, contro chi è necessario, nel momento necessario. Queste organizzazioni operaie applicano la teoria del non-governo alla rovescia: scoraggiando e sterilizzando ogni azione operaia con una falsa direzione. Castrano così ogni azione, volontà e coscienza propria agli operai. Si comportano come proprietari della massa degli operai ridotti in schiavitù, pretendendo di avere il monopolio della direzione delle sue azioni e delle sue volontà: l'operaio deve tacere quando il bonzo traditore parla e ordina.
L'operaio italiano è così uno dei più sfruttati e fregati del mondo. Invece di avere un salario sufficiente a nutrire i suoi per riprodursi, egli batte il record mondiale del doppio lavoro. La giornata di 8 o di 7 ore esiste soltanto per permettergli di vendersi a due padroni. Le donne fanno le schiave del loro signore e padrone, o ancora si vendono a basso prezzo, il più delle volte al lavoro nero in cui l'individualista operaio italiano, incapace di una coscienza propria, ma copia fedele della sua borghesia opportunista, si arrangia.
La mentalità cattolica diffusa in tutta Italia parte dal principio che il produttore non ha volontà né testa propria – e la Chiesa, come i partiti operai degenerati, pretende di avere il monopolio della sua coscienza. Essa diventa gesuita quando parla – come Berlinguer – di difendere gli interessi delle masse dei poveri e degli oppressi, mentre in realtà li castra iniettando loro il virus dell'impotente ideologia individualista delle classi dominanti che vedono la salvezza solo in privato. Il buon pastore tradisce così quelli di cui si arroga la custodia. Fissa loro le regole di vita e di comportamento e sì concede il diritto di controllo della loro applicazione. Stende così una lista dei peccati e degli atti permessi con un orientamento opposto alla vita e alla natura umana. L'uomo viene considerato come una bestia; il suo corpo è vile materia, o, come un angelo, senza sesso e senza bisogni.
L'alternativa è antiumana e contraria ad ogni espressione umana delle masse. La solidarietà dei poveri è distrutta non appena va nel senso dei loro interessi, combattuti dalle organizzazioni opprimenti della borghesia. Come un mascalzone che batte il suo cane, il suo bambino o sua moglie perché ne è proprietario e ha dunque il diritto di abuso, l'uomo è limitato al proprio individuo, di cui deve salvare l'anima, perdendo il corpo e il mondo terreno che sono sporchi. L'atto d'amore diventa così o condannabile o pornografia. II corpo non appartiene al proletario, ma allo schiavista o al capitale, e ogni piacere fisico o intellettuale dell'operaio è uno sconfinamento sulla proprietà delle classi dominanti, i cui aguzzini sono il poliziotto e il prete, coadiuvati in questo dopoguerra dai traditori delle "organizzazioni operaie" che si pretendono socialiste e comuniste.
Di fronte a una tale, atroce situazione di sfruttamento diurno e notturno delle masse operaie, non è possibile che una risposta: una rottura completa con l'immediatismo, l'opportunismo, i compromessi, con una pratica che ha castrato ogni movimento autonomo di classe e ogni iniziativa rivoluzionaria per rinchiudere le masse nella gogna dello schiavismo salariato. Questa risposta non può essere che totale e radicale, violenta e rivoluzionaria, non può essere che di partito e di classe, che la faccia finita con l'individualismo e col suo corollario, lo spirito di categoria, che difende interessi privati di gruppi particolari. In Italia ciò può avvenire soltanto riallacciandosi al formidabile partito comunista nato a Livorno, il cui programma è e resta l'unica bussola nel naufragio di tutti gli altri tentativi operai.
Cadranno allora le visioni privatiste e personaliste insieme ai loro mezzi, l'elettoralismo e la politica dei capi, che illuminano le folle cieche, secondo l'espressione di un testo contro l'individualismo del 1953: La rivoluzione si rialzerà tremenda ma anonima!
Questa soluzione non riguarda particolarmente la piccola Italia, ma il mondo intero. Ma questa volta è il proletariato – non la borghesia – a dare la soluzione all'umanità.

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[1] Prima del loro arrivo sulle rive del Mediterraneo, i Greci e i Latini, di ceppo ariano, erano divenuti pastori, come nota Engels ne l'Origine della famiglia, ecc., attraversando lo stadio patriarcale che prepara lo schiavismo nella produzione: "L'addomesticamento e l'allevamento, la formazione di vasti armenti sembra abbiano portato alla separazione di Ariani e Semiti dalle restanti masse di Barbari". Morgan a questo proposito precisa: "L'addomesticamento degli animali introdusse gradualmente un nuovo modo di vita, quello pastorale, nelle pianure della Mesopotamia e dell'India, e nelle steppe asiatiche: probabilmente fu in qualche punto dell'intersezione di queste aree che l'allevamento fu per la prima volta introdotto", cf. La società antica, cap. 2, IV, Alimentazione a base dì carne e latte.
[2] Morgan a proposito dice: "Nell'emisfero orientale l'addome-sticamento consentì, alle genti più frugali, previdenti e operose di assicurarsi un approvvigionamento continuo di cibo animale, latte compreso (sappiamo che i Greci mungevano pecore, mucche e capre, cf. Iliade, IV), l'influenza del quale fu salutare e corroborante per la razza e soprattutto per la crescita dei fanciulli. Non è avventato supporre che le famiglie ariana e semitica debbano le loro doti preminenti all'alto grado di identificazione che esse stabilirono con la conservazione numerica del bestiame, il che si verificava fintanto che è possibile risalire nella storia. Di fatto nessun gruppo umano ha a tal punto sviluppato i suoi legami con gli animali domestici; e gli ariani si spinsero a loro volta ancora più in là dei semiti" (ibid).
[3] Morgan spiega: "Una volta avvezzi alla vita pastorale, sarebbe stato impossibile sia per i semiti che per gli ariani ritornare coi loro greggi nelle aree forestali dell'Asia occidentale e dell'Europa, senza avere almeno prima imparato a coltivare alcuni dei cereali necessari al sostentamento del bestiame, nelle regioni a grande distanza dalle ricche praterie. È dunque estremamente probabile, come si è già detto, che la cerealicoltura abbia tratto origine dai bisogni degli animali domestici, anche in connessione con le grandi migrazioni verso occidente" (ibid.). - Sulla traccia di Mommsen, egli attinge le sue deduzioni dalla genesi delle lingue, unico mezzo sicuro per decifrare la storia prima di disporre di testi scritti. Si trovano gli stessi nomi di animali domestici nei molteplici dialetti della lingua ariana, ma non gli stessi nomi di cereali o di piante coltivate, e ciò dimostra che la scoperta e coltivazione dei cereali tra le famiglie ariane sono posteriori all'addomesticamento degli animali. "Mommsen, dopo aver mostrato che gli animali domestici avevano gli stessi nomi in sanscrito, greco e latino, prova così che queste nazioni li avevano conosciuti e addomesticati prima di separarsi" cf. Storia di Roma, citato da Morgan, p. 24.
[4] Nella società borghese, il barometro dei rapporti sociali è la posizione della donna, che misura il crescente schiavismo delle società di classe. Nell'antica società patriarcale, la maggioranza degli uomini e delle donne soffrivano, come schiavi, nel processo del lavoro, mentre nel capitalismo, il dispotismo di questo imbecille d'un maschio accresce questi tormenti. La donna e i bambini sono più che mai caduti in basso. L'Italia, dove fiorì lo schiavismo antico che ossessiona ancor oggi le sovrastrutture e i cervelli rincoglioniti, lo dimostra abbondantemente. Citiamo semplicemente un episodio che illustra una tenace e diffusa mentalità: Un certo Carbone uccise la moglie quando s'accorse che non era vergine, e la stessa sorte toccò alla sorella poiché era al corrente di tutto. Questo essere sensibile pianse d'emozione davanti al tribunale che l'assolse per la morte della moglie infliggendogli trenta mesi per quella dell'altra donna, non essendo essa sua diretta proprietà. La legge "fascista" del 1930 non sempre è abrogata. Si dice che gli italiani "vivono tra due mondi". È il capitalismo che non solo non supera le infamie del passato, ma le aggrava generalizzandole a tutte le sfere dei rapporti sociali, poiché è la società di classe più perfezionata.
[5] I rapporti della proprietà privata erano tuttavia sufficientemente sviluppati per far sì che l'appropriazione della parcella si avvicinasse per tutti i membri della comunità alla proprietà privata, e ciò accelererà in seguito l'espropriazione dei piccoli contadini rovinati, e dunque la concentrazione delle terre in grandi domini. A questo punto, la proprietà collettiva (ager publicus) era matura per divenire proprietà statale (dei patrizi). Tutto ciò implica uno sviluppo già relativamente elevato delle forze produttive e del mercantilismo. I Germani partirono dallo stesso dualismo di proprietà, ma si trovavano a un livello di sviluppo inferiore, ossia erano più distanti dalla proprietà privata (grande o piccola), dal mercantilismo e dallo Stato politico di classe dei Greci e Romani. La spiegazione si trova indubbiamente nel fatto che i Germani che emigravano vivevano alle frontiere dell'India ed erano organizzati in contadini-guerrieri.
Per fissarli nella zona che doveva essere difesa contro gli invasori, si attribuì loro una parcella di terra. Tale rapporto è una anticipazione, certo lontana ed embrionale, della forma feudale, in cui si muterà poi la variante germanica in contatto con quella antico-classica, poiché la funzione militare vi si trova già legata al possesso della terra, alla sua difesa. Anche perciò i Germani erano meno mercantili, il che a sua volta li predisponeva alla loro funzione nel feudalesimo, in cui, come classe dominante, la gerarchia germanica conclude un patto di accomandazione col contadino, fissandolo alla terra.
L'antico Egitto aveva già anticipato questo sistema – come indubbiamente anche l'India. Secondo Engels: "L'intero esercito formava una sorta di colonia militare legata alla terra, e a ogni uomo veniva concessa una larga parcella di terra come remunerazione dei suoi servizi. Questi coloni si trovavano il più delle volte nella zona inferiore del paese dove esisteva il pericolo di essere attaccati dai vicini Stati asiatici. Le colonie erano limitate all'Alto Nilo, poiché gli Etiopici non erano avversari temibili. Questo spiega come la forza dell'esercito si trovi nella fanteria (come a Roma e presso i germani dove i contadini rappresentavano la forza viva della nazione), e particolarmente negli arcieri", cf. L'Esercito, in The New American Cyclopaedia, vol. II II, 1858, p. 124. >
Le rivoluzioni in Asia non pervennero a spezzare l'egemonia della casta dei preti, che restano la fazione decisiva delle classi dominanti, donde l'ipertrofia della sfera intellettuale. La storia getta degli archi anticipatori al .di sopra delle epoche e delle forme di produzione, così come crea gli elementi di stagnazione e di conservazione del passato.
[6]
I  patrizi hanno progressivamente usurpato i domini pubblici che erano beni collettivi, appropriandosi un recente progresso – la formazione embrionale delle nazionalità sullo slancio della confederazione delle tribù in popoli, e successivamente della federazione dei popoli. In realtà, questi fatti sociali permisero un considerevole sviluppo delle forze produttive, poiché le marche o fasce di protezione (foreste, steppe, paludi, montagne, ecc.) che separavano il territorio di una tribù dall'altra, furono progressivamente colonizzate e incorporate nella sfera d'attività di una comunità in espansione. La forma schiavista, superiore al modo di produzione anteriore, s'estese nello stesso tempo a spese delle piccole parcelle dei membri della comunità. Questi due movimenti andarono di pari passo sfociando nella dissoluzione degli organi di sintesi della comunità arcaica e nella loro sostituzione con lo Stato di classe. Il progresso delle forze produttive ha incominciato col minare le forme troppo anguste delle tribù, quindi della federazione di tribù, e i patrizi hanno dovuto solo prendere la testa dopo aver rosicchiato e scalzato la base locale, divenendo la potenza economica più concentrata. Basandosi sullo sviluppo delle forze produttive, i patriarchi come i patrizi videro i loro dominii ingrandirsi parallelamente alla rovina delle piccole comunità tribali. Lo schiavismo andò di pari passo quindi alla formazione dei dominii dei padroni di armenti o di schiavi. L'accaparramento era tuttavia una forma mascherata e insidiosa, come lo stesso schiavismo fu latente, cioè domestico, finché rivestì una forma pastorale, il che presuppone precisamente grandi estensioni di terra. È evidente che lo schiavismo che fissa i produttori al suolo consentendo uno sfruttamento agricolo o minerario ecc. più stabile dell'attività pastorale nomade, doveva immancabilmente soppiantare il patriarcato che rimaneva legato a forme più limitate e più anguste ed era inoltre gran dissipatore di terre. La sua debolezza era sia militare (poiché l'unità produttiva era troppo piccola per organizzare la difesa contro le compatte ondate dei popoli migratori) che economica (poiché l'agricoltura è finalmente più produttiva del solo allevamento). Questo bastò ad eliminare lo schiavismo domestico laddove trovava le condizioni per svilupparsi in aperto schiavismo che rovinò la serena, ma ipocrita figura del patriarca.
[7] Cf. Marx, Tesi di dottorato sulla differenza tra la filosofia della Natura di Democratico e Epicuro, parte I, Argomento della trattazione. Marx indica – e questo ci chiarisce il senso e la portata che hanno le sovrastrutture in rapporto ai fatti fondamentali dell'economia – che l'epicureismo, lo stoicismo e lo scetticismo sono le matrici dello spirito romano, la forma sotto la quale la Grecia è emigrata a Roma.
[8] Poiché ci sforzeremo soprattutto di spiegare i rapporti del meccanismo sociale, tralasceremo le  parti descrittive,  quali  quelle  delle  prime pagine de l'Origine della famiglia, ecc. che classificano i diversi stadi dello stato selvaggio, poi della barbarie, ed infine della civiltà, insistendo sulla natura degli strumenti e dei prodotti volta a volta creati.
[9] Nello Schema sinottico annesso, le due prime caselle orizzontali introducono ciascun modo di produzione e di società, indicandone livello tecnologico e condizioni preliminari alla produzione, cioè la base. Esse determinano infatti il luogo e l'importanza di tutte le altre strutture (caselle) e danno la tonalità generale in cui sono immerse.

[10] La disgregazione dell'unità familiare iniziale che fondava la comunità della forma primaria di produzione, ci rivela il segreto della forma familiare attuale in stato di avanzata dissoluzione e putrefazione. Marx ne ha dedotto la formula del Manifesto dell'abolizione della famiglia che "si basa sul capitale e sull'appropriazione privata", la pretesa "dolcezza dei legami tra genitori e figli" non essendo che una mistificazione, poiché gli esseri umani sono oggetti di commercio e la famiglia la prima forma di schiavismo.

[11] Cf. Marx, Grundrisse, Introduzione.
È questa migrazione da un campo all'altro del parallelogramma delle forze sociali che ha determinato la differenza, poi l'opposizione crescente tra le sfere sovrastrutturali e la base economica, capovolgendo il significato di ciascuna di esse e introducendo dunque la mistificazione, poiché da una forma all'altra ciascuna struttura – la razza o la famiglia, per esempio – cambia d'abito, di rapporti, pur restando un fatto oggettivo. Marr ne dà un esempio particolarmente significativo a proposito della lingua, che – come mezzo di comunicazione – è, prescindendo da alcuni sovraccarichi ideologici, una forza produttiva della base economica, sì che esso vale anche, mutatis mutandis, per il campo dei rapporti sociali: "Nel processo di evoluzione, il momento formale e ideologico di questi quattro elementi migra a balzi in verticale e in orizzontale, sviluppandosi a ciascuna mutazione mediante l'unità dei contrari ... Il cambiamento non si produce solo in due sezioni relative alla tecnica, ma anche in due sezioni, ideologica e formale. Infatti al momento del processo di evoluzione, il discorso ha traversato una serie di stadi che hanno modificato l'ideologia, la messa in forma e la tecnica in ogni sezione, fino ad ottenere i divarii per opposizione. Inoltre, ad ogni stadio, l'azione della sovrastruttura sulla base materiale reagisce di ritorno per modificarla. Ora, più uno stadio è prossimo a noi, più i quattro elementi linguistici son riusciti a modificarsi quantitativamente e qualitativamente", cf. La langue et la modernité, 1932.
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