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Elementi e complementi . (appunti II.1) |
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Il granello di sabbia
Immaginiamo, ad esempio, di visitare una pinacoteca che raccoglie dipinti di ogni secolo e ad un certo punto del percorso d’improvviso troviamo appesa sulla parete una tela dipinta interamente con un unico colore.
Potrebbe trattarsi anche di un insignificante riquadro ornamentale.
Ma la targhetta di fianco con sopra il nome dell’autore e la data d’esecuzione, ci informa che siamo ancora in presenza di un’opera di pittura, e come tale contrassegnata come ogni altra della grande pinacoteca …
Non ci informa però sul come la pittura sia potuta arrivare a tanto; ad una superficie non punteggiata di singolarità, priva di informazioni sullo spazio pittorico, come sarebbe privo di informazioni sul tempo un orologio cieco costituito da una unica lancetta che ruotasse su un quadrante senza alcuno sfondo… Cosa pensarne, dunque!...
Come nel nostro esempio, anche lo storico dell’arte Heinrich Wölfflin deve essersi trovato a visitare la pinacoteca del Louvre prima della nuova sistemazione, e così ha potuto scorgere più agevolmente una qualità che differenziava la Gioconda da tutti gli altri dipinti di epoche sia precedenti che successive all’opera di Leonardo.
- La conclusione è questa: nel Salon Carrè del Louvre, dov’era prima la Gioconda, tutti gli altri quadri, persino quelli del secolo decimosettimo, sembrano privi di rilievo al suo confronto (oggi il quadro si trova nella grande Galleria del Louvre insieme ad altre opere del maestro)…
Vi sono quindi dipinti privi di rilievo, e dipinti che si risolvono nel rilievo… – Meglio separarli, avrà deciso poi qualche fine conservatore del Museo per evitare ai visitatori quell’esperienza dinamica di Wölfflin.
- …Leonardo chiamava il modellato l’anima della pittura. Il quadro della Gioconda può illuminare come nessun altro il significato di questa sua definizione. Le delicate e varie curve della superficie assumono una vibrazione singolare, come se venisse sfiorata da una mano misteriosa. L’attenzione è sempre diretta verso la molteplicità, non ancora verso l’unità…[1]
Se il chiaroscuro è l’anima della pittura, allora la superficie dev’essere il corpo della pittura…
- Leonardo era molto sensibile alla bellezza del corpo femminile. Si potrebbe dire che egli abbia “sentito” la morbidezza della pelle. Gli artisti fiorentini suoi contemporanei trattano anch’essi il nudo femminile, ma manca loro questo dono. Anche in quelli he sono stati soprattutto pittori… l’interesse per la forma è superiore a quello per la qualità delle sue superfici.[2]
Quindi, “volgere l’attenzione” per l’unità sensibile del corpo animato, equivarrebbe a “sentire” la pura “morbidezza della pelle” del corpo della pittura … avere interesse per la “qualità delle sue superfici”… per le singolari vibrazioni delle basse energie laminari di colori stesi da una misteriosa mano uniforme, che la sfiora appena, indifferente verso ogni altra molteplicità che il tatto non può sentire… E tale doveva essere la qualità della pelle del corpo femminile d’una sua Leda…[3]
Interrompiamo però la deriva delle nostre osservazioni al riguardo della superficie per notare che solitamente le descrizioni delle opere di pittura nelle storie dell’arte sono in realtà soprattutto descrizioni di figure umane che “agiscono” come attori in una o più scene di un qualche racconto, più o meno già noto alla comunità.
- Insieme alla Madonna Sistina di Raffaello, il Cenacolo di Leonardo è il dipinto più popolare di tutta l’arte italiana. E’ così semplice ed espressivo che s’imprime nella memoria di tutti: Cristo al centro di una lunga tavola, i discepoli disposti simmetricamente ai due lati. Egli dice: «Uno di voi mi tradirà!». E queste parole inattese sconvolgono tutti i presenti. Gesù soltanto rimane tranquillo, chinando lo sguardo, e il suo silenzio è una conferma: sì, non vi è dubbio, uno di voi mi tradirà. Sembra che questo evento non possa esser stato mai narrato in altro modo; eppure tutto è nuovo nel quadro di Leonardo e proprio la semplicità rivela che la perfezione dell’arte è stata raggiunta… E che gruppi! Che movimento! Come un fulmine a ciel sereno è caduta la parola del Signore. Un turbine di sentimenti si leva d’intorno. Gli apostoli non perdono la loro dignità, ma si atteggiano come uomini a cui si voglia togliere la cosa più sacra. Numerosi e potenti mezzi d’espressione, del tutto nuovi, si presentano qui per la prima volta nella storia dell’arte… [4]
Così, una qualità propriamente pittorica come l’effetto di “rilievo” del chiaroscuro o altre qualità dell’ordine della pittura, vengono combinate con descrizioni di gestualità ed espressioni di stati d’animo, le quali appartengono però ad altri ordini delle cose. I nuovi “mezzi espressivi” della pittura si confondono con le espressioni dei sentimenti umani, o con diversi oggetti “intermediari” che la rendono possibile (e l’hanno resa storicamente concreta) [5]… – Ma quello che possiamo giudicare ora come un modo insoddisfacente di descrivere e spiegare l’opera d’arte non lo è affatto quando a prevalere è ancora un tradizionale paradigma conoscitivo basato sull’esperienza umana sensibile del mondo esterno dal quale consegue l’antropomorfismo, ossia a quel particolare schema di percezione fisionomica che porta a leggere in ogni cosa caratteristiche umane...[6]
Doveva allora accadere qualcosa che liberasse l’arte dalla figura umana, e la figura umana dalla vitalità, che sempre potentemente la rievoca.[7]
… Ed ecco che appare dunque un’opera di pittura priva di oggetti intermediari, risolta e percepita come una semplice superficie dipinta uniformemente con un singolo colore…
– E’ forse questa l’Immacolata Concezione?
– E’ forse questa la dura perla nell’ostrica di Gombrich?...
E’ il 1912. Si invocava lo spirito, ed ecco si presenta la materia: il duro granello di sabbia dell’ostrica…[8]
- In tal modo si scopre la banale verità che quanto più grande è l’oggetto, tanto più liberamente si può intervenire sul dettaglio, e che quanto più piccolo è l’oggetto, tanto più pericolosi diventano i mutamenti del baricentro…[9]
A qualcuno di noi è sembrato che il mutamento che ha dato alla pittura moderna questa possibilità di presentarsi con il proprio sé per sé fosse già in qualche modo anticipato dalla trattazione hegeliana della dissoluzione della forma d’arte romantica :
- Ma nella collocazione che noi abbiamo dovuto assegnare all’arte nel corso del suo sviluppo, l’intero rapporto si è completamente mutato. Tuttavia non dobbiamo considerare ciò come una semplice disgrazia accidentale da cui l’arte sia stata colpita dall’esterno per la miseria dei tempi, il senso prosaico, la mancanza di interesse ecc. Si tratta invece dell’effetto e del progredire dell’arte stessa che, portando ad intuizione oggettiva la materia in lei immanente, contribuisce, man mano che progredisce per questa via, a liberare se stessa dal contenuto rappresentato. Quando per mezzo dell’arte o del pensiero, qualcosa ci sta dinanzi sensibilmente o spiritualmente, in modo così completo che il contenuto è esaurito, tutto è venuto fuori e non rimane più nulla di oscuro ed interno, l’interesse assoluto per tale oggetto sparisce. L’interesse, infatti c’è solo quando vi è un’attività fresca. Lo spirito si affatica si affatica intorno agli oggetti solo finché resta in essi qualcosa di segreto, di non rivelato, e le cose stanno così finché la materia è identica con noi, Ma l’arte ha rivelato da tutti i lati le concezioni essenziali del mondo contenute nel suo concetto e la cerchia del concetto che ad essa appartiene, essa si è liberta di questo contenuto che è di volta in volta determinato per un popolo ed un’epoca particolari; ed il vero bisogno di raccoglierlo si ridesta esclusivamente a quello di volgersi contro il contenuto che era finora unicamente valido…[10]
Non staremo qui ad essere presi al laccio filosofico dell’interpretazione dell’interprete ma, dato che a noi interessa seguire la direzione di sviluppo nel tempo delle trasformazioni sistemiche, ci basta vedere qui l’emersione di una necessità della pittura (qualunque sia) a “liberare sé stessa dal contenuto (finora) rappresentato” (qualunque questo contenuto possa essere) volgendoglisi contro – ossia: negandolo attivamente (con forza o violenza) una volta che tale contenuto è completamente esaurito da non corrispondere più al contenuto nuovo…
Il quadro e la sedia
Ci eravamo appena fatta un’idea della pittura, quand’ecco un oggetto che di quell’idea conserva solo il contorno regolare che delimita l’estensione del quadro; con proprio null’altro che lo strato di vernice di un colore così tenue che a malapena lo distacca dalla parete su cui è appeso… Decisamente sembra esserci qui troppo poco per associarlo alle opere d’arte della pittura per come si erano viste realizzate nei secoli, percorrendo uno dopo l’altro i saloni della pinacoteca.
Quello che subito potrebbe vacillare sarebbe la nostra sicurezza nel saper riconoscere un’opera d’arte di pittura da un pannello messo lì per ornamento, o distinguerla da tutti gli altri disparati oggetti d’arredo presenti anche loro nei saloni della pinacoteca del principale museo del paese [11]...
Si tratta di una capacità cerebrale che si estende su tutti gli eventi e oggetti che popolano l’intero mondo spazio-temporale nel quale siamo immersi. Ora, se per semplificare eliminiamo ogni altra gerarchia di valore, diciamo subito che tutti questi eventi e oggetti possiamo differenziarli e raccoglierli tra quelli naturali e quelli variamente “manipolati” o prodotti dall’uomo. – Non è certo per lo stesso tipo di ‘manipolazione’ fine che intendeva la Stengers (cfr. nota 22), ma sembra che qualunque oggetto che interroghiamo non possa tacere.
Di solito diciamo che l’uomo produce sempre per uno scopo prefissato.[12]
Tra i vari processi lavorativi (materiali e immateriali) che portano alla realizzazione di uno scopo prefissato, includiamo anche quello che ancora oggi si continua a chiamare artistico – si tratterà poi di capire, o tentare di capire, quale possa essere lo specifico scopo di questo particolare produrre.
Tra l’insieme generale di tutti gli oggetti prodotti dal lavoro umano quelli con cui noi vogliamo avere a che fare è dunque quell’insieme di oggetti particolari che facilmente troviamo raccolti, classificati e descritti nelle storie illustrate dell’arte o raccolte in un museo.
Nell’insieme di cose raccolte nella categoria dell’Arte (solitamente architetture, pitture, sculture) vediamo che c'è una incredibile varietà di produzioni che vanno dalle pitture sulle pareti naturali delle caverne ai cartelloni della pubblicità che vediamo affissi nelle strade.
E bene fa Gombrich ad iniziare la sua narrazione avvicinando subito chi tracciò il bisonte sulla parete di roccia con terre colorate trovate sul fondo della caverna a chi oggi i colori se li compera per produrre messaggi commerciali da affiggere su muri delle città o dipingere sui cristalli delle vetrine.
Benché realizzate di volta in volta per mezzo di tutte tecnologie visuali disponibili in ogni epoca, le immagini pur di perseguire i loro propri scopi si sono fatte sempre più incalzanti, ed oggi ci inseguono e raggiungono facilmente fin dentro il chiuso delle nostre stanze. Quale sia poi il loro particolare scopo e quello dell’arte in generale, al momento non ci interessa. Ma quello che qui ci interessa è far notare che qualcuno, non importa chi, realizza immagini per conseguire un determinato scopo – sia questo la gloria dell’artista italiano del Rinascimento, come sostenuto da Burckhardt, e sia pure il conto in banca, come si compiace dichiarare qualche impertinente artista contemporaneo.
Si è detto che l’arte va annoverata tra i mezzi di comunicazione.
Ne siamo coscienti o meno, comunichiamo per uno scopo – qualunque esso sia – che prevede la possibilità di una qualsiasi reazione da parte di chi riceve la comunicazione – chiunque esso sia [13] e comunque la accogliesse: nell’attenzione (per dargli un seguito o ignorarla) o nell’indifferenza (tuttavia percependola nella disattenzione) [14].
E’ alla luce di questo semplice criterio di comunicazione per uno scopo, che è possibile includere nella produzione cosiddetta artistica anche il manifesto pubblicitario, il quale appunto mostra simultaneamente con l’immagine anche lo scopo dell’immagine – o, almeno, quell’unico scopo da cui ci si aspetta un’unica risposta; ed è come dire che trasmette un comando: compra-mi…
E’ un’osservazione banale, che ci aiuta però ad illustrare un complesso di cose.
In primo luogo, che ll raggiungimento dello scopo del comunicare richiede che il messaggio sia almeno significativo e soprattutto "chiaro" per il destinatario. E' un carattere più efficace che efficiente, che piace richiedere anche a noi, ma non è sempre facile da raggiungere. Roman Jakobson, in un convegno di antropologi e linguisti del 1953, si è espresso in tal modo:
- Parlando a un nuovo interlocutore, ciascuno cerca sempre, deliberatamente o involontariamente, di convergere su di un vocabolario comune: sia per compiacenza, sia semplicemente per essere compreso, sia, infine, per metterlo in evidenza, ci si serve dei termini del destinatario. La proprietà privata non esiste nel linguaggio: tutto è sociale. Lo scambio verbale, come ogni forma di relazione umana, richiede almeno due interlocutori...
La "chiarezza" nella comunicazione, con un "nuovo interlocutore" o con "nuovi contenuti" su cui interloquire, è pericolosamente incline a svolgere l'azione dissimulata di un dispositivo omeostatico, equilibratore, conservativo del linguaggio, che, come ogni forma, tende a mantenere inalterata anche la configurazione dei significati finora cresciuti e pasciuti dal linguaggio comune.
In secondo luogo, che produzione e comunicazione hanno entrambi uno scopo, e che produzione è comunicazione come ogni comunicazione è produzione; e questo vale per ogni oggetto realizzato da ogni qualsiasi processo produttivo dell’industria dell’uomo, dal primo raschiatoio neolitico all’ultima sonda spaziale lanciata nello spazio siderale.
In terzo luogo, che alla formulazione “semplificatrice” di questo carattere (produzione per uno scopo), da sempre presente nel lavoro dell’uomo, l’arte vi perviene però solo recentemente; e solo allorché questo carattere (comunicazione-per-uno-scopo) compare nella forma concreta più sviluppata (il manifesto pubblicitario) per esprimersi nei modi tradizionali dell’opera d’arte (e per capirci non c’è bisogno di ricordare Toulouse-Loutrec o Warhol… c'è solo bisogno di stare accorti: l’illustratore Norman Rockwell, il pittore Jackson Pollock o l’attore Charlie Chaplin sono grandi artisti, molti grandi artisti di grido sono solo grandi illustratori, decoratori, intrattenitori…).
Ma qui, intanto, osserviamo che lo scopo è ancora posto fuori dall’immagine, che si fa mezzo dello scopo – sia quando l’immagine che "mette in raffigura" è una sacra natività da venerare, sia quando rappresenta una merce da comprare – e non ancora lo scopo è posto dentro l’immagine stessa (che ne farebbe uno scopo in sé e per sé); ed osserviamo pure che in questo fuori dall’immagine non vi è uno scopo ma degli scopi… che si trovano avviluppati nell’immagine così come nella merce si trovano avviluppati gli scopi economici e sociali che la producono in quanto merce…
Sono osservazioni, le nostre, che risentono pesantemente dell’eco di parole ben più circostanziate, e magari anche stampate nella vostra memoria, ma che non è inutile richiamare :
- La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato in tutto il suo significato, ecc.. L'anatomia dell'uomo fornisce una chiave per l'anatomia della scimmia. Invece ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L'economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc.[15]
Può sembrare, come a noi stessi sembra, che malgrado il soccorso appena ricevuto ci stiamo comunque aggirando tra luoghi comuni. Ma soffermarci su dei fatti banali, come il manifesto commerciale e il suo scopo, per osservarli alla luce di un enunciato così generico da apparire ovvio, può non risultare del tutto sterile.
Non dice appunto Feuerbach che, per comprendere un quadro, ci vuole una sedia?
Così è pure accaduto che il nostro indugiare sulla storia di Gombrich ci ha portato a fantasticare che se lo storico fosse vissuto qualche anno in più non avrebbe potuto evitare di concludere la sua narrazione con la Pop Art ed Andy Wharol invece che con Pollock[16].
E’ bastato però un rapido controllo sul testo per renderci conto dell’inconsistenza della nostra fantasia – sicuramente scaturita dal fatto che fin dall’inizio lui stesso aveva raccolto l’arte in una gamma estesa dai grafismi dell’uomo primitivo al moderno manifesto commerciale.
Ci accorgiamo, infatti, che dal suo “mondo dell’arte” del 1952 non mancano soltanto i troppo recenti protagonisti della Pop Art (che appunto hanno iniziato a far parlare l’arte e l’artista con le stesse voci del manifesto pubblicitario, la distribuzione e consumo delle merci e dell’organizzazione commerciale), ma anche il suprematismo russo o il movimento Dada e artisti piuttosto conosciuti, come Malevich [17] e Rodcenko, oltre che Picabia e Duchamp (che già da un quarantennio avevano innestato l’arte e l’artista con l’anima della macchina e dell’impresa industriale, produttrici di merci… e del manifesto commerciale) [18]. Allora, a mancare, o a non essere stata compresa in questa storia, è un’intera linea evolutiva dell’arte moderna, che solo qualche anno dopo avrà un’influenza rimarchevole sull’arte posteriore alla seconda guerra mondiale…
Non ci interessa svolgere una critica alla storia redatta da Gombrich, notevole sotto molti punti di vista. Quello che dall’episodio vogliamo ricavare è la considerazione che in un messaggio – che è sempre un testo – anche l’assenza di informazione è anch’essa informazione che, come ogni altra informazione, richiede una reazione, qualunque essa sia. E difatti la nostra la reazione a queste particolari mancanze nel testo è stata quella di interpretarle come informazioni aderenti ad un ordine paradigmatico diverso dal paradigma artistico che governava il lavoro di Gombrich [19].
Ecco dunque come la mancanza di informazione ha prodotto nuova informazione (intesa come conoscenza, buona o cattiva al momento non importa) che consente una revisione e risistemazione degli schemi e dei codici di riferimento precedenti, dei giudizi, ecc.
Sulla scia dell’osservazione che in un testo può esserci informazione anche quando manca, ci chiediamo se esistono pure informazioni e comunicazioni senza scopo. E pensiamo all’impronta di un assassino poco accorto, alla curiosa forma di una stalattite, ad un fossile emerso alla luce durante uno scavo, ad un meteorite caduto dal cielo o all’effetto visivo di una conformazione geologica di Marte.
Sono indubbiamente tutti messaggi visivi, iconici e tattili, certamente ricchi di informazione benché privi di un proprio scopo da perseguire.
Ma neppure lo scopo della perla di Gombrich è lo stesso per l’ostrica e per l’uomo…
Ed ecco che possiamo inoltre comprendere come il significato non risiede tanto nel messaggio ma in chi lo riceve… che prende a svolgere le informazioni del messaggio e il messaggio stesso dal viluppo dei molti scopi in cui si trova avvolto… e dei suoi altrettanto imprevisti significati.
Sembrerebbe proprio che qualunque oggetto che interroghiamo non sappia tacere neppure sui propri scopi… “Se le merci potessero parlare direbbero di sé…”, fantastica Marx facendole parlare delle loro intenzioni nel rapporto con gli uomini…
Non ricordava appunto Klee che, per comprendere un quadro, ci vuole una sedia? E ci vorrà pure una lampada potente...
Attorno a tutte queste faccende di messaggi e significati potremmo continuare a porci infinite domande, alle quali possono rispondere però le varie teorie del linguaggio, dell’informazione o della cibernetica, mentre a noi basta aver scosso un poco la fiducia verso certe evidenze comuni, e fermarci qui.[20]
La sedia e la perla
Nonostante che nell’arco dell’intero percorso dell’umanità gli ultimi due secoli rappresentano un segmento quantitativamente trascurabile, il manifesto novecentesco sembra averci offerto la forma visibile di un criterio astratto che mette la produzione artistica al passo di ogni altra produzione materiale, e consente di poter studiare le forme del suo sviluppo in connessione (non certo meccanica [21]) con lo sviluppo storico di ogni altra branca della produzione materiale.
E’ una unificazione che non porta però ad una semplificazione nella comprensione del fenomeno artistico o genericamente iconico, dato che con quest’ultimo siamo probabilmente alla base del formarsi del linguaggio e dei codici della comunicazione interumana, il cui funzionamento ha meccanismi complicatissimi, ancora non del tutto conosciuti.
Per trattare della storia dell’arte, ad esempio, occorre correlare e confrontare tra loro una tale vastità di documenti colmi di informazione con i quali sarebbe arduo costruire una narrazione conseguenziale senza avere, oltre la troppo ovvia direttrice temporale, anche criteri selettivi e valutativi per la scelta dei documenti. E’ facile comprendere che nella formazione di questi criteri una parte notevole viene svolta dalle ideologie e dai paradigmi che li governano – e abbiamo già visto praticamente come una determinata idea dell’arte può avere difficoltà ad accogliere alcune opere, e al contrario un’altra potrebbe infilarcene alcune con troppa leggerezza.
Ma c’è di peggio che nel far torto a qualcuno o a qualcosa; ed è quando nel descrivere l’arte e le società del passato vengono adottate categorie della società presente, coprendo i millenni con il velo di un capitalismo da sempre presente, e pertanto eterno…
Non si tratta di ristabilire le verità storiche di una raccolta di aneddoti, di accertare datazioni, o carpire al tempo sentimenti estetici svaniti per sempre allo scadere dei secoli.
“Tutti sappiamo come la scultura sia l’iscrizione del tempo nella materia”, nota il fisico e chimico Ilya Prigogine a proposito delle stele dei Maya, di quella di Ammurabi o delle cupole dell’uomo di Neanderthal: “in tutti questi casi, a ogni livello – precisa –, siamo in presenza dell’iscrizione del tempo, dell’iscrizione della nostra rottura di simmetria nella materia che ci circonda”.
C’è dunque una rottura come iscrizione del tempo dell’uomo nella materia; rottura e iscrizione valida tanto per la scultura quanto per la pittura, l’architettura, o la musica, quanto per ogni altro prodotto dell’industria dell’uomo, i finanche per le forme storiche della produzione... Potrebbe essere già questo un buon punto di partenza per trattare dell’arte e dei suoi oggetti con un orientamento non troppo compromesso con le evidenze consolidate dei luoghi più o meno comuni; se non fosse però un criterio troppo estensibile, che porrebbe l’osservatore di fronte ad una realtà caotica, intrattabile con le sue risorse tradizionali, teoriche e tecniche.
Ma se la complessità pone nuovi problemi è perché già sono pronte le condizione per risolverli.
- Siamo oggi in presenza di nuovi concetti che dipendono dalla struttura a regioni e che sostituiscono i concetti puntiformi della dinamica classica tradizionale. Uno dei concetti più importanti è la nozione di punto interno. Parliamone in maniera qualitativa. Quando pongo una goccia di inchiostro in un bicchiere posso risalire all’istante in cui ho versato la goccia grazie alla forma presa dalla goccia, alla sua topologia. E’ guardando alla struttura geometrica che posso pure dare un senso al tempo interno che misura il periodo trascorso dal momento in cui ho messo la goccia nell’acqua. Il tempo interno è un tempo estremamente differente dal tempo dell’orologio, è un tempo globale, un tempo che non si riferisce a un punto bensì alla struttura geometrica dell’inchiostro nel bicchiere d’acqua. E’ un po’ come il problema che avrei se volessi guardare una persona e indovinarne l’età. L’età non è una proprietà che dipende dai capelli, dallo sguardo o dalla pelle; è una proprietà globale dell’essere umano nel suo insieme. La visione classica è invece una visione per punti . Ma quando conosco una regione non conosco il punto, e quando conosco il punto non so a quale regione appartiene. Si dà in fondo una complementarità fra le due descrizioni. [22]
Sembrerebbe proprio che come dalla goccia d’inchiostro anche dalla perla di Gombrich è possibile risalire, grazie alla sua forma perfetta, all’istante in cui il rozzo granello di sabbia è entrato nell’ostrica; che dalla “topologia” di un’opera d’arte si possa risalire al processo e alla materia di cui è informata… ma bisogna conoscere anche la “regione” a cui essa appartiene, e integrare il tutto per poter dire di conoscerla a sufficienza…
Non staremo adesso qui a tentare di trovare i corrispettivi analoghi che certi nuovi concetti scientifici (ad es. topologia e regione) possono trovare nel campo dell’arte, ma crediamo possibile che un tale orientamento dell’immaginazione aiuterebbe a sbarazzarci dei residui di superati paradigmi artistici.
Pensiamo ad esempio cosa potrebbe fare la teoria degli attrattori mutuata nello studio della storia dell’arte [23]; e le suggestioni provocate dall’avvicinamento dell’ambiente artistico con i più recenti concetti scientifici hanno già modificato sensibilmente l’orientamento degli studiosi, la pratica degli artisti e del pubblico, ne siano coscienti o no. [24]
E’ questo un effetto rintracciabile anche in Gombrich, sebbene rovesciato a testa in giù per attribuire alla volontà dell’artista l'esclusivo primato della creazione.
- Gli architetti moderni, eliminando tutte le decorazioni, troncarono effettivamente i rapporti con la tradizione plurisecolare. Tutto un sistema di “ordini” fittizi, di falsi stucchi, svolazzi e pilastri furono tolti di mezzo. Quando la gente vide per la prima volta queste case le trovò insopportabilmente nude. Ma già a pochi anni di distanza ci siamo tutti abituati al loro aspetto e abbiamo imparato e godere i contorni netti e le forme semplici degli stili dell’ingegneria moderna. Dobbiamo questa rivoluzione del gusto a pochi pionieri, i cui primi esperimenti nell’uso dei moderni materiali da costruzione furono spesso salutati dal generale dileggio e duramente avversati.[25] – >
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Il lavoro di Piero della Francesca
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Ci sarebbe da chiedersi se può darsi una storia complessa dell’arte [26] da parte di una società che neppure conosce sé stessa e il proprio funzionamento.
E’ più probabile che la si potrà ottenere da una società che oltre a conoscere ha pure il controllo di sé stessa; ossia in una società finalmente storica, dove, concluso il ciclo delle rivoluzioni preistoriche e sbarazzata la vista da ogni modello preliminare, si potrà vedere come anche l’arte con quanta chiarezza ha inscritto, sulla freccia irreversibile del tempo della materia, le vicende e la dinamica stessa delle forme organizzative della specie umana ...
Per quanto possa definirsi semplice la formula dell’immagine prodotta come comunicazione per uno scopo, dalla quale siamo partiti e sulla quale ci siamo attardati, la complessità che già costituisce ognuno dei suoi due termini, comunicazione e scopo, si incrementa esponenzialmente quando poi si trovano uniti in una unica formulazione che, pur imprimendo una data direzione diviene ancor più aleatoria, poiché bisognerebbe quantomeno seguire assieme, nel trasporto materiale del messaggio (comunicazione), sia la volizione del compilatore il messaggio (l’artefice - quando c’è e se ne conosce il nome) sia quella del messaggio stesso (l’artefatto - o l’opera d’arte); che magari giunge da lontananze temporali e spaziali portandosi dietro una sua palpitante nebulosa di scopi, non tutti perseguiti, non tutti previsti, non tutti visibili immediatamente (per non contare allusioni, le ridondanze, i rumori di trasmissione ed altro), e mettere infine sotto l’occhio o l’orecchio del ricettore (chiunque esso sia) un contenuto equivoco, equivocabile e addirittura enigmatico... forse tanto quanto questo nostro stesso parlarne…
E’ facile percepire i volteggi di una cordicella appesa al vento, più difficoltoso sarà seguire separatamente quelli di due cordicelle, ma già con tre cordicelle iniziamo a non percepire distintamente neppure le cordicelle tra loro. Come oramai sappiamo tutti che esistono molti spazi che non percepiamo, così pure comprendiamo l’esistenza di molti scopi che non prevediamo.
Considerazioni di questo tipo non devono affatto scoraggiare; una nebulosa di scopi palpitanti è anche una nebulosa di significati palpitanti, decifrabili e valutabili con codici e parametri buoni per ogni tipo di scopo perseguibile da chi è destinato a ricevere il messaggio, o da quanti, per caso, lo intercettano. Tuttavia, della portata reale del messaggio e del suo scopo a decidere è sempre il futuro – che non gioca ai dadi.
- Si perseguono e si condannano i cospiratori politici soltanto quando il loro colpo fallisce; in caso di successo, i cospiratori stessi si erigono ad accusatori e giudici.[27]
Anche per questo non gettiamo via nulla, e neppure la storia dell’arte di Gombrich che si è mostrata utile per comprendere molte cose anche rappresentando forse l’ultima storia dell’arte compilata prima che l’arte entrasse nell’attuale inferno della complessità [28] – dove invece adesso ci troviamo noi pasticcioni con il nostro racconto sull’arte e il suo particolare scopo – qualunque esso sia [29]…
La lingua, il lavoro, e il lavoro della lingua
- Vediamo dunque che tutto quello che prima ci ha detto l’analisi del valore della merce ce lo dice ora la tela stessa, appena entra in comunicazione con un’altra merce, l’abito. Solo che essa ci rivela i suoi pensieri nell’unico linguaggio che le sia accessibile, il linguaggio delle merci. (Marx, Il Capitale, Libro I, sez.1, cap.1, Editori Riuniti 1970, pag.65)
A pagina 87 del medesimo libro appena citato, troviamo un brano che quantomeno dovrebbe aiutarci a non abbandonarsi all’illusione di una completa chiarezza da raggiungere facilmente nella comprensione e descrizione della realtà anche la più immediata ed elementare come la tela di un abito … o di un quadro dipinto.
- “Gli uomini dunque riferiscono l’uno all’altro i prodotti del lavoro come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo. Viceversa. Gli uomini equiparano l’un con l’altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l’uno con l’altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno [ nota: Quindi, quando Galiani dice: Il valore è un rapporto fra persone - “La ricchezza è una ragione fra due persone” – avrebbe dovuto aggiungere: rapporto celato nel guscio di un rapporto fra le cose]. Quindi il valore non porta scritto in fronte quel che è. Anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale. In seguito, gli uomini cercano di decifrare l’arcano del loro proprio prodotto sociale, poiché la determinazione degli oggetti d’uso come valori è loro prodotto sociale quanto il linguaggio.”
La lingua fonica o iconica di cui disponiamo come una proprietà privata è un presupposto già bell'e fatto del nostro modo di essere umani e come tale è lei che ci tiene e ci fa parlare pensieri già fatti, confezionati prêt-à-porter per ricoprire la pigrizia con la marsina del risparmio energetico… Inoltre, la trasformazione di ogni cosa in geroglifico sociale e il sociale in arcano, mantiene al mondo tutte quelle stupidità primitive che continuano ad aureolare di sublimi sacralità tanto le merci che le opere d’arte...
Sembra proprio che “un eterno anatema – sostiene Cassirer – sia stato gettato sul linguaggio; fatalmente tutto ciò che esso ci mostra, insieme lo nasconde; nel suo sforzo di rendere cosciente e manifesta la natura delle cose, per afferrarla nella sua essenza, necessariamente la deforma e l’altera”. Non senza ragione Bordiga aveva più volte avanzato tra i compagni la necessità abbandonare termini vecchi, abusati o non più conformi, per usarne altri aderenti agli sviluppi attuali della realtà e della dottrina.
Anche nei Grundrisse troviamo altri enunciati concernenti la lingua, a dimostrazione del fatto che il pensiero sul linguaggio è per Marx un tema troppo ricorsivo nei suoi scritti per relegarlo alla limitata funzione dell'ad-esempio...
- ... L'individuo è semplicemente in rapporto con le condizioni oggettive del lavoro come condizioni sue; è in rapporto con esse in quanto natura inorganica della sua soggettività, in cui questa realizza se stessa; la principale condizione oggettiva del lavoro non si presenta essa stessa come prodotto del lavoro, ma esiste già come natura; da una parte l'individuo vivente, dall'altra la terra come condizione oggettiva della sua riproduzione; 2) ma questo rapporto col territorio, con la terra, come proprietà dell'individuo che lavora – che pertanto sin dall'inizio non si presenta come mero individuo che lavora, in questa astrazione, bensì come un individuo che nella proprietà della terra ha un modo oggettivo di esistenza che è presupposto alla sua attività e non un suo mero risultato, ed è un presupposto della sua attività così come lo è la sua pelle, i suoi organi sensori, che egli certamente riproduce anche e sviluppa, ecc., nel processo vitale, ma che dal canto suo sono presupposti a questo processo riproduttivo – è subito mediato dall'esistenza naturale, storicamente più o meno sviluppata e modificata, dell'individuo come membro di una comunità. dalla sua esistenza naturale come membro di una tribù, ecc. Un individuo isolato potrebbe avere tanto poco la proprietà della terra quanto potrebbe parlare. Tutt'al più potrebbe trarre da essa le sostanze di cui nutrirsi, come fanno gli animali. (384-85)
- ... La sua proprietà, cioè il rapporto con i presupposti naturali della sua produzione, in quanto gli appartengono, in quanto sono suoi, è mediata dal fatto che egli stesso è membro naturale di una comunità... Per ciò che riguarda il singolo è ad esempio chiaro che persino con la lingua in quanto sua propria lingua egli è in rapporto solo quale membro naturale di una collettività umana. La lingua come prodotto di un singolo individuo è un assurdo. Ma altrettanto lo è la proprietà. La lingua stessa è tanto il prodotto di una comunità, quanto da un altro punto di vista, è l'esistenza stessa della comunità, anzi la sua esistenza elementare. (389-90)
Proposizioni di questo tipo si incontrano spesso in Marx.
La lingua, dunque, come presupposto della produzione e dell'esistenza elementare della comunità, quindi, l'abbiamo già detta come propria della struttura sociale. Ma una data poesia, una data scuola poetica, relativa ad un paese e ad un secolo che, staccate dalle precedenti e dalle seguenti – queste "perle", cioè – sono invece parte della sovrastruttura ideologica ed artistica di una data forma economica, di un dato modo di produzione – precisa Bordiga per noi (cfr. parte precedente, not.19)...
Tutto questo, e molto altro ancora sparso negli scritti di Marx e Engels, hanno quantomeno aperto all'analogia tra l'ordine economico e il linguaggio, e indicata l'eventualità di un approccio economico allo studio dei sistemi linguistici e del loro funzionamento Così, ad es., Michel Faucault – pur attenendosi al pensiero economico classico che precede la critica demolitrice che ne farà Marx (ma sicuramente alla luce di questa critica) – al termine dell'intero capitolo VI.Scambiare del suo Le parole e le cose (1966) potrà anche concludere: "...è chiaro che l'analisi delle ricchezze obbedisce alla stessa configurazione della storia naturale e della grammatica generale.". Ed è nello stesso periodo che il semiologo Feruccio Rossi-Landi (1967) riassume in questi termini il proprio programma di lavoro:
- L'idea dell'oggetto linguistico come prodotto e del lavoro che lo produce permette d'impiegare nello studio del linguaggio la terminologia e l'apparato concettuale del lavoro: si potrà parlare, oltre che di produzione, di processo lavorativo, materiali, strumenti etc., linguistici; e le nozioni stesse di uso e significato delle unità linguistiche di vario livello, delizia e croce di moltissime discussioni attuali sul linguaggio nell'ambito di varie discipline, risulteranno inquadrabili in una struttura nozionale più ampia, che le inglobi e le giustifichi.
Per risalire al lavoro anche nel campo del linguaggio e poter considerare gli oggetti linguistici come artefatti è necessario ricorrere al pensiero classico tedesco e al suo rovesciamento in praxis. Sono stati infatti Hegel e Marx i primi a parlare insieme di linguaggio e di lavoro, a intuire la possibilità di studiare l'uno per mezzo dell'altro; ed è da essi che ci vengono gli strumenti concettuali atti a svolgere tale possibilità e a spremerne tutte le implicazioni. Sulla loro scorta si può sostenere non solo che nell'omologia fra produzione materiale e produzione linguistica non si dà alcun forzamento, ma anzi che si dà forzamento nel rifiutarla: in quanto, rifiutandola, i processi lavorativi che essa sarebbe in grado di mettere in luce anche in fatto di produzione linguistica vengon obliterati e falsati col forzarli dentro caselle pre-costituitesi in funzione di interessi soltanto specialistici o altrimenti ideologici, e per tale loro carattere tramandate. [30]
Il brano, tratto dal volume citato, è parte di un testo significativamente intitolato Per uno schema omologico della produzione.
Durante un'intervista raccolta in occasione della presentazione di questo stesso volume (apparsa nella rivista Paragone-Letteratura n.234 del 1969, e in seguito inserita in Semiotica e ideologia, Bompiani 1972, pag. 258), Rossi-Landi dichiarava:
- “Un punto per me importante è stata la scoperta (se così si può dire), fatta sul testo del Capitale, che le merci sono messaggi e che Marx ne era consapevole. Da varie parti si andava intanto parlando della mercificazione dei messaggi, e così via. Se ne erano occupati Benjamin, Karl Kraus, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Goldman, Lévi-Strauss, Gurvitch, Lefebvre; e molti autori meno importanti e meno noti, di lingua non solo tedesca e francese ma anche inglese e italiana. Perché non congiungere i due interessi? Perché non porre sullo stesso piano l’interpretazione dei messaggi come merci e delle merci come messaggi? Perché non tentare una spiegazione unitaria?... Concludo: non sono partito da un qualche problema generale di linguistica, quale scienza separata; bensì dall’esigenza marxista di lavorare a una scienza globale.”
Al momento non sappiamo se nello studio del linguaggio vi siano stati degli sviluppi successivi connessi a questo particolare programma di lavoro; né fin dove eventualmente questi sviluppi si siano spinti e quali risultati abbiano ottenuto. La faccenda esorbita troppo dagli interessi di questa nostra conversazione, già così poco lineare e troppo infarcita di argomenti lasciati aperti agli spifferi dell’improvvisazione per aggiungerne altri. Facciamo bastarci il conforto di non sentirci soli a dimenarci da tempo con simili pensieri, fiduciosi che prima o poi ne capiremo sempre un po’ di più, e certi che si inizierà a venirne a capo solo quando si sarà costretti a smettere di interpretarli per prendere finalmente a modificarli ...
Due o tre cose sul linguaggio
- La lingua è un vestito coperto di toppe fatte con la sua stessa stoffa. (Ferdinand de Saussure)
Se la lingua e il linguaggio sono un problema, ancor più problematico è parlarne adeguatamente in connessione con le arti visive, poiché l’immagine si istituisce richiamando una molteplicità di linguaggi tra loro diversissimi nelle reciproche sistematizzazioni.
Ma per il momento vogliamo ricorrere a qualche indicazione di De Saussure, per il quale la lingua
- “è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui” [31].
Tanto per cogliere il problema nella sua generalità, possiamo aggiungere che
- “la lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari, ecc. Essa (la lingua come “parole”) è il più importante di tali sistemi”.[32]
Insomma, l’argomento è complesso e ha prodotto una infinità di studi più o meno apprezzabili, molti dei quali sicuramente interessanti ai nostri fini. Tuttavia, noi che abbiamo un certo debole per le origini e gli originali, ci accontenteremo per il momento di un paio di altre enunciazione del vecchio Ferdinando (1922), che riteniamo significative ai nostri fini:
- “Il fatto che il segno sfugge sempre in qualche misura alla volontà individuale e sociale, questo è il suo carattere essenziale; ma è proprio questo carattere che a prima vista si scorge meno” [33];
e, ancora, che:
- “ciò che vi è di idea o di materia fonica in un segno importa meno di ciò che vi è intorno ad esso negli altri segni” [34].
A queste due o tre cose che adesso sappiamo di lei, vogliamo aggiungere rapidamente un’altra considerazione che vi invitiamo a tener presente, e cioè che ogni atto linguistico si porta appresso il suo proprio sistema; che nel compiere come nel recepire l’atto linguistico (o l’atto iconico) si devono sempre ogni volta fare e rifare i conti con l’intero codice cui l’atto appartiene.
- In un’espressione preposizionale non soltanto ogni parola è sottoposta ai vincoli derivanti dalla locuzione di cui si trova a far parte, ma la stessa parola implica inoltre la locuzione, e così l’intera proposizione. Così il soggetto implica l’oggetto, ed è da questo implicato. Le proposizioni non sono caratterizzate soltanto dall’efficienza, ma anche da una causalità di tipo finale.[35]
E’ come se ogni segmento linguisticamente significativo contenesse una sorta di DNA con tutte le informazioni (anche danneggiate) per il funzionamento (corretto o difettoso, confermativo, modificante o perturbante) relativo a quello specifico linguaggio.[36]
Vale a dire che, ad esempio, un’opera di pittura (un atto iconico) è comunque il prodotto di una “risposta” data (non necessariamente consapevole) in un determinato momento storico e nella forma propria alle espressioni pittoriche prevalenti in quel determinato (efficiente) momento storico tale da essere sufficientemente compresa dai contemporanei (efficacia).
L’efficacia di una singolarità linguistica deve ogni volta fare i conti con l’efficienza del sistema cui appartiene.
Nell’arte figurativa “moderna” o “postmoderna” una tale attività auto-riflessiva oggi sembra proprio prevalere. E’ un “rispecchiamento”… al quadrato; che non ha nulla a che vedere con quello teorizzato da Lukács per l’arte quale prodotto sociale, ma di uno per l’arte come-arte-come-linguaggio – non a caso la linguistica, la semiologia o l’informatica sono dei campi di studio molto recenti. D'altronde questa modalità auto-conoscitiva dell’espressione artistica, cioè quella di riflettere sul mezzo tramite il mezzo stesso [37], è una possibilità procedurale che si è manifestata soprattutto nelle arti visuali quando, grazie alla fotografia, si è dissolta di colpo la loro funzione rappresentativa-descrittiva del mondo esterno sensibile, così che i loro stessi mezzi (di produzione) si sono trovati – per così dire – soli con sé stessi.
Aggiriamo senz’altro tutti gli specifici problemi che questa nuova condizione tecnologica ha generato nell’ambiente artistico, e limitiamoci ad una considerazione generale per valutare la situazione a questo punto:
- … il meccanismo proprio dello strumento pensiero, ossia del linguaggio, abbisogna di essere perfezionato e corretto perché il quesito possa essere eliminato. Correggere e rettificare il meccanismo del linguaggio significa modificare opportunamente il valore dei termini che rappresentano le cose e i fatti reali e delle relazioni logico-sintattiche suscettibili di sempre maggior adattamento al loro scopo. Sta di fatto che il meccanismo del linguaggio cambia non solo da epoca ad epoca e da popolo a popolo (pur potendosi e dovendosi considerare le leggi fondamentali come comuni ai vari idiomi), ma anche da scuola a scuola, da autore ad autore, da ricercatore a ricercatore. Il valore dei termini e delle relazioni linguistiche è in continua evoluzione e trasformazione: appunto l'esperienza del mondo esterno decide in ultima istanza sulla validità delle modifiche. Soltanto che la lentezza* di queste fa credere che esse siano poco importanti e quindi limitate da un contenuto assoluto del pensiero.[38]
...La letteratura riteniamo abbia delle difficoltà a svincolarsi del tutto dalla descrittibilità del mondo, circostante o interiore che sia; quella di massa neppure ci pensa a questa possibilità...
In questo autonomizzarsi dalla rappresentazione del mondo esterno l’arte figurativa è stata avvantaggiata dalla oggettualità stessa del prodotto, che consente una presa sensibile, immediata e completa delle sue manifestazioni fenomeniche nel loro semplice aspetto. Difatti, in un primissimo tempo la riproducibilità (industriale) e la “decorazione” (seriale e ricorrente) di elementi visivi singolarizzati (alienati nel processo produttivo) favoriscono il crearsi e l’estendersi (dal mercato) di una sensibilità “geometrica”, ritmica, ecc. – e su questa direzione le determinazioni formali faranno il proprio corso, lungo una linea analitica dell’arte moderna ecc.
Per la musica, ad esempio, che non ha altri referenti che il suono (e la sua sua propria storia, anche se ibridata con la lingua e la narrazione) e se la vede sempre con sé stessa e i suoi “fenotipi”, é più facile far passare questo tipo di discorso “formale”, “astratto”, insomma metalinguistico o, autoreferenziale; ed è anche perciò che molti pittori astrattisti - ad iniziare dal russo Kandinsky, dal tedesco Klee e dall’olandese Mondrian – hanno chiesto un “passaggio” alla musica per aiutare la loro pittura a liberarsi dalla rappresentazione…
Anche la letteratura, la poesia o la narrativa ha imboccato questa direzione affidandosi alle proprie espressioni decorative (la calligrafia o la tipografia futurista e dadaista), e forse anche mutuando il movimento e il montaggio del cinema, il ritornello, la musica popolare e altro.
Quale sarebbe poi lo scopo di una tale produzione artistica condotta sul filo dell’analisi del suo stesso linguaggio, possiamo ricavarlo soffermandoci su quanto Bordiga ha detto circa l’utilizzazione dell’esperienza.
- … pure per studiare le leggi della dilatazione termica dei gas sono occorsi termometri di alta precisione: ma i termometri di precisione sono basati sulla conoscenza della legge di dilatazione dei gas. Il circolo vizioso c'era, ma solo tra le parole; in realtà oggi si conosce la legge del fenomeno anche negli scarti di decimali molto avanzati, e si hanno termometri a gas che danno piccolissime frazioni del grado centigrado. Per lo strumento-linguaggio avviene lo stesso: dobbiamo contentarci di porci in cammino impiegandolo, seppure lo sappiamo imperfetto, ma non sappiamo precisamente in che e di quanto. Ciò non ci impedirà di ottenere risultati buoni, anche se non certi, che condurranno a migliorare lo strumento, e così via con infinite ripetizioni di ciclo.[39]
Ci sarebbe dunque, prima tra le altre, anche l’esigenza di estendere la conoscenza dei propri mezzi espressivi con sempre maggior precisione.
- Gli scritti che compongono la teoria della forma e della figurazione di Paul Klee hanno, per l’arte moderna, la stessa importanza e lo stesso significato che hanno, per l’arte del Rinascimento gli scritti che compongono la teoria della pittura di Leonardo. … E’ noto che, di tutti gli artisti del nostro secolo, Klee è quello che più consapevolmente si discosta dalle grandi linee dei programmi e degli assunti teorici dell’arte moderna allo stesso modo che, di tutti gli artisti del Rinascimento, Leonardo è quello che più consapevolmente si discosta dalle grandi linee dello storicismo e dell’intellettualismo classico. Dunque tanto Leonardo che Klee, nella loro riflessione, non hanno di mira l’oggetto dell’arte, ma piuttosto il modo del suo prodursi; non la forma come valore ne varietur , ma la formazione come processo. L’uno e l’altro sono coscienti che il processo o il comportamento dell’artista è un modo autonomo e completo di essere nella realtà e di apprenderla; e poiché non ignorano che esistono altri modi di ricerca, sono portati ad indagare il carattere, l’andamento proprio del modo artistico, tenendo però sempre presente ch’esso deve svilupparsi su tutto l’orizzonte dell’esperienza. Ecco perché la riflessione di Leonardo, come poi quella di Klee, investe tutta la dimensione dell’essere, assume come proprio campo tutto l’universo nella sua totalità, e sia pure secondo la prospettiva univoca del visibile, una consapevolezza globale della realtà, non v’è momento o aspetto dell’essere che possa considerarsi estraneo o irrelativo rispetto all’esperienza che si compie nell’operazione artistica.[40]
Non è difficile comprendere le ragioni per cui questa esigenza operazionale-conoscitiva è stata da sempre soddisfatta praticamente dall’uomo nel naturale sviluppo sincronico della tecnica e del linguaggio [41]; più complicate e per noi più interessanti sarebbero le ragioni per cui tale esigenza si manifesta nella particolare forma operazionale-autoconoscitiva solo ad un determinato grado di sviluppo tecnologico delle forze produttive e nei modi determinati corrispettivi al livello epistemologico raggiunto dalla società…
Non ci interessa neppure con quanto rigore, capacità analitica, scientifica o intuitiva questo processo autoconoscitivo si è svolto e si continua a svolgere, teoricamente e sperimentalmente, nel sistema dell’arte; interessante è notare che si è comunque svolto e si sta svolgendo sistematicamente, coscientemente o meno, su basi sempre più lucide e globali, a partire dalla introduzione delle macchine e del sistema di macchine nella moderna produzione industriale dell’epoca capitalistica.
Certamente questa particolare angolatura programmatica non arriva a raccogliere tutti i caratteri dell’intera produzione artistica dell’arte moderna e contemporanea; ma è quella che al momento ci è utile al procedere della nostra esposizione, non solo per l’intravista potenzialità di intrecciarla più coerentemente nel filo degli attuali sviluppi storici del fare e del pensare occidentale, quanto ritenendo, tra le varie interpretazioni proposte da diverse pur valide narrazioni della medesima storia, che la sua azione (teorica e pratica) nel campo dell’arte sia la più conseguentemente decisiva, influente e gravida di futuri apporti originali.
Più avanti non mancheranno le occasioni per capire, o tentare di capire, come mai l’arte figurativa può aver preso “anche” questa particolare piega e a mantenerla attiva nonostante il dilagante eclettismo e sincretismo figurativo potenziato dalle tecnologie digitali. E’ quasi certo però che lo smontaggio molecolare di tutti i codici, operato dalle correnti del movimento moderno, ha reso l’attuale poltiglia artistica (informe o antiforme) già pronta teoricamente e praticamente a riprogettare sé stessa e i propri paradigmi in funzione di un nuovo capovolto assetto sociale.
Tra l’altro, essendo la società capitalistica la civiltà più autoreferenziale che sia mai esistita, va da sé che la manifestazione di tale carattere (linea analitica, citazionista, ecc.) non poteva rimanere inespressa nell’arte moderna; e questo comporta pure che l’arte non riuscirà a pervenire a una nuova conoscenza di sé stessa senza che prima vengano rotti i limiti che la separano dalle altre forme di conoscenza.
In mancanza di ciò, intanto vediamo l’arte contemporanea consumare le ultime energie che gli restano nella coazione a ripetere – benché in modalità tecnologicamente avanzate – le forme storiche già risolute e perfezionate nelle sue epoche passate.
Possiamo anche rammaricarci definendo di ”decadenza” la sua fase attuale, ma questa società in dissoluzione non ha più altro da offrire che la perfezione succedanea dei propri micidiali gironi a vuoto.
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[1] . Heinrich Wölfflin, L’arte classica - Introduzione al Rinascimento italiano (1941), ed. Abscondita, Milano 2007, pag. 53 pass..
[2] . Ibidem, pag. 58 pass..
[3] . Ibidem. “Non si può negare che in Leonardo si è compiuta un’evoluzione nella composizione di grandi figure e che in definitiva anche per lui la figura rappresenta tutto”.
[4] . Ibidem, pag. 46 (corsivi nostri).
[5] . Intendiamo quegli “oggetti” dell’esperienza percettiva che si trovano fra gli oggetti “puri” che costituiscono una descrizione oggettiva del fenomeno pittorico; nel nostro caso, ad esempio, fra la percezione oculare-mentale di una pittura determinata e la pittura stessa possiamo dire intermediari oggetti come le figure umane, le illusioni del rilievo e della profondità, la prospettiva quattrocentesca, la narrazione letteraria, ecc.
[6] . Un esempio eloquente di una simile confusione anche nel campo dell’architettura è riportato da Christian Norberg-Schulz: «I concetti formali correnti sono di due tipi diversi: in primo luogo quelli propriamente formali che descrivono l’ordine presente nell’opera architettonica, e secondariamente concetti che possono definirsi “qualitativi” perché, più che proprietà formali oggettive, designano le esperienze dello spettatore. Ci vengono in mente espressioni come forme “pesanti” e “leggere”, spazi “stretti” e “ampi”, e soprattutto “tensioni” o “movimenti” in riferimento a forme oggettivamente statiche. I concetti qualitativi spesso si originano da una “empatia” con le forze inerenti alla struttura tecnica. L’empatia può anche sfociare in un genere di antropomorfismo più o meno completo, per cui caratteristiche di forme architettoniche vengono designate con termini normalmente riservati a condizioni del corpo umano.» E qui, in una nota riporta: « E. Lundberg (Arkiteckturens Formsprak, Stoccolma 1945-61) non discute i problemi relativi allo spazio, alla massa e alla superficie, ma introduce una terminologia antropomorfica per cui le forme “cadono”, “si alzano”, “si stendono”, “giacciono”, “si piegano”, “si appoggiano”, “sollevano”, “ascendono”, “stanno erette”, “coronano”, “si librano”, “affondano”, “pesano” ecc. Così egli parla del “motivo che-sta eretto-si alza-porta-si appoggia-pesa-corona” un ordine. Lundberg usa questi concetti senza definizioni precise, cosicché le sue analisi sono necessariamente alquanto irrilevanti.» – C. Norberg-Schulz, Intenzioni in architettura 1963, ed. Lerici, Milano 1967, pag. 130. – Per quanto ci riguarda, altre manifestazioni di antropomorfismo sano rappresentate dall’attivismo rivoluzionario, dal creazionismo del partito, ecc., insomma del dimenar la coda…
[7] . “Per rendere applicabile e praticabile il criterio di separazione anche nel campo nell’arte, si è dovuto attendere che l’idea stessa di separabilità facesse il suo naturale corso storico tanto nella scienza teorica e sperimentale quanto nella produzione materiale che, tramite macchine combinate, allontana sempre più tra loro il lavoro dal prodotto, l’uomo dalla merce… In precedenza, a consentire a Galileo, Keplero e Newton di passare dalla meccanica antica a quella moderna è stata appunto l’idea di separare l’oggetto dal soggetto, di ignorare l’osservatore e ogni sua impressione sensibile potenziando la nozione di impersonalità delle leggi causali del visibile.” – cfr. in nømade 17, pag. 22.
[8] . Vasilij Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, Monaco 1912. – Nel 1923, per la prefazione alla prima edizione di Punto, linea, superficie, K. scrive: “Non è forse senza interesse osservare che i pensieri sviluppati in questo libricino costituiscono una prosecuzione organica del mio libro Dello spirituale nell’arte. Occorre che io continui a muovermi nella direzione intrapresa”. (in V.K. Tutti gli scritti, ed. Feltrinelli, Milano 1973).
[9] . Hermann Broch, Appunti per un’estetica sistematica, 1912, in Il Kitsch, ed. Abscondita, Milano 2018, pag. 32.
[10] . Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica 1817-29, ed. Einaudi, Torino 1967, pag. 676.
[11] . Quest’argomento è stato introdotto e trattato in precedenti occasioni (cfr. ad es. il processo a Brancusi, in nømade n.14)
[12] . (senza poter dire che il prodotto si consuma al realizzarsi o meno dello scopo previsto dal produttore… )
[13] . Il linguaggio serve agli uomini per produrre. Gli uomini producono (socialmente) in quanto comunicano tra loro; diversamente la torre di Babele non si eleverebbe di un solo metro sopra la crosta terrestre, così come non procederebbe più in alto dopo la confusione delle lingue e la rottura della cooperazione. Il linguaggio è una condizione per cooperare socialmente – ecco perché nella società capitalistica (che socializza la produzione) si possono elevare grattacieli anche dopo Babele. – Sicuramente, un Robinson senza Venerdì potrebbe produrre quello che gli occorre per il proprio sostentamento anche senza doverlo comunicare ad altri… Ma un uomo che parla da solo è soltanto un uomo che si trova isolato dalla società nella quale ha già imparato a parlare, e il suo parlare a sé stesso è soltanto un vizio abituale e vano.
[14] . Paradossalmente l’atto della comunicazione è sempre produttivo di per sé, nel senso che “il suo insuccesso come il suo successo possono ugualmente produrre informazione” (Escarpit, cit. pag. 131).
[15] . Marx, Lineamenti, cit., pag. 32 passim.
[16] . La prima edizione della sua storia è del 1952, ripresa e integrata poi nel 1965. L’attività di Warhol e della Pop Art, benché iniziate nei primissimi anni 60 (vivente Gombrich) non avevano ancora ottenuto il successo e l’affermazione che avranno nel corso del decennio.
[17] . Cos’altro è il suo quadrato nero su fondo bianco e il quadrato bianco su fondo bianco, se non la proposizione del fondo stesso come opera d’arte? – ossia quella che in questi appunti indichiamo come “superficie”, e che sostanzialmente trova un suo corrispettivo (in quanto “già pronto/già fatto” senz’altro) nel “ready made” di Duchamp?
[18] . Solo nel postscriptum ad una edizione del ’65 Gombrich accenna appena al movimento Dada per dirne che ne avrebbe potuto parlare nell’ultima parte del suo capitolo dedicato al “primitivismo”… in pratica a proseguire la linea tracciata da van Gogh e Gauguin (sic!).
[19] . E, nel caso, è nostra convinzione che questa negligenza, tardivamente riconosciuta, conferma che precisamente qui il corso dell’arte registra una rottura o un cambiamento di fase che solo nel corso degli anni ’60 inizierà a rivelarci qualcosa di interessante – probabilmente riguardante lo scopo dell’arte stessa senza più confonderlo con quello illusorio degli artisti…
[20] . “L’evidenza non si esplora, non si legge: è data. Appartenente alla stessa famiglia dello stereotipo e del condizionamento, è soltanto più insidiosa perché pervasa di quel ‘buon’ senso che si chiama anche, in modo estremamente rivelatore, senso ‘comune’. Integrata al pensiero e al linguaggio, l’evidenza nasconde sotto buone ragioni il fatto di essere irrazionale.” – Escarpit, Teoria, cit., pag. 228.
[21] . Tenendo cioè ben presente l’avvertimento fatto da Engels a Conrad Schmidt, riportato qui a pag. 4.
[22] . Ilya Prigogine, Esplorazione della complessità, in La sfida della Complessità, ed. Feltrinelli, Milano 1986, pag. 189.
[23] . Già in Prigogine potremmo cogliere proprio questa eventualità: “…la teoria degli attrattori potrà spingersi oltre e proporre delle decisioni in maniera sperimentale relativamente a una questione come quella della razionalità della storia. Esiste una razionalità della storia? E in realtà come conosciamo la storia? La storia è data dalle serie temporali delle temperature, dai dati sui prezzi, dai dati su oggetti che siamo in grado di quantificare. Rispetto a questa lettura del passato vi sono state due rivoluzioni. La prima è data dalla modalità di datazione, attraverso gli isotopi. E per quanto riguarda la seconda penso che sia proprio la teoria degli attrattori che ci consentirà di analizzare i dati dell’economia senza un modello preliminare, un po’ come fa nel caso del clima o della neurofisiologia. Vedremo allora se nel comportamento economico complesso vi sia un tipo di razionalità che tende alla massimizzazione di un fattore” [e noi qui cogliamo subito l’occasione per dire che questo fattore non è l’attuale crescita dissipativa capitalistica ma la futura efficacia dello scambio razionale delle energie sociali nel rapporto dell’uomo con la natura, ossia con sé stesso…] – Prigogine, cit. pag. 191.
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[24] . La “macchina” e la “fotografia” potrebbero essere due esempi di attrattori la cui ‘immissione’ ha moltiplicato il numero e l’ampiezza delle traiettorie delle opere nello spazio del campo (cultura di massa, estetica diffusa…?) e iniziando a modificare irreversibilmente la configurazione dell’intero sistema dell’arte… (o rivoluzionare sé stesso?)…. A pagina 54 del testo citato, Wölfflin osserva: “Chi ha studiato a lungo questo quadro [la Gioconda] dovrà riconoscere che esige di essere contemplato da vicino. Da lontano perde la sua efficacia (questa osservazione si può applicare ancor più alle fotografie, che per questo non si adattano ad ornare le pareti). La Gioconda si distingue in questo dai quadri successivi del Cinquecento…”. Sembra dunque che assieme ad essa la pittura abbia dovuto lasciar passare tre secoli prima di risolvere alcuni problemi (che si era posti prematuramente?) grazie alla fotografia … E fossero pure stati “falsi problemi” per un “falso scopo” (il “dipingere ciò che si vede” di Gombrich), e dunque irrisolvibili dal sistema della pittura di pennello, (nella quale tuttavia permanevano), erano pur sempre reali problemi del sistema più ampio della rappresentazione e della visione che prima o poi andavano in qualche modo risolti dal generale sviluppo, scientifico e tecnologico, anche della produzione e del consumo delle immagini.
– Sembrerebbe che il sistema figurativo occhio-mano-cervello, abbia dovuto esaurire completamente tutte le risorse della sua vecchia forma di "pittura figurativa di pennello" prima di evolvere, come ogni altro sistema organico, verso la sua forma superiore, di "specie", come "macchina fotografica"...(la persistenza di vestigia primitive riguarda altre questioni e non compromette la nuova gerarchia della figurabilità). – L'evoluzione della macchina antropomorfica pare procedere secondo un organo per volta:
vista (spazio)-occhio-visione – macchina ottica-fotografica . 1827
udito (tempo)-orecchio-ascolto – macchina sonora-filofono . 1899 ...
[25] . Gombrich, cit. pag. 524.
[26] . Capace cioè - tanto per utilizzare un lessico familiare -, di render conto dei propri punti (opere) e del loro corrispondente tempo interno (transizioni di fase e fasi di transizione dei modi di produzione) assieme a quello delle loro regioni e del loro tempo globale (per come i punti e le regioni della cinetica potrebbero tradursi nel campo degli studi artistici ed estetici).
[27] . Osip Brik, Mosca 1888-1945. Definendolo il più acuto tra tutti i formalisti russi, viene citato da Roman Jakobson per introdurre il proprio commento riguardante effettive trasgressione alle leggi della metrica: “Se le violenze contro il metro attecchiscono, assumono forza di leggi metriche”. - Saggi di Linguistica Generale, 1963, ed. Feltrinelli, Milano 1976, pag.200).
[28] . “Oggi vediamo che le scienze biologiche e fisiche sono caratterizzate da una crisi della spiegazione semplice. E di conseguenza quelli che sembravano essere i residui non scientifici delle scienze umane – l’incertezza, il disordine, la contraddizione, la pluralità, la complicazione, ecc. – fanno oggi parte della problematica di fondo della conoscenza scientifica. Ciò posto vorrei sottolineare… che non ci si può accostare alla complessità attraverso una definizione preliminare. Dobbiamo invece seguire percorsi differenti, tanto differenti che ci si può chiedere se invece di una complessità non vi siano delle complessità”. – Edgar Morin, Le vie della complessità, in La sfida della Complessità, ed. Feltrinelli, Milano 1986, pag.49.
[29] . Dinanzi alla perenne tentazione di rinchiudere il reale in una struttura prestabilita (teoria o ideologia che sia) Edgar Morin incita alla costituzione di un metodo della complessità che “ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratrici.” – Non avremo certo proposto il personaggio se nel suo pensiero non avessimo trovato forti assonanze con il nostro. Ad esempio, nel testo citato troviamo anche una particolare modalità dell’immagine (tanto per ancorarci un po’ al campo dell’arte) con la medesima funzione esplicativa di quella scelta da noi per rappresentarci le rivoluzioni: “Nel campo della complessità vi è qualcosa di ancor più sorprendente. E’ il principio che potremmo definire ologrammatico. L’ologramma è un’immagine fisica le cui qualità (prospettiche, di colore, ecc.) dipendono dal fatto che ogni suo punto contiene quasi tutta l’informazione dell’insieme che l’immagine rappresenta. E nei nostri organismi biologici noi possediamo un’organizzazione di questo genere: ognuna delle nostre cellule, anche la cellula più modesta come può essere una cellula dell’epidermide, contiene l’informazione genetica di tutto il nostro essere nel suo insieme. Naturalmente solo una piccola parte di questa informazione è espressa in questa cellula, mentre il resto è inibito. In questo senso possiamo dire non soltanto che la parte è nel tutto, ma anche che il tutto è nella parte… Dobbiamo connettere questo principio ologrammatico con un altro principio della complessità: il principio dell’organizzazione ricorsiva…”(pag. 52) … Sembra che la nostra Struttura Frattale delle Rivoluzioni avrebbe potuto anche scriversi come Struttura Ologrammatica delle Rivoluzioni…
[30] . F. Rossi-Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato. ed. Bompiani, Milano 1968, pag.193. – Delle isolate sperimentazioni similmente orientate con metodo "omologico" sono state condotte anche da due nostri compagni; una riguardava la produzione artistica, l'altra i compiti organizzativi nell'attuale epoca delle reti. I risultati della prima (condotta sui Grundrisse di Marx), sono stati pubblicati in Imprinting nel '76; quelli della seconda (condotta sulla Lettera a un compagno di Lenin) sono in nømade n.14 del 2017, ma risalente a diversi anni prima.
[31] . Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale (1922), Laterza, 1974, p. 19.
[32] . de Saussure, ivi, p. 25.
[33] . de Saussure, ivi, p. 27.
[34] . de Saussure, ivi, p.145.
[35] . Karl Pribram, Le scienze neurologiche e le scienza del comportamento, in La Sfida della Complessità, cit. pag. 265.
[36] . Diversamente, Champollion non avrebbe potuto stabilire una corrispondenza tra i segni delle scritture geroglifica, ieratica e demotica, e ricostruire l'organizzazione d’insieme della scrittura egizia.
[37] . Vedi, in esergo di paragrafo, la citazione da de Saussure (cit., pag. 207). E’ così che si formano delle lingue-oggetto, ossia delle lingue che hanno sé stesse come oggetto di analisi - con propri specifici lessici estremamente definiti, da noi qui spesso utilizzati con disinvoltura, anche rispetto al consentito, e senza star lì a sottilizzare ma pescandoli così come vengono parlando. Provvediamo però a fornire tutte le indicazioni …..
[38] . Bordiga, Frammento sulla teoria rivoluzionaria della conoscenza, in N+1 n. 15-16, pag. 62. L’ultima osservazione sarebbe particolarmente stimolante se si potesse approfondire, ma ci porterebbe troppo lontano… – * . Ci annotiamo: “La società non era capace di superare al momento opportuno la realtà tridimensionale (su un altro piano si potrebbe dire: il nazionalismo e i princìpi della greppia). Così la società frena lo sviluppo delle nuove forme di vita a causa della lentezza del suo processo di assimilazione; essa vieta persino (e nel modo più rigido di abbandonare i sentieri battuti del passato”; Kasimir Malevic, Suprematismo I/46 (1923), Suprematismo, ed. De Donato, Bari 1969, pag. 248.
[39] . Ibidem, pag. 66
[40] . Giulio Carlo Argan, dalla Prefazione a Paul Klee . Teoria della forma e della figurazione 1959, cit., pag. XI (corsivi nostri).
[41] . “Questo rapporto tra la tecnicità manuale e il linguaggio, implicato in qualche modo da una evoluzione che si può seguire sin dai primi vertebrati, è certamente uno degli aspetti della paleontologia e della psicologia che più danno soddisfazione perché esso restituisce i legami profondi tra il gesto e la parola, tra il pensiero esprimibile e l’attività creatrice della mano” - André Leroi-Gourhan, Le radici del mondo, Jaca Book, Milano 1986, pag. 186. Cfr. anche in Il gesto e la parola, cit., capitoli VII e VIII, e pag. 136, dove Leroi-Gourhan indica che anche l’antropologo russo V. V. Buonak perviene, per altre vie, ad “una teoria, i cui termini sono abbastanza vicini a quelli da me proposti, ma partendo da dati tecnologici molto generali e da una ricostruzione delle tappe che vanno dal suono-segnale al linguaggio coordinato grammaticalmente”.
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