41.0
- Da un punto di vista espositivo vi è una strada più chiara
di quella (impressionista?) di Swan, che conduce la pittura (giunta al punto
limite della mera superficie) a risolversi come "schermo".
È
quella che tira dritta, ed evitando la mossa verso l'identificazione (cfr.16)
, raggiunge lo "schermo" direttamente dal movimento di "separazione"
(cfr.13).
Vi si perviene
attraverso un procedere empirico, che prende le mosse appena dopo che la figura
e lo sfondo si sono separate una dall'altra, per diventare un fantasma la
prima e, appunto, uno "schermo" il secondo. Fantasma e schermo che uno verso
l'altro e uno contro l'altro si cercano - e in questo manifestano la loro
ostilità che li rende propriamente "ospiti".
Lo "schermo"
raggiunto dal movimento di separazione, privato del rigore del passaggio chiasmatico
identificativo, consente ora anche l'esercizio delle mosse patetiche per
la fissazione della figura; dunque rende questo tipo di "schermo" sempre
suscettibile di una sua riconversione in "supporto"; e ancora permette di
spingerlo nelle braccia del "motivo" per precipitarlo nuovamente nella rappresentazione.
Alla luce
di questo, è del tutto ovvio come non sia indifferente in pittura raggiungere
le varie attualizzazioni della "mera superficie" percorrendo strade diverse,
che però tutte prevedono e impongono il passaggio per il limite.
I vari modi
e modalità di risolvere il passaggio sono le variabili determinanti
che consentono, persino allo "schermo", di manifestare il silenzio della pittura
in modo altrettanto determinato.
Come il
rumore fossile del Big-Bang si mantiene nell'universo, il rumore delle separazioni
avvenute nella pittura si mantiene impastato nel fondo della "mera superficie".
È
il particolarissimo modo di ritenzione dell'artista di questo silenzio della
pittura che consente a tale silenzio di manifestarsi come sonoro silenzio
dell'opera determinata.
Lacerazioni:
- Il suono del flauto nelle cerimonie sufi è l'espressione simbolica
di una malinconia, di una nostalgia di quando era ancora una canna confusa
tra le altre nel canneto: prima della separazione, prima dell'elezione, prima
della sua particolarità….allora l'espressione individuale è
quella di un dolore, l'individualismo una patologia.
41.1
- Può anche avvenire che esercitando una mossa cinica sul
"motivo" o sul "supporto", si possa pervenire ugualmente allo "schermo".
Vedi ad
esempio la "tabula rasa" del Caravaggio descritto da Longhi:
"…La
sua (del Caravaggio) deferenza al vero poté anzi dapprima confermarlo
nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardare per lui
e a suggerirgli tutto…e ciò che più lo sorprese fu di
accorgersi che allo specchio non è punto indispensabile la figura umana;
se, uscita questa dal campo, esso seguita a rispecchiare il pavimento inclinato,
l'ombra sul muro, il nastro lasciato a terra. Che cosa potesse conseguire
a questa risoluzione di procedere per specchiatura diretta della realtà,
non è difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume
pittorico del tempo che…aveva elaborato una partizione del rappresentabile
".
E ancora:
"Uscito
che sia il Bacco dal vano colmo dello specchio, vi restano ancora il vassoio
di frutta, il nastro dimenticato; receduto il suonatore o il commensale dal
tavolo, vi rimangono ancora lo strumento di bellezza 'indecifrata', o il
'pospasto' non consumato: la caraffa smezzata, l'anguria e il melone affettati,
la mela intatta e la pera mèzza, le mosche che saltano sulla propria
ombra". (Roberto Longhi, "Caravaggio", Editori Riuniti, Roma)
Dunque già
in Caravaggio la superficie aveva avviato un movimento proprio: lo specchio
aveva iniziato a muoversi indipendentemente da ogni figura che lo fissava,
verso una propria emancipazione che emanciperà infine lo sguardo stesso
da tutti gli oggetti del mondo, non escluso quello rivolto alla pittura medesima.
Allo sguardo
in quanto tale sono indifferenti gli oggetti …….
Resterebbe
magari da chiarire come si è concretamente svolto e portato a compimento
- nel periodo industriale e capitalistico - quel movimento iniziato dallo
specchio caravaggesco; ossia, quali sono stati i procedimenti materiali messi
in gioco per completare le separazioni e renderle del tutto concrete e possibili
- benché infine, come paradigmi interiorizzati, attivano quelle procedure
pittoriche che sopprimono il dato certo per negligere e cancellare i nessi
che legano la sensibilità estetica di un'epoca alla vita materiale,
immediata e storica.
41.2
- Benché la pittura non abbia paura della vastità, non
può spingersi oltre lo "schermo", limite del proprio limite, pupilla
e sguardo vuoto sul territorio della non-pittura.
Lo "schermo"
tiene la pittura per i capelli: sospesa sopra il baratro nel quale si smarrirebbe
tra tutti gli oggetti del mondo.
Con lo "schermo"
la discesa di Orfeo si è spinta troppo avanti, e l'unico piacere di
cui ancora può godere è lo starsene proprio lì, sul
ciglio, a riguardare nell'invisibile la terra fertile della Pittura che si
è lasciata alle spalle.
La forza
di andare di Mosè era riposta tutta nell'interdizione ad entrare in
Canaan; la gloria del suo destino è tutta nel deserto. - Lo stare di
Orfeo ospite tranquillo di Euridice - poiché finalmente adesso sa
che ogni ritorno è pericolosamente esposto alla lagna delle ripetizioni.
Lo "schermo"
dunque è la forma più compiuta e raggiunta della genealogia
della "mera superficie".
Ma un
passo è ancora possibile; purché abbia il carattere di un passo
in avanti, oltre la soglia della "mera superficie", oltre il sacrificio, ora
che la Pittura non può che attingere fuori da sé stessa la
propria estrema esigenza. Così quello che avviene dopo può accadere
solo fuori dalla "mera superficie", fuori dal quadro e anche dallo "schermo":
ché già è la pittura che si dispone ad essere preda
del mondo .
Allora si
compie il triplo salto mortale; e la solita scommessa è di cadere in
piedi, finalmente nel mondo della realtà fisica e sofferente.
Come dire,
infine?
per la Pittura
è stato fatto tutto il possibile a partire dalla limitazione della
totalità esteriore. (cfr.36.a)
SCOLI
SULLO SCHERMO
41.a
- (Annunciazione) - La pittura ha potuto raggiungere questa sua particolare
(cruciale e miliare) soluzione soltanto carpendola al di fuori del suo corpo
ormai stremato e quieto.
L'annunciazione
doveva provenire da un messo angelico inviato da un altro luogo; la soluzione
rivelata da una nuova e ancora innocente rappresentabilità che era
riuscita a sincronizzare le diverse categorie condivise con la Pittura: la
luce e il colore, l'immagine e la superficie e lo spazio, tutte impastate
con il tempo, e nell'istante offerte all'occhio e allo sguardo.
Così
la pittura sorprende, nello sfarfallio cinematografico, la possibilità
di un proprio rinnovato palpito.
(una mossa
patetica che proviene da situazioni precedenti e progressive)
41.b
- L'esperienza cinematografica è propriamente esperienza di incessanti
congiunzioni e separazioni (clivaggi?) delle immagini con il piano di proiezione
(cfr.38); dalle sue modalità circostanziali la Pittura trae ispirazione,
conforto sperimentale e legittimità procedurale per i sui passaggi
che la stanno conducendo verso il limite tendente alla "mera superficie".
(E qui forse
risiedono i paradigmi dei paraenigmi di "questo" testo)
41.c
- (Riproduzioni) Si raccolgono sempre più prove in favore
del sentimento del selvaggio (ma anche di Poe e di Wilde) che l'immagine
tolga l'anima alle cose riprodotte.
Ora la velocizzazione
di questa riproduzione può risucchiare via l'intera anima del mondo
reale per lasciarlo vuoto come una lapide piatta.
L'obiettivo
fotografico, cinematografico, elettronico, risucchia come in un vortice di
Maelstrom persino lo spazio tra le cose, gli toglie l'aria, il respiro; toglie
il vuoto e le toglie dal vuoto per rinchiuderle nella compattezza fotogrammetrica
e farne ciò che ne vuole.
E l'obiettivo
applicato alla Pittura la prosciuga dall'immagine, dalla figura, per lasciare
il quadro sotto un vuoto pneumatico che - come per la presenza di un gas illuminante
- lo rischiara di un'ultima, estenuata ed estenuante, aura da opera d'arte.
Allora:
come la riproduzione meccanica del mondo reale, togliendo il vuoto, rende
visibile la struttura dell'oggetto, ma così facendo lo priva di ogni
uso, così la riproduzione meccanica della Pittura togliendo il pieno
ne rende concreta la struttura e ne consente l'uso. (cfr. 35.g, 37.e)
41.d
- (Cine) - Nella riproduzione filmica il fascio luminoso che parte dalla
postazione del proiettore svela, come in un diagramma delucidante, la meccanica
stessa del fenomeno che si realizza e mentre si realizza, e mantiene separati
(distanti) e del tutto concreti gli elementi in gioco (il testo della pellicola,
l'apparecchiatura di proiezione, lo schermo nel buio della sala).
Nella sala
cinematografica l'interposizione - sempre possibile - dello spettatore con
il fascio luminoso, rivela immediatamente la concretezza dello spettatore
stesso, la sua materialità e fisicità, la sua esistenza e sussistenza
in uno spazio diverso da quello filmico e tuttavia incidente sulla realtà
della riproduzione cinematografica: basta alzare una mano per accertarsi
che si è appunto lì con la propria opaca fisicità, e
scombinare con la propria importuna ombra il travisamento luminescente dello
schermo!
(TV)
- Nella riproduzione televisiva la fonte del segnale coincide con lo schermo
che si fa lui stesso luminoso. Il coincidere di quanto era distinto (nella
sala dell'esperienza filmica) in un unico punto che è testo, apparecchiatura
e schermo, inverte e confonde l'ordine cinematografico per proiettare ora
il fascio luminoso (privo però di immagini) sulla realtà circonvicina
e imprimersi nella vita quotidiana. E questo è il suo lavoro: trasformare
la realtà fisica in immagine (laddove il film e/o la fotografia trasformano
l'immagine in una ulteriore realtà fisica, ovvero non modificano la
materia che trattano). Qui il testo che scorre nello schermo tv prende adesso
a illuminare la realtà di chi ne sta facendo esperienza per sottomettersela
quale cosa propria, segnata: a questo è valso il capovolgimento della
lanterna magica. L'apparecchio televisivo illumina lo spettatore di fronte
per abbacinarlo, proiettandone l'ombra alle spalle, fuori dalla portata del
suo sguardo diretto.
Ora l'ombra,
la prova della propria tangibilità corporale, dell'atto gratuito dell'interferenza
e del proprio marchio fugace sullo schermo cinematografico, è fuori
dal suo controllo. Le immagini televisive non vengono mai disturbate e possono
proclamare il loro primato sulla materia mentre il corpo del riguardante
si fa evanescente e virtuale, indifferente. L'attività luminosa del
video si estende nella circostante quotidianità, sulle opere e i giorni,
per divenire attività numinosa.
(Il segnale
del cinema proviene dalle spalle, da dietro, come lavoro trascorso, come passato;
quello televisivo proviene dal davanti, ossia dall'adesso - è lo stato
attuale delle cose; ed essendo sempre in presa diretta, ha un presa diretta
sull'esperienza e la comprensibilità del quotidiano, allora del futuro
- sorge da diversi passai avanti rispetto al riguardante, e lo compromette.)
41.e
- La proiezione cinematografica può essere còlta come un modello
elementare e metaforico dell'esperienza e della produzione estetica (nella
esemplificazione evolutiva della Pittura)
I termini
di questa metafora sarebbero il proiettore, lo schermo, il fascio di luce
(come rapporto che lega il produttore di luce al suo proprio opaco oggetto
attualizzato); lo schermo è il campo di attualizzazione con il quale
si opera n sezionamento del rapporto (del fascio di luce proiettato) e dal
quale ne consegue una immagine proiettata piana.
L'apparecchiatura
cinematografica, quale apparato biologico del pittore (nel quale la memoria-conoscenza
è il film, ossia il privato, e il provato) non è nulla senza
lo schermo che ne converte l'egoismo.
Ripartizione
trinaria:
Macchina
motoria lucente - schermo immobile opaco - fascio luminoso fantasmatico dell'apparato.
È
lo schermo sul quale avviene la sezione e proiezione del fascio luminoso,
che consente di trasformare ogni potenzialità dell'intero apparato
nell'attualità delle sensibilità visive.
Lo schermo
è l'umano (il sociale) e come tale può anche prendere a circolare
liberamente tra gli uomini come una offerta, e come un'offerta aprirsi: egli
è il figlio da sacrificare per attenuare o redimere una colpa originaria
(il conflitto tra individuo e società - limitazioni - flauto sufi
- ribellione al padre - l'immagine rinnova il atto delle sostituzioni, dei
capri espiatori, di Abramo e dei suoi figli).
Lo schermo
è fisicità di contro al film, emblema del pensiero e del pensabile,
che però solo tramite lo schermo può farsi pensiero pensato,
sottratto al buio nell'istante di frenata della velocità della luce.
41.f
- È dunque attraverso l'esperienza cinematografica che la pittura
prende atto che si può consumare realmente un divorzio definitivo tra
la superficie e l'immagine.
Per condurre
a compimento tale separazione (clivaggio, sfaldatura) occorreva prima
dimostrare la possibilità sperimentale e cogliere l'immagine, il fondo
e la superficie come cose separabili; soltanto in seguito queste possono
iniziare ad allontanarsi l'uno dall'altro per inseguire il proprio destino.
Così,
trovata infine (concretamente) la mera superficie come "schermo" (ospite)
questa si pone adesso come l'ultima e la prima risorsa della pittura. Da adesso
in poi anche l'immagine avrà una propria vita, incistata nel fascio
luminoso solo l'incidete e il caso ce la potrà rivelare.
(così
sembra trovare anche forma concreta, storica e tecnologica, la definizione
data da L.B. Alberti alla pittura come intersezione della piramide visiva)
INTERLUDIO
42.0
- Mi rendo conto di aver parlato della pittura come se fosse sottratta all'azione
degli uomini, degli artisti; quasi procedesse attraverso autonome azioni,
intraprese nonostante il pittore; come posta con un propria vita all'interno
del sistema dell'arte nel quale va cercando un propria dove collocarsi come
un feticcio assoluto. Non si creda che si voglia minimizzare o annullare
il ruolo dell'artista con un'azione di materialismo grossolano che affiderebbe
tutto a delle forze sociali, ossia culturali, che procedono o procederebbero
attraverso passaggi obbligati quanto deterministici. D'altronde soltanto
se prende a camminare con le proprie gambe l'opera raggiunge l'arte. Ma l'opera
può camminare soltanto se è compitamente svolta; e per compiutamente
svolgersi deve anche liberarsi dalle illusioni dell'autore, che vorrebbe
tenerla presso di sé sistemata in casa.
*
Magari l'opera
invece gli si ribella, proprio come in Pinocchio, per andarsene per il mondo
- anche se poi finisce nel ventre buio della balena: sempre meglio che nel
ventre peloso del collezionista.
*
- "La critica fondata sul culto della personalità è fragile…Personalmente,
credo che nell’opera d'arte ci sia qualcosa di più obiettivo,
che può essere oggetto di scienza. La storia è fatta di avvenimenti
e non di intenzioni; la storia dell'arte è storia delle opere e nn
degli uomini". Pierre Francastel, Lo spazio figurativo dal Rinascimento
al Cubismo (1951), Giulio Einaudi Editore, Torino 1957, pag. 115.
42.1
- Nella serie delle reciproche emancipazioni dell'opera, e allora
dell'artista (poiché l'opera liberandosi dell'artista libera l'artista
dall'arte, il pittore dalla pittura, per riconsegnarlo all'uomo generico,
ossia per porlo nuovamente in un momento germinale, sciogliendolo dalla dannazione
dello stile)…Nella serie delle reciproche emancipazioni, dicevo, anche
il Testo ("questo" testo) si emancipa dalla critica e dall'oggetto del quale
inizialmente ha preso a trattare, per farsi una propria vita in quanto testo,
in quanto scrittura. (cfr.41.b)
Allora la
critica d'arte (la critica della pittura) diventa l'arte della critica (la
pittura della critica), diventa ermenautica.
E magari
così la Pittura, come Pinocchio nel ventre buio della balena, trova
pure il lumicino di una nuova categoria estetica generale, lo spiraglio per
una diversa sensibilità che la faccia ritornare in superficie.
Come lo
schermo si è svincolato dall'apparecchiatura cinematografica, anche
il parlare dello schermo in questo suo scivolare via, scivola esso stesso
via dallo schermo: e come potrebbe altrimenti, trattando di una superficie
ormai senza appigli?
Se col primo
spostamento lo schermo si conosce in quanto schermo (come un Narciso cieco),
la critica dello schermo (come ospite) trova la "mera superficie" in quanto
tale (momento germinale del tutto materiale della pittura).
E poiché
un Narciso cieco non è altri che un Tiresia veggente, la "mera superficie"
- raggiunta dalla critica attraverso tale specifico percorso - è la
condizione tragica dalla quale ripartire, o nella quale restare (dipende dal
pittore), che però ormai necessita di una nuova definizione della
pittura (certamente per una determinata pittura - bisognerebbe infatti
portare avanti e sviluppare l'analisi su altre linee della pittura contemporanea)
con la quale si ritrova l'arte - la pittura - ma non è più
quella di prima: neppure Raffaello si ritrova Raffaello dopo Malevic.
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