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Che la patata sia il prodotto del lavoro del contadino non è certo più vero del fatto che la scarpa sia il prodotto del lavoro del ciabattino. E se le scarpe di van Gogh hanno evocato il mondo del contadino con le sue patate, il parlarne in termini reticenti[1] invoca il mondo del calzolaio, con le sue proprie patate ai piedi.
Bonjour Monsieur Bottier
Dur. 54' 34"

Dialogato coi morti, a 3 voci + 1 cane (con gli stivali)
Due uomini, che nei paraggi erano conosciuti come Giacomo e Martino, avanzano dal fondo di una piatta campagna sullo stesso sentiero di un uomo e di un cane che procedono dalla parte opposta, voltandoci le spalle. Mentre sulla pista che si inoltra nella piana vediamo allontanarsi una diligenza a cavalli, gli uomini e il cane si incontrano tutti giusto sotto l’ombra che un solitario albero proietta sul polveroso terreno.

- Giacomo  – Buongiorno a lei, signore…
- un uomo  -  Buongiorno a voi, signori…
-
Giacomo – Non ci aspettavamo di incontrare qualcuno a passeggiare per la campagna in quest’ora della giornata. Vi seccherebbe troppo trattenervi un poco a parlar con noi? Siamo filosofi, e noialtri ci riposiamo soltanto quando possiamo conversare senza far filosofia.
-
un uomo -  Io sono calzolaio, ossia: faccio il calzolaio…
-
Martino – Allora, buongiorno signor calzolaio.
- un uomo divenuto calzolaio - Buongiorno piuttosto a voi, signori filosofi. Anche se non posso dire di andare a zonzo, sono attratto dall'invito e gradisco proprio riposarmi un po' in vostra compagnia. Sapete? è già da qualche ora che cammino su questo sentiero per collaudare un paio di scarpe appena fatte da me  con un nuovo tipo materiale che dovrebbe adattarle come un guanto ad ogni particolare forma dei piedi…
-
Martino – Materia e forma, quali determinazioni dell’ente, ineriscono all’essere del mezzo. Questo termine denota ciò che è stato prodotto per l’uso e per la fruizione. Il mezzo (le scarpe, ad esempio), una volta approntato, riposa in sé stesso come la mera cosa; ma non possiede, come il blocco di granito, il carattere dell’esser sorto da sé...[2]
- Il calzolaio
(rivolgendosi a Giacomo, poi a Martino) Il vostro amico prende sempre le cose così seriamente?… Comunque io non ho mai pensato che un blocco di granito potesse sorgere per proprio conto! Se non è stata la montagna a lasciarlo precipitare a valle, un tale blocco l’ho sempre saputo frutto del lavoro di un cavatore, proprio come un rotolo di pelli di capriolo frutto del lavoro di qualche conciatore. E figuriamoci poi se vedendo un paio di scarpe qualcuno possa immaginare che si sia formato da sé… 
- Martino
- Infatti il mezzo, cioè la scarpa, ha in comune con l’opera d’arte il fatto d’esser frutto di un’attività umana.[2]
- Il calzolaio Come calzolaio non andrei a scomodar l’arte. Mi contento di metter scarpe comode ai piedi… Potrei anche essere lusingato per le vostre parole, se guardandomi attorno non vedessi però ben poche cose che non siano il frutto di attività umane… Persino la linea di quella montagna laggiù, non la vedete profondamente smozzicata dalla cava di marmo?... E il vecchio torrente a valle? Avete visto come prende ogni volta lo stesso colore delle stoffe tinte nella manifattura di cui vedete i comignoli dietro quella siepe di bosso? Sarebbero dunque anche tutte queste cose dei “mezzi” e delle opere d’arte?
- Martino –  Il mezzo è particolarmente vicino al modo di vedere dell’uomo, perché trae il suo essere dall’attività umana...[3]
.
Il calzolaio – Però, mi scusi … Se questo vostro mezzo nasce dall’attività umana, più che star vicino “al modo di vedere” dell’uomo dovrebbe stare vicino al “modo di fare” dell’uomo…
- Martino
(riprende a dire) …Questo ente, il mezzo, a noi così familiare nel suo essere, possiede anche una caratteristica posizione intermedia fra la cosa e l’opera.[4]
- Giacomo
(intromettendosi) …Il mio amico vuole dire che il mezzo è per metà cosa, perché determinato dalla cosità, con qualcosa in più; nel contempo è per metà opera d’arte, con qualcosa in meno.[5]
- Il calzolaio – Devo intendere che in un paio di scarpe, ad esempio, la metà destra sarebbe qualcosa in più di una semplice cosa, e la metà sinistra sarebbe qualcosa in meno di un’opera d’arte? … La nostra chiacchierata ha preso una strana piega, e il vostro modo di parlare mi confonde. Eppure, signori, avevate promesso di conversare senza teorie filosofiche… ricordate?
-
Martino -  Per descrivere le scarpe non occorre averne un paio sotto gli occhi. Tutti sanno cosa sono…
-
Il calzolaio – Altrochè! Specialmente quando se le portano ai piedi.
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Martino (ignorando l'interruzione) …Ma poiché si tratta di una descrizione immediata, può essere utile facilitare la visione sensibile. A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa…[6]
- Il calzolaio – Vuol dire come l’insegna nella vetrina della mia bottega? … Infatti non l’ho mica esposta lì per  mandare la gente tra boschi o campi in cerca di scarpe come fossero funghi che si fanno da sé.
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Martino (spazientito, prosegue) …Scegliamo ad esempio un quadro di Van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo. Che c’è in esso da vedere?...[7]
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Il calzolaio - Basta entrare nella mia bottega per vedere cosa c’è e come sono fatte le scarpe. Gliele farei anche provare. Non vorrei che il bisogno di scarpe sia soddisfatto guardando la figura delle scarpe sulla mia insegna, o nel quadro di van Gogh … Sarei rovinato!
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Martino (prosegue a dire) …Ognuno sa come sono fatte le scarpe. Se non si tratta di calzature di legno o di corda, hanno la suola di cuoio e la tomaia unita alla suola con cuciture e chiodi.[8]
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Il calzolaio -  Dicendo che ognuno sa come sono fatte, intendete riferirvi alle scarpe dipinte o a quelle di cuoio che faccio io? Perché io, su come sono fatte le scarpe dipinte, non so proprio un bel nulla. Invece ho sentito dire che un certo professore americano crede di sapere bene come erano fatte addirittura le scarpe del pittore van Gogh.
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Giacomo (pedagogico) Per il momento al mio collega Martino non interessa l’opera, ma solo dell’esser mezzo in generale, di cui le scarpe offrono un semplice esempio – e non ha importanza quali particolari scarpe siano. E se quello che a lui importa descrivere non sono le scarpe in pittura, non possiamo più aspettarci legittimamente da lui una descrizione del quadro in sé stesso, né di conseguenza, criticarne la non pertinenza [9]… come invece avrebbe malinteso quel certo professore americano!  Il mio amico non intendeva parlare del quadro di van Gogh, figuriamoci poi delle sue scarpe vere…
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Il calzolaio – Sapete? in cucina mia moglie ha messo proprio la riproduzione del quadro in cui questo van Gogh ha rappresentato dei contadini mangiatori di patate. E nella mia bottega la donna voleva appendere una riproduzione a colori di uno di quei suoi quadri con le scarpe; ma l’ho convinta a rinunciare. Sarebbe scoraggiante entrare in bottega e vedere subito delle scarpe vecchie… Naturalmente parlo per me che le scarpe le faccio… come si dice: da capo a piedi…. Magari ad un rigattiere sarebbe pure piaciuto … anche se credo noioso offrire la figura di ciò che ognuno vedrebbe già esposto negli scaffali della stessa bottega…
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Martino – Finché noi ci limitiamo a rappresentarci un paio di scarpe in generale o osserviamo in un quadro le scarpe vuotamente presenti nel loro non-impiego, non saremo mai in grado di cogliere ciò che, in verità, è l’esser-mezzo del mezzo.[10]
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Giacomo – Vale a dire, signor calzolaio, che per poter afferrare l’esser-mezzo del mezzo, dobbiamo conoscere come le scarpe servono realmente.[11]
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Martino (ignorando l'intromissione, categorico) …Questo mezzo serve da calzatura…[12]
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Il calzolaio -  Alla buonora! Non ci vuole poi tanto ad afferrare questa verità del mezzo…Forse però dovreste aggiungere che serve da “calzatura umana”. Io non faccio mica scarpette per cani barboncini!
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Martino - Col variare dell’uso – lavoro dei campi o danza – variano la forma e la materia. Queste considerazioni abbastanza banali non fanno che chiarire ciò che già sappiamo. L’esser mezzo del mezzo consiste nella sua usabilità.[13]
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Il calzolaio – A queste “cose che già sappiamo” fate prendere sentieri troppo tortuosi. Di questo passo nessuno oserà neppure arrivare a pronunciare la parola “scarpa” senza procurarsi un mal di testa…
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Martino E’ il quadro che ha parlato…L’opera d’arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità…[14]
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Il calzolaio – Il quadro prima di parlare e farci conoscere cosa sono le scarpe in verità, dovrebbe potersi infilare ai piedi. E poi io veramente finora ho sentito parlare soltanto voialtri, che continuate a definire le scarpe un “mezzo” invece di chiamarle prodotti. Le scarpe, non quelle del quadro, che è un altro tipo di prodotto, sono prodotte dal mio lavoro… E non dite che sono il risultato finale delle mie mani. Se poi anche la mani sarebbero per voi dei mezzi, vi sfido a trovare qualcosa che non lo sia o possa non esserlo…
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Il cane (scodinzola e prende a parlare) Il mezzo sta nel mezzo. Occorre dunque metterlo al suo posto. “Il mezzo di lavoro – ad esempio - è una cosa o un complesso di cose che il lavoratore inserisce fra se e l’oggetto del lavoro, e che gli servono da conduttore della propria attività su quell’oggetto”.[15]
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Il calzolaio (dopo essersi ripreso dallo stupore) Perfetto! Non so come avete fatto parlare anche ‘sta  bestia, ma il trucchetto vi è riuscito benissimo… D’accordo (rivolgendosi al cane) Anche le mie mani sono un mezzo, ma non un mezzo generico. Sono appunto un mezzo di lavoro, che non posso però separare dal mio corpo, abbandonarle in un cassetto come una pinza o un altro qualsiasi altro utensile… possono anche andare a lavorare per una fabbrica di scarpe, ma con me tutto intero…
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Giacomo (visibilmente scosso) Cos’è questa novità!? Siamo forse impazziti? Un cane che parla e un calzolaio che gli risponde!
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Il calzolaio (rivolto agli altri due) Mi fate specie voialtri! Avete appena fatto parlare quadri e scarpe e ora vi stupite che un cane possa anche lui prendere la parola… E poi, questo cane non è con voi?
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Giacomo – Per niente! Non ci appartiene, e neppure ci teniamo. Noi pensavamo che l’animale fosse vostro. Vi seguiva…
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Il calzolaio – Mi è venuto incontro all’ultima svolta del sentiero. Mi ha fatto simpatia e l’ho carezzato appena; poi ho visto voi e ho immaginato che vi aveva preceduto venendomi incontro.
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Giacomo - Dunque non è neppure vostro?... La cosa è imbarazzante.... Che fare, adesso?
Il silenzio, che dura già da parecchi secondi, viene improvvisamente rotto dall’esclamazione di
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Martino - Prendiamo, ad esempio, un cane che parla!...
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Giacomo (manifestando ammirazione) Geniale! Ora sì che possiamo continuare la conversazione. D’ora in avanti sia ben chiaro a tutti che questo bastardo, di cui non si conosce la razza né a chi appartenga, è qui solo in qualità di “esempio”…
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Il calzolaio - Contenti voi… Non dovremmo però chiederci cos’è che ha fatto di un cane che abitudinariamente abbaia un cane che eccezionalmente parla…?
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Martino – Ma in virtù di che cosa e a partire da che cosa l’artista è ciò che è? In virtù della sua opera. L’artista è l’origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista. Nessuno dei due sta senza l’altro.[16]
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Il calzolaio – Dunque è la parola a fare di un cane un essere parlante, così come è la filosofia a fare i filosofi, la scarpa a fare il ciabattino o il quadro a fare il pittore. Ma questo non farebbe con ciò stesso del cane, del pittore, del ciabattino o del filosofo dei dannati delle loro proprie cose?… E cosa sarebbe invece un uomo che fa quadri come facesse scarpe e scarpe come facesse quadri?…. Non metterebbe tutti noi nella medesima difficoltà provocata da un cane che si mettesse d’improvviso a far filosofia?...
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Giacomo – Ma se abbiamo appena stabilito che non siamo di fronte a un fenomeno reale, ma di fronte ad un esempio del discorso fatto solo per consentirci di proseguire la conversazione!
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Il calzolaio – Sembra che alla fin fine riuscite a procedere sui vostri passi senza lasciarvi scombussolare da nulla, per quanto prodigioso possa essere… (da parte) Non so se la cosa gli faccia onore. (Rivolto a a Martino) Però, se lo ritenete più importante, continuiamo pure a parlare di scarpe piuttosto che di cani parlanti.
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Martino - La contadina, ad esempio, calza le scarpe nel campo. Solo qui esse sono ciò che sono. Ed esse sono tanto più ciò che sono quanto meno la contadina, lavorando, pensa alle scarpe o le vede o le sente.[17]
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Il calzolaio – Cioè, le scarpe si rivelano per ciò che sono appena scompaiono nell’uso. E questo è appunto quanto mi dà sempre soddisfazione, come ciabattino, s’intende. Vedete? prendo gusto a divagar con voi.
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Martino - … La contadina è in piedi e cammina in esse. Ecco come le scarpe servono realmente...[18]
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Il calzolaio – … Una contadina che cammina “nelle” scarpe!? Qualcosa vi ha certamente tradito, signore,  se immaginate delle scarpe grandi quanto un’aia da farci camminare dentro una contadina…
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Martino – E’ nel corso di questo uso concreto del mezzo che è effettivamente possibile incontrare il carattere di mezzo.[19]
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Il calzolaio – E io che speravo che per incontrare il carattere delle scarpe, anzi: delle scarpe di carattere… bastava vedere la mia insegna, entrare in bottega e comprarne un paio, magari! Perché, vedete signore, se la contadina incontra il carattere di mezzo delle scarpe camminandoci, io, personalmente, come calzolaio incontro il carattere di mezzo delle scarpe solo al momento che le vendo… L’uso che poi ne fa il cliente non mi riguarda affatto. Dopo che me le ha pagate può anche riempirle di terra per piantarvi dei gerani sul balcone!
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Martino – La contadina porta semplicemente le sue scarpe. Se almeno questo “semplice portare” fosse davvero semplice![20]
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Il calzolaio – Non è semplice no! Bisogna però che vi decidiate una buona volta! Perché se è la contadina a portare le scarpe, sarebbe più giusto dire che, per le scarpe, la contadina è un mezzo… di trasloco, diciamo.
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Martino - L’esser mezzo del mezzo consiste certamente nella sua usabilità. Ma questa a sua volta riposa nella pienezza dell’essere essenziale del mezzo. Questo essere[21] è da noi indicato con il termine fidatezza.[22]
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Il cane (scodinzolando) Questo essere, invece, è da noi indicato con il termine di “valore d’uso”. “L’utilità di una cosa ne fa un valore d’uso”, dice semplicemente John Locke[23]; ma questa utilità non aleggia nell’aria, bisogna aggiungere.[24]
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Giacomo (sarcastico) ‘Sto bastardo è pure sapiente?
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Il calzolaio (rivolgendosi al cane) L’utilità non aleggia no nell’aria… Sta proprio in terra: tra la suola e il suolo. Insomma, le scarpe saranno pure un “mezzo”, ma è indifferente l’uso che poi se ne fa. Mentre per alcuni servono per camminare, per me, lo ripeto, non sono utili ad altro che per ottenere denaro contante… Capirete pure che mi è indifferente ottenere denaro con un lavoro da ciabattino o da falegname. Vendendo scarpe o sedie impagliate avrei sempre lo stesso risultato… Magari, fossi nato a Tubinga, mi poteva anche venir voglia di far soldi con la filosofia…[25]
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Martino - L’usabilità del mezzo non è che la conseguenza essenziale della fidatezza…[26]
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Il calzolaio Abbia pazienza ancora, signore, ma ritengo che l'usabilità delle scarpe in quanto scarpe non deriva dalla fiducia umana verso il paio di scarpe; piuttosto l’usabilità precede la fiducia riposta nell’uso, che sarà confermata o delusa se poi, alla prova dei fatti, le scarpe procureranno a chi le porta, sollievo oppure dolore ai piedi. Lasciatemi dire che tutti, contadini o cittadini che siano, non si fidano affatto… e vogliono provarle camminando, le mie scarpe, se non preferiscono usarle quali vasi per gerani… come per voialtri, signori, magari le scarpe potrebbero anche essere un mezzo per far carriera all’università…
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Martino - Il singolo mezzo viene consumato e logorato; ma anche l’usare incappa nel frattempo nell’usura, si ottunde e diviene comune. Così lo stesso esser-mezzo si corrompe e decade a mero mezzo. Questa devastazione dell’essere è il dileguare della fidatezza.[27]
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Il calzolaio – Questa devastazione dell’essere è null’altro che l’ordinario consumo delle scarpe… Per dirla in parole semplici, e proprio senza teorie filosofiche: ogni scarpa finisce in ciabatta... e per quanto mi riguarda è proprio bene che finisca così.
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Martino - Il deperimento a cui le cose d’uso debbono la loro noiosa e importuna abitualità non è che un segno dell’essenza originaria dell’esser-mezzo.[28]
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Il calzolaio – Il deperimento delle scarpe non ha nulla di importuno, perché proprio dal loro uso e consumo le scarpe traggono la propria origine e ragione di essere, e io i mezzi per il sostentamento di tutta una famiglia… Dovreste vedere in quali condizioni certi poveracci sono costretti a portarmi le loro scarpe sdrucite…!
- Giacomo
(irritato) Sempre lì a rimbeccare… Cerchi di ascoltare, piuttosto!
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Il calzolaio – Avete detto di voler ragionare assieme a me, non al mio posto! Lasciatemi almeno dire che il deterioramento delle scarpe può risultarmi noioso solo quando mi tocca riparare tacchi e suole bucate invece di creare e vendere un bel paio di scarpe nuove di zecca, tirate a lucido… ma soprattutto a prezzo pieno.
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Martino La banale abitudinarietà del mezzo si fa allora innanzi come il modo di essere unico ed esclusivo del mezzo. Di visibile non resta che la piatta usabilità. Essa porta con sé l’illusione che l’origine del mezzo consista nella semplice fabbricazione che impone una forma a una materia. Invece il mezzo, nel suo essere tale, risale ben oltre. Materia, forma, e la loro distinzione, hanno esse stesse una origine assai più lontana.[29]
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Il calzolaio (partecipe) Ben detto. Lo dicevo io! Nella fabbricazione delle scarpe, ad esempio, l’origine della loro materia e forma è più remota delle scarpe stesse. La materia ‘cuoio’ con cui faccio le scarpe, ad esempio, entra nel mio lavoro come un mezzo per produrre scarpe, insomma, come materia prima; mentre per il conciatore il cuoio ha rappresentato il prodotto finale del suo lavoro. Dove ha finito lui comincio io…[30]
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Il cane (scodinzolando) Che un valore d’uso si presenti come materia prima, mezzo di lavoro o prodotto dipende assolutamente dalla sua funzione determinata nel processo lavorativo, dalla posizione che occupa in esso; e col cambiare di questa posizione cambiano quelle determinazioni.[31]
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Il calzolaio (al cane) Lascia perdere…. (Poi a Martino e Giacomo) Temo proprio che lorsignori abbiano preso un abbaglio scegliendo un orpello come le scarpe, per parlare di un orpello: il quadro con le scarpe… Le scarpe della contadina sarebbero un mezzo… per cosa, precisamente? Non certo un mezzo di trasporto, perché sono loro ad essere portate… Certamente stanno o sono in mezzo, tra il piede nudo e la nuda terra… tra il bisogno e il tavolo dei mangiatori di patate…ma le scarpe non entrano nella produzione, ad esempio, della patata, più di quanto vi possa entrare la gonna della contadina… Difatti la contadina andava spesso scalza per i campi, eppure tornava comunque dal lavoro con la sottana gonfia di patate… Ecco! Magari le patate possono essere un mezzo di produzione della vita stessa della contadina, mentre sarebbero, quelle stesse patate, una materia prima per la produzione dello spirito di patata… ad esempio. Producendo una semplice patata la contadina produrrebbe con essa un mezzo di produzione e una materia prima…  Sì, lei ha detto bene: non c’è nulla di semplice… 
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Il cane (scodinzolando) Col loro ingresso in nuovi processi lavorativi in qualità di mezzi di produzione, i prodotti perdono il carattere di prodotti e funzionano ormai soltanto come fattori oggettivi del lavoro vivente. Il filatore tratta il fuso come mezzo col quale fila. Certo, non si può filare senza materiale da filare e senza fusi; quindi, quando comincia la filatura, la presenza di questi prodotti è presupposta. Ma in questo processo della filatura è indifferente che lino e fusi siano prodotti di lavoro trascorso, quanto è indifferente, nell’atto della nutrizione, che il pane sia il prodotto dei lavori trascorsi del contadino, del mugnaio, del fornaio, eccetera...[32]
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Il calzolaio Certo, mi rincresce un po’ il fatto che nell’atto del camminare le scarpe risultano indifferenti al mio lavoro, a quello del conciatore e del fabbricante di chiodi… Ma tanto più spariscono le scarpe e chi le ha fatte quanto più tali scarpe, calzate, si dimostrano realizzate a puntino, o come si suole dire: a regola d’arte.
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Il cane (scodinzolando) Quando i mezzi di produzione fanno valere nel processo produttivo il loro carattere di prodotti di lavoro trascorso, ciò avviene per mezzo dei loro difetti. Un coltello che non taglia, refe che si strappa continuamente, fan ricordare vivamente il coltellaio A, il filatore B. Quando il prodotto è riuscito, la mediazione delle sue qualità d’uso per opera del lavoro trascorso è estinta.[33]
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Giacomo -  Questo cane è tanto originale quanto ammorbante…!
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Il calzolaio Però dice il giusto. Io non posso fare scarpe senza le pelli, cuoio, chiodi, colla e spago. Anch’io lavorando non mi curo affatto di queste cose, le uso, semplicemente. Solo quando sono difettose mi accorgo che stavo utilizzando il prodotto di qualcun altro. Se per qualche maledetto motivo ogni cosa che mi occorre per fare scarpe smettesse improvvisamente di funzionare – la colla che non salda, il chiodo che si spezza, lo spago che cede o la cesoia che non taglia - il mio disappunto trasformerebbe all'istante tutti quei materiali e strumenti guasti in una folla di lavoratori da insultare scaturiti improvvisamente dal mio deschetto come da una cornucopia impazzita…
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Il cane (scodinzolando) Una macchina che non serve nel processo lavorativo è inutile, e inoltre cade in preda alla forza distruttiva del ricambio organico naturale. Il ferro arrugginisce, il legno marcisce. Refe non tessuto o non usato in lavori a maglia, è cotone sciupato. Queste cose debbono essere afferrate dal lavoro vivo, che le evochi dal regni dei morti, le trasformi, da valori d’uso possibili soltanto, in valori d’uso reali e operanti. Lambite dal fuoco del lavoro, divenute propria parte di esso come corpi, animate per le funzioni che hanno, secondo la loro definizione e secondo il loro compito, nel processo, certo queste cose vengono anche consumate, ma appropriatamente, come elementi della formazione di nuovi valori d’uso, di nuovi prodotti, capaci di entrare nel consumo individuale come mezzi di sussistenza o in un nuovo processo lavorativo come mezzi di produzione. Se dunque i prodotti presenti non sono soltanto risultati ma anche condizioni d’esistenza del processo lavorativo, d’altra parte, l’unico mezzo per conservare e realizzare come valori d’uso questi prodotti di lavoro trascorso è gettarli nel processo lavorativo, dunque il loro contatto con il lavoro vivente.[34]
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Giacomo Non date ascolto a questo citrullo di cane!
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Il calzolaio – Se la malizia non è il punto, che male c’è ad essere un citrullo? E’ poi così importante per voialtri conservare le cose così come le trovate già fatte invece di metterle tutte in un calderone e rimestarle di nuovo?
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Giacomo Ma non vedete come questo esempio di cane sbava ignobilmente coi suoi ragionamenti melanconici?
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Il calzolaio – Cosa c’è di malinconico nel guardare le cose all’ultimo stato del loro deperimento? Anche la mia insegna di calzolaio è ormai tutta sbrindellata. Significa solo che è esposta lì in vetrina da tanto tempo quanto io sono dentro a lavorare… Ultimamente mi ha fatto allegria un signore che se la voleva comprare; diceva di essere un mercante d’arte… ma era solo un’anima guasta.
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Giacomo (da parte, a Martino) Prima che questa biforcazione della strada e del discorso ci faccia perdere l’orientamento, meglio andarsene. (Rivolgendosi al calzolaio) Per noi si è fatto tardi, e forse abbiamo anche sbagliato strada. Siamo, il mio collega ed io, sul punto recarci ad Amsterdam in treno.
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Il calzolaio – Prima di lasciarci, allora, voglio essere sincero con voi e dirvi che in fondo non affatto che le scarpe siano un mezzo… Definireste come mezzi anche i ferri del cavallo? Insomma. questa idea delle scarpe come “mezzo” mi sembra frutto di una afflizione tipica degli abitanti di città, preoccupati per gli inconvenienti di un selciato sconnesso o per le sporcizie dei cani sui marciapiedi. Sul prato o sulla spiaggia ci si toglie volentieri le scarpe per rimanere a piedi nudi…. Ecco! forse i piedi stessi posso considerarli dei mezzi; infatti si dice “andare a piedi” e non “andare a scarpe”… così come si dice “andare a cavallo” e non “andare a ferri di cavallo”…
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Giacomo – Il mio amico non intendeva parlare del quadro di van Gogh, figuriamoci poi delle scarpe che fate voi, signor calzolaio.
Il calzolaio – Non volevate parlare di filosofia, non volevate parlare delle scarpe di van Gogh, non volevate parlare di scarpe reali…. Non volevate parlare di nulla!
- Giacomo - Voi Siete polemico per partito preso...
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Martino (intevenendo con cortesia) Probabilmente non ci siamo capiti e conversando abbiamo originato tanti equivoci tra noi come se ne vedono solo nelle vecchie commedie dell’arte… Adesso però, gentilmente, ci scuserete, ma dobbiamo proprio andare.
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Il calzolaio (a disagio, guardandosi le scarpe) Sapete che anche stando fermo in piedi, le mie scarpe hanno preso infine la forma che mi aspettavo prendessero solo camminandoci?
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Giacomo - Ecco, allora facciamola finita qui. Noi due siamo attesi, sapete? Ci sono delle persone di riguardo che ci aspettano... Ma voi portatevi pure a casa questo cane, col quale ve la intendete perfettamente.
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Il calzolaio – Beh, lo farei proprio volentieri se non fosse per un’ordinanza comunale che vieta di accogliere in paese qualunque animale randagio. Il nuovo decoro cittadino tollera solo cani di razza pura. Tutti gli altri vengono spediti e destinati al canile a gas... e capirete...
- Giacomo (sbrigativo) Meglio così! Sono certo che quest’animale spelacchiato è pure infestato da zecche pustolose.
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Il calzolaio (mentre i due si voltano per tornare sui loro passi) Ehi, signori, ve ne andate così di fretta? Sembrate scappare…. Vogliate perdonarmi se sono stato troppo meschino, ma capirete che è stato il mio lavoro a rendermi così… proprio terra-terra…
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Giacomo (allontanandosi con Martino) Lasciamo perdere, calzolaio, è andata bene com’è andata.
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Il calzolaio – In tal caso vi saluto. Ci avevo messo gusto a parlare con voi. Prima della nostra chiacchierata non avrei mai immaginato che le scarpe producessero pure qualcosa di filosofia. (Mentre i due filosofi continuano ad allontanarsi lentamente, il calzolaio brontola tra sé) … Ma non so bene se ringraziarli di questo. Ecco cosa si guadagna ad essere cortesi: solo angustie inutili e cani pulciosi!
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Giacomo (da lontano, voltandosi, grida al calzolaio) E mi raccomando, non raccontate a nessuno quello che è accaduto su questo sentiero, di noi e del cane, intendo; vi prenderebbero per pazzo… (i due filosofi escono)
-
Il calzolaio (tenta di gridargli dietro) Non scaldatevi troppo, e non temete!... D'altronde a chi può far paura un semplice esempio di cane parlante ? (Esce)

Mentre il sole lentamente cala all’orizzonte, il cane si accuccia  e inizia a guaire debolmente, quasi per accompagnare con il suo verso le parole di una
Voce fuori campo:  

“In questo tramonto, lascio le mie ultime volontà. I miei piedi sono uniti, le mie scarpe posano come quella mattina quando faticosamente discesi fino ad esse, ed io le lascio così… come le avevano preparate loro. Voi mi deste queste scarpe perché io camminassi sulla terra è vero? (dall’alto cadono un paio di  stivali neri con tanto di speroni) Forse io dovevo camminare fino a che esse non fossero state tutte consumate, ma siccome sempre mi fecero viaggiare in vettura, sono rimaste in buono stato: sono ancora belle, lucide, e la loro suola non è consumata per niente. E’ la sola cosa ch’io posseggo e ve le lascio, o uomini. Queste scarpe mi legarono a voi, convinti che io non valevo gran che; valevo solo questo paio di scarpe.”[35] 

BUIO PESTO

Dopo quest’ultimo quadretto realizzato appositamente per il vostro divertimento, non mi resta altro da fare che ringraziarvi per la vostra più che benevola attenzione e salutandovi esprimere il rammarico per non poter indicare precisamente il testo da cui è presa una frase che circola sulla Rete come un divertente aforisma di Karl Marx: Il calzolaio Jacob Bohme era un grande filosofo, molti filosofi di grido sono solo grandi calzolai.

[1] - Come quando si insegna a cantare ai bambini che “per fare un tavolo ci vuole il fiore”, rendendoli soddisfatti di quest'arguzia dopo aver nominato proprio tutto di tutto tranne che il falegname e il suo lavoro!
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole un fiore.
Per fare un fiore ci vuole un ramo
Per fare il ramo ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il bosco
Per fare il bosco ci vuole il monte
Per fare il monte ci vuol la terra
Per far la terra ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore... ecc.

[2] - Heidegger, Origine Ni68, p. 14.
[3] - Ivi
[4] - Ivi, p. 17.
[5] - Derrida, Restituzioni, cit p. 283.
[6] - Heidegger, Origine Ni68, p. 14
[7] - Ivi.
[8] - Ivi.
[9] - Derrida, Restituzioni, cit. p. 285.
[10] - Heidegger, Origine Ni68, p. 18.
[11] - Derrida, Restituzioni… cit. p.  280.
[12] - Heidegger, Origine NI68, pag. 18.
[13] - Ivi.
[14] - Ivi, pag. 21.
[15] - Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1970, Libro I, Sezione III, cap. 5.1, pag 197.
[16] - Hedegger, Origine NI68,  pag 18.
[17] - Ivi. – Dunque: le scarpe sono un mezzo quando scompaiono nell’uso e nel consumo (ndr).
[18] - Ivi, pag 18-19.
[19] - Ivi.. pag. 19
[20] - ivi.
[21] - Anche l’uso e l’usabilità è un essere? Non è piuttosto un rapporto tra esseri (concreti)?
[22] - “Verlässigkeit“, Origine NI68, p. 19-20.
[23] - J.Locke, Some consideration on the consequences of lowering of interest, 1691: “Il valore naturale (natural worth) di ogni cosa consiste nella sua attitudine a soddisfare le necessità e a servire i comodi della vita umana.”
[24] - Marx, Il Capitale, cit., Lib.I, sez.I, cap.I, p. 48.
[25] - Il calzolaio intanto pensa:...Si dice che spesso chi ha il pane non ha i denti... ma si dovrebbe aggiungere che chi ha danaro ha sempre entrambe le cose lì in tasca: il pane con i denti e ben altre cose...
[26] - Heidegger, Origine NI68,  pag 20.
[27] - Ivi.
[28] - Ivi.
[29] - Ivi.
[30] - Il calzolaio intanto pensa:...Non andate però troppo lontano, amici miei, perché se vogliamo risalire all’origine delle cose si potrà sempre aggiungere un’origine all’origine… e se è vero che chiodo scaccia chiodo, non la finiremo più di muoverci all’indietro per non arrivare a niente…
[31] - Marx, Il Capitale, cit., lib.I, sez.III cap.5.1,
p.201.
[32] - Ivi.
[33] - Ivi.
[34] - Ivi.
[35] - Aldo Palazzeschi, Il codice di Perelà, op. cit..

In alto: Gustave Courbet, La rencontre (Bonjour  monsieur Courbet), 1854, olio su tela, cm. 129x149, Museo Fabre, Montpellier; accanto, dai titoli di testa dell’intervista televisiva di Heidegger (Uber Karl Marx Und Die Weltveranderung ,1969).






ARTICOLI DA VIAGGIO mezzi di trasloco e altre restituzioni
parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES