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[ origine della valigia ]
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Dopo Schapiro viene Derrida.

Nella sua conferenza proprio alla Columbia University[1] il francese riprende la disputa sull’attribuzione delle scarpe, per calzarle lui e - saltellando sulle parole - seguire Pollicino fino alla casa paterna ai margini del bosco: la Verità senz’altro - che dopo tutto sembra essere l’impossibilità di stabilire per certo ciò che il dipinto rappresentava.

Convenendo che “la verità di un dipinto non può essere stabilita nemmeno al di fuori di esso[2], l’intera campagna critica può allargarsi ad ambiti diversi dalla pittura, con altri sentieri su cui andare, ma lungo i quali, a lungo andare, ci si può sempre smarrire (e stancare).

Schapiro che accusava Heidegger di aver proiettato la propria filosofia (il suo patetismo agrario-germanico, suppongo) sulle scarpe di van Gogh, poteva forse ritenere sé stesso immune da simili proiezioni?
Ma lo è forse di più Derrida, che lascia intendere uno Schapiro più arcigno e accanito nei riguardi di Heidegger di quanto lo sia stato realmente?

Che ognuno proietti ciò che pensa sul bersaglio che ha preso di mira è inevitabile. Senza farsi un’idea precisa della volpe, come stanarla dall’intrico del sottobosco? Senza sistemarla poi alla propria portata, come decidersi a tirare? [3]

Piuttosto c’è da capire cosa c’è in ballo, quale è la posta in gioco: la preda loro e la mia.

Schapiro aveva scritto: 

Il Professor Heidegger sa benissimo che van Gogh ha dipinto più di una volta scarpe come queste, ma non identifica il quadro che ha in mente, come se le differenti versioni fossero tra loro interscambiabili, in quanto presentano tutte la medesima verità.

E’ accettabile nella “difesa di Heidegger, la circostanza attenuante” suggerita da Schapiro e presa al balzo da Derrida? L’intenzione di Heidegger non era quella di interessarsi di una determinata pittura, e il quadro di van Gogh – dice Derrida[4] - è solo un accessorio intuitivo.

Per il momento, l’oggetto da descrivere, da interpretare, non è il quadro e non è neppure l’oggetto in quanto dipinto, (rap)presentato, ma un mezzo abituale che tutti sanno cos’è. Non c’è nulla in quel che segue che riguardi o che pretenda delimitare la specificità pittorica di queste scarpe in quanto differenti da altre scarpe.[5] 

Heidegger non intendeva riferirsi ad una pittura determina, e neppure a delle scarpe specifiche “da contadino”, bensì ad un “mezzo” generico non delimitato da alcun tipo di specificità – argomenta il francese.

- Allora… a delle scarpine da filosofo? – chiedo io. 

Non ci sarebbe nessuna specificità?
E che fine avrebbe fatto la specificità “contadinesca” immediatamente attribuita a quelle scarpe proprio da Heidegger, e che è all’origine di tanto scalpiccio?
 

Dopo settanta anni da quando la scarpa venne pubblicamente data alla contadina ed io al mondo[6], inseguo i sussurri del bosco e, nella suggestione del procedere di novembre in novembre, arrivo a dire che a van Gogh gli si vogliono fare le scarpe per metterlo in valigia.

Ecco perché siamo qui: la valigia non è altro che la scarpa della mano, essendo il guanto, un calzino.

[1] - In questa stessa università aveva insegnato Goldstein, e all’epoca della conferenza di Derrida ancora vi insegnava Schapiro. Derrida informa che la prima parte di Restituzioni… (da lui definito “polilógo (a n+1 voce femminile)” è stata stampata nel n. 3 del 1977 della rivista Macula, e faceva parte di una raccolta dal titolo: Martin Heidegger e le scarpe di Van Gogh. “L’occasione mi è stata fornita da un saggio di Meyer Schapiro, stampato nello stesso numero di Macula con il titolo: La natura morta come oggetto personale. L’articolo di Schapiro… è stato edito per la prima volta nel 1968 in The Reach of Mind: Essays in memory of Kurt Goldstein (Sprinter Publishing Company, New York).”  Una  nota di redazione che accompagna il testo di Derrida precisa: “quando era già composta in bozza, la fiction che pubblichiamo è stata in qualche modo recitata e raccontata da Jacques Derrida all’università di Columbia… L’udienza ebbe luogo il 6 ottobre 1977. Meyer Schapiro partecipò alla discussione che ne seguì.” (Restituzioni…, cit. p. 246 e 260).
[2] - Così Martin Jay recentemente riassume e semplifica il cammino di Derrida. Da notare il  “nemmeno al di fuori”. Un semplice paio di paio di scarpe possono rimanere un enigma irrisolvibile, un paradosso insanabile.
[3] - Vedi NoMade n.6-2012, "Caccia alla volpe".
[4] - Derrida, Restituzioni, cit. p. 293: “Difesa di Heidegger, circostanza attenuante: la sua “intenzione” non era quella di interessarsi di una determinata pittura, di descrivere e di indagare la sua individualità, in qualità di critico d’arte…E’ chiaro, per il momento il quadro è, in ipotesi solo un accessorio intuitivo. Si può anche rimproverare ad Heidegger questo modo di procedere illustrativo, ma è qualcosa di diverso dal far credere che intenda descrivere il quadro in sé, per potergli poi rimproverare degli errori di lettura nella prospettiva di questa ipotesi che, per il momento, non è la sua”.
[5] - Derrida, Restituzioni, cit. p. 293.
[6] - Il 13 novembre 1936 è il giorno in cui Heidegger lesse la seconda versione dell’Origine; e sempre nel novembre dell’anno successivo, lesse la terza versione definitiva, nella quale, per la prima volta viene citata l’opera di van Gogh. Il 13 novembre è anche il giorno della mia data di nascita, un decennio dopo.




VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES