home raccolta supplementi
[ il gallo, il mulino e il vento ]
Caillois - ...La sorte delle bellezze devastate è di rendere immortali finanche i loro boia. I passi pesanti dei vincitori hanno seppellito nel suolo natio i resti dei templi insieme ai cadaveri degli architetti e degli operai che li costruirono. La terra ricopre i loro ruderi sparsi. Ma la meraviglia sopravvive in ogni frammento. La moneta sotterrata presenta il più fine profilo. Il frammento di un'anfora rotta conserva la linea irreprensibile. La statua mutilata rimane viva. I suoi contorni interrotti invitano lo sguardo a prolungarli nel vuoto.E l'immaginazione, restituendo al marmo la sua pienezza originaria, ricrea ciò che manca attraverso ciò che tuttora persiste...[1]
Nella seconda metà dell’ottocento, alla Morgue, l’obitorio di Parigi, i suicidi non identificati ripescati nella Senna venivano chiamati “les artistes”!
Ma lui, van Gogh, il pittore suicidato della società, era anche insudiciato dalla società?
Se in Vincent trovassimo quello stesso tipo di passione, cruccio, preoccupazione o indignazione che - secondo la ricostruzione di Derrida - avrebbe mobilitato Schapiro-Goldstein versus Heidegger, dovremmo riconoscere che in definitiva non siamo andati dopotutto troppo fuori dal quadro, fuori dalla pittura.
Allora leggo:
Quando ne avremo abbastanza dell’orrendo bianco con la sua bottiglia d’alcool, il suo portamonete, il suo vaiolo? L’orrendo bianco con la sua ipocrisia, la sua avarizia e la sua sterilità.[2]

E leggo ancora:

A parer mio però, se tu ed io fossimo vissuti allora (nel 1848), tu saresti stato dalla parte di Guizot, io da quella di Michelet. E per restare coerenti, con una certa tristezza, avremmo anche potuto trovarci di fronte come nemici diretti, ad esempio sulle barricate, tu da un lato, io dall’altro, come rivoluzionario o ribelle. Oggi, nel 1884, anno in cui le cifre sono identiche, solo capovolte, siamo di nuovo l’uno di fronte all’altro, anche se oggi non vi sono barricate. Però si trovano a tutt’oggi delle menti che non possono andare d’accordo. […] A parer mio non ci si può far nulla se siamo in campo avverso. Sia che la cosa ci piaccia o meno, tu devi andare avanti, io devo andare avanti. Dato però che siamo fratelli, evitiamo di ucciderci, ad esempio (in senso traslato). Non possiamo però aiutarci tanto quanto due persone che stanno fianco a fianco nello stesso campo. No, anzi, se ci avvicinassimo, saremmo l’uomo a portata di tiro dell’altro. I miei sogghigni sono proiettili non indirizzati a te che sei mio fratello, ma genericamente al partito cui appartieni ora e per sempre. […] Spero capirai che sto parlando per immagini. Né tu ne io ci impicciamo di politica, viviamo però nel mondo e nella società ed involontariamente la gente si riunisce in gruppi. […] Come individui si è parte dell’umanità. Questa umanità è divisa in due fazioni. L’appartenere all’una fazione o all’altra, in quale misura dipende dal proprio libero arbitrio, in quale misura invece dalla fatalità delle circostanze? Ebbene, allora era il ’48, ora siamo nell’84, le moulin n’y est plus, mais le vent y est encore. Cerca di decidere da te a quale fazione appartieni, come, per quanto mi riguarda, so ben io. Addio.[3]
Non si tratta di “impicciarsi” di politica, ma di una inderogabile necessità di decidere a quale fazione e partito appartenere, ed appartenervi, con tutte le scarpe.[4]

Proprio in quell’anno 1886, in cui van Gogh capitava a Parigi, un grande sciopero era scoppiato a Decazeville originato dal contratto tra le Compagnie dei Carboni e Fonderie dell’Aveyron e il vice-direttore Watrin, per il quale contratto costui veniva a percepire una percentuale del 10% su ogni riduzione salariale che otteneva. Dopo sei mesi di lotta i minatori vincevano, grazie all’appoggio trovato nell’opinione pubblica.[5]
In questo stesso anno 1886 in cui Vincent dipinge il “famoso quadro con un paio di grossi scarponi”, i centri siderurgici belgi e francesi e l’intero bacino carbonifero, che includeva il Borinage, erano infiammati da lotte sindacali operaie che venivano duramente represse nel sangue.

Van Gogh non stava certo in un partito, ma di sicuro stava in un determinato paio di scarpe sfondate e insudiciate forse proprio della nera torba industriale del Borinage, piuttosto che dalla fanga contadina delle arature.
Nella sua monografia sull’Impressionismo Meyer Schapiro ci dice che dalla metà del secolo XIX molti pittori avevano preso a dipingere, in dimensioni e formalismi riservati ai Salon, tipi sociali con i quali la società mantiene tuttora rapporti controversi quando non apertamente ostili: “…figure originali e devianti della scena parigina… tipi marginali… la cenciosa bohéme degli artisti girovaghi…

Più di ogni altro artista prima di lui, Manet ritrasse questi artisti e questi eccentrici personaggi dei ceti più poveri. Ognuno di essi viene collocato al centro della tela, e assume il rilievo che in passato il ritratto aveva riservato a chi spiccava per rango e ricchezza.[6]

Persone messe da parte come oggetti deperiti, sciupati nel volto e nel corpo.
Uomini come cose e cose come uomini…?
Allora van Gogh dipinge, con tutta la simpatia di cui solo lui è capace, proprio ciò che nella città persiste di un operaio e di un carrettiere, di un calzolaio e di un artista.
Un paio di grossi scarponi e null’altro”. Appunto: qui non manca nulla.
Questo dipinto di van Gogh magari è l’opera di un mondo che sta andando in frantumi, ma non è certo un “frammento” da completare.
No. Non vi sono fantasmi nel quadro di van Gogh. La sua pienezza non richiede null’altro all’immaginazione se non la Verità di un semplice paio di scarpe – per quanto semplici possano essere un paio di scarpe prodotte nel diciannovesimo secolo soltanto per mandarle al mercato.

Amore, gloria potere: nella bisaccia! Tutte le cose sono stracci, brandelli, vetri rotti, calzini vecchi, stracci! [7]

Davanti a noi il quadro stesso, come opera d’arte, se ne sta proprio come il paio di scarpe che rappresenta: indifferente e muto, in attesa dell’esecuzione.
Quelle scarpe stanno nel quadro come una marea sta in quelle scarpe.
Un solo paio di scarponi per il grugno di una folla scalza.

Magari adesso mi ritrovo ai margini del bosco e della cornice accessoria del quadro di van Gogh; ma ora questi margini parergonali, subordinati ma in più nell’opera, possono cooperare nella rappresentazione, da un certo di dentro, come una sorta di suo inconscio politico cifrato nelle intime pieghe di questa pittura.
Quali colori incandescenti abbiano poi preso tutte queste cose nella sua “macina del dipingere”[8] è impresa da trattare con una sottigliezza che mi toglie il respiro.


[1] - Roger Caillois, Athene di fronte a Filippo, in La roccia di Sisifo (1942), ed. Lucarini, Roma 1990, p. 29.
[2] - Vincent a Emile Bernard, Arles 22 maggio 1888 (n. 612-B5).
[3] - Vincent a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79).
[4] - Vedi altre lettere a Theo in  Materiali, qui sotto.
[5] - D. Formaggio, Van Gogh, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1956 (I ediz. 1952), p. 147.
[6] - M. Schapiro, L’impressionismo, riflessi e percezioni, ed. Einaudi, Torino 2008, p. 148-151]. Vedi altro in Materiali, qui sotto.
[7] - Félix Piat, Le chiffonnier de Paris, dramma in cinque atti e un prologo 1847. Riportata da Schapiro nel suo L’impressionismo cit.; l’A. riferisce che quest’opera “strappalacrime, applaudita e sopravvalutata”, fu apprezzata anche da Hugo e da Heine.
[8] - Artaud, cit. p. 49.
(sopra) La riproduzione in un giornale quotidiano del quadro di van Gogh Ritratto di Milliet, luogotenente degli zuavi con segni di inchiostro nero -
(sotto) Cham Amedee de Noé, Maroquinades 2, litografia per Chiarivari, in attesa del visto della censura (Parigi 1844).
La didascalia ad inchiostro nero, non è dell’autore:
- E  tu, Dumanet, chi hai ucciso?..
- Ho accoppato il valletto da camera di Abd-el-Kader, e come prova ho preso la sua capigliatura: eccola qui...



PARAGRAFO successivo



MATERIALI § [ il gallo, il mulino e il vento ]
Nota 4 - Varie lettere di Vincent a Theo:
- “Non faccio che rimpiangere, Theo, di essere da un lato di una determinata barricata, e che tu sia dell’altra, e che mentre la barricata non la si vede più per le strade, essa esiste indubbiamente dal punto di vista sociale e continuerà ad esistere… Quanto a me so bene che in futuro non sarò mai quel che la gente definisce un benestante.” [Vincent a Theo, Nuenen 30 settembre 1884: n. 463-380]
- “Se si vivesse in tempo di guerra, si dovrebbe fare il possibile per combattere, ci si lamenterebbe di non poter vivere in tempo di pace, ma vista la necessità ci si batterebbe. E ugualmente si ha il diritto di desiderare uno stato di cose nel quale il denaro non sia indispensabile per vivere. Eppure, poichè oggi si fa tutto con il denaro, bisogna pur preoccuparsi di produrlo dato che lo si spende…” [Vincent a Theo, Arles 23 settembre 1888 (n. 686-542)]
- “Fortunatamente Gauguin, io e altri pittori non siamo ancora armati di mitragliatrici e di altri nocivi ordigni di guerra. Per conto mio sono deciso a restare armato solo del mio pennello e della mia penna… Gauguin non di meno ha reclamato con grandi strepiti nella sua ultima lettera “le sue maschere e i suoi guanti di scherma” nascosti in un piccolo armadio nella mia casetta gialla. Mi affretterò a fargli pervenire per pacco postale quelle stupidaggini. Sperando che non si servirà di armi più gravi.” [Vincent a Theo, Arles 17 gennaio 1889 (n. 736-571)]
- “Ma il problema dei soldi, qualunque cosa facciamo, rimane sempre lì come il nemico davanti all’esercito, e non si può negarlo o dimenticarlo.” [Vincent a Theo, Saint-Rémy 23 maggio 1889 (n. 776-592)] - “Ecco ciò che mi edifica… mentre quello che mi da fastidio è di vedere in ogni momento quelle brave donne che credono alla Vergine di Lourdes e che inventano delle cose del genere, oppure di sapersi prigioniero di una amministrazione come questa, che favorisce molto volentieri queste aberrazioni religiose, mentre sarebbe necessario guarirne. E allora mi ripeto ancora una volta che sarebbe forse meglio andare, se non all’ergastolo, almeno sotto le armi. E mi rimprovero la mia viltà; avrei dovuto difendere meglio il mio studio, avrei dovuto battermi con le guardie e con i miei vicini: Altri al mio posto si sarebbero serviti di un revolver, e se come artista avessi anche ucciso degli imbecilli come quelli, sarei stato assolto. Ecco, sarebbe stato meglio se lo avessi fatto, invece sono stato vigliacco e ubriaco. Anche malato, ma non sono stato coraggioso. E ora, davanti alla sofferenza che mi danno queste crisi, mi sento pieno di timore, e non so se il mio zelo dipenda da qualcosa di diverso da quello che dico, e cioè come colui che, volendosi suicidare e trovando l’acqua troppo fredda, lotta per riguadagnare la riva.” [Vincent a Theo, Saint-Rémy 10 settembre 1889 (n. 801-605)]
Nota 7 - Da L’impressionismo, riflessi e percezioni, di M. Schapiro, ed. Einaudi, Torino 2008:
- “Manet non fu il primo o il solo a raffigurare questi tipi marginali. Il mendicante cittadino, o clochard, era una figura congeniale e familiare dell’arte degli anni ’40 e ’50 del XIX secolo grazie alle stampe di Paul Gavarni. In un libro collettivo sulle strade parigine, Les Rues de Paris, pubblicato nel 1844, illustrato da artisti come Daumier, Gavarni e Céléstin Nanteuil, una bella incisione di Piero Zaccone mostra uno stracciaiolo in piedi accanto a un manifesto che pubblicizza il libro. Un testo esplicativo di Louis Berger celebra per esteso l’orgogliosa libertá interiore dello stracciaiolo, e le abitudini che ne hanno fatto una figura parigina: “Lo stracciaiolo è il filosofo delle strade di Parigi. Nella rinuncia a ogni vanità sociale, nelle perpetue camminate notturne, in quella professione esercitata sotto il cielo stellato, c’è una certa curiosa mescolanza di donchisciottesca indipendenza e di umiltà spensierata, qualcosa di intermedio tra la dignità dell’uomo libero e l’avvilimento del reietto: vi è infine in questi contrasti qualcosa che ci interessa, che  ci attrae, e che ci fa pensare; nulla è più caratteristico ed eccezionale di questa professione… Lo stracciaiolo ha un posto davvero unico nella gerarchia socile: è sui generis, non vi è nessuno come lui; e rimane eternamente sospeso tra l’alto e il basso, tra le stelle e il marciapiede, tra la fogna e il sogno. ” (ivi, p. 149)
- “La scelta di Manet di rappresentare commedianti e figure bohémiennes era stata anticipata dal gusto dei pittori realisti degli anno ’40 e ’50 del secolo per la raffigurazione – talvolta curiosa e divertita, talvolta partigiana e compassionevole – delle classi inferiori. La grande esplosione di letteratura giornalistica sui vari ruoli, lavori e tipi umani delle città nelle cosiddette physiologies del tempo, con le loro brillanti e umoristiche xilografie, dimostra che la scelta di Manet non era frutto né di stravaganza né del casuale ricorso a modelli facilmente disponibili allo scopo di esercitare il pennello. Ma nell’elevare tale interesse dalla mera cronaca di semplici xilografie all’imponenza e alla formalità delle grandi tele del Salon, Manet sposta l’attenzione dall’ampio ventaglio sociale di tale arte miniaturizzata col suo amabile e spesso aneddotico rispecchiamento della vita parigina alla provocatoria realtà dell’anomala classe degli artisti indipendenti e dei personaggi della bohéme in quanto figure ribelli.” (Ivi, p. 152)
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES