[ un esercito di fantasmi ]
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Deleuze-Guattari - Lo Stato continua a produrre e riprodurre cerchi ideali, ma ci vuole una macchina da guerra per fare il tondo. Bisognerebbe dunque determinare i caratteri propri della scienza nomade, per capire ad un tempo la repressione che subisce e l’interazione in cui si “tiene”.[1]
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In un primissimo tempo Derrida finge di non ricordare chi ha detto che nei quadri di van Gogh non vi sono fantasmi.[2]
Soltanto dopo aver differito per cinquanta pagine la presenza dell’unica persona che ha detto parole definitive su van Gogh e sulla stuzzicante cura che ne ha preso la società, conclude infine nel nome di Artaud. [3] Perché nei quadri di van Gogh davvero non si aggirano fantasmi, e tutto vi è manifesto. Così come nell’intera Europa è parimenti notoria l’indegna congiura che i professori hanno messo a punto per succhiargli il midollo spinale. Nonostante l’errato conteggio del tempo fino al volo dei corvi, questi sono i capi d’amputazione redatti dall’antropofagia virtuosa: “L’instabilità e la dromomania di van Gogh inizia già in epoca precoce…”- certifica il dottor Beer prima di fornire i dettagli di tutte le valigie preparate da Vincent.
Avrete certamente notato che quando Vincent torna in famiglia il Dottor Beer tradisce un compiacimento per ciascuno di questi periodi, definiti di “riposo” e di ritorno al “nido”. “Vorrei che il Signore lo prendesse con sé”, disse la madre di quella sacra famiglia quando per Natale il figliolo si tagliò l’orecchio nel suo proprio orto degli ulivi.
Queste scarpe, che ora nella pittura riposano, non sono l’insegna di un confine che marca una territorialità: sono un vettore che non rende visibile il passo bensì il passare. Un paio di scarpe e null’altro?
A cosa allude Derrida è del tutto evidente.
In simili circostanze anche i coniugi Arnolfini avrebbero avuto delle perplessità a togliersi le scarpe.[16]
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[1] - G. Deleuze-F. Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia - sez. III Sul ritornello, ed. Castelvecchi, Roma 1997, p. 56:, p. 102.
[2] - Derrida, Restituzioni, cit., p. 247. [3] - Antonin Artaud, Van Gogh le suicidé de la société, (ediz. K finito di stampare il 25 settembre 1947); Van Gogh il suicidato della società, ediz Adelphi, Milano 1988, cit. p. 96: “Non ci sono fantasmi nei quadri di van Gogh, né visioni, né allucinazioni”. [4] - E’ un brano dell’articolo pubblicato sul settimanale “Arts” del venerdì 31 gennaio 1947, che Pierre Loeb inviò ad Antonin Artaud e che sembra sia stato decisivo nell’indurlo a scrivere su van Gogh. L’articolo, pubblicato col titolo “Sa follie?” è costituito di alcune pagine tratte dal saggio del dottor Beer che accompagnavano il volume “Du demon de van Gogh”, abbondantemente illustrato, appena pubblicato. La domenica successiva alla lettura dell’articolo, il 2 febbraio 1947. Artaud si recò al Musée de l’Orangerie per visitare una mostra di opere di van Gogh. [5] - Trovo deplorevole pubblicare una raccolta di lettere di Vincent van Gogh al fratello Theo, come quella italiana dell’editore Guanda, affidandola a null’altro che ad un saggio introduttivo che ha una sostanza esclusivamente patografica. Il saggio, tratto dal volume del 1922 Strindberg und Van Gogh di Karl Jaspers, ha tuttavia il merito di aver avvicinati (pur nella malattia) i nomi di Hölderlin e van Gogh prima che Heidegger li adottasse per il suo studio sull’origine dell’opera d’arte. [6] - “Di giorno, nella vita quotidiana, posso forse apparire insensibile quanto un cinghiale selvatico, e posso capire benissimo che la gente mi ritenga rozzo” [Vincent a Theo, Nuenen 7 dicembre 1883; n. 410-345] - “Caro fratello, sento che papà e mamma pensano a me per istinto (non dico per intelligenza). Il cane rimpiange soltanto di non essere restato lontano, perché era meno solo sulla brughiera che in questa casa, malgrado ogni gentilezza. La visita di questo cane è stata una debolezza che spero verrà dimenticata e che il cane eviterà di commettere in futuro” [Vincent a Theo, Nuenen 15 dicembre 1883; n. 413-346]. Vedi altro qui sotto, in Materiali. [7] - G. Deleuze-F. Guattari, Sul ritornello, cit. p. 102: “Fissare, sedentarizzare la forza lavoro, regolare il movimento del flussi del lavoro, assegnargli canali e condotti, formare corporazioni nel senso di organismi e, per il resto, ricorrere ad una mano d’opera coatta, reclutata sul posto (corvée) o fra gli indigenti (ateliers di carità) – fu sempre una delle attività principali dello Stato, che si proponeva di vincere ad un tempo un vagabondaggio di banda e un nomadismo di corpo.” [8] - Heidegger. La frase tra parentesi è stata annotata più tardi da Heidegger stesso e inserita nell’edizione Reclam del 1960. [9] - Heidegger, Origine Ni68, p. 19. [10] - Derrida, Restituzioni, cit. p. 268. [11] - Derida sa benissimo (anche se finge di non saperlo) che non ci sono spettri neppure in Marx (ed in Engels), i quali si erano detti: in Europa circolano delle favole sul comunismo che spaventa gli Stati e li spinge ad una santa alleanza contro un fantasma? Ebbene, facciamogli vedere il corpo concreto, storico e scientifico, la forza reale di cui devono aver veramente paura - ma solo quando tale forza in sé diviene forza per sé, ossia organizzandosi praticamente in partito, appunto… Così, il Manifesto del Partito Comunista non è una drammatizzazione dell’Europa; ovvero magari è anche una tragedia familiare; perché nella sua terza sezione il Manifesto prende in esame anche l’intero spettro dei parenti del comunismo che provengono dal passato, dal presente e addirittura dal futuro per raccogliere come “letteratura socialista e comunista” questi effettivi fantasmi e liquidarli criticamente, ossia mortalmente, come in una strage itacense i pretendenti. [12] - Già la contadina si presenta subito, alla fantasia del filosofo, come una “custode”, ossia un “salvaguardante” che, attraverso il “mezzo” e per mezzo delle proprie scarpe, è a salvaguardia del suo proprio mondo e, a fortiori, dell’opera d’arte e dell’intero Mondo cui l’opera appartiene. [13] - Derrida, Restituzioni. cit. p. 312. [14] - Artaud, Van Gogh le suicidé da la société,1947.- Laddove con “della” (de la) società i suicidati sono presi in carico (adottati e in cura) della società: con l’espressione “dalla” (par la) società sarebbero al contrario causati e a carico (addebitati) alla società.- Vedi anche Del suicidio e delle sue cause,1846, in NoMade n.5 2011. [15] - Primo Levi, Se questo è un uomo, ed. Einaudi, Torino 2005, p. 20. [16] - “Qui noto soltanto che le calzature dei due contraenti il matrimonio in Fidem sono state tolte, abbandonate, messe da parte, un paio alla sinistra del quadro, e l’altro in mezzo ai due sposi, in fondo e al centro del quadro, sotto il tavolo, sotto lo specchio… esse stanno qui, come altri tipici simboli della fede, per marcare l’impronta del sacro”. [Derrida, Restituzioni, cit. p. 328-329] [17] - P. Levi, Se questo è un uomo, cit, p. 29. |
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Da sinistra - Una montagna di abiti e scarpe delle vittime al campo di sterminio di Auschwitz (le migliori verranno riciclate per la popolazione civile) - Jan van Eyck, I Coniugi Arnolfini, olio su tavola (1434). ALTRE FIGURE ESISTENTI - Natura morta con tre nidi di uccello (F 108); Nuenen, ottobre 1885; olio su tela cm.33.5x50.0; Otterlo, Kröller-Müller Museum. - Still Life with Birds' Nests (F 109r); Nuenen, late September-early October 1885; Oil on canvas 31.4 x 43.0 cm.; Amsterdam, V.G. Museum. - Natura morta con tre nidi di uccello (F 110); Nuenen, ottobre 1885; olio su cartone telato cm.43.0x57.0; L’Aia, Haags Gemeentemuseum (Wibbina Foundation). - Natura morta con cinque nidi (F 111); Nuenen, fine settembre-inizio ottobre 1885; olio su tela cm.39.3x 46.5; Amsterdam, V.G. Museum. - Natura morta con tre nidi di uccello (F112); Nuenen settembre-ottobre 1885; olio su tela cm.33.0x42.0; Otterlo, Kröller-Müller Museum |
§ [ un esercito di fantasmi ]
Nota 6 - “Caro fratello, Sento che papà e mamma pensano a me per istinto (non dico per intelligenza). Hanno lo stesso timore di accogliermi in casa che avrebbero se si trattasse di un grosso cagnaccio. Quello magari si metterebbe a correre per le stanze con le zampe bagnate – sarebbe tanto rozzo. Darebbe fastidio a tutti. Ed abbaierebbe tanto forte. In breve, una bestiaccia. Va bene – ma la bestiaccia ha un storia umana ed anche se è soltanto un cane, ha un’anima umana, e molto sensibili anche, che gli fa sentire quel che pensa di lui la gente, cosa che un cane normale non può fare. Io, dato che ammetto di essere una sorta di cane, li lascio stare. Inoltre questa casa è troppo bella per me e Papà e Mamma e la famiglia son tanto raffinati (sebbene poco sensibili intimamente) e – e – e sono dei preti – tanti preti. Il cane capisce che se lo terranno vorrà dire soltanto che lo si tollererà “in questa casa”, di modo che cercherà di trovarsi un altro canile. Il cane è in effetti figlio di Papà e lo si è lasciato troppo per la strada, dove non ha potuto fare a meno di diventare sempre più rozzo; ma questo Papà già da tempo lo ha dimenticato ed in effetti non ha mai meditato profondamente al legame tra padre e figlio, neppure è il caso di dirlo. E poi – un cane può mordere – può ammalarsi di rabbia ed allora la polizia dovrebbe venire ad abbatterlo. Sì, tutto questo è verissimo. D’altro canto, i cani fanno la guardia. Ciò è superfluo dirlo, essi dicono che c’è la pace, non ci sono pericoli. Quindi non ne parlo. Il cane rimpiange soltanto di non essere restato lontano, perché era meno solo sulla brughiera che in questa casa, malgrado ogni gentilezza. La visita di questo cane è stata una debolezza che spero verrà dimenticata e che il cane eviterà di commettere in futuro.” [Vincent a Theo, Nuenen 15 dicembre 1883; n. 413-346] “Caro Theo, Mauve una volta mi disse: troverai te stesso se ti metterai a dipingere, se penetrerai nell’arte più profondamente di quanto tu non abbia fatto fino ad ora. Questo lo disse due anni fa. Ultimamente penso spesso a queste sue parole. Ho trovato me stesso – sono quel cane. Quest’idea può parerti piuttosto esagerata – la realtà può essere meno netta nei suoi contrasti, meno crudamente drammatica, ma credo che il profilo generico della situazione sia vero, in fondo. Quel cane da pastore arruffato che cercai di descriverti nella mia lettera di ieri è il mio vero carattere e la vita di quella bestia è la mia vita, per così dire, saltando i dettagli e badando solo ai fatti essenziali… Ti dico, ho scelta con piena coscienza la vita del cane; resterò un cane, sarò povero, sarò pittore, voglio restare un essere umano. [Vincent a Theo, Nuenen 16 dicembre 1883; n. 414-347] |
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VALIGIE |
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES
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