DRAMMI GIALLI E SINISTRI | Il Programma Comunista 1956 | ||||
|
||||
I fatti qui evocati sono: il naufragio del transatlantico Andrea Doria in seguito ad una collisione nella nebbia al largo dell'isola di Nantucket (New York), il 26 luglio 1956; la catastrofe mineraria di Marcinelle, in Belgio, dell'8 agosto, coi suoi 263 morti; la nazionalizzazione del Canale di Suez, annunciata da Nasser il 26 luglio 1956).
Andrea Doria
Alla prima applicazione alle navi del motore meccanico, la sicurezza dei viaggi marini parve, con buona ragione, un risultato storicamente e scientificamente garantito per il futuro, e tanto più con la costruzione metallica degli scafi. Dopo un secolo e mezzo di "perfezionamenti" tecnici, la probabilità di salvezza del navigante è relativamente minore che con gli antichi velieri di legno, giocattoli in preda del vento e del mare. Naturalmente la "conquista" - la più imbecille - è la velocità, se pure velieri speciali verso il 1850 guadagnassero sui vapori dei "nastri azzurri" non disprezzabili nel giocare - già allora - alla borsa dei cotoni tra Boston e Liverpool. Un ladro più rapido è un ladro più ladro, ma un fesso molto veloce non diventa meno fesso. Marcinelle Allorché su queste colonne pubblicammo la serie sulla Questione agraria e la Teoria della rendita fondiaria secondo Marx, avvenne in Italia la sciagura di Ribolla, che fece 42 vittime contro le ormai sicure 250 e più di Charleroi. La stessa dottrina economica della rendita assoluta e della rendita differenziale si applica, come al terreno agrario, alle estrazioni di materie utili dal sottosuolo, alle forze idrauliche, e simili. Non a caso si dice "coltivare" una miniera. Intitolammo un paragrafo dell'esposto: Ribolla, o la morte differenziale. |
||||
Fate uscire tutti i vivi, e tappate per sempre queste discese! Non potrà mai dirlo la società mercantile, che si impantanerà in inchieste, messe funerarie, catene di fraternità, in quanto capisce solo la fraternità da catena, lacrime coccodrillesche, e promesse legislative ed amministrative tali da allettare altri "senza riserva" a chiedere di prendere posto ancora nelle lugubri gabbie degli ascensori: di cappello alla tecnica! Non è facile cambiare il sistema di coltivazione seguito per lunghissimi periodi. E la teoria della Rendita vieta che si lasci ferma l'ultima miniera, la più assassina: è dessa che detta ad una società negriera e strozzina il ritmo massimo della folle danza mondiale del business carbonifero; che appunto il limite geologico dei suoi orizzonti futuri, restringendosi, spinge sulla china dell'economia di monopolio, del massacro del produttore, del ladrocinio contro il consumatore.
Il racconto giallo di Marcinelle fa vibrare i nervi del mondo. Per quanti altri turni, di otto ore per otto, i "dispersi" del ventre della terra, come ieri quelli delle profondità dell'Adriatico, consumeranno ricchezza di questa civile economia borghese, che da tutte le cattedre vanta la sua spinta gloriosa verso un più alto benessere? Quando si potrà depennarli dai registri paga, e pregato Dio per loro l'ultima volta, passare a dimenticarsene? Il canale di Suez Sangue non è corso, ed era chiaro dal primo momento che corso non sarebbe, per il terzo atto della trilogia borghese di ferragosto, che ha tinto di giallo la più fessamente rosea delle manifestazioni borghesi, la feria, la vacation, il vuoto nel vuoto di questo mondo di costruttori da operetta, di faticatori della fregatura al prossimo.Possiamo mai credere che vi sia un marxista che, per un solo momento, abbia visto in Nasser un nuovo protagonista della storia, e il mondo messo a rumore e a soqquadro per un semplice gesto, per una trovata audace dell'ultimo cesaretto, o faraoncino che sia? Che uomo! Ha messo alla frusta Francia, Inghilterra ed America con una tirata di genio: la nazionalizzazione del canale! Tutto effetto di un cambio della guardia: da re Faruk che frustava solo odalische da un milione di dollari, al semplice colonnello che ha saputo porre a gonne levate Marianna ed Albione. Anche il problema Suez si legge permettendo al colonnello di rimanere, senza altri incomodi pseudo-sessuali, quel fesso che è; ed applicando la teoria della Rendita. Suez fu un'operazione ancora onorevole, e se vogliamo gloriosa, della borghesia giovane, pari a quelle che il Manifesto dei Comunisti levò a luci da epopea. Forse una delle ultime: quando il bis fu tentato a Panama, si tombolò ben presto nel marcio e nel superscandalo, e la vecchia Europa depose le armi del grande Lesseps e dei suoi tecnici di prima forza. Lesseps sarebbe stato un sansimoniano, e l'idea di Suez passò nel mondo di un secolo fa come un'idea socialista. Essa entusiasmò gli utopisti, ma è indubbio come anche nella concezione marxista le imprese del capitalismo dirette a legare lidi lontani del mondo fossero considerate come premesse della trasformazione socialista di esso. L'idea si era fatta risalire a Napoleone I, che fece eseguire studi tecnici, e si disse sostenuta dal filosofo Leibniz, grande matematico. Non a caso Bonaparte aveva tentato di partire dall'Egitto nella distruzione della supremazia marittima ed imperiale inglese. Ma civiltà ancora più antiche avevano concepita l'opera: il Faraone Sesostri l'avrebbe addirittura intrapresa, e giusta Erodoto 120 mila lavoratori sarebbero periti nel tentativo di un altro Faraone. I Califfi arabi vi rinunziarono per tema di aprire le vie alle flotte di Bisanzio. Dopo la scoperta della rotta per l'India, nel XV secolo, ritentarono i Veneziani, precursori del moderno capitalismo, ma i Turchi si opposero. I lavori durarono dal 1859 al 1868 con capitali francesi in gran parte, ed ottomani, tra l'ostilità inglese. Memorabili furono le ecatombi di lavoratori bianchi ed arabi: gli inglesi denunziarono come schiavismo l'arruolamento a migliaia dei miserrimi fellaghs, e una controversia fu arbitrata da Napoleone III. Gli ingegneri francesi del tempo erano dei lottatori e non solo degli affaristi: liberati dalle armate di manovali, impiegarono macchine gigantesche e superarono il compito. La concessione data dal governo egiziano doveva durare 99 anni dall'inaugurazione del canale: per tale periodo l'Egitto doveva ricevere il 15 per cento dei guadagni della Compagnia. Non è il caso di ripetere la storia delle gesta dell'affarismo e dell'aggiotaggio internazionale con cui i viceré d'Egitto, soggetti al Sultano di Costantinopoli, furono defraudati dal loro diritto alla quota di azioni, che passò per diverse vie al capitale e al governo, anzi alla stessa corona, britannici. Fermo restò che trattavasi di una concessione, e la proprietà di tutta l'opera, più volte ampliata e perfezionata, doveva nel 1968 passare senza riscatti al governo del Cairo. Ci guardiamo bene dal trattare la questione di "diritto" nel merito di questa lotta tra filibustieri e pescecani di massimo tonnellaggio. Interessano i concetti economici. Il capitale iniziale fu di 200 milioni di franchi oro. Portato questo capitale a franchi di oggi potrebbe essere di 60 miliardi; in lire italiane di circa 100 miliardi. Il valore attuale delle azioni, a parte la loro discesa del 30 per cento dopo il decreto di Nasser, che ha tuttavia assicurato il loro rilievo al corso di borsa (ciò dovrebbe voler dire al giorno del decreto), il capitale della Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez, si afferma in cifre inglesi di 70 milioni di sterline, in cifre francesi di 90 miliardi di franchi. Le valutazioni non sono secondo il cambio: in dollari danno, la prima 200 milioni, la seconda 250, e in lire italiane 120 miliardi e 150 miliardi, all'ingrosso. Nell'ultimo anno gli introiti della Compagnia sono stati di 35 miliardi di franchi, coll'utile di ben 16 miliardi, il 45 per cento! In lire 53 e 25 circa. Ma Nasser li valuta 100 milioni di dollari! 60 miliardi netti di lire. Un frutto così alto non può essere tutto profitto di capitale industriale, a parte il già scontato suo ammortamento, che sembra coperto da enormi riserve che i capi della compagnia si sono formate. Non si tratta di un'intrapresa di produzione: le navi che passano lasciano un pedaggio da trecento a seicento lire per tonnellata di stazza, ma non portano via nulla di alienabile sul mercato: pagamento di un servizio, non di merci. Evidentemente le spese di manutenzione, custodia, esercizio, amministrazione del canale, sono una minima parte degli introiti. La differenza è una rendita. È assoluta in quanto discende da un monopolio: quello di chi può chiudere le porte di Suez o Port Said. È, inoltre differenziale in quanto rappresenta il costo della navigazione per la via peggiore, il giro interminabile del Capo di Buona Speranza. A chi spetta questa rendita? Al "proprietario fondiario" del terreno in cui il canale fu tracciato, senza il permesso del quale non si poteva aprire il primo cantiere di scavo nel 1859. Questa questione di proprietà diventa per Nasser una questione di sovranità. A noi questa terminologia non dice nulla. Per noi marxisti la rendita tocca a chi può far valere il monopolio. Questo non è nemmeno antigiuridico: nella teoria classica del diritto romano "fonte della proprietà è l'occupazione". La stessa, da che mondo è mondo, è la fonte della politica sovranità. A questa stregua sono insulsi gli Inglesi, e altrettanto insulso è Nasser. I primi fino a qualche anno addietro avevano truppe di custodia nella zona del canale, per la difesa di esso. Infatti nelle due guerre mondiali navi tedesche, e alleate a loro, non se ne fecero passare. Nella guerra italo-etiopica Londra stette lì per chiudere la porta; Mussolini ebbe allora il suo momento felice: ricattò gli Inglesi mostrandosi pronto ad attaccare la flotta del Mediterraneo. Ma non si creda che fanno la storia quelli che sanno fare i pazzi: il candidato al manicomio Nasser sta ancora molti cubiti più sotto. Potevano gli Inglesi sognare di ritirare i gendarmi e conservare la rendita? Potevano tanto sognare i Francesi? Maggiore follia è quella degli Egiziani che puntano sulla carta sovranità, metafisicamente intesa, per cui la sovranità di un paese minuscolo sta nella bilancia a pari di quella dei paesi giganti. Nasser avrebbe fatto conto sulla Russia, uno dei colossi. È, per questo che lo consideriamo un fesso. I giornali hanno pubblicato alla vigilia della conferenza a Londra, e prima che Scepilov, evento grandioso, si esibisse con l'abito a code, che i russi, nel XX congresso, avrebbero abbandonata un'altra delle teorie errate di Stalin, ossia il predominio politico internazionale dei grandi Stati sui piccoli, e la liberazione di questi dalla funzione di soggetti di satelliti e di vassalli. O poveri piccoli Stati! Non è questa una teoria creata da Stalin, che Stalin possa farsi venire l'uzzolo di abbandonare, o che possano togliere di circolazione i suoi esecutori testamentari! E non è il colonnelluccio del Cairo che può collocare al suo posto una teoria nuova: la santa sovranità degli staterelli anche tascabili. O la (più risibile ancora) fiducia che una simile teoria sia tenuta a rispettarla l'America, che la avrebbe predicata, o la Russia, campione del principio opposto: quello del pesce grosso che mangia il pesce piccolo. Il fatto e la legge storica che i grandi Stati affettano il mondo come vogliono, colla guerra generale o colla (dio ci scampi e liberi) pacifica consistenza tra essi (pesci grossi), e che gli Stati minori sono nelle loro mani docile plastilina della carta terrestre a rilievo, dominano la storia da millenni, da due secoli di storia europea soprattutto, e in maniera clamorosa nelle due ultime grandi guerre, che solo cambiano di scanno alcuni dei Big: Giappone, Germania, e ve ne pongono nuovi, come la Cina. Nasser non è andato alla conferenza. E sia. Ma Londra gli deve fare paura proprio perché vi siede la Russia. Questa difende lo stesso principio degli altri: chi se ne frega della sovranità sulle due rive di questi passaggi mondiali, nodi della rete internazionale dei traffici? Da che non vi è più un solo padrone imperiale, come al tempo in cui Albione si fece la strada (per noi è la vita, oltre che la strada, rispose un Benito di formato non deteriore) lungo il Mediterraneo, e tutti i Mediterranei, i padroni sono i tre o quattro big di turno, per i quali un Nasser conta meno di un caporale. Suez lo regoleranno loro. O chi tra loro vincesse la (lontana venti anni) guerra terza del mondo, senza che conti un centesimo se l'Egittino avrà militato tra i vincitori o tra i vinti. Hitler, che era espresso da forze alquanto più serie, fu dal dettato di queste condotto ad una tremenda puntata fino a Creta. La mira e la posta era Suez; egli arrivava a intendere (o chi per lui) che la meta era più Suez che Dunkerque, da cui si ritrasse. Big non mangia Big. Nasseruccio, allegro. Non uscire dal rango dei commestibili. A te, vecchia talpa! Passeranno questi venti anni, e noi animaletti-uomo, noi consumatori beffati e intossicati, noi produttori di sforzi sempre più sgradevoli e inutili, li lasceremo passare pendendo dalle radio e dagli schermi a sentire frottole e ciance di tecnici, di esperti, di specialisti, di managers, di diplomatici, di politici, di filibustieri e di avventurieri, senza nulla imparare, o sempre più dimenticando quanto la classe operaia sapeva già bene al tempo in cui cominciavano a decorrere i cento anni di Suez? Bene, arcibene, che gli istmi siano incisi da tagli formidabili (Suez resta il più lungo, se non il più complesso: 160 chilometri, il doppio di Panama) e che la rete degli allacciamenti internazionali cinga e ricinga il mondo mercantile del convivente capitalismo, come quella del reziario immobilizzava il barbaro gladiatore alla mercé del colpo di grazia. Un proletariato latitante straccia oggi le sue Internazionali, ma il capitale è dannato a ricostruirle sopra i mari e i continenti. Bene, arcibene, che i grossi poteri siano pochi e oscurino nell'impotenza i piccoli e numerosi, avvolgendoli nell'altra rete inestricabile e inallentabile di falsità, di menzogna, di frode, di oscurantismo filisteo e bigotto, sotto gli orpelli, divenuti intollerabili pel fetore, di tecnica, di scienza, di filantropia e di ascese verso il benessere. Bene, che i centri di questa scuola di superstizione e di corruzione siano sempre più pochi, e più evidenti da ogni angolo della terra. Mentre essi ci propinano le false credenze di tutte le loro patrie e le loro religioni, e ci rileggono con falso puritanismo e blasfema oscenità le Bibbie di Cristo, di Mammone e di Demos, anche noi possiamo ripetere i nostri classici versetti, e dimostrare che sapevamo da allora, da prima che si tagliasse il canale, che bene sarebbero venute le concentrazioni vertiginose della ricchezza e del potere, il totalitarismo imperiale, l'oppressione monopolistica, lo Stato di partito, la Santa Alleanza dei grandi Mostri Capitalisti, più che mai rinsaldata dalle guerre terrestri. Bene, la Dittatura del Capitale, del Militarismo, dell'Affarismo, del Fascismo, benedetta a vuoto dai Preti di tutti i riti. Apriamo la nostra Bibbia! "La rivoluzione va fino al fondo delle cose. Sta ancora attraversando il purgatorio. Lavora con metodo. (...) Non ha condotto a termine che la prima metà della sua preparazione: ora sta compiendo l'altra metà. Prima ha elaborato alla perfezione il potere parlamentare, per poterlo rovesciare. Ora che ha raggiunto questo risultato, essa spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, se lo pone di fronte come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione. E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà dal suo seggio e griderà: - Ben scavato, vecchia talpa!". Col radar storico della dottrina di Marx, sui cui schermi non si legge menzogna, da osservatori che non abbiano ingozzato l'alcool della intossicante ideologia borghese, nella caligine dei fondali di Nantucket, nella tenebra delle murate tombe di vivi di Marcinelle, nel limo amaro degli stagni del deserto arabico, mentre le forze della Rivoluzione sembrano rintanate, e il Grande Capitale gavazza nel vivo sole, abbiamo ritrovata, intenta al suo lavoro inesausto, la Vecchia Talpa, che scava la maledizione di infami forme sociali, che ne prepara la non prossima ma certissima, distruttiva esplosione. Da "Il Programma Comunista" n. 17 del 24 agosto-7 sett. 1956 |
||||
|
||||
Vedi altre catastrofi in nomade n.7, dicembre 2013.
Cfr. "Il programma comunista" n. 6 del 18-31 dicembre 1952 |