MAJAKOVSKIJ E IL CIRCO
Angelo Maria Ripellino
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 7 dicembre 2013
RINEGOZIARE GLI ATTI MANCATI
5
_1984
pagina
1. « Giganteschi pagliacci del mondo solare » secondo la definizione di Chlébnikov [1], i cubofuturisti furono sempre vicini ai trucchi e alle arguzie del clowns. Rievocando una visita fatta con Majakovskij al circo Nikitin a Mosca nel 1914, Vasilij Kamenskij scrive nelle proprie memorie:
Ci accolsero magnificamente, venendo subito incontro a tutti i nostri capricci e ci proposero persino di esibirci sull'arena in una forma qualsiasi.
Majakovskij desiderava recitare i suoi versi in groppa a un elefante. Anche questa bizzarria fu salutata con entusiasmo. Nell'intervallo gli artisti ci si strinsero attorno. C'era fra gli altri lo splendido clown Vitalij Lazarenko, vestito da cavallerizza, con un enorme cappello rosa, brillanti posticci alle orecchie e un ramolaccio marchiano sul petto.
- A che scopo quel ravanello? - chiese Volodja. Lazarenko spiegò: — Impersono una cavallerizza fortemente innamorata di Majakovskij. Voi avete di solito un ràfano all'occhiello e lei, bramosa di piacervi, porta per seduzione un ramolaccio. Spasimando d'amore, recita i vostri versi, mentre il cavallo galoppa nella pista. E cade continuamente col ramolaccio sul cuore, esclamando: Ah, Majakovskij, Majakovskij, mi hai fatto perdere la bussola!
Assistemmo a questo numero. Majakovskij mandava baci alla cavallerizza Lazarenko. E Lazarenko gridava freneticamente: Majakovskij, genio, prendimi col cavallo e con Ie briglie! Afferrami! Sono tutta tua!
Alle sue cadute il circo si squassava dalle risa, applaudendo Lazarenko e Majakovskij
[2].

Come abbiamo gia visto, nelle commedie del nostro poeta molte scene tengono del circo,  moiti personaggi hanno sostanza clownesca. II lettore ricordera che Banja reca il sottotitolo « dramma con circo e fuochi d'artificio ». Ma spesso anche Ie liriche contengono motivi ed immagini che ci riconducono al mondo del circo. Nei versi di Iz ulicy v ulicu [Da una strada all'altra, 1913] egli dice, ad esempio:

Nascosto fra i quadranti della torre,
un giocoliere
tira Ie rotaie
dalle fauci del tram...

e nel poema 150 000 000 (1920), per rendere la grandezza madornale delle città americane, proclama: «A Chicago saltano al cielo per intere verste gli acrobati d'acciaio delle strade » (vv. 512-16).
Non pochi poeti e pittori del nostro secolo (Blok, Belyj, Chagall, Klee, Beckmann) hanno ritratto i clowns e i funamboli come un popolo mitico, una stirpe metafisica. Nelle loro poesie e nei loro dipinti i pagliacci acquistano valore di parvenze incantate, e persino di esseri miracolosi, come figure da icone e da leggende.
Majakovskij invece considerò il circo uno spettacolo terrestre, senza sottintesi simbolici, e si prefisse di immettervi gli schemi e il pathos del cartellone, trasformando i pagliacci in maschere sociali.
A differenza di altri futuristi, egli non cercò nelle attrazioni del circo e negli arlecchineschi rappezzi dei clowns un ordito non oggettivo di linee e colori, un'essenza esotica e favolosa, ma si servì della pista, per rovesciarvi i rutilanti personaggi delle sue caricature politiche.

2. Dopo la rivoluzione gli intellettuali di sinistra si appassionarono vivamente per il circo. Anche in questo campo fu Lunacarskij, con una sua conferenza del 21 gennaio 1919, a promuovere e a incoraggiare gli esperimenti [3]. II Settore Circo, istituito alla fine di quel mese presso la Sezione Teatrale del Narkompros, divenne, come l'IZO per Ie arti figurative, un fortino dell'avanguardia. Ne fecero parte i poeti Vasilij Kaménskij, Ivàn Rukavisnikov, Vadim Sersenevic, i pittori Pavel Kuznecòv e Borís Erdman, lo scultore Sergéj Konénkov, il regista N. Foregger, i coreografi Aleksàndr Gorskij e Kas'jan Golejzovskij [4].
Agli intellettuali di sinistra il circo sembro il luogo ideale per mettere in atto Ie assurde stranezze che essi concepivano a getto continue in quei giorni. L'universo appariva a costoro un'allegra infilata di circhi, di caroselli, di arene immense. Sfogliando a caso Ie memorie di Vasilij Kaménskij, si legge: « Ci proponevamo di costruire sul Kuzneckij un Caffè-carosello, tutto di vetro, perché dalla strada si vedesse l'intero locale con un autentico carosello nel mezzo » [5]. L'amore del circo era in fondo un aspetto di quella gaiezza futuristica che si esprimeva altresi negli arredamenti chiassosi dei caffe letterari, negli spettacoli all'aperto, nella smania di spennellare pitture suprematistiche sugli edifici e sulle palizzate.
Abbiamo gia detto dello straordinario influsso che il circo esercitò sul teatro negli anni 1919-24, e specialmente sui tentativi di Ràdlov, di Kòzincov e Trauberg, di Ejzenstejn. Aggiungeremo ora che nello stesso periodo il teatro a sua volta influì largamente sul circo. Insieme con Ie correnti della nuova pittura, gli artisti d'avanguardia portarono nell'arena i costumi vistosi e Ie scenografie del teatro moderno, mutando gli spettacoli del circo in smaglianti riviste teatrali, nello spirito di quelle di Taírov.
Al Primo Circo Statale (l'ex Salomonskij) lo scultore Konénkov presentò una « suite » plastica, in cui gruppi di atleti formavano « quadri viventi » sul mito di Sansone che abbatte i Filistei, e il poeta Ivàn Rukavisnikov la sua pantomima Sàchmaty [Gli scacchi], recitandone il prologo in costume d'araldo su un cavallo bianco. Dello stesso Rukavisnikov, al Secondo Circo Statale (l'ex Nikitin, ridipinto da Pavel Kuznecòv), fu data la pantomima Karusel' [II carosello]. [6]
I lavori che Majakovskij scrisse per il circo non si riallacciano però a queste pantomime estetizzanti, bensì all'arte di quei clowns politici, che traevano i temi delle loro scenette dalle circostanze della guerra civile e dell'intervento straniero. II clown più sagace era allora Vitalij Lazarénko, che aveva già fatto una lunga esperienza di augusto e di acrobata in baracconi e circhi provinciali. [7]
Dopo la rivoluzione i clowns russi pensarono ingenuamente che i calzoni a scacchi, i gilè variopinti, Ie parrucche vermiglie. Ie scarpe enormi dei vecchi pagliacci fossero da relegare tra Ie reliquie borghesi, perchè attributi di personaggi umiliati e infelici, e si diedero a cercare nuove maschere piu consone all'epoca. Alcuni di loro scelsero Ie acconciature dei comici danesi Pat e Patachon, e moltissimi si vestirono dei panni di Chaplin. Innumerevoli Chaplin tennero il campo nei circhi e nei cabarets durante i primi anni sovietici [8]. Scrisse Jurij Olesa nel 1928: «Il personaggio creato da Chaplin sta diventando una delle figure principali del nuovo circo» [9]. Michaíl Rumjancev, l'attuale Karandàs, si esibí anche lui all'inizio nelle spoglie di Chaplin.[10]
II costume di Lazarènko, disegnato da Borís Erdman, consisteva in una tuta bicolore, composta di due fasce verticali, una rossa, una turchina, cui facevano riscontro Ie lunghe sopracciglia all'insú.[11]

Con la sua tipica parrucca arruffata, il berrettino a sghimbescio e Ie ciglia come rondini, Vitalij Lazarénko veniva fuori in un'assisa futuristica che parodiava i fantastici pigiama all'ultima moda dei giovani attori di Mosca e, saltando e guizzando, sciorinava bisticci, parecchi dei quali erano, o almeno sembravano allora, fortemente pepati.[12]
Lazarénko s'era schierato coi cubofuturisti già prima della rivoluzione, interpretando persino, nel 1914, la parte del pittore Larionov nel film Ja chocu byt' futuristom [Voglio essere un futurista] [13]. E anche adesso molte sue trovate, come quella di intervenire alle manifestazioni del I° Maggio su altissimi trampoli [14], sapevano di futurismo.
Clown-tribuno, egli reagiva con scaltra prontezza ai fatti correnti, alle occasioni della vita politica. Le sue battute sonavano come didascalie di vignette, i suoi numeri avevano il risalto delle « finestre » della ROSTA [15].
Si può dire che, per l'immediatezza giornalistica e la materia polemica, l'arte di Lazarénko concordasse in pieno con le aspirazioni di Majakovskij nel periodo di Misterija-buff. II poeta e il clown si legarono infatti di viva amicizia, come agli inizi del secolo il narratore Kuprin e il clown Giacomino che lavorava al circo Ciniselli di Pietroburgo [16]. Majakovskij nutrì per Lazarénko un'ammirazione simile a quella che Blok aveva per Georges Del’vari.
II poeta e il clown si legarono infatti di viva amicizia, come agli inizi del secolo il narratore Kuprin e il clown Giacomino che lavorava al circo Ciniselli di Pietroburgo [16]. Majakovskij nutrì per Lazarénko un'ammirazione simile a quella che Blok aveva per Georges Del’vari.
Dei suoi incontri con Majakovskij nei primi anni sovietici Lazarénko ha scritto:
Majakovskij s'interessava molto di circo e conversava spesso con me, suggerendomi i temi delle battute. Veniva a trovarmi nel camerino durante gli intervalli. Rilevandone i pregi e i difetti, approvava la tendenza dei miei numeri e mi lodava soprattutto perché nel mio repertorio era molta satira politica e di costume. In quei giorni infatti parecchi «pezzi grossi» del circo, per non impegnarsi politicamente, ricorrevano a temi « eterni », fuori del tempo e dello spazio... Trovai un appoggio costante in Majakovskij. Purtroppo non presi nota dei temi che egli mi forniva: Ie facezie allora invecchiavano presto, passando di moda, io mutavo spesso repertorio, e non mi venne mai in mente, lo confesso, che in seguito tutto cio avrebbe avuto grande importanza. [17]

Nel 1919 Lazarénko ricavò un'«entrée» di circo dal poemetto Sovetskaja azbuka [L'alfabeto sovietico], in cui Majakovskij aveva allineato una sequenza di distici proverbiosi e burleschi sulla situazione del momento, uno per ogni lettera dell'alfabeto. Questo poemetto si ricollega, nella struttura, all'antico genere della « tolkòvaja àzbuka », ossia a quegli «alfabeti» che nel Medioevo russo spiegavano in forma elementare i precetti religiosi e che furono poi parodiati dal popolo in altri « alfabeti» di intonazione satirica. [18]
Con la sua semplicità mnemonica, lo schema alfabetico era particolarmente adatto per inculcare formulette politiche nelle masse ruvide e incolte. Lazarénko portava nell'arena lettere cubitali e, mostrandole al pubblico, declamava i distici corrispondenti, come un rapsodo che illustrasse una serie di cartelloni [19]. Cosi anche Ie indocili lettere dell'alfabeto, che avevano partecipato alla rivolta cubistica, si ammansivano come gli oggetti della Terra Promessa, assumendo carattere di ideogrammi politici.
Lazarénko interpretò uno dei diavoli nella seconda variante di Misferija-buff e più tardi allestì un intermezzo acrobatico per la messinscena di Klop. Espressamente per lui Majakovskij compose nell'autunno 1920 l'« entree » Cempionàt vsemírnoj klàssovoj bor’by [Campionato della lotta di classe universale], che fu rappresentata al Secondo Circo Statale di Mosca. La dicitura del titolo si incontra già nel poema 150 000 000 (vv. 1212-13) a proposito del gigantesco match tra Wilson e Ivàn. Ma il motivo del campionato e della sfida ricorre anche in altre pagine di Majakovskij, per esempio nella terza parte del poema Vojnà i mir [La guerra e l'universo]:

Nerone!
Salve!
Vuoi?
Lo spettacolo d'un magnifico teatro.
Oggi
si battono
stato contro stato
sedici gladiatori scelti.
(vv. 289-96)

I campionati di lotta, gli incontri di atleti nerboruti e fatticci, gli esercizi di forza erano un'attrazione indispensabile nei programmi dei circhi russi prima della rivoluzione [20]. Nella premessa al poema Vozmezdie [La nèmesi], rammemorando gli avvenimenti del 1910, Blok osserva:

A tutto questo è per me indissolubilmente legato il rigoglio della lotta francese nei circhi di Pietroburgo. Migliaia di persone vi prendevano grandissimo interesse. Tra i campioni erano veri artisti. Non dimenticherò mai l'incontro fra un deforme peso massimo russo e un olandese, il cui sistema muscolare rassomigliava a un perfetto strumento musicale di rara bellezza.

E Kuprín dedicò un lugubre racconto, V cirke [Nel circo], alle vicende di un ercole malato che muore dopo una straziante gara di lotta.

Nel numero di Majakovskij l'arbitro Zio Vanja, che era interpretato da Lazarénko, arieggia la figura di Ivan Lebedev, entusiastico organizzatore di campionati di lotta francese a Pietroburgo prima della rivoluzione, noto appunto come Zio Vanja. Oltre all'arbitro, agiscono in questa « entree » il Campione dell'Intesa Lloyd George, il Campione d'America Wilson, il Campione di Francia Millerand, il Campione di Crimea Vrangel', il Campione di Polonia Pilsudski, il Campione speculatore Sidorov, il Quasi campione menscevico.
All'inizio costoro sfilano in una sorta di «parade-allée », presentati dall'arbitro con versi salaci, che ricalcano Ie tirate dei «nonni del carosello». Si agguantano poi in tenzoni furiose, disputandosi una corona, un'enorme moneta d'oro e un sacco coi « profitti della strage imperialistica ». Infine la Rivoluzione, campione del mondo, mette al tappeto Madame Entente, e Zio Vanja incita gli spettatori ad arrolarsi nell'Esercito Rosso.
Tornano dunque anche qui Ie situazioni e gli accent! di Misterija-buff e delle commediole di propaganda. I goffi pupazzi di questa scena sembrano anch'essi ritagliati dai quadretti satirici della ROSTA.


3. Verso il 1927 i circhi sovietici ripristinarono il vecchio genere della pantomima eroica, rinnovandolo coi temi della rivoluzione. Fautore di questa ripresa fu soprattutto Vil’jams Truzzi, ammaestratore di cavalli e cavallerizzo d'alta scuola, discendente dalla gloriosa dinastia dei Franconi. Paladino di giuochi equestri in un'epoca in cui, come cantò Esenin, ai cavalli vivi s'era sostituita una « cavalleria d'acciaio », Vil'jams Truzzi amava i numeri sontuosi e appariscenti, gli spettacoli d'effetto [21].
Con grande sfarzo egli mise in scena nel 1928 al Primo Circo di Mosca un mimodramma sulla guerra civile dal titolo Machnòvscina [Le bande di Machnò], tumultuosa sequela di cavalcate, battaglie, esplosioni, in cui Lazarénko sosteneva la parte dell'anarchico Machnò. [22]
Invogliata dal successo di questo tentativo, la Direzione centrale dei circhi di stato nel gennaio 1930 propose a Majakovskij di stendere il libretto d'una pantomima sulla rivoluzione del 1905. Nacque così il canovaccio della «féerie» Moskva gorít [Mosca in fiamme], che rievoca gli awenimenti del 1905, collegandoli con la rivoluzione d'Ottobre e coi fatti più notevoli del primo decennio sovietico.
A questo lavoro Majakovskij si preparò consultando document! storici e annate di vecchie riviste. Da caricature del 1905 derivano, ad esempio, la scena in cui il generale Trèpov posa la sua manaccia intrisa di sangue sulla costituzione promulgata da Nicola II e quella in cui zar, zarina e ministri soffiano sulle copie del manifesto ammonticchiate come una casetta di carte, scompigliandole. Alla vignetta d'un giornale satirico è ispirato anche l'episodio che adombra la struttura del regime zaristico con la « piramide delle classi »: sugli operai incatenati, che ne costituiscono la base, si allineano in diverse file sovrapposte funzionari, sacerdoti, ministri, possidenti, formando una labile piramide, al cui vertice vacilla un minuscolo zar dall'enorme corona.
II libretto di Moskvà gorít è come un'antologia di attrazioni. Vi si trovano giuochi icariani e acrobazie sul tappeto, equilibrismo sui trampoli e salti attraverso una serie di cerchi, numeri equestri e cani ammaestrati, « quadri viventi » e intermezzi di clowns, e persino un accenno di pantomima nautica.
Sulle orme di Mejerchol'd, che aveva portato sul palcoscenico macchine, motociclette, attrezzi agricoli, Majakovskij mise a profitto l'ampiezza dello « chapiteau », inserendo nel proprio canovaccio scontri, incendi, mischie, barricate, cortei di carri carcerari, cariche di cavalleria cosacca. Anche il continuo ricorso a proiezioni cinematografiche, a cifre luminose, a emblemi fosforescenti ci rammenta le esperienze del teatro d'avanguardia. Le attrazioni però non sono raccozzate a capriccio, ma servono al poeta per condensare una vicenda o per definire un personaggio.
Prendiamo ad esempio le evoluzioni ai trapezi volanti. I poliziotti inseguono un operaio che diffonde manifestini. L'operaio-acrobata sfugge alla caccia, balzando da un trapezio all'altro. I poliziotti-pagliacci, sudati e ansimanti, tentano di arrampicarsi, ma si impigliano ridevolmente nelle sciabole e nei foderi delle pistole.
I salti d'un clown in un'infilata di anelli raffigurano invece la vertiginosa carriera ministeriale di Kérenskij. Guizzando attraverso cerchi sorretti da domatori « di aspetto borghese », Kérenskij-clown raggiunge la camera della zarina Aleksandra Fëdorovna. E qui, dopo aver contemplato il busto di Napoleone imitandone l'atteggiamento, si butta sfinito sul letto imperiale.
Questo episodio, come anche la parata grottesca dei monumenti degli zar, proviene dallo scenario di Dvadcat' pjatoe [II Venticinque]. Non c'è attrazione o esercizio, in Moskvà gorít, che non contenga un preciso riferimento a circostanze storiche. Anche della pantomima nautica Majakovskij si vale per illustrare un periodo politico, e precisamente l’inizio della lotta per i colcosi. Saltando giù dalla cupola, un « kulàk » (variante della tradizionale figura del « grassone di guttaperca ») affonda nell'acqua che si rovescia in una turbina. Dall'acqua gorgogliante salgono come grosse bolle nugoli di palloni. I « pionieri » pescano poi un fantoccio che riproduce il « kulàk » e lo smontano, gettandone i pezzi in un sacco.
E così anche in questa « féerie » i personaggi sono maschere, fagotti di stoppa, e Ie scene hanno i rozzi risalti del « lubòk ». Che Majakovskij intendesse rivolgersi a un pubblico elementare e dimostrato dalla scurrilità di episodi come quello in cui soldati-pagliacci trascinano nella « Lavanderia di Sua Maestà » un interminabile nastro di sudicie brache dello zar.
Mistura di buffo e di trionfale, Moskvà gorít non ha alcun intreccio. E’ un seguito di cartelloni, saldati insieme con tutte Ie astuzie del montaggio cinematografico. Rinunziando alla trama in nome della veracità documentaria, Majakovskij sembra rimettervi in auge l'interesse del LEF per la cronaca e la « fattografia ».
Alcuni passi riprendono analoghe immagini delle pellicole di Ejzenstejn. Ci si ricorda, ad esempio, di quelle sequenze di Oktjàbr’ [Ottobre] in cui Kérenskij, magro e striminzito, sale a gradino a gradino la scalinata del Palazzo d'lnverno, indugia dinanzi alla statua di Napoleone per scimmiottarne il cipiglio, e si pone a giacere nel letto della zarina.
Desideroso di far penetrare nel circo la parola poetica, Majakovskij diede largo spazio nel suo scenario ai dialoghi in rima e alle declamazioni. La parte verbale, intercalata di strofette satiriche, di esortazioni didattiche e di taglienti battute che ormeggiano Ie tirate dei clowns politici, assume qui un rilievo insolito nei lavori del circo.
Sebbene anche in passato Ie pantomime contenessero inserti dialogati, Moskvà gorít, per la ricchezza del parlato, sconfina dai limiti della vecchia pantomima. Perciò Majakovskij propose di definirla, con espressione non troppo appropriata, « melomima eroica ».
Comunque, la novità del libretto consiste appunto nell'irruzione di impulsi poetici in una forma di spettacolo ormai logora. E la poesia non è solo nei dialoghi o nelle marce o nei motti degli araldi, ma Ie attrazioni stesse equivalgono a metafore. « La mia melomima - disse Majakovskij - è un genere nuovo rispetto alla vecchia pantomima del circo, come il cinema sonoro rispetto a quello muto »[23].

4. Dopo la consegna di Moskvà gorít, il 22 febbraio 1930 Majakovskij concluse un contratto con la Direzione centrale dei circhi di stato per una rivista politico-satirica in cinque atti dal titolo prowisorio Derzis' [Tieni duro], destinata ai music-halls di Mosca e di Leningrado [24]. Alla stessa Direzione promise una pantomima d'argomento coloniale e lo scenario d'uno spettacolo di massa da recitarsi sulle « Léninskie gory » a Mosca.[25]
In marzo approntò una seconda variante di Moskvà gorit come « azione di massa con canti e parole ». Le differenze tra le due redazioni sono esigue. Per adattarla alle esigenze d'una rappresentazione all'aperto nel Parco della cultura e del riposo a Mosca, Majakovskij tralasciò nella seconda variante la pantomima nautica, e per renderne il contenuto più attuale, come aveva già fatto con Misterija-buff, vi inserì i personaggi del papa, di Pilsudski, MacDonald, Tardieu, che dominavano allora l'orizzonte politico.
La prima variante venne data al Primo Circo di Mosca il 21 aprile 1930, una settimana dopo la morte del poeta.
Vi parteciparono cinquecento comparse, fra artisti di circo, allievi di scuole drammatiche e circensi e reparti di cavalleria. Le scene furono progettate da Valentina Chodasevic, che era stata collaboratrice costante di Vil’jams Truzzi.
Majakovskij era intervenuto alle prove, aiutando gli attori con suggerimenti e consigli, specialmente per la dizione dei versi, che in un primo momento aveva scoraggiato la gente del circo. Abbiamo visto a proposito di Klop e di Banja che Majakovskij negli ultimi anni si appassionò sempre più di regia. A leggere le cronache di questo spettacolo, si ha l'impressione che egli abbia contribuito notevolmente alla sua messinscena, anche perchè il regista Sergéj Ràdlov s'era ammalato.
L'idea di affidare, ad esempio, la parte dello zar a uno sparuto nano bagonghi, scegliendo per zarina una bambola gigantesca, mossa da una comparsa nascosta sotto le sue vesti, ci sembra scaturita dalla fantasia del poeta. Lo stesso può dirsi di molte altre trovate.[26]
Del resto il libretto di Moskvà goríít, con le sue folte didascalie e le minuziose annotazioni tecniche, ha tutto il carattere d'uno spartito di regia. A sostegno del nostro pensiero citeremo una preziosa testimonianza di A. Dankman:
II piano registico della pantomima di circo è inseparabile dallo scenario. Così asseriva Majakovskij. E percio durante il nostro ultimo incontro disse che nel circo del futuro l'autore dovrà essere anche regista. Egli vagheggiava di mettere in pratica la propria idea in un secondo lavoro, d'argomento coloniale. Tuttavia questa fusione di autore e regista venne da lui almeno in parte attuata nella sua melomima. Egli assistette a tutte le prove notturne. La regia di Moskvà gorít fu ispirata in larga misura dalle indicazioni di Majakovskij.[27]
pagina

[1] VELIMIR CHLEBNIKOV, Neizdatinye proizvedenija, a cura di N. Chardziev e T. Gric, Mosca 1940, p. 186.
[2] VASILIJ KAMENSKIJ, Zizn' s Majakovskim, Mosca 1940, pp. 141-42.
[3] Cfr. EVGENIJ KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka, Leningrado-Mosca 1347, pp. 17-21.
[4] Cfr. E. KUZNECOV, Cirk, Mosca-Leningrado 1931, p. 398, e Arena i Ijtidi sovetskogo cirka, p. 21.
[5] VASILIJ KAMENSKIJ, Zizn' s Majakovskim cit., p. 208.
[6] Cfr. KUZNECOV, Cirk cit., pp. 400-2, e Arena i ljudi sovelskogo cirka cit., pp. 25-26.
[7] Cfr. JU. DMITRIEV, Russkij cirk, Mosca 1953, pp. 195-202, e I. RADUNSKIJ, Zapiski starogo klouna, Mosca 1954, pp. 107-14.
[8] Cfr. KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka cit., pp. 120-21.
[9] JU. OLESA, V cirke, in Izbrannye socinenija, Mosca 1956, p. 365.
[10] Cfr. M. RUMJANCEV, Na arene sovetskogo cirka, Mosca 1954.
[11] Cfr. Ie memorie di VITALIJ LAZARENKO in Sovetskij cirk 1918-1938, a cura di Evg. Kuznecòv, Leningrado-Mosca 1938, p. 122, e KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka cit., p. 30.
[12] KUZNECOV, Cirk cit., p. 400.
[13] Cfr. le memorie di VITALIJ LAZARENKO in Sovetskij cirk 1918-1938, p. 112, e VEN. VISNEVSKIJ, Chudozestvennye fil'my dorevoljucionnoj Rossii, Mosca 1945, p. 51 (n. 601).
[14] Cfr. KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka cit., p. 31.
[15] I clowns russi d'altronde puntarono sempre sulla satira sociale, e perciò la parola ebbe nei loro numeri maggior peso che in quelli dei clowns occidentali. Basta pensare ai monologhi mordaci, alle strofette, alle favole esopiche con cui Anatolij e Vladimir Durov sbeffeggiavano le storture e le magagne del regime zaristico. Cfr. TRISTAN REMY, Les clowns, Parigi 1945, PP. 433-35; JU. DMITRIEV, Russkij cirk, pp. 127-68; ALBERT FRATELLINI, Nous, les Fratellini, Parigi 1955, pp. 55-60.
[16] Cfr. EVG. KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka cit., p. 14, e I. RADUNSKIJ, Zapiski starogo klouna, p. 83.
[17] Sovetskij cirk 1918-1938, p. 121.
[18] Cfr. V.P. ADRIANOVA-PERETC, U istokov russkoj satiry, in Russkaja demokraticeskaja satira XVII veka, Mosca-Leningrado 1954.
[19] Cfr. PL DMITKIEV, Russkij cirk, p. 202.
[20] Cfr. JU. DMITRIEV, Russkij cirk, pp. 235-45.
[21] Di lui scrisse Jurij Olesa: «E’ l'ultimo dei cavalieri. L'ultimo uomo leggiadro del circo. Per l'ultima volta si impennano insieme venti cavalli, per l'ultima volta uno di essi, delicato come un antilope, con un diadema spagnolo e una mascherina di merletto, s'inginocchia dinanzi al palco del direttore... Per l'ultima volta il cavaliere galoppa su due cavalli a un tempo, per l’ultima volta rotea la cavalcata al tintinmo delle nacchere e il cavaliere si toglie il cilindro di seta che luccica d'un serpeggiante balemo». (V cirke cit., p. 366).
[22] Cfr. KUZNECOV, Cirk cit., pp. 409-10, e Arena i ljudi sovetskogo cirka, cit., pp. 46-52, oltte a RADUNSKIJ, Zapiski starogo klouna cit., pp. 40-41.
[23] Cfr. KUZNECOV, Arena i ljudi sovetskogo cirka cit., p. 125.
[24] Cfr. A. FEVRAL’SKIJ, Majakovskij-dramaturg, p. 119, e V. KATANJAN, Majakovskij: Literaturnaja chronika (3a ediz.), Mosca 1936, p. 397.
[25] Cfr. FEVRAL’SKIJ, op. cit., pp. 119-20.
[26] Cfr. le memorie di DMITRIJ AL’PEROV in Sovetskij cirk 1918-1938, pp. 135-42.
[27] Cfr. KATANJAN, op. cit., p. 404.