AFFARI MILITARI

Lev Trotzky . 1919
arteideologia raccolta supplementi
nomade n.12 agosto 2016
LA RIPRESA DELLE OSTILITA'
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n.13
DI QUALE RIVISTA MILITARE ABBIAMO BISOGNO

La mia proposta di fondere le riviste L'ufficiale rosso e Gli affari militari ha sollevato un'energica protesta da parte dei collaboratori di quest'ultima.[1]
Abbiamo ascoltato qui una serie di obiezioni che si possono così riassumere: non si ha il diritto di far scomparire una rivista scientifico-militare in nome della stampa “popolare”. Ma io non ho proposto niente di simile. Ho sufficiente rispetto della scienza militare nella misura in cui è degna di questo nome, vale a dire nella misura in cui essa generalizza l'esperienza militare acquistata.
Tuttavia questa deve essere una vera scienza militare e la rivista che pretende il titolo di scientifico-militare deve adempiere realmente al suo compito, che è quello di verificare le vecchie conclusioni con l'esperienza contemporanea nelle condizioni sociali e storiche attuali.
Gli affari militari non lo fanno.
I signori autori si sforzano di usare un linguaggio atemporale e di esporre ogni tanto verità banali.
E’ vero che il redattore degli Affari militari, articoli alla mano, pretende che la redazione "avrebbe già passato in rassegna" tutti i problemi: fortezze, artiglieria, istruzione delle compagnie, dottrina militare tedesca e altre cose ancora. Questa enumerazione è edificante, ma prova solo che Gli affari militari si sono occupati di affari militari. Niente di più.
Ciò che bisogna giudicare, è come questa rivista se ne è occupata.
Scienza militare non vuol dire geometria.
E’ poco verosimile che le verità "geometriche" - abbastanza miserine, dobbiamo confessarlo - enunziate dal vecchio Leer siano suscettibili di essere completate dalle nuove verità "atemporali" nelle colonne degli Affari militari.
Quello di cui abbiamo bisogno oggi è una partecipazione diretta della rivista alla formazione materiale e ideologica dell'Armata rossa, dell'armata che si sta creando oggi. Purtroppo la redazione ignora questo processo di formazione, per non dire che gli volge decisamente le spalle.
L'armata della Rivoluzione francese si è formata per "amalgama".
Questa parola era allora di uso corrente negli ambienti politici e militari. I vecchi reggimenti di linea e i loro ufficiali furono assorbiti da brigate composte dalle nuove unità rivoluzionarie. Praticamente questo amalgama significò la fusione dell'esperienza acquisita e del nuovo spirito di eroismo rivoluzionario delle masse popolari, espresso attraverso l'armata rivoluzionaria. Oggi, un certo amalgama avviene anche da noi. E’ vero che noi non abbiamo conservato i nostri vecchi reggimenti e siamo ripartiti da zero. Ma noi non rifiutiamo né la vecchia esperienza, né i vecchi specialisti. Anzi, li reclutiamo. Molti di loro compiono il loro lavoro con successo. Del resto, un vero amalgama - dunque, una certa fusione chimica - è in corso di realizzazione anche sul fronte.
La nostra letteratura militare deve essere il riflesso ideologico di questo processo.
Gli affari militari non lo rispecchiano. E’ il loro maggiore errore.
Per stabilire legami più stretti tra l'Armata rossa e la stampa è stato proposto, durante i dibattiti, di affidare certi settori della stampa ai corrispondenti capi dei dipartimenti superiori. Io mi oppongo formalmente. Questo legame sarebbe puramente meccanico.
Sono completamente d'accordo con il compagno Svečin quando dice che questa misura condurrebbe solo ad una completa burocratizzazione della stampa. Oggi, che ancora non riescono a trarsi sempre d'impaccio, obbligare i capi dei dipartimenti a dissertare sulla loro esperienza è completamente impossibile. I nostri dipartimenti superiori hanno anche loro bisogno di essere criticati, incoraggiati e stimolati ideologicamente.
Se affidiamo loro una rivista, saranno appena capaci di proiettare le loro ombre nelle sue colonne.
Incitarli a collaborate alla rivista è un'altra cosa, e farlo spetta alla redazione. Io personalmente, come lettore, sono stato soddisfatto di aver potuto leggere l'articolo dell'ex-intendente Grudzinski sull'approvvigionamento.
Questo specialista si scaglia contro l'improvvisazione che, sperando di risolvere i problemi con l'intuito, rifiuta ogni insegnamento. Lo scontento e la critica dello specialista militare sono pienamente giustificati. Tuttavia, l'articolo non risponde alle nostre aspettative. Vi ho trovato una sfilza di citazioni, storielle niente affatto stupide che provano come anche in difficili condizioni un intendente potesse avere dello humour; è confortante. Ma non ho trovato la minima traccia di critica pratica o costruttiva. Pensate alla vastità del tema scelto e alla responsabilità che implica: uno scontro tra l'intendenza e il Commissariato del popolo all'approvvigionamento e il Consiglio superiore dell'economia nazionale.
Si tratta di nuove e complesse formazioni, che riflettono tutti gli aspetti dello svolgimento della costruzione socialista con i suoi errori, le sue deviazioni e la sua ricerca di nuove strade.
Sul problema dell'approvvigionamento dell'armata, chi poteva essere più qualificato di un intendente per permettersi una critica costruttiva dell'attività del Commissariato dell'approvvigionamento e del Consiglio superiore dell'economia nazionale? L'armata è l'organismo più esigente, più imperativo, e non tollera nessun ritardo nel soddisfacimento delle sue necessità. Perciò tutti i difetti dell'economia, nel suo insieme, si manifestano massimamente nell'approvvigionamento dell'armata. E intanto i nostri specialisti dell'intendenza si comportano verso il Commissariato dell'approvvigionamento e verso il Consiglio superiore dell'economia nazionale come verso una calamita che bene o male bisogna sopportare. Invece di criticare - anche nella maniera più dura e accesa - si accontentano di borbottare, di tacere o di fare dell'ironia. Perciò Gli affari militari si trovano su una falsa strada.
Prendiamo il problema della composizione sociale della nostra armata.
Noi lo poniamo su un fondamento di classe.
Questo argomento e stato esaminato dal punto di vista militare?
Mai. (.Partendo dall’esperienza della guerra 1870-71, l’economista borghese tedesco Luigi Brentano fece un’analisi comparativa delle qualità di combattimento degli operai e dei contadini tedeschi, e arrivò alla conclusione della superiorità militare del proletariato. I nostri specialisti militari si sono occupati, almeno una volta di questo importante argomento nella loro rivista? Mai. E intanto, oggi, la vita dell’armata gira intorno a questo argomento. L’esperienza accumulata è enorme. Se ne tiene conto? Per niente.).
O forse non è importante dal punto di vista militare?
Eppure vedete: in Ucraina, anche Skoropadskij ha tentato di formare un'armata basata su un principio di classe. Ha mobilitato coltivatori che possiedono almeno - pare - venticinque ettari. Inoltre, abbiamo assistito al tentativo dell'Assemblea costituente di mettere in piedi un'armata "popolare" ai margini del principio di classe. Quest'ultima è miseramente fallita. Dovremmo dunque concludere che viviamo in un periodo in cui il principio di classe nella costruzione dell'armata si impone da solo. Quali conclusioni dobbiamo trarne in campo militare per la formazione, l'educazione, la tattica? Quali sono le conseguenze militari pratiche? La vostra rivista non si è mai soffermata su questi argomenti. Non e inconcepibile?
E andiamo oltre. Senza un effettivo di comando, un'armata non è un'armata.
Noi ricaviamo il nostro effettivo di comando da due fonti essenziali - dalla riserva dell'ex corpo degli ufficiali e dal seno della massa degli operai e dei contadini che hanno seguito corsi di istruzione. Dove sono la valutazione di questo effettivo di comando, il tentativo di facilitare la nostra attività per il suo reclutamento, il suo addestramento e la sua rieducazione?
Li cercheremo invano nelle pagine degli Affari militari.
E i problemi di tecnica, di strategia, di tattica della guerra attuale? Li avete appena sfiorati. Evidentemente scrivete articoli sulle fortezze e su molti altri soggetti. Ma bisogna sapere come scriverli. Nessuno pretende una qualsiasi divulgazione speciale o artificiale. Non si tratta di questo.
Bisogna scrivere in funzione degli argomenti trattati.
E’ chiaro che si deve evitare un pedante linguaggio di casta o di cancelleria, ma la divulgazione dipende dall'importanza del soggetto, dalla complessità delle nozioni e dalla loro interdipendenza. Pero, ripeto, non è questo il problema. Si può scrivere sulle fortezze, sui carri armati, sulla flotta inglese, sulle nuove strutture della divisione australiana partendo dai bisogni e dai compiti dell'Armata rossa, ossia cercando di allargare il suo orizzonte e di arricchire la sua esperienza. Si può anche scrivere come un qualunque osservatore imparziale, confortevolmente installato nel suo studio, che si accontenta di gettare uno sguardo distratto intorno per gettare giù alcune righe ogni tanto. E’ proprio questo e il guaio: molti articoli degli Affari militari sono scritti sul tono di chi si accontenta di aspettare e di adoperare scappatoie.
Naturalmente si può considerare tutto il periodo rivoluzionario come un malinteso e fare come colui che aspetta sotto l'ombrello che la pioggia cessi. Può aspettare così una o due ore, sempre sperando che il tempo cambi e gli permetta di proseguire per la propria strada dopo aver chiuso l'ombrello. Ahimé, questo stato d'animo non è adatto per niente alla pubblicazione di una rivista. La parola stessa "giornale" deriva da "giorno," e "il tempo non perdona quello che si fa senza di esso." A rigore, un segretario o un Ispettore di artiglieria, persino un comandante di divisione (un cattivo comandante, s'intende), possono inconsciamente aspettare qualcosa o qualcuno. Ma tale stato d'animo non si addice affatto alla redazione di una rivista. Poiché un autore è essenzialmente fatto di idee. Egli chiama, insegna, generalizza, si manifesta - e quale valore si può dare al suo appello se egli stesso si rifugia sotto il suo ombrello? Questa psicologia costituisce la rovina degli Affari militari.
Certo, voi parlate di fortezze e anche di altre cose.
Ricordo articoli di riviste militari francesi sulle fortezze, durante questa guerra, mentre le nostre fortezze russe crollavano. Allora, una febbrile sopravvalutazione dell'importanza delle fortezze imperversava nella stampa militare. Le fortezze di vecchio tipo avrebbero retto o sarebbero state sostituite dalle posizioni fortificate del nuovo tipo di trincee? Ma questi articoli francesi erano redatti in funzione del destino di Verdun, di Belfort, delle fortezze francesi e della loro difesa - in poche parole, erano scritti dal punto di vista dell'armata francese e per l'armata francese. >
Mentre i vostri articoli sulle fortezze sono redatti come composizioni di seminario, così, "in generale", senza nessun riferimento. E’ una strana geometria militare, una cattiva geometria, che troppo spesso si riduce a parole gettate al vento.
Uno dei collaboratori della rivista, V. Borisov, proprio qui ci ha dichiarato categoricamente che si potrebbe tentare qualunque cosa, ma che senza un capo di Stato maggiore generale non si saprebbe realizzare niente. Dunque basterebbe che si presentasse un capo di Stato maggiore generale per rimettere le cose a posto nella rivista Gli affari militari, anche se intanto viene decisa la sua soppressione.
Ma che cosa è un capo di Stato maggiore generale? E’ un individuo che deve tener conto di tutto, verificare tutto, ripartire tutto, indicare il posto di tutti e di ciascuno. L'autore di questa dichiarazione e stato appoggiato dal redattore capo della rivista, Lebedev. Scusate, ma è sconfortante avere simile visione filosofica della storia. Dove prendere dunque questo provvidenziale capo di Stato maggiore, quando voi non avete la minima idea sullo stesso Stato maggiore generale e siete sprovvisti anche della più piccola idea direttrice fondamentale per costruire l'armata e metterla in moto?
Voi voltate le spalle a tutti i problemi pratici della vita della nostra armata - quella che esiste e che in questo momento si sta rafforzando. Le vostre lodi all'indirizzo di un futuro capo di Stato maggiore salvatore non dimostrano che la vostra impotenza ideologica: è un bonapartismo passivo di individui completamente disorientati. Lo ripeto - alcuni trovano di loro gusto aspettare, comodamente seduti nella loro poltrona sotto l'olmo, la comparsa di un capo di Stato maggiore generale. Purtroppo l'individuo seduto sotto l'olmo non può pretendere di dirigere e di stampare una rivista militate.
Queste stesse persone ci hanno rimproverato di non avere, per così dire, che segretari di Stato maggiore generale appena capaci di passare il loro tempo al telefono e di scrivere ordini del giorno sulle truppe complementari. Io, da parte mia, vi dico che questi segretari attaccati al telefono ci sono molto più utili dal punto di vista militare e anche, se volete, sono più preziosi per la scienza militare degli smorti pedanti che deliberatamente voltano le spalle alla storia aspettando l'arrivo del messia dello Stato maggiore generale.
Il vostro pontificante disprezzo per tutta l'attività militare che oggi si svolge sotto i vostri occhi, si è manifestato con la massima chiarezza in una piccola nota che avete aggiunta al mio articolo sugli specialisti militari, ma che non avete reputato opportuno pubblicare. Vi prego di pubblicare subito queste note.
Voi affermate che ci si può "permettere tutto" durante la guerra civile, o piccola guerra, che attualmente conduciamo, ma che questa non ha niente a che vedere con la scienza militare e non sa che farsene. Io vi dico, signori specialisti militari, che questa affermazione dimostra la vostra ignoranza non solo politica, ma soprattutto militare.
Non è vero che la guerra civile non ha nulla in comune con la scienza militare e che è incapace di arricchirla. Anzi, è vero il contrario.
Per la mobilità e la conduttibilità dei suoi fronti, la guerra civile allarga notevolmente il campo delle iniziative e della vera arte militare. Gli obiettivi rimangono uguali: ottenere i migliori risultati con il minimo delle forze. E’ stato fatto spesso riferimento all'analogia tra l'arte militare e quella degli scacchi.
Permettetemi di soffermarmi un momento su questo.
Chi conosce le partite del grande stratega Murphy sa che le sue partite a scacchi di distinguevano per la loro perfezione. Sia che facesse una "grande" o una "piccola" guerra, ossia che giocasse con un avversario della sua forza o meno, Murphy dava sempre prova delle stesse qualità e arrivava ai suoi fini con il minor numero di movimenti. Questa e anche l'esigenza fondamentale della scienza militare, che deve essere presa in considerazione anche nel corso di una guerra civile.
Il fronte occidentale - il fronte francese - dimostrò subito che l'ultima guerra non permetteva che un limitato sviluppo dell'iniziativa. Istituendo un fronte immenso dal litorale belga fino alla Svizzera, subito la guerra diventò automatica; la strategia fu ridotta al minimo e dalle due parti mirarono al reciproco esaurimento. Al contrario, la nostra guerra è in primo luogo una guerra di movimento, una guerra di manovra - cosa che dà appunto alla "piccola" guerra la possibilità di mettere in evidenza le sue grandi qualità. Chi disprezza questa guerra manifesta la sua crassa ignoranza e la sua pedanteria; dimostra anche che è incapace di istruire gli altri poiché non è capace egli stesso di imparare la più piccola cosa.
Gli affari militari evidentemente non sono una pubblicazione di massa destinata ai soldati.
Il soldato rosso non è che un semplice cittadino sovietico armato di fucile per difendere i suoi interessi. Per pagare i suoi bisogni ideologici, dispone in generale della stampa. I comandanti sono più o meno degli specialisti che hanno la loro determinata sfera di interessi e che hanno bisogno di una pubblicazione speciale. E’ per loro una necessità urgente. Per rispondere a questa esigenza bisogna conoscere il lettore, sentirlo, sapere con esattezza per chi si scrive. Troppo numerosi sono gli articoli pubblicati dagli Affari militari che rassomigliano ad una amabile corrispondenza tra buoni amici.
Si sono sollevate proteste contro la censura che impedirebbe di scrivere e di criticare.
Riconosco senz'altro che la censura ha commesso tutta una serie di errori e che si dovrebbe assegnare a questa eccezionale creatura un posto più modesto. La censura deve proteggere il segreto militare, punto e basta. (Tuttavia, di sfuggita, segnaliamo che da noi, nelle nostre istituzioni, si rispetta troppo poco il segreto militare).
Io spero che insieme verremo a capo di questa avversaria della critica militare. Però è troppo comodo gettare la responsabilità della mediocrità degli Affari militari sulla censura.
Ci hanno detto: per avvicinarci alle cose attuali, dateci accesso agli archivi della guerra civile. E’ una cosa possibile. Tuttavia non è necessario cercare l’attualità negli archivi. E’ viva nelle strade e se alcuni non la vedono è semplicemente perché hanno gli occhi chiusi.
Ci hanno anche dichiarato che bisognava rinunziare alla possibilità di fare una rivista scientifico-militare con la collaborazione dei vecchi autori militari. Non andrei così lontano. Per il momento l'esperienza non è stata conclusiva, ma disponiamo di elementi che la possono migliorare.
Penso che la sola cosa da fare in questo momento sia quella di mettere in evidenza tutti i difetti degli Affari militari.
Si deve obbligare la redazione a dire con chiarezza e precisione quello che vuole, come immagina la formazione dell'armata, il perché passa sotto silenzio i problemi più importanti.
E’ necessario trasformare il borbottio indecifrabile in critica intelligibile. Bisogna costringere i signori pontefici della pseudo-scienza militare, i depositari dell'idea del capo di Stato maggiore generale, a misurarsi ideologicamente con tutta franchezza con i veri fondatori dell'armata attuale.
Parecchi specialisti militari istruiti lavorano attualmente nelle nostre istituzioni militari, specialmente al fronte. Si sono liberati della loro sufficienza accademica e pedante e sono molto più vicini alla vera arte militare.
La polemica qui aperta tirerà fuori dal suo immobilismo il pensiero militare e apporterà un soffio nuovo; farà nascere autori militari che vorranno e sapranno parlare dell'Armata rossa all'Armata rossa, senza rifiutare nessuna esigenza della scienza.
Abbasso la routine soddisfatta di sé stessa!
Bisogna ritornare a un vero pensiero scientifico-militare critico.

"Di quale rivista militare abbiamo bisogno?"
L.T. 23 novembre 1919 in Gli affari militari, n° 5-6
Discorso pronunziato alla riunione dei redattori
e collaboratori delle Edizioni Militari

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[1] - “L’ufficiale rosso”, rivista pedagogico-militare, cominciò a uscire dal 10 ottobre 1918; era redatto e pubblicato dai collaboratori della Direzione principale delle scuole militari. “Gli affari militari”, rivista militare-scientifica, era pubblicata sotto la direzione di un gruppo di specialisti militari che lavoravano alla Commissione per lo studio e l’utilizzazione dell’esperienza della guerra mondiale del 1914-1918. La rivista scomparve nel 1920, su ordine del compagno Trotzki.
I due testi di Trotzki sono in Scritti militari.1 – La rivoluzione armata, prefazione di Pierre Naville (1967), Ed. Feltrinelli, Milano 1971.