made n.19 Giugno 2020
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Il Capitale . Libro I . Capitolo XIII . Macchine e grande industria .

LO SVILUPPO DEL MACCHINISMO
Nei suoi Princìpi di economia politica, John Stuart Mill dice :
« È dubbio che tutte le invenzioni meccaniche finora compiute abbiano alleviato la fatica quotidiana di un solo essere umano » [1]. Ma non è neppure a questo scopo che il capitale utilizza le macchine. Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, il macchinismo mira qui a ridurre il prezzo delle merci e ad abbreviare la parte di giornata lavorativa che l'operaio impiega per sé, al fine di prolungare l'altra parte di essa che l'operaio cede gratuitamente al capitalista: è un mezzo alla produzione di plusvalore.
Nella manifattura, il rivoluzionamento del modo di produzione ha come punto di partenza la forza lavoro; nella grande industria, il mezzo di lavoro. Si tratta dunque di vedere in primo luogo come il mezzo di lavoro venga trasformato da strumento in macchina, o in che cosa la macchina si distingua dallo strumento artigiano. Qui considereremo soltanto i grandi tratti caratteristici generali, perché le epoche della storia della società non sono distinte da linee divisorie astrattamente rigorose, più che lo siano le epoche geologiche.
Matematici e meccanici — e, qua e là, economisti inglesi li riecheggiano — sostengono che lo strumento è una macchina semplice, e la macchina uno strumento composto. Non vedendo nessuna differenza sostanziale fra l'uno e l'altra, chiamano macchine perfino le potenze meccaniche semplici, come la leva, il piano inclinato, la vite, il cuneo, ecc.[2]. Ora, è vero che ogni macchina consiste di quelle potenze semplici, per quanto travestite e combinate siano: ma, dal punto di vista economico, la spiegazione non vale nulla, perché le manca l'elemento storico. Altri ancora cercano la differenza fra strumento e macchina nel fatto che nel primo la forza propulsiva è l'uomo, nella seconda una forza naturale diversa da quella umana, come l'animale, l'acqua, il vento ecc.[3]. Stando a questo criterio, l'aratro tirato da buoi, che appartiene alle più diverse epoche di produzione, sarebbe una macchina, mentre il telaio circolare (circular loom) di Claussen, che, azionato dalla mano di un solo operaio, esegue 96.000 maglie da calza al minuto, non sarebbe che uno strumento. Non solo, ma lo stesso loom sarebbe strumento se azionato a mano, e macchina se azionato a vapore. Così, poiché l'uso della forza animale è una delle invenzioni più antiche dell'umanità, la produzione meccanica precederebbe di fatto la produzione artigianale. Quando, nel 1735, John Wyatt annunzio la sua macchina per filare e, con essa, la rivoluzione industriale del Settecento, non accennò nemmeno con una parola che fosse azionata da un asino invece che da un uomo; eppure, questa parte era appunto riservata all'asino. Il suo prospetto diceva: Macchina « per filare senza dita »[4].
Ogni macchina sviluppata consta di tre parti essenzialmente diverse: la macchina motrice, il meccanismo di trasmissione, la macchina utensile, o operatrice. La prima mette in moto l'intero apparato, sia che generi la propria forza motrice (come la macchina a vapore, la macchina ad aria calda, la macchina elettromagnetica ecc.), sia che riceva l'impulso da una forza naturale esterna già pronta, come la ruota idraulica è azionata dalla caduta d'acqua o come l'ala del mulino a vento è azionata dal vento. Il meccanismo di trasmissione, composto di volani, pulegge, giunti cardanici, assi, corde, cinghie, alberi di rinvio ecc., regola il movimento e, se occorre, ne cambia la forma (per esempio, da verticale in circolare), lo distribuisce e lo trasmette alla macchina utensile. Queste due parti hanno il solo scopo di comunicare alla macchina utensile il movimento con cui essa afferra l'oggetto di lavoro e lo modifica nel senso voluto. È da quest'ultima parte, dalla macchina utensile, che prende l'avvio la rivoluzione industriale del XVIII secolo. Essa ne costituisce ancor oggi il punto di partenza là dove un'azienda artigiana o manifatturiera si trasforma in azienda meccanizzata.
Se consideriamo più da vicino la macchina utensile, il meccanismo operatore vero e proprio, vi ritroviamo nell'insieme, benché spesso in forma sensibilmente modificata, gli apparecchi e strumenti coi quali lavorano l'artigiano e l'operaio manifatturiero; non più, tuttavia, come strumenti dell'uomo, ma come strumenti di un meccanismo, utensili meccanici. O l'intera macchina non è che un'edizione meccanica più o meno diversa del vecchio strumento manuale, come nel caso del telaio meccanico [5], oppure gli organi agenti adattati al suo scheletro sono vecchie conoscenze come i fusi nel filatoio meccanico, gli aghi nel telaio da calza e maglia, le lame di sega nella segatrice meccanica, i coltelli nella macchina trituratrice, ecc. La differenziazione di questi strumenti dal vero e proprio corpo della macchina operatrice risale ai tempi della loro nascita; ancor oggi, la maggior parte di essi è prodotta con metodi artigianali o manifatturieri, e solo in un secondo tempo adattata al corpo della macchina utensile prodotta meccanicamente [6].
Perciò la macchina utensile è un meccanismo che, una volta ricevuto il suo impulso, compie con i suoi strumenti le operazioni medesime che prima l'operaio compiva con strumenti analoghi. Che la forza motrice venga ora dall'uomo, o, a sua volta, da una macchina, non cambia la sostanza della questione. Dopo che il vero e proprio strumento è stato trasferito dall'uomo a un meccanismo, la macchina prende il posto di un puro e semplice utensile: la differenza balza subito agli occhi anche se l'uomo resta il motore primario. Il numero di strumenti di lavoro coi quali egli può agire contemporaneamente è limitato dal numero dei suoi naturali strumenti di produzione : gli organi del suo corpo. In Germania, si era prima tentato di far azionare due filatoi a mulinello da un solo filatore che lavorasse contemporaneamente con le due mani e coi due piedi; ma lo sforzo richiesto era eccessivo. Poi si inventò una filatrice a pedale con due fusi; ma i virtuosi della filatura capaci di filare nello stesso tempo due fili erano rari quasi quanto un uomo con due teste. Invece, sin dall'inizio, la jenny fila con 12-18 fusi per volta, il telaio da calza lavora con molte migliaia di aghi nello stesso tempo, ecc. : insomma, il numero degli strumenti con cui la stessa macchina utensile lavora contemporaneamente è di per sé svincolato dalle barriere organiche entro le quali lo strumento manuale dell'operaio è invece costretto a muoversi.
In molti strumenti artigiani, la distinzione fra l'uomo come pura forza propulsiva e l'uomo come operaio che maneggia il meccanismo operatore in senso proprio, ha un'esistenza definita e percepibile ai sensi. Così, nel filatoio a mulinello, il piede agisce soltanto come forza motrice, mentre la vera e propria operazione del filare è eseguita dalla mano che lavora al fuso e stira e torce il filo. La rivoluzione industriale si impadronisce anzitutto di questa ultima parte dello strumento artigiano e, a tutta prima, non lascia all'uomo, oltre al compito nuovo di sorvegliare la macchina con gli occhi e di correggerne gli errori con la mano, se non la funzione puramente meccanica di forza motrice. Invece, gli strumenti sui quali fin dall'inizio l'uomo agisce quale pura e semplice forza propulsiva (come quando gira il manubrio di una macina [7], aziona una pompa, alza e abbassa le braccia di un mantice, pesta in un mortaio, e così via), se in un primo momento inducono a servirsi di animali, dell'acqua e del vento [8] come forze motrici, e se — in parte durante il periodo manifatturiero, sporadicamente già molto tempo prima — si trasformano in macchine, non rivoluzionano però il modo di produzione. Che, anche nella loro forma artigianale, essi siano già delle macchine, lo si vede nel periodo della grande industria. Per esempio, le pompe con le quali nel 1836-37 gli Olandesi prosciugarono il lago di Haarlem, erano costruite in base al principio delle pompe comuni, solo che i pistoni erano azionati non da braccia umane, ma da ciclopiche macchine a vapore. In Inghilterra, il corrente mantice da fabbro ferraio, che è molto imperfetto, è ancora a volte trasformato in pompa pneumatica meccanica collegandone il braccio a una macchina a vapore. La stessa macchina a vapore, così come fu inventata durante il periodo manifatturiero alla fine del secolo XVII e si perpetuò fino al penultimo decennio del secolo XVIII [9], non scatenò una rivoluzione industriale. Fu la creazione delle macchine utensili, viceversa, che rese necessaria la macchina a vapore rivoluzionata. Non appena l'uomo, anziché operare con lo strumento sull'oggetto di lavoro, agisce ormai soltanto come forza motrice su una macchina utensile, il travestimento della forza motrice in muscoli umani diventa casuale, e vento, acqua, vapore ecc. possono sostituirli. Ciò, naturalmente, non esclude che spesso tale mutamento provochi grandi trasformazioni tecniche nel meccanismo originariamente costruito soltanto per la forza motrice umana. Ai giorni nostri, tutte le macchine che per la prima volta debbono farsi strada, come le macchine per cucire, le impastatrici meccaniche ecc., se non escludono a priori per la propria destinazione la piccola scala, sono costruite al contempo per la forza motrice umana e per una forza motrice puramente meccanica.
La macchina dalla quale parte la rivoluzione industriale sostituisce all'uomo, che maneggia un solo strumento, un meccanismo che opera in una sola volta con un certo numero dei medesimi strumenti o di strumenti analoghi, ed è azionata da un'unica forza motrice, qualunque ne sia la forma [10]. Qui abbiamo la macchina; ma, a tutta prima, come elemento semplice della produzione meccanica.
L'aumento di volume della macchina operatrice e del numero dei suoi strumenti cooperanti, richiede una macchina motrice più massiccia e questa, per vincere la propria inerzia, una forza d'impulso superiore a quella umana, anche a prescindere dal fatto che l'uomo è uno strumento di produzione di moto uniforme e continuo estremamente imperfetto: supposto che egli operi ormai soltanto come semplice forza motrice, e che quindi il posto del suo strumento sia stato preso da una macchina utensile, forze naturali potranno sostituirlo anche come forza motrice. Fra tutte le grandi forze motrici tramandate dal periodo manifatturiero, la peggiore era la forza del cavallo, sia perché il cavallo ha una sua testa, sia perché è costoso, e il raggio della sua utilizzazione in fabbrica è limitato [11]. Eppure, il cavallo era spesso usato nella infanzia della grande industria, come dimostra, oltre alle lagnanze degli agronomi del tempo, il fatto che si continui ad esprimere in « cavalli » la forza meccanica. Il vento era troppo incostante e capriccioso, mentre in Inghilterra, culla della grande industria, l'impiego della forza idraulica prevaleva già nel periodo della manifattura. Fin dal secolo XVII, si era cercato di mettere in moto con una sola ruota da mulino a pale due cilindri e, perciò, due palmenti; ma allora il maggior volume del meccanismo di trasmissione entrò in conflitto con l'insufficiente forza idraulica, e fu questa una delle circostanze che indussero ad uno studio più rigoroso delle leggi dell'attrito. Allo stesso modo, l'azione irregolare della forza motrice nei mulini azionati ad urto e a trazione mediante batacchi portò alla teoria e all'applicazione pratica del volano [12], che da allora occupa una parte così rilevante nella grande industria. Così, il periodo manifatturiero sviluppò i primi elementi scientifici e tecnici della grande industria. In origine, i filatoi continui (throstles) di Arkwright erano mossi dall'acqua. Ma anche l'uso della forza idraulica come fattore dominante comportava elementi di disturbo: non la si poteva elevare a piacere, non si poteva rimediare alla sua scarsità, a volte mancava e, soprattutto, era di natura decisamente locale [13]. Solo con l'invenzione della seconda macchina a vapore di Watt, o a doppio effetto, si è trovato un motore primario che produce esso stesso la propria forza motrice alimentandosi d'acqua e di carbone; il cui potere energetico è interamente controllabile dall'uomo; che è mobile e mezzo di locomozione, urbano e non rurale come la ruota idraulica; che permette, diversamente da questa, di concentrare la produzione nelle città invece di disperderla nelle campagne [14]; che è di applicazione tecnologica universale, e non è condizionato nella sua ubicazione, se non in misura relativamente secondaria, da circostanze locali. Il grande genio di Watt si rivela nella specificazione del brevetto da lui preso nell'aprile 1784, in cui la macchina a vapore è presentata non come invenzione per scopi particolari, ma come agente generale della grande industria. Egli accenna già ad applicazioni molte delle quali, come il maglio a vapore, saranno introdotte soltanto più di mezzo secolo dopo: dubita però dell'applicabilità della macchina a vapore alla navigazione marittima. Sarà riservato ai suoi successori Boulton e Watt di presentare all'esposizione industriale di Londra del 1851 la più colossale macchina a vapore per navi transoceaniche (ocean steamers).
Solo dopo che gli strumenti erano stati trasformati da strumenti dell'organismo umano in strumenti di un apparecchio meccanico, della macchina utensile, anche il motore assunse una forma autonoma, completamente emancipata dai limiti della forza umana. Così la singola macchina operatrice, che abbiamo considerato finora, decadde a semplice elemento della produzione meccanica. Ora una sola macchina motrice poteva azionare contemporaneamente numerose macchine utensili. Con il numero delle macchine operatrici messe contemporaneamente in moto, anche la macchina motrice cresce di volume, e il meccanismo di trasmissione si trasforma in un apparecchio vasto e complicato.
Bisogna distinguere due forme del meccanismo produttivo : la cooperazione di molte macchine omogenee, e il sistema di macchine.
Nel primo caso, l’intero manufatto è prodotto dalla stessa macchina operatrice che compie tutte le differenti operazioni già eseguite da un artigiano col suo strumento (dal tessitore col suo telaio, per esempio) o da più artigiani uno dopo l'altro con utensili diversi, sia in modo autonomo, sia come membri di un'unica manifattura [15]. Così, nella moderna manifattura delle buste da lettera, un operaio piegava la carta con la stecca, un altro applicava la gomma, un terzo piegava il risvolto sul quale si stampa l'insegna, un quarto modellava le insegne in rilievo ecc., e ogni singola busta doveva, a ognuna di queste operazioni parziali, cambiare di mano. Oggi, una sola macchina esegue d'un colpo solo tutte queste operazioni, e fabbrica in un'ora 3.000 e più buste. Una macchina americana per la produzione di sacchetti di carta, presentata all'esposizione industriale di Londra nel 1862, taglia, incolla, piega la carta e finisce in un minuto trecento sacchetti. Qui il processo globale, suddiviso all'interno della manifattura in fasi di esecuzione successive, è condotto a termine da una sola macchina utensile, che agisce mediante combinazione di diversi strumenti. Sia essa la reincarnazione meccanica pura e semplice di un solo strumento artigiano di una certa complessità, o la combinazione di strumenti semplici eterogenei, particolarizzatisi nell'ambito della manifattura, nella fabbrica, cioè nell'officina basata sul macchinismo, riappare ogni volta la cooperazione semplice, e in primo luogo (prescindiamo qui dall'operaio) come agglomerazione nello spazio di macchine operatrici omogenee cooperanti nello stesso tempo. Così, una fabbrica di tessuti risulta dalla giustapposizione di molti telai meccanici nello stesso edificio di lavoro, come una fabbrica di cuciti dalla giustapposizione nello stesso ambiente di molte cucitrici meccaniche. Ma qui v'è unità tecnica, in quanto le molte macchine operatrici omogenee ricevono il loro impulso, contemporaneamente e in modo uniforme, dalle pulsazioni del loro cuore collettivo, il prime motor; impulso comunicato ad esse dal meccanismo di trasmissione, che è pure in parte comune a tutte, perché solo particolari diramazioni per ogni singola macchina utensile se ne irradiano. Esattamente come molti strumenti formano gli organi di una sola macchina operatrice, così molte macchine operatrici formano ormai soltanto gli organi omogenei dello stesso meccanismo motore.
Un sistema di macchine in senso proprio subentra invece alla singola macchina indipendente là dove l'oggetto di lavoro percorre una serie continua di processi graduati, eseguiti da una catena di macchine utensili eterogenee, ma complementari. Qui la cooperazione mediante divisione del lavoro, propria della manifattura, riappare ma sotto forma di combinazione di macchine operatrici parziali: gli strumenti specifici dei diversi operai parziali — per esempio, nella manifattura laniera, quelli del battitore, del pettinatore, del torcitore, del filatore, e via dicendo — si trasformano negli strumenti di macchine operatrici specifiche, ognuna delle quali rappresenta un organo particolare per una funzione particolare entro il sistema del meccanismo utensile combinato. La stessa manifattura fornisce nell'insieme al sistema di macchine, in quei rami in cui viene per la prima volta introdotto, la base naturale e spontanea della divisione e quindi organizzazione del processo produttivo [16].
Interviene però subito una differenza essenziale. Mentre nella manifattura ogni particolare processo parziale deve essere eseguito da operai isolati o gruppi di operai coi loro strumenti e, se l'operaio viene appropriato al processo, questo è preventivamente adattato a quello, nella produzione di tipo meccanico questo principio soggettivo della divisione viene a cadere. Il processo globale, considerato in sé e per sé, è qui analizzato oggettivamente nelle sue fasi costitutive, e il problema di eseguire ogni processo parziale e di collegarli tutti insieme viene risolto mediante applicazione tecnica della meccanica, chimica ecc.[17], fermo restando, ovviamente, che la concezione teorica dev'essere sempre completata da un'esperienza pratica accumulata su vasta scala. >
Il lavoro della Prospettiva
Ogni macchina parziale fornisce a quella immediatamente successiva la sua materia prima, e poiché tutte operano simultaneamente, il prodotto si trova costantemente nei diversi stadi del suo processo di fabbricazione, così come nel passaggio da una fase della produzione all'altra. Allo stesso modo che, nella manifattura, la cooperazione immediata degli operai parziali stabilisce una certa proporzionalità fra i particolari gruppi di operai, nel sistema di macchine articolato la costante occupazione di ogni macchina parziale ad opera dell'altra stabilisce un certo rapporto fra il loro numero, la loro grandezza, e la loro velocità. Divenuta un sistema articolato di macchine operatrici eterogenee (e loro gruppi), la macchina operatrice combinata è tanto più perfetta, quanto più il suo processo globale è continuo, cioè con quanto minori interruzioni la materia prima passa dalla prima fase di lavorazione all'ultima; quanto più, dunque, invece della mano dell'uomo, è lo stesso meccanismo a guidarla da una fase della produzione all'altra. Se, nella manifattura, l’isolamento dei processi particolari è un principio dettato dalla divisione stessa del lavoro, la loro continuità regna invece nella fabbrica sviluppata.
Un sistema di macchine, poggi sulla pura e semplice cooperazione di macchine operatrici omogenee come nella tessitura, o sulla combinazione di macchine operatrici eterogenee come nella filatura, costituisce di per sé un solo grande automa, non appena un motore primario semovente lo azioni. Ma il sistema nel suo complesso può, per esempio, essere azionato dalla macchina a vapore sebbene singole macchine utensili abbiano ancora bisogno dell'operaio per dati movimenti, come per il movimento necessario all'avvio della mule (il telaio intermittente) prima dell'introduzione della selfacting mule (il telaio intermittente automatico) e ancor oggi nella filatura in fino; oppure sebbene date parti della macchina, per compiere la loro opera, abbisognino della guida dell'operaio esattamente come uno strumento, al modo in uso nella fabbricazione di macchine prima che lo slide rest (la slitta portautensili) del tornio fosse trasformato in un selfactor, un agente automatico. Non appena la macchina operatrice compie tutti i movimenti necessari alla lavorazione della materia prima senza assistenza dell'uomo, di cui ha bisogno ormai soltanto di rincalzo, si ha un sistema di macchine automatico, suscettibile poi di costante elaborazione nel dettaglio. Così, l'apparecchio che blocca da sé il filatoio meccanico quando un solo filo si spezza, e il selfacting stop che arresta automaticamente il telaio a vapore perfezionato quando al rocchetto della spola manca il filo di trama, sono invenzioni modernissime.
Come esempio sia di continuità nella produzione, che di realizzazione del principio automatico, valga l'odierna cartiera. Anzi, la fabbricazione della carta in genere permette un utile e minuzioso studio sia del differenziarsi dei modi di produzione sulla base della diversità dei mezzi di produzione, sia del legame connettivo fra i rapporti di produzione sociali e quegli stessi modi, perché in questo ramo d'industria il modello della produzione artigianale ci è offerto dalla più antica arte cartaria tedesca, il modello della manifattura in senso proprio dall'Olanda nel XVII secolo e dalla Francia nel XVIII, e il modello della produzione automatica dalla moderna Inghilterra, senza contare che in Cina e in India continuano tuttora a sussistere due diverse forme antico-asiatiche della stessa industria.
La fabbrica meccanizzata trova la sua forma più evoluta in un sistema articolato di macchine operatrici, che ricevono il loro impulso, tramite il meccanismo di trasmissione, da un solo automa centrale. Alla macchina singola subentra qui un mostro meccanico che invade col suo corpo interi edifici, e la cui forza demoniaca, dapprima oscurata dal moto quasi solennemente cadenzato delle sue membra gigantesche, esplode nella pazza e febbrile girandola dei suoi innumerevoli organi lavorativi in senso proprio.
Come l'uomo ha indossato vestiti prima che esistessero sarti, così l’esistenza di mules, macchine a vapore ecc., ha preceduto quella di operai occupati esclusivamente a fabbricare mules, macchine a vapore e così via. Ma le invenzioni di Vaucanson, Arkwright, Watt e altri sono state unicamente possibili perché quegli inventori trovarono, fornita bell'e pronta dal periodo manifatturiero, una massa cospicua di abili operai meccanici. Una parte di questi era formata di artigiani indipendenti di diversi mestieri, un'altra era riunita in manifatture che già conoscevano, come si è visto, una divisione del lavoro spinta fino a un notevole rigore. Man mano che le invenzioni aumentavano e la domanda di macchinario perfezionato cresceva, si sviluppavano, da un lato, la differenziazione della fabbricazione di macchine in molteplici rami indipendenti, dall'altro la divisione del lavoro all'interno delle manifatture per la produzione di macchine.
Qui, dunque, vediamo nella manifattura la base tecnica immediata della grande industria. Quella ha prodotto il macchinario, che ha permesso a questa di soppiantare l'azienda artigiana e manifatturiera nelle sfere di produzione di cui si era per la prima volta impadronita. Ne segue che l'industria meccanica si è eretta naturalmente su una base materiale ad essa inadeguata: era perciò inevitabile che, a un certo grado di sviluppo, rivoluzionasse questa base, prima trovata bell'e pronta e poi ulteriormente elaborata nella sua forma originaria, e se ne creasse una nuova, corrispondente al proprio modo di produzione. Come la macchina singola rimane minuscola finché è azionata soltanto da uomini; come il sistema di macchine non poteva liberamente evolversi prima che la macchina a vapore subentrasse alle preesistenti forze motrici — l'animale, il vento, perfino l'acqua —, così la grande industria rimase paralizzata in tutto il suo sviluppo finché il suo mezzo di produzione caratteristico, la stessa macchina, andava debitore della sua esistenza alla forza e all'abilità personali e perciò dipendeva dallo sviluppo dei muscoli, dall'acutezza della vista e dal virtuosismo della mano, con cui l'operaio parziale entro la manifattura, e l'artigiano fuori di essa, guidavano il loro minuscolo strumento. Così, a prescindere dal rincaro delle macchine dovuto a questa origine — circostanza determinante, come motivo cosciente, per il capitale —, l'estensione dell'industria già meccanizzata e la penetrazione delle macchine in nuovi rami di produzione rimanevano puramente condizionate dall'aumento di una categoria operaia che, a causa della natura semi-artistica della sua attività, poteva essere accresciuta solo per gradi, non di colpo. Ma, a un certo stadio di sviluppo, la grande industria è entrata in conflitto anche sul piano tecnico con la propria sottostruttura artigiana e manifatturiera. L'ampliamento del volume delle macchine motrici, dei meccanismi di trasmissione e delle macchine utensili, la maggior complessità e diversità di forme e la più severa regolarità delle loro parti componenti, nella misura in cui la macchina utensile si svincolava dal modello artigianale che in origine ne domina la costruzione, e riceveva una forma libera unicamente determinata dalla sua funzione meccanica [18], la genesi del sistema automatico e il sempre più inevitabile ricorso a materie prime di difficile maneggio, come il ferro invece del legno — la soluzione di tutti questi problemi sorti spontaneamente si è dovunque scontrata nell'ostacolo dei limiti personali che anche la manodopera combinata nella manifattura infrange solo quanto al grado, non quanto alla sostanza. Per esempio, la manifattura non poteva fornire macchine quali la moderna pressa tipografica, il moderno telaio a vapore e la moderna cardatrice meccanica.
Il rivoluzionamento del modo di produzione in una sfera d'industria determina il suo rivoluzionamento nelle altre. Ciò vale in primo luogo per quei rami d'industria che sono bensì isolati dalla divisione sociale del lavoro, talché ciascuno produce una merce indipendente, ma che si intrecciano come fasi di un processo globale. Così la filatura meccanica ha reso necessaria la tessitura meccanica, e tutt'e due insieme la rivoluzione meccanico-chimica del candeggio, della stampa e della tintoria. Così, d'altra parte, la rivoluzione nella filatura cotoniera ha suscitato l'invenzione della gin per la separazione delle fibre del cotone dai semi, grazie alla quale soltanto è stato possibile produrre cotone sulla grande scala ora richiesta [19]. Ma soprattutto la rivoluzione nel modo di produzione dell'industria e dell'agricoltura ha imposto una rivoluzione anche nelle condizioni generali del processo di produzione sociale, nei mezzi di comunicazione e trasporto. Come i mezzi di comunicazione e trasporto di una società il cui pivot [perno], per servirmi dell'espressione di Fourier, era costituito dalla piccola agricoltura, con la sua industria domestica sussidiaria, e dall'artigianato urbano, non potevano più soddisfare le esigenze di produzione del periodo manifatturiero con la sua divisione allargata del lavoro sociale, la sua concentrazione dei mezzi di lavoro e dei lavoratori, i suoi mercati coloniali, e quindi sono stati di fatto rivoluzionati; così i mezzi di trasporto e comunicazione tramandati dal periodo manifatturiero si trasformarono ben presto in ceppi intollerabili ai piedi della grande industria, con la sua febbrile rapidità di produzione, la sua scala massiccia, il suo costante travaso di masse di capitali e di lavoratori da una sfera di produzione all'altra, e i legami da essa creati sul mercato mondiale. A prescindere dal rivoluzionamento completo della navigazione a vela, la rete delle comunicazioni e dei trasporti è stata quindi gradualmente adattata al modo di produzione della grande industria mediante battelli fluviali a vapore, ferrovie, navi transoceaniche, telegrafi. D'altra parte, le masse enormi di ferro che si dovevano forgiare, saldare, tagliare, trapanare e modellare, hanno a loro volta richiesto macchine ciclopiche, a produrre le quali l'industria meccanica di tipo manifatturiero era impotente.
Così, la grande industria è stata costretta a impadronirsi del suo caratteristico mezzo di produzione, la stessa macchina, e a produrre macchine con macchine: solo in tal modo si è creata una sottostruttura tecnica adeguata, e ha quindi potuto camminare con le proprie gambe. In seguito alla crescente meccanizzazione nei primi decenni del secolo XIX, le macchine si sono a poco a poco impadronite della fabbricazione delle macchine utensili. Ma solo nel corso degli ultimi decenni la costruzione di ferrovie su scala immensa e la navigazione oceanica a vapore hanno chiamato in vita le ciclopiche macchine usate per costruire i motori primari.
La condizione di produzione basilare per la fabbricazione di macchine mediante macchine, era una macchina motrice capace di ogni potenza energetica e tuttavia pienamente controllabile. Essa esisteva già nella macchina a vapore. Ma si trattava al tempo stesso di produrre meccanicamente le forme rigorosamente geometriche necessarie per le parti singole delle macchine: retta, piano, circolo, cilindro, cono e sfera. Il problema fu risolto nel primo decennio dell'Ottocento da Henry Maudslay con l'invenzione dello slide rest, che, reso ben presto automatico e modificato nella sua forma, venne trasferito dal tornio, al quale era destinato in origine, su altre macchine da costruzione. Questo congegno meccanico sostituisce non un qualsiasi strumento particolare, ma la stessa mano dell'uomo, che produce una data forma tenendo, adattando e orientando il filo di strumenti da taglio ecc. contro o sul materiale del lavoro, — per esempio il ferro. Così si è riusciti a produrre le forme geometriche delle singole parti delle macchine « con un grado di facilità, precisione e rapidità, che nessuna esperienza accumulatasi nella mano del più abile operaio poteva fornire »[20].
Se osserviamo la parte del macchinario impiegato per la costruzione di macchinario, che forma la vera e propria macchina utensile, lo strumento di tipo artigiano vi riappare, sì, ma in dimensioni ciclopiche. L'operatore del trapano meccanico, per esempio, è un enorme succhiello azionato da una macchina a vapore, senza il quale non si potrebbero produrre, inversamente, i cilindri di grandi macchine a vapore e presse idrauliche. Il tornio meccanico è la reincarnazione ciclopica del comune tornio a pedale; la piallatrice meccanica è un falegname di ferro, che lavora nel ferro con lo stesso utensile col quale il falegname lavora nel legno; lo strumento che nei cantieri londinesi taglia le lastre di copertura delle navi è un gigantesco rasoio; l'utensile della trancia che taglia il ferro come la forbice da sarto taglia il panno, è una macroscopica cesoia; e il maglio a vapore opera con una comune testa di martello, ma di un peso tale, che neppure il dio Thor sarebbe capace di sollevarlo [21]. Uno di questi magli a vapore inventati da Nasmyth, per esempio, pesa oltre 6 tonnellate e piomba con una caduta verticale di 7 piedi su un'incudine da 36 tonnellate; esso polverizza come per gioco un blocco di granito, ma non è meno in grado di piantare un chiodo nel legno tenero con una successione di colpi leggeri [22].
Come macchinario, il mezzo di lavoro riceve un modo di esistenza materiale, che esige la sostituzione della forza umana con forze naturali, e la routine basata sull'esperienza con l'impiego deliberato della fisica. Nella manifattura, l'articolazione del processo lavorativo sociale è puramente soggettiva, combinazione di operai parziali; nel sistema di macchine, la grande industria possiede un organismo di produzione totalmente aggettivo, che l'operaio trova bell'e pronto come condizione materiale della produzione. Nella cooperazione semplice, e anche in quella specificata mediante divisione del lavoro, l'eliminazione dell'operaio isolato da parte dell'operaio socializzato continua ad essere più o meno casuale. Con qualche eccezione sulla quale torneremo, il macchinario funziona soltanto nelle mani di un lavoro immediatamente socializzato, eseguito in comune. Il carattere cooperativo del processo lavorativo diventa così una necessità tecnica, dettata dalla natura stessa del mezzo di lavoro.
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[1] . « It is questionable, if all the mechanical inventions yet made have lightened the day's toil of any human being ». Mill avrebbe dovuto dire: « of any human being not fed by other people's labour », cioè di un solo essere umano non nutrito da lavoro altrui, essendo indiscutibile che le macchine hanno notevolmente accresciuto il numero degli esìmi fannulloni.
[2] . Cfr. per esempio il Course of Mathematica di ch. hutton [1737-1823].
[3] . Da questo punto di vista si può anche tracciare un preciso confine fra strumento e macchina: rientrano nel concetto di strumento la vanga, il martello, lo scalpello ecc., le combinazioni di leve e viti, in cui, per quanto artificiali essi siano sotto altri aspetti, l'uomo rimane pur sempre la forza propulsiva; fra le macchine, sono invece da annoverare l'aratro con la forza animale che lo traina, il mulino a vento ecc. (Wilhelm Schulz, Die Bewegung der Produktion, Zurigo, 1843, p. 38; opera degna di lode per molti riguardi). [N,d.T. - All'opera di W. Schulz (1797-1860) Marx si riferisce già nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. L'autore partecipò più tardi alla rivoluzione 1848-49 e fu deputato di sinistra all'Assemblea di Francoforte].
[4] . Già prima di lui si impiegavano, per la filatura in grosso, macchine sia pure molto imperfette: le prime probabilmente in Italia. Una storia critica della tecnologia mostrerebbe come nelle invenzioni del secolo xviii la parte del singolo individuo sia trascurabile. Ma un'opera del genere finora non esiste. Darwin ha richiamato l'interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi della pianta e dell'animale come strumenti di produzione della loro vita: non merita forse eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell'uomo sociale, che costituiscono la base materiale di qualunque organizzazione della società? E non sarebbe più facile ricostruirla, dal momento che, come dice Vico, la storia umana si distingue dalla storia naturale perché noi non abbiamo fatto la seconda e abbiamo fatto la prima? La tecnologia svela il comportamento attivo dell'uomo nei confronti della natura, il processo di produzione immediato della sua vita e, quindi, anche dei suoi rapporti sociali e delle idee che ne provengono. Allo stesso modo è acritica ogni storia delle religioni che prescinda da queste basi materiali. In realtà, è molto più agevole scoprire analiticamente il nocciolo terreno delle fantasticherie religiose che, invece, svolgere dai rapporti reali di vita, come di volta in volta si configurano, le loro forme incielate. L'ultimo è il solo metodo materialistico e, come tale, scientifico. I difetti del materialismo astrattamente ricalcato sul modello delle scienze naturali, e ignaro del processo storico, traspaiono già dalle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce quando si avventurano oltre i confini della propria specialità.
[5] . Specialmente nella forma originaria del telaio meccanico si riconosce a prima vista l'antico telaio a mano, che invece nella sua forma moderna appare essenzialmente modificato.
[6] . In Inghilterra, è solo dal 1850 circa che una parte sempre maggiore degli strumenti delle macchine utensili viene prodotta meccanicamente, benché da industriali diversi da quelli che fabbricano le stesse macchine. Citiamo come esempi di macchine per la fabbricazione di tali strumenti l'automatic bobbin-making engine per le bobine, il card-setting erigine per la fissazione delle carde, le macchine per la produzione delle spole e per la forgiatura di fusi da mule e da throstle.
[7] . Dice Mosè d'Egitto : « Non metterai la musoliera al bue che trebbia il grano» [La Legge, Sansoni, Firenze, 1921, p. 570]. I filantropi cristiano-germanici, invece, applicavano al collo del servo della gleba usato come forza motrice della macina un grosso disco di legno, per impedirgli di portarsi alla bocca con la mano anche solo un pizzico di farina.
[8] . In parte l'assenza di cadute d'acqua naturali, in parte la lotta contro l'eccesso d'acqua, costrinsero gli olandesi a servirsi del vento come forza motrice. Il mulino a vento fu però importato nei Paesi Bassi dalla Germania, dove questa invenzione aveva suscitato un'elegante diatriba fra nobili, preti e imperatore sul tema: « A chi appartiene il vento? » L'aria rende servi, si diceva in Germania nell'atto stesso che il vento emancipava l'Olanda riducendo in servitù non l'olandese, ma, per lui, la terra. Ancora nel 1836, 12.000 mulini a vento della forza di 6.000 cavalli erano in funzione per impedire a due terzi dell'Olanda di ritrasformarsi in palude.
[9] . Sebbene notevolmente perfezionata dalla prima macchina a vapore di Watt, nota come « a semplice effetto », in questa forma essa rimase una pura e semplice macchina per sollevare acqua dolce e salata.
[10] . Sebbene notevolmente perfezionata dalla prima macchina a vapore di Watt, nota come « a semplice effetto », in questa forma essa rimase una pura e semplice macchina per sollevare acqua dolce e salata.
[11] . In una memoria sulle « forze usate nell'agricoltura », letta nel dicembre 1859 alla Society of Arts, John C. Morton dice fra l'altro: « Ogni perfezionamento, che favorisca l'uniformità del terreno, rende più applicabile la macchina a vapore alla produzione di forza puramente meccanica... La forza dei cavalli è richiesta là dove siepi tortuose ed altri ostacoli impediscono un'azione uniforme. Questi ostacoli tendono sempre più a scomparire. In operazioni che richiedono un maggiore esercizio del volere e una minor forza reale, solo la forza guidata dalla mente dell'uomo minuto per minuto, quindi la forza umana, è applicabile ». Egli riduce poi forza vapore, forza cavallo e forza uomo, all'unità di misura corrente per le macchine a vapore, cioè la forza necessaria per sollevare di un piede al minuto 33.000 libbre, e valuta i costi orari di un cavallo vapore in 3d. nella macchina a vapore e in 5,5d. nel cavallo. Inoltre, il cavallo, se lo si vuoi mantenere in perfetta efficienza, è utilizzabile soltanto per 8 ore al giorno. La forza vapore permette di risparmiare in un anno un minimo di 3 cavalli su 7 per l'aratura a un prezzo di costo non superiore a quello dei cavalli sostituiti nei 3 o 4 mesi soli nei quali li si può utilizzare. Infine, la forza vapore, dove se ne può fare uso in operazioni agricole, migliora la qualità dell'opera in confronto alla forza cavallo. Per eseguire il lavoro che la macchina a vapore compie, si dovrebbero impiegare 66 uomini per un totale di 15sh. all'ora; per eseguire quello dei cavalli, 32 uomini per complessivi 8sh. orari. [N.d.t. - J. Ch. Morton (1821-1888) fu un noto agronomo inglese].
[12] . Faulhaber, 1625; De Cous, 1688.
[13] . La moderna invenzione della turbina emancipa lo sfruttamento industriale della forza idraulica da numerosi ostacoli esistenti in passato.
[14] . « Nei primordi della manifattura tessile, la localizzazione delle fabbriche dipendeva dalla presenza di un corso d'acqua il cui dislivello fosse sufficiente per azionare una ruota a pale; e, sebbene l'impianto di mulini idraulici abbia segnato l'inizio del declino del sistema d'industria a domicilio, tuttavia i mulini, necessariamente situati presso corsi d'acqua e non di rado separati da notevoli distanze, facevano parte di un sistema piuttosto rurale che urbano; solo dopo l'introduzione della forza vapore come sostituto della forza idraulica, le fabbriche si sono addensate nelle città e nelle contrade in cui il carbone e l'acqua necessari a produrre vapore si trovavano in quantità bastanti. La macchina a vapore è la madre delle città manifatturiere » (A. REDGRAVE, in Reports of the Insp. of Fact. 30th April, 1860, p. 36).
[15] . Dal punto di vista della divisione manifatturiera del lavoro, la tessitura era un lavoro artigiano non semplice, ma complesso: perciò il telaio meccanico è una macchina polivalente. In genere, è un'idea sbagliata che il macchinismo moderno cominci a impadronirsi delle operazioni che la divisione manifatturiera del lavoro aveva già semplificate. Durante il periodo della manifattura, la filatura e la tessitura vennero bensì ripartite in nuovi generi di lavoro, e gli strumenti di cui si servivano vennero perfezionati e resi più vari, ma il processo lavorativo in quanto tale, sempre indiviso, rimase artigianale. Non è dal lavoro che la macchina parte, ma dal mezzo di lavoro.
[16] . Prima dell'epoca della grande industria, la manifattura dominante in Inghilterra era quella laniera: qui, perciò, durante la prima metà del XVIII secolo, si compì la maggior parte degli esperimenti. Le esperienze acquisite nel campo della lana andarono poi a vantaggio del cotone, la cui lavorazione meccanica esige una preparazione meno laboriosa; inversamente, più tardi, l'industria meccanica della lana si sviluppò sulla base della filatura e tessitura meccanica del cotone. Singoli elementi della manifattura laniera, per esempio la pettinatura, sono stati incorporati al sistema di fabbrica solo negli ultimi decenni. « L'applicazione della forza meccanica al processo di pettinatura della lana..., che avviene su vasta scala da quando è stata introdotta " la macchina pettinatrice ", e Specialmente la Lister..., ebbe senza dubbio l'effetto di gettare sul lastrico un grande numero di operai. Originariamente, la lana era pettinata a mano, perlopiù nel cottage del pettinatore. Ora la si pettina dovunque in fabbrica, e il lavoro manuale ha perso terreno salvo in particolari generi di lavorazione, dove si preferisce ancora la lana pettinata a mano. Molti pettinatori a mano trovarono lavoro in fabbrica, ma il prodotto del lavoro del pettinatore a mano è così modesto, in confronto a quello della macchina, che un numero enorme di essi rimase disoccupato » (Rep.  of Insp. of Fact. for 31st Oct. 1856, p. 16).
[17] . « Dunque, il principio del sistema di fabbrica consiste... nel sostituire la divisione del processo lavorativo nelle sue componenti essenziali alla divisione o graduazione del lavoro fra i singoli artigiani » (URE, op. cit., p. 20).
[18] . Il telaio meccanico nella sua prima forma è fatto principalmente di legno; quello moderno e perfezionato, di ferro. Fino a che punto, nei primordi, la vecchia forma del mezzo di produzione domini la nuova, si vede fra l'altro da un confronto anche sommario fra il moderno telaio a vapore e quello vecchio, fra i moderni strumenti per l'aerazione del minerale nelle fonderie di ferro e la prima, goffa reincarnazione meccanica del mantice comune; e, nel modo forse più lampante, dall'esperimento, precedente all'invenzione delle locomotive attuali, di una locomotiva che in realtà aveva due piedi e li sollevava alternativamente alla maniera del cavallo. Solo dopo l'ulteriore sviluppo della meccanica e l'accumulazione dell'esperienza pratica, la forma viene interamente determinata dal principio meccanico, e quindi completamente emancipata dalla tradizionale forma corporea dell'utensile, che si trasforma in macchina.
[19] . La cottongin [sgranatrice] del yankee Eli Whitney è rimasta fino a tempi recentissimi più invariata nelle parti essenziali, che qualunque altra macchina del secolo XVIII. Solo negli ultimi decenni (prima del 1867) un altro americano, il signor Emery di Albany (Stato di New York) ha reso antiquata la macchina di Whitney mediante un perfezionamento tanto semplice, quanto efficace.
[20] . The Industry of Nations, Londra, 1855, parte II, p. 239. Vi si legge pure : « Per quanto semplice ed esteriormente insignificante possa apparire questo accessorio del tornio, non crediamo esagerato affermare che la sua influenza nel migliorare ed estendere l'uso del macchinario fu pari a quella dei perfezionamenti introdotti da Watt nella macchina a vapore. La sua apparizione ebbe l'effetto immediato di perfezionare tutte le macchine, ridurne i prezzi, e promuovere ulteriori invenzioni e miglioramenti ».
[21] . Una di queste macchine per fucinare i paddle-wheel shafts [gli alberi delle ruote a pale], usate a Londra, porta il nome di « Thor », e fucina un albero del peso di 16,5 tonn.  con la stessa facilità con cui il fabbro fucina un ferro da cavallo.
[22] . Le macchine che lavorano sul legno, e che possono anche essere usate su piccola scala, sono perlopiù invenzioni americane.
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Vedi alla voce . MACCHINE (sistema delle)

Karl Marx . 1867
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