made n.18 Dicembre 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Il giorno mercoledì 14 agosto, D ha scritto a  n+1

A seguito della teleriunione skype di ieri sera ho voluto prendere degli appunti retroattivi. Il risultato sono due paginette di cui vi allego il contenuto. Non credo di aver espresso tutto compiutamente, ma le ritengo sufficienti per intendere meglio il senso che volevo imprimere al mio intervento di ieri sera.
Inoltre: dicendovi che sempre più spesso trovo in testi scientifici intere pagine di argomenti in cui si vede (letteralmente) una simmetria con i contenuti dei nostri testi, mi stavo riferendo particolarmente all'intero capitolo di un volume che – con altre parole e per altri scopi – tratta diversi concetti che ricorrono frequentemente anche tra di noi… così ve lo invio in allegato.
Dunque:

Prolegomeni alla voce LAVORO (dal lavoro del sole a quello dell’uomo?)

E’ in nome del Re e per bene dello Stato che il latore della presente ha fatto quel che ha fatto” – è scritto sul lasciapassare firmato dal ministro Richelieu e che consente a D’Artagnan di muoversi tra le insidie mortali che lo stesso Ministro aveva disposto sul cammino degli intrepidi moschettieri.
La natura o la storia, diversamente dal ministro Richelieu, non si lascia confondere e raggirare, ma concede a tutti lasciapassare con ogni genere di motivazione che distribuisce solo per tenergli fede quando non può fare altrimenti. Che poi Tiziano esibisca quella di aver dipinto un quadro per rimpinzare di denaro il suo asse ereditario o per proprio unico piacere (cosa che si vantava di non aver mai fatto), per il bene della Repubblica di Venezia o per quello dell’arte della Pittura… questo ce lo può rendere più o meno simpatico nel panorama della storia della Pittura, ma ha pochissimo o nulla a che vedere con la comprensione del lavoro generico come attività della specie generica cui apparteniamo.

Dovete scusarmi, ma quando ho temuto che nella skype di ieri sera si profilava l’argomento tante volte discusso e definitivamente acquisito sulle forme organizzative di lavoro nelle quali intravediamo i sintomi di futuro, eccetera, non ho resistito a spostare il tema del “lavoro” su un altro registro.
Così, sembra che invece di rifarmi al solito brano di Marx – puntualmente ricordato [ Il mangiare, il bere, il generare etc. sono anche schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell’astrazione che le separa dal restante cerchio dell’umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici ] - io mi sia in qualche modo spostato più avanti di una pagina, incappando forse nello spirito contenuto in quest’altro brano:

La natura è il corpo inorganico dell’uomo… Che l’uomo vive della natura significa: che la natura è il suo corpo, rispetto a cui egli deve rimanere in continuo progresso per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo è congiunta con la natura, non ha altro significato se non che la natura si congiunge con se stessa, ché l’uomo è una parte della natura...
... E da qui a pensare che la natura ed il corpo inorganico dell’uomo sono parte della materia, è stato rapido il passaggio che trasferisce (e congiunge) il lavoro dell’uomo direttamente nell’attività della materia… 
Dev’essere più o meno accaduto così che, sentendo la parola “lavoro”, l’ho immediatamente visto ridursi e ri-condursi anche oltre la sua base genetica, per coglierne il nocciolo invariante che lo rende incessante nei millenni (incluso l’arco che lega l’uomo ancestrale al membro della comunità attuale e futura…) nonostante il variare storico dei paesaggi epigenetici infinite volte rivoluzionati.
Così, procedendo in questo esperimento mentale, sono arrivato  ad indicare la forma che esprime il “lavoro” della natura sulla materia sia organica che inorganica, ossia: il movimento in quanto tale – beninteso senza scopo e senza finalità progettuali.
Ora, il “prodotto” di questo incessante e cieco movimento-lavoro della materia per miliardi di anni altro non è che l’essere (e l’esser-ci) attuale delle cose… che dunque tutte hanno una “storia” specifica, ma anche una “storia” comune …[ ovviamente queste "cose" sono anche tutte quelle 'cose' che costituiscono lo stato attuale della specie…].
La specie 'uomo' è attualmente nella fase della sua storia (naturale) in cui quel primordiale movimento-lavoro ha la modalità “capitalistica”…
Ciò che ognuna di queste "cose" pensa di sé stessa (se tutte potessero pensare) e della generale contingenza materiale in cui si trova ad essere (coscienza e conoscenza) risponde e corrisponde ad altre innumerevoli modalità con le quali il movimento-lavoro, preso ad un determinato tempo con il proprio stato delle cose, si ricongiunge al movimento della materia; dunque, finora, al regno della necessità.
Passando dall’alienazione (modo di produzione capitalistico, ecc.), il prossimo balzo evolutivo della specie verso il regno della libertà libera l’uomo dal lavoro come “cieco movimento della materia sociale” (attualmente nella sua forma capitalistica) per farne lavoro umano. [ Inutile dire che qui il movimento-reale-lavoro che abolisce lo stato di cose presente ha preso il nome di comunismo… ]
Capovolta la prassi, per la prima volta la specie tutta non sarà solo “cosciente” ma anche “dirigente” il suo proprio lavoro, ossia il suo proprio movimento-lavoro (di specie) ad un gradino evolutivo superiore, e sempre nella direzione della freccia del tempo (che gli rimane)…
Tutto ciò che nel frattempo fanno e hanno fatto i singoli (anche raccolti in gruppi piccoli o vasti) per cavarsela in tutte le contingenze determinate storicamente (compensi materiali o spirituali, patimenti o godimenti tratti dal lavoro svolto, e cose del genere) sono senz’altro interessanti e piene di implicazioni conoscitive, ma devono essere trattate a parte, e … sempre deterministicamente, sempre materialisticamente, ossia sempre scientificamente …
Senza questa base, che non è una premessa ma la premessa, ossia: il movimento fisico della materia inteso come lavoro (o su una enunciazione migliore dello stesso concetto), le analisi e i giudizi sul 'valore' del lavoro umano dei singoli, continueranno tutti ad essere viziati (ad och, ideologicamente, istintivamente e sentimentalmente) da parametri di valori morali o etici; tolti i quali forse si potrà accertare che anche il più elevato come il più basso anelito attribuito al lavoro dell’uomo, geniale o brutale che sia, altro non è che una delle versioni umane (storicamente determinate e sprofondate nella coscienza per poter essere meglio efficienti alla specie) del semplice muoversi della materia (per quanto possa ritenersi semplice un tal muoversi) il cui essere nel tempo è possibile solo nel mezzo del nulla (il vuoto infratomico; che magari non sarà proprio il nulla ma ci si avvicina di moltissimo come spazio) che solo consente all’essere degli atomi (democritei?) di mettersi in movimento, alle cellule di mettersi in attività, all’uomo di mettersi al lavoro…
Ecco: il lasciapassare che ognuno esibisce, per quanto sublime e bello possa essere, vale solo se chi l'ha rilasciato decide quando farlo valere per spingere avanti il corpo dell'ignaro moschettiere...

Probabilmente non è proprio tutto chiaro e detto bene, ma credo che per le cose essenziali possa bastare (almeno per me, basta qui).
Un carissimo saluto a tutti.
A presto e sempre vostro.
Immagini, in successione: Roma, panoramica da Rosati in Piazza del Popolo; Pietro Consagra, 1957; Mario Mafai, Antonio Corpora e Afro Basaldella, 1957; Mario Ciarletta, 1953.

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E-mail di agosto . 2019
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